Ombre Bianche - anno III - n. 5-6 - febbraio 1981

Rivista trimestrale - anno 111- n. 5-6 - Febbra io 1981

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Redazione: -CarloBeraldo, Federico Bozzini, Maurizio Carbognin, Annalisa Caregaro, Alessandro Castegnaro, Maurizio Cecchetto, Silvano Cogo, Luigi Copie/lo, Chtara Ghetti, Marco Girardi, Mario Laveto, Bruno Masconale, Franco Moni, Corrado Squarzon, Gianni Tagliapietra. Hanno collaborato a questo numero: Gianni Baget-Bozzo, Giorgio 1'òn, Bruno Manghi, Gianni Murari, Lorenzo Picotti, Fausto Tortora e alcune impiegate della FLM. Grafica di copertina: Maurizio Turazzi Dfrettore responsabile: Francesco Dal Mas Registrazione: n. 479 del 9.2.1980 del Tribunale di Verona Editrice: Coop. "Ve la diamo noi la linea1 ' - Verona Red. e Amm.: Loredana Aldegheri - clo M.A.G. - via Betteloni, 19 - Verona - te!. 045/525849 (ogni richiesta o comunicazione deve essere rivolta a questo indirizzo) Stamp_a: Coop: Nuova Grafica Cierre - via Cantarane, 43/a - V~rona - te!. 045/21211 Abbonamento 1981: L. 8.000, c/c/p 10325371 Coop. "Ve la diamo noi la linea" - Verona BibliotecaGino Bianco

BibliotecaGino Bianco 1 SOMMARIO 5 DUE ANNI DOPO 11 SINDACATO ITALIANO O SINDACATO VENETO? di Maurizio Carbognin 17 PARLIAMO DI POLITICA, PERDIO! di Alessandro Castegnaro 25 LA FORMA POLITICA DEL SINDACATO di Gianni Baget-Bozzo 29 l'L CASO FIAT di Bruno Manghi 37 RAPPRESENTARE UN LAVORO _FRAMMENTATO E DIVISO di Fausto Tortora 44- ORDINE DEL GIORNO: LA VITA E LA MORTE, IL BENE E IL MALE a cura di F. Bozzini e A. Castegnaro 63 TRAGEDIA DI 19 FAMIGLIE VENETE E 5 PERUGINE EMIGRANTI NEL SUDAMERICA di Gianni Murari 85 LE RIVOLTE DEI VENETI CONTRO LA CONQUISTA PIEMONTESE di Federico Bozzini 93 SINDACATO. PADRONE Alcune impiegate della FLM 97 ACQUAFORTE di Giorgio Fon 104 ILLEGALISMI E DROGA di Lorenzò Picotti . ' , ,

Comunicato della redazione sull'arresto di Massimo Tramonte Massimo Tramante è stato rimesso in galera. Assieme a lui son finiti tutti i suoi compagni che mesi fa erano stati scarcerati. Gli avvocati ce lo spiegheranno: si tratta del pigro, vischioso, inerte funzionamento della giustizia. È una "spiegazione" che ci paralizza, esattamente quanto ci lascia individualmente furiosi. Nel terzo numero della rivista abbiamo espresso il nostro pensiero sugli arresti degli autonomi del 7 aprile. E abbiamo preso il caso di Massimo come esempio. Allora, solo pochissimi della redazione lo conoscevano personalmente. Oggi lo conosciamo tutti. Ha partecipato alle nostre redazioni ed è stato un nostro fecondo collaboratore. Sul suo conto potremmo sbagliarci solo ammettendo di essere tutti imbecilli. È un'operazione che ci costa una co1nprensibile difficoltà. Impotenti come siamo, ci teniamo ad esprimere a Massilno ed ai suoi compagni la nostra solidarietà, e a rivendicare il loro diritto ad una rapidissima soluzione di questa allucinante vicenda processuale. La Redazione Chi in questo nostro Stato garantisce che cosa? Quando Massimo Tramante, alla fine del dicembre 1979, viene scarcerato, viene riconosciuto estraneo a qualsiasi associazione sovversiva. Da allora è_ passato tutto il 1980, anno di tanti terremoti. Compreso quello, non certo secondario, determinato dal lungo racconto del pentimento di clandestini di ogni specie. In questo fiume di parole, nessun accenno a Massimo Tramante (che pure avrebbe dovuto, per l'accusa, costituire e dirigere quell'associazione sovversiva, unica e continua, da Potere Operaio al partito armato di oggi). Anzi, di recente, proprio l'ufficio unico della Procura della Repubblica di Roma, ha tolto ogni residua credibilità alle affermazioni di quel teste a carico di Tramante, che aveva ispirato tutta la filosofia dell'affaire 7 aprile. Nonostante ciò la richiesta di garanzia politica ha seguito il suo corso: l'ordinanza di scarcerazione di Tramante è statariformata (come si dice nel linguaggio di bassa fureria giuridica) dalla Corte di Appello di Venezia; e la Corte di Cassazione ha sancito l'esito scontato. Massimo attendeva da mesi di tornare in carcere con le stesse imputazioni - si badi bene - da cui era stato assolto per mancanza di sufficienti indizi. Nulla oggi è intervenuto di nuovo: il giudice che ha scarcerato Massimo dovrebbe pertanto confermare la propria opinione di innocenza. A meno che non si diffonda quell'area politica che cerca da anni la conferma dello sciagurato sillogismo secondo cui: questo Stato è migliore possibile - chi ha pensato di cambiarlo è contro questo Stato - costui rappresenta l'intollerabile e va perseguito penalmente. Dice il proverbio: chi è in difetto è in sospetto. Che questo Stato abbia qualche difetto? È un quesito su cui interroga~ci tutti. Anche per aiutare Massimo. Biblioteca Gino Bianco f.to gli avvocati difensori Lamberto Lambertini Giuseppe Mercanti

DUE ANNI DOPO Questo numero di O.B. esce con un grosso ritardo·a causa di un lungo e non del tutto risolto dibattito che si è svolto nella redazione a proposito del destino della rivista. Ci sembra utile e corretto, a fronte di una prassi politica che utilizza normalmente il corridoio come luogo delle scelte importanti, darne conto ai nostri lettori. L'origine del problema sta nelle reazioni contrad<l1Ltorie suscitate dall'uscita della rivista, fin ~al primo numero, all'interno della Cisl, cioè di quell'ambiente organizzativo dal quale la maggioranza dei redattori provengono e al quale in primo luogo, anche se non esclusivamente, la rivista si rivolge. Da un lato, infatti, numerosi delegati, quadri intermedi, giovani operatori a tempo pieno hanno 1nanifestato apprezzamento per l'impresa, dove appreLzamento significa in certi casi anche condivisione delle sue ipotesi culturali, in altri semplicemente la convinzione dell'opportunità di una iniziativa suffici~nte1nente libera da poter sperimentare anche discorsi non ortodossi. Dall'altro una parte non piccola del gruppo dirigente regionale (e in certi casi è stato scomodato anche il "nazionale") ha informalmente manifestato la propria decisa opposizione all'uscita della rivista, sia per ragioni di merito (i contenuti), ma soprattutto di metodo: in un primo tempo l'esistenza di un polo di aggregazione esterno di gente dell'organizzazione veniva tacciato di "correntismo"; in un secondo ten1po, quando l'avvenuta ristrutturazione del gruppo dirigente regionale ha calmato un po' le acque, si poneva l'accento sul fatto che persone con incarichi di responsabilità nell'organizzazione potessero esprimersi, in modo anche eterodosso, sui problemi sindacali senza essere soggette a nessun tipo di verifica politica, dal momento che O.B. non è una rivista ufficiale e risponde solo alla redazione e ai suoi lettori. Questo insieme di problemi ci ha costretti a ridiscutere la stessa possibilità di sopravvivenza della rivista, anche perché i tentativi di chiarire le ipotesi culturali di 0.B. e di mettere a tacere i dietrologi di turno non avevano ottenuto i risultati sperati. Oltre che dalle condizioni "esterne", siamo stati indotti a una radicale ridiB . s us ione che lle rime verifiche delle ipotesi politiche e culturali dalle quali I al "F-1v,.~ 1 ~mù -v _I arà superfluo riepilogarle.

6 O.B. è nata, come abbiamo progressivamente chiarito nei pezzi firmati dalla redazione~ facendo alcune scommesse politiche e cioè: a).che il sindacato, e in particolare la Cisl, ·potesse diventare uno spazio di ricomposizione culturale per segmenti diversi di classi subalterne, portando avanti una riflessione in un amb_itodestrutturato (cioè senza schemi e certezze preventive), con l'obiettivo se non di arrivare, ambizi0samente, a ridisegnare un "quadro·'' della realtà che ci circonda, quanto meno di mettere insieme pez2i di discorso diversi, tasselli, tess'ere con le quali abbozzare un poco per volta un mosaico, magari non sempre definito e còerente; . . b) non necessariamente a questa r.icomposizione culturale doveva seguire quella organizzativa e politica: il sindacato continuerà ad essere prima di tutto.- ne siamo tutti consapevoli - l'organizzazione degli operai maschi adulti delle aziende medio-grandi. Questa ricomposizione culturale era però· la condizione per il verificarsi della seconda ipotesi, e·cioè che fosse possibile, in questo sindacato, starci dentro "tutti e tutti· interi", senza automutilazioni preventive: la scommessa, insomma, era di riuscire a proporre certi discorsi, oggi presenti in momenti marginali della vita dell'organizzazione ("il bar"), dando loro legittimità e spazio ·(''una rivista") . .Collegate queste scommesse politiche, si sono andate profilando alcune ipotesi · culturali relative a: a) l'utilità di cominciare a ragionare -storicamente, _dando sempre ai discorsi precise coordinate storico-geografiche; .· b) l'obsolescenza delle vecchie categorie analitiche della cultura di sinistra al fi- ·ne ·di comprendere le trasformazioni· in atto; _ c) la necessità di cominciare a perisare all'organizzazione sindacale non come a una· macchina identica in ogni dove, ma come ad uno spazio intriso della cultura ·specifica (e dunque con peculiari modalità di rapporto con essa) dell'area sociale e territoriale in cui storicamente è sorto: di qui l'accerito posto sul localismo e sul Veneto. Abbiamo l'arroganza di dire che i fatti stanno indicando che le ipotesi culturali che man mano siamo andati ~individuando. erano meno bizzarre di quanto noi stessi avessimo ritenuto. -Valgano per tutti due grossi esempi. Tutti hanno ritenuto le analisi de ''Il manifesto'' quaqto di meglio sia stato scritto sull' "estate polacca"; tuttavia la prima pagina del giornale il giorno dell'accordo di Danzica era emblematico di quanto sopra affermato al punto b): la.paura di confrontarsi con la Madonna aveva fatto scovare dall'archivio ,una foto di Rosa Luxemburg, che veniva così proposta per"simboleggiare una lotta che aveva innalzato immagini assolutamente diverse (dal papa alla Madonna Ne- . . raj. . . . . . Nei tempi più recenti le analisi di alcuni studiosi stanno mettendo in luce da un lato col)le si vadano affermando negli Stati Uniti e in Francia risposte di tipo Bit) · ·. · , " J · · di funzioqamento del si~tema politico, dqll'altro l'im- •. • J

Bi Due anni dopo 7 possibilità dell'affermarsi in Italia di ipotesi "neo-corporative", quali quelle· prevalenti nelle socialdemocrazie. D'altra parte esiste la concreta possibilità che au- . menti in Italia il peso del ''territorio'' nei processi di funzionamento del sistema politico, constatato: -a) il pes9 crescente, non solo amministrativo ma anche poli- . tico, del governo locale; b) le forti differenziazioni, non solo verticali, della strut- ·tura di classe e del sistema produttivo; c) le profonde differenze nella cultura politica· locale. Il sindacato italiano, iqvece, al di là delle affermazioni. ideologiche, sembra tutto speso (cfr. vicende dello 0,500/o, documentane, ecc.) sull'affermazione di una contrattazione centralizzàta. con governo e imprenditori, sull'aumento della capacità di influire al centro sulla allocazione delle risorse politiche, cioè su. ipotesi sostanzialmente, nel significato migliore del termine, "neocorporative'' (ma su questo torniamo con articoli specifici in questo stesso numero). Le significative conferme delle ipotesi culturali e l'interesse da esse suscitato nei lettori sono una delle ragioni che ci spingono a continuare l'iniziativa: in una società di mercato la legittimità di un'impresa è garantita esclusivamente dall'esistenza di una domanda adeguata. · .. ' ' " Quello invece che ci ha maggiormente messo in crisi, assai più ·dei condizionamenti esterni per capirci, è stato il sostanziale fallimento delle scommesse politi- .che relative al sindacato: è forse presto per una affermazione del genere, ma certo molti indicatori vanno in quella direzione. · La situazione "reale del sindacato e la sua evoluzione stanno procedendo in direzione diametralmente opposta a quella da noi ipotizzata. Il processo di centralizzazione sta andando avanti a tappe forzate, travolgendo qualsiasi ipotesi an·che parzialmente diversa. E, quello che è più grave (e pro.fondamente diverso rispetto alla Cisl ·degli anni '50), si tratta anche di un processo di centralizzazione. culturale, per cui. i problemi all'ordine del giorno nel dibattito anche in periferia, i criteri con cui si decide. quello che nel sindacato è importante, vengono decisi a Roma .. Negli anni '50 e '60 Pastore poteva tranquillamente parlare di industrialismo e Storti di risparmio contrattuale: la gente in giro manco se ne accorgeva. Oggi la proposta della trattenuta dello 0,50% diventa per mesi il tema del giorno: gli ambiti dello spazio politico e culturale dell'organizzazione vengòno sempre più determinati al vertice e chi fa educatamente notare che a lui non interessa molto e vorrebbe occuparsi d'altro, viene giudicato "un imbroglione o un ignorante". Ieri ci-chiedevamo se era possibile far parte di questo sindacato facendo i conti con nostro trisnonno; oggi dobbiamo chiederci se è possibile starci dentfo con convinzi9ne ed entusiasmo anche ritenendo che i problemi su cui ci.interessa riflettere non sono, in priipo luogo, l'accumulaziqne e lo 0,50%. · Questa centralizzazioùe, anche culturale, ha, tra gli altri,. due effetti: a) rende sempre più problematicq qùals_iasi.discorso sulla democrazia nel sindacato, sulla partecipazione_, ecc.; . . . b) dà,sp ?i.ioal 'arroganza settaria di quei dirigenti tci riferiamo ad esempio a · 1 ~ inuato a criticare la rivista ammettendo esplicitamente

8 di non averla letta e che riuscirebbero a vivere come una vittoria politica la sua eventuale ·chiusura) che si sentono legittimati, avendo le spalle coperte dalle certezze enunciate dalla massima dirigenza, a rinuncian: e a chiudere sul nascere qualsiasi discorso nuovo che apra percorsi la cui ortouossia non sia preventivamente qimostrata. Ancora, questo processo di centralizzazione, oltre che mettere in moto altre dinamiche che in diverse oc'casioni abbiamo esaminato, c;tumenta la diversità tra il sindacato-istituzione (quello degli apparati, soprattutto dal livello provinciale in su) e il sindacato di base. Non è che l'uno sia migliore, preferibjle, più legittimo dell'altro: vogliamo semplicemente sottolineare come ciascuno funzioni sempre di più con logiche profondamente diverse e come quella del sindacato-istituzione faccia fatica ad ammettere ipotesi come quelle proposte da O.B. Non pensiamo che queste linee di tendenza siano unmodificabili: altre volte nella sua storia il sindacato italiano e la Cisl hanno subito prof onde modificazioni. Esse, tuttavia, sono state l'esito di due circostanze concomitanti: a) un certo tipo di trasformazioni nella società italiana che, in un certo senso, favorivano l'affermarsi di un sindacato diverso da quello precedente; b) il coagularsi nel sindacato_di un'area di opposizione alla gestione maggioritaria: nel senso migliore del termine, una "corrente". Ora: a) le tendenze della società italiana e le scelte soggettive del sindacato fanno ritenere tutt'altro che reversibile il processo di centralizzazione del sindacato; b) O.B. non è una corrente, anche se i più svegli non se ne sono mai accorti, e non ha alcun desiderio e interesse a diventarlo. In sostanza, il dubbio che ci è venuto è che utopie come quella sul "sindacato popolare'' siano fantasmi che rischiano di confondere ed illudere la gente, e magari di "coprire'; una gestione burocratica del sindacato ("Vedete che bravi e pluralisti che sia~o? Ci sono anche quelli di O.B. "), facendo trascurare o sottoval.utare lo spazio che nel sindacato esiste per agire, nell'ambito del lavoro quotidiano di ciascuno, all'interno di argini che altri hanno delimitato (e che è possibile allargare o_dabbattere, ma non certo solo con una rivista). D'altra parte O.B. ha rappresentato per noi della redazione e, a quanto abbiamo s·entito da molti che abbia~o consultato sull'eventuale intenzione di chiudere, per altri ~ilitanti e quadri, .anche esterni al sindacato, un iniziale punto di riferimento culturale; l'inizio della definizione di un punto di vista, un pezzo di identità, UIJ'occasione rara di dibattito aperto e noµ precostituito, una ragione per poter dire ancora "è possibile provarci", e, perché no, una cosa che ci piaceva costruire. In un'organizzazione dove ogn_igiorno aumentano le cose che non ci piacciono fare, non si capisce perché dovremmo troncare proprio una di quelle che hanno più senso. E poi il dibattito delle ultime settimane, dopo la Fiat, rimescola un po' le carte, anche se sollecita di più gli schieramenti. Sarebbe assolutamente dannoso che tale Bi · f t l-4A',,..,~-toHtalità del -"documentone", si riducesse a stabilire

Due anni dopo 9 se la colpa è dei vertici (e allora avanti con i nuovi organigrammi!) o dei delegati vetero-sessantottisti. Quello che ci spinge ad un rinnovato impegno di riflessione e di diffusione è la convinzione che il problema stia appunto nella distanza ''stellare'' tra la Politica (azione sindacale compresa, almeno nei suoi aspetti più istituzionalizzati e centralizzati) e la vita quotidiana della gente: su questo ci sembra di avere qualcosa da dire. La cultura della crisi, di cui, siamo d'accordo, c'è bisogno, non può essere la semplice presa d'atto dei mutamenti di scenario all'interno dei quali si svolge l'azione sindacale: ci sembra che in questo caso la "crisi" sia usata come un sipario che nasconde quello che succede nel palcoscenico quando si cambia scena, strumento di descrizione e di spiegazione ad un tempo (la ''crisi internazionale'', ad esempio). Se non vogliamo che i nostri discorsi appaiano tra qualche anno come i trattati sul flogisto (la teoria con cui si spiegava la combustione prima della scoperta dell'ossigeno), cioè "discorsi superati" in linguaggio "superato" perché i problemi che erano posti dipendevano dai termini in cui erano affrontati e questi termini hanno da tempo perso di senso, occorre continuare quella radicale verifica della nostra strumentazione culturale che sta alle origini di questa iniziativa editoriale. La situazione è evidentemente precaria; non siamo in grado di annunciare un fulgido e lungo cammino, bensì di provarci numero per numero, mantenendo ampi gli orizzonti della rivista oltre la definizione sindacale di ciò che è importante, pronti ogni volta, se il consenso dei lettori non ci sostiene, a chiudere definitivamente l'esperienza. Perché non fare della precarietà un elemento di for La? La Redazione BibliotecaGino Bianco

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SINDACATO ITALIANO O SINDACATO VENETO? Ovvero: il sindacato tra neo-corporativismo e neo-localismo di Maurizio Carbognin Già il titolo preannuncia una pizza orrenda e barbosa, che verrà progressivame11te peggiorata dalla schematicità delle argomentazioni. D'altra parte l'argomento è rilevante e vale la pena di affrontarlo. Le constatazioni dalle quali partiamo sono due. La prima, ormai un luogo comune, è che tutti, e per fortuna non solo i sindacalisti socialisti, stanno ridiscutendo sul ruolo e sul modello di sindacato per gli anni '80, dal momento che la pura e semplice riproposizione dell'esperienza del .passato decennio rischia di essere semplicemente delirante. Questo non significa (e qui sarà già scattato il riflesso condizionato di qualche nostro amico) voler "affossare" il sindacato dei consigli, se mai è esistito, ·visto che il nostro lo è stato per poco tempo e in zone molto circoscritte. Vuol semplicemente dire: a) tener conto che le condizioni esterne (sociali, eçonomiche, politiche, culturali) all'azione del sindacato. ~ono mutate; b) che quello stesso sindaçato ha alimentato, perché no?, vistose contraddizioni. La seconda, altro luogo comune, è che il "sistema· politico" è bloccato e risulta funzionare in modo sempre più "stellarmente lontano" (dicevamo nello scorso numero) -rispetto alla nostra esistenza quotidiana, così come sempre meno rilevante appare la nostra capacità di incidere su di esso. Il blocco del sistema politico non è cosa che non ci riguardi, dal momento che esso non è solo la sede del dominio (la q1sa di chi comanda in questo Paese), ma il suo funzionamento è condizione perché la ''domanda politica'', anche di strati sociali attualmente non rappresentati, trovi "accesso" e spazio, possa in una parola, .contare nelle decisioni: in un sistema politico bloccato, che non funziona, vince .la logica del dominio, cioè comanda il più forte. D'altra parte il nostro è ormai un sindacato forte, il cui problema principale sembra essere diventato non tanto acquisire più potere, ma · come usare il potere che ha. Come alcuni intellettuali e politici pensino di affrontare queste difficoltà lo scrive Sandro Castegnaro nell'articolo seguente: un sindacato di tipo larvatamenBibliotecaGino Bianco

12Maurizio Carbognin te neo-corporativo in ritardo (e la parallela, ma ahitnè improbabile, evoluzione in senso socialdemocratico del quadro politico) garantirebbe una maggiore efficienza, snellezza e razionalità al sistema politico. E il sindacato italiano, soprattutto nella sua dimensione confederale nazionale, sembra tutto speso in questa direzione, anche se, osserva sempre Sandro, le probabili Lache tale modello si affermi nel caso italiano sembrano scarse. Non ci interessa qui discutere se l'espressione "neo-corporativo" sia corretta, per individuare quello che sta avvenendo nel sindacato italiano: intendiamo comunque sottolineare una tendenza per cui il rapporto di rappresentanza tra sindacato e lavoratori si "libera" sempre di più degli elementi di identificazione (da parte dei lavoratori) in un'ipotesi di trasformazione, per fondarsi quasi esclusivamente sui risultati (per lo più ipotetici, sperati) che il sindacato riesce (q dovrebbe riuscire) ad ottenere in una contrattazione di verLice con il Governo: risultati quindi che dipendono non dalla quotidiana presenLa, azione contrattuale e mobilitazione, ma da quanto il sindacato riesce a far pesare nei confronti delle istituzioni il peso del consenso da esso amministrato. Questa sta diventando l'ultima spiaggia anche per i meno teneri nei confronti delle istituzioni, ma ormai convinti della necessità di "trattare" la domanda dei lavoratori per i limiti invalicabili raggiunti dallo strumento principe dell'azione sinòacale nell'ultimo decennio, la contrattazione: il ragionamento che essi fanno è, pressapoco, ''i lavoratori ci chiedono, ad esempio, salario, non è possibile farglielo avere per le note ragioni, facciamo in modo di ottenere risultati su altri terreni''. Esistono alternative per affrontare in modo diverso le due questioni di partenza? Esistono tendenze diverse nella società, le quali, oltre a far dubitare dell'efficacia di un modello di azione tutto speso e determinato dal centro, indichino possibilità e spazi diversi e inesplorati per il sindacato? Partiamo da alcune constataz1on1. 1) Le differenziazioni della struttura di classe nd nostro Paese, come in altri paesi industrializzati, non riflettono semplicemente una gerarchia nella distribuzione del reddito, e nella posizione lavorativa, n1a hanno un profondo radicamento nelle differenziazioni territoriali esistenti iu Italia; per dirla schematicamente, l'operaio di Torino è diverso da quello di Pomigliano e quest'ultimo da quello di Conegliano. Proporre un modello di sindacato e di rappresentanza unico per le tre situazioni significa supporre una idenuLà di interessi che resta, invece, tutta da dimostrare. 2) Il peso del territorio nella allocazione delle risorse politiche sta aumentando in molti paesi, come gli Stati Uniti e la Francia, e anche in Italia; così come sta sempre di più diventando cruciale il problema uel rapporto centro-periferia. L'esperienza delle regioni, al di là del giudizio che se ne da, va in questa direzione; alcune vicende relative anche al "quadro poliuco" nazionale fanno intravedere la nascita di schieramenti dove la variabile "territorio" diventa una delle discriminanti di fondo (si pensi al caso Sardegna o, perché no?, all'asse Bisaglia-De B · · ~"~,;, i~ za, ancora non chiara1nente definibile, corrisponde

Sindacato italiano o sindacato veneto? 13 una dimensione territoriale locale dell'azione del sindacato che, quando c'è, corrisponde alla traduzione in piccolo delle parole d'ordine nazionali. 3) "Nelle società a capitalismo avanzato si vanno estendendo nuove forme di disuguaglianza che si affiancano o sovrappongono al sistema verticale delle disuguaglianze di classe (quello riconducibile alla diversità delle posizioni nell'organizzazione dello sfruttamento). È un vero e proprio sistema di disuguaglianze orizzontali che complica notevolmente la tradizionale struttura di classe" (Cella). Queste disuguaglianze, disparità tra ambiti di vita, riguardano oggi in particolare un nuovo tipo di soggetti: dei veri e propri gruppi --~ituazionali", come i giovani, le donne, i disoccupati intellettuali ecc. Il sistema d1 organizzazione e di rappresentanza degli interessi presente nella nostra societ<.tnon favorisce la presa in considerazione di questo nuovo ambito di disuguaglianLe. Gli interessi ad esse corrispondenti non sono presi in seria considerazione, non trovano reale rappresentanza. "Risultano perciò "non garantiti" (perché non ammessi o perchè discriminati o selezionati in modo stravolgente), da una parte gli interessi espressione di bisogni di carattere generale (che non si riferiscono a gruppi specifici; ad es. la salute, la qualità della vita, l' "occupazione" come interesse generale ecc.), dall'altra gli interessi dei gruppi che non hanno capacità di promuovere organizzazione o di generare conflitti delicati, diffusi, gestibili, negoziabili, realistici" (Cella). 4) Nel trentennio del dopoguerra, fino ali' inizio uegli anni '70, il sindacato ha potuto inserire la sua azione su un tessuto culturale ed associativo che gli garantiva condizioni pre-politiche favorevoli, anche quanuo, in certi casi, lo osteggiava. 11valore del lavoro e della famiglia, l 'atteggian1ento verso il reddito e i consumi erano largamente comuni, avevano un senso simile e condiviso; la solidarietà era un comportamento largamente, anche se non universalmente, presente, canonizzato dalle teorizzazioni e dalle pratiche associative delle grandi ''culture'' storiche, quella socialista e quella cattolica. La cultura di massa, della televisione e della musica da discoteca, sta spazzando via, si dice, questa cultura, ed è probabilmente vero: ma è legittimo considerare ogni radicata sopravvivenza come redisuo nostalgico, e per ciò stesso "regressivo" e n1arginale? Scrivo queste righe ascoltando i resoconti radiofonici delle sconvolgenti vicende post-terremoto in Irpinia. Ad un giornalista beota che gli chiede insistente e stupito perchè non se ne vuole andare, un emigrato tra i 40 e i 50 anni, ritornato dalla Germania per il terremoto, con sulle spalle 30 anni di lavoro all'estero, dice: "Ho sempre vissuto qua e ho lavorato dappertutto". Proprio la situazione di disgregazione culturale nella quale ci troviamo, forse, rende paradossalmente più possibile una ''cultura locale'', basata su reti sociali locali che difficilmente la cultura di massa potrà distruggere al di fuòri delle grandi città. D'altra parte anche gli studiosi di relazioni industriali più attenti si rendono conto che una politica rivendicativa che insegua l 'a1noralità del mercato è ormai senza sbocchi; si incomincia a sentire l'esigenza d1 un "nuova" etica (lo dicono anche gli economisti), che possa servire da bussola nella nostra strategia. Una taB. l e · c~~ ov. ·ame e non può essere elaborata a tavolino e non può non radicarsi 1 e· al-(j i, 6H ffettivamente condivisa dalla gente.

14Maurizio Carbognin Questa: serie di constatazioni ci inducono a .ritenere strategicamente fondamentale una accentuazione della dimensione locale nell'azione sindacale, in grado di tener conto in modo più preciso di specificità e differenze. Che cosa significa accentuare il peso della dimensione locale nell'azione sindacale? Non è questa ra sede per fornire indicazioni precise di prassi politica: è però forse possibile proporre, se non immediatamente una linea, alcuni suggerimenti di metodo che invitino a -instaurare un dibattito e a discriminare diversamente scelte e priorità. a) È anzitutto necessario attrezzarsi culturalmente e strategicamente all 'aumento del peso del territorio e del governo locale, individuando con esattezza le aree problematiche nuove che si aprono, le conoscenze che necessitano per intervenire, gli interlocutori, la conseguente ridefinizione delle priorità di intervento 9ggi accettate nella prassi sindacale. b) Risulta, poi, indispensabile una attenzione specifica alle caratteristiche della cultura locale, sia nell'elaborazione della '.'linea" che delle proposte organizzative. È fin troppo facile e drammatico fare riferimento agli svariati piani falliti nel- " la fase post-terremoto. Ma, per quel che concerne il sindacato, ad esempio,. sembra destinata al fallimerito una politica di ·controllo del mercato del lavoro e di intervento sulla distribuzione del reddito che non tenga conto del diverso ruolo della famiglia nelle varie situazioni, da un lato nello stabilire le caratteristiche dell'offerta di lavoro, dall'altro nel determinare la struttura delle diseguaglianze nella nostra società. c) Un intervento sindacale efficace e concreto sull'area delle diseguaglianze orizzontali, legate a bisogni generali, può risultare più agevole se misurato su una dimensione locale. Ciò non comporta tanto un mutamento di posto nella gerachia della predicazione sindacale. Significa, invece, ad esempio molto concretamente che un'assemblea sull'attuazione pratica nella regione della riforma sanitaria (cioè un problema che i lavoratori vivono sulla loro pelle) è altrettanto e forse più importante dell'ennesimo dibattito sul nostro beneamato 0,50o/o. d) Dovrebbe far parte dell'abc di ogni sindacalista (anche contrario al localismo) un'attenzione alla specificità della struttura di classe e ai problemi di rappresentanza che essa. pone; che significa ripetere, ancora una volta, che alle ''tre ltalie" non può essere proposto un unico modello di sindacato. E, per quanto riguarda la terza Italia, significa anche fare .un bilancio dell'esperienza di organizzazione e tutela sindacale nell'area della piccola impresa e del decentramento produttivo, ponendosi anche seriamente e una volta per tutte il problema se sia possibile e auspicabile, e in quale modo, una campagna di sindacalizzazione ·di massa e di tutela del lavoro precario (che, naturalmente, non è un problema esclusivo della terza Italia). e) La struttura contrattuale presente nel nostro paese è estremamente (secondo alcuni, troppo) articolata. Il tentativo ufficiale del sindacato è stato di dettare nazionalmente la "linea" che doveva seguire, di anno in anno, la contrattazione articolata, pensando di poterla ridurre ancora una volta ad una moltiplicazione delB . e1 a ole d' dine ecise centralmente. In realtà tutti sappiamo che le cose vanno 1 o eca 1no 1anco

Sindacato italiano o sindacato veneto? 15 tranquillamente e disordinatamente in modo diverso: è, invece, forse ipotizzabile una definizi9ne dei contenuti della contrattazione decentrata in modo più corrispondente ai bisogni dei diversi "territori". . Siamo stati pazientemente educati a pensare che progresso e sviluppo significhino necessariamente omogeneizzazione, razionalizzazione, evoluzione verso un modello più perfetto, e comunque unico. Il difficile governo della compléssità sembra spingere anch'esso in questa direzione, contrastando la riacquistata rilevanza di una· organizzazione sociale differenziata. Non possiamo pensare àd una società e ad un sistema politico che salvaguardino specificità e differenze? Non credo che le cose che ho detto siano liquidabili accampando i mutamenti di scenario (politico, economico, nazionale e internazionale); mi sembra che-i deliri di onnipotenza del recente passato dovrebbero metterci in guardia dal pensare che gli errori e le sconfitte si affrontano sparando sempre più in alto. Privilegiare, magari in modo non esclusivo, una dimensione locale nell'intervento sindacale non significa non tener conto, ad esempio, che e' è stata la crisi petrolifera: significa scegliere un diverso livello di aziope, concretamente praticabile, con riferimento ad una dimensione controllabile, incommensurabile rispetto ad un livello di azione nazionale, centrale. Alcune .precise tendenze dell'economia internazionale (crisi. del profitto nella grande industria, modifiche nella divisione internazionale del lavoro, declino dell'occupazione nella grande impresa, crescita del peso dell'ecònomia informale) fanno prevedere che la società locale sta subendo profonde trasformazioni, ma è lungi dallo scomparire. Prenderne atto e proporre ad un sindacato periferico di progettare prioritariamente il proprio intervento tenendo conto di ciò significa non tanto delegare al vertice (che è quello che facciamo poi oggi affidando nei fatti al livello nazionale la decisione sui principali problemi), quanto rendersi conto che ogni livello del sociale e del politico ha una sua specificità, che in quanto tale va affrontata anche dal sindacato. BibliotecaGinoBianco

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. PARLIAMO DI POLITICA, PERDIO! Note sul sindacato degli anni 80 di Alessandro Castegnaro Premessa Come ben sanno tutti quelli che ci hanno seguito fin dall'inizio, questa rivista ha sempre accuratamente evitato di parlare di "caratteri nazionali" in riferimento all'intero territorio della penisola. Piuttosto essa ha sempre cercato di cogliere il carattere locale delle culture e dei linguaggi. Tuttavia anche questa scelta non è stata esente da limiti, perché forse uno spazio in cui è possibile identificare degli elementi caratterizzanti questo paese esiste: tale spazio è quello della "Politica". Non certo tutta la politica, ma più precisamente - come l'iniziale maiuscola lascia intuire·_ quella prodotta da quel particolare ceto a cui la sorte e le personali aspirazioni hanno attribuito il compito singolare di partorire le "grandi" decisioni politiche, di carattere - per l'appunto - "nazionale". Particolare attitudine del ceto politico nostrano sen1bra essere quella di produrre repentini mutamenti di rotta, tali da scuotere alla radice convinzioni profondamenJe consolidate, presentandoli come se fossero in perfetta continuità con le scelte ideali e pratiche da sempre compiute. Avviene così quella stranissima mutazione logica e linguistica per cui, non solo antichi concetti vengono disinvoltamente utilizzati per descrivere contenuti del tutto nuovi, ma addirittura le medesime parole che un tempo servivano a definire determinate pratiche, vengono più tardi usate per illustrare prassi esattamente opposte. Come nel celebre romanzo di G. Orwell ('' 1984' '), e per la verità con una certa coincidenza con i tempi in esso stabiliti, il ceto politico nazionale ha creduto opportuno dotarsi di una sua "neolingua", forma linguistica del "bispensiero", invenzione astuta questa, che consente di pensare una cosa ed il suo .esatto contrario, non per cogliere la complessità del reale, ma più semplicemente senza avverBi . n,nlt":<r.,, d· vO

18 Alessandro Castegnaro Quel particolare segmento del ceto politico nazionale che dirige il sindacato sembra avere adottato anch'esso da qualche tempo questa moderna invenzione linguistica (si sa quanto i sindacalisti sono preoccupati dal non sembrare moderni ... ). Anche nel sindacato dunque la riaffermazione dei tradizionali valori con-· serva una insostituibile funzione evocativa nel rendere accettabili novità che magari con quelli contrastano, mentre ricorrenti oscure declamazioni, rivolte ai militanti, circa la necessità ci cambiare mentalità, si sprecano. Ma chi cercasse di capire esattamente dove ed in quali direzioni troverebbe solo nebbia. Così il mili- . tante sindacale sopraggiunto ormai in zona nebbia, come già a suq tempo l'ansioso lettore dell' "Unità", cerca di leggere fra le righe delle interviste il pensiero naséosto del càpo scoprendovi, ahimé sempre solo il grigiore della carta stampata. Questo scritto vorrebbe cercare di mettere un po' di ordine in _questo groviglio delle parole, introducendo qualche concetto - penso - nuovo per il militante con cui da tempo dialoghiamo, che consenta di leggere, se non proprio il mutamento in atto (la virtù ·dei maghi non essendo particolarmente diffusa in questa rivistél nonostante il nostro impegno) almeno alcuni termini del dibattito che si muove dietro le quinte. Inutile dire che, se non mancherà qualche riferimento alle altre organizzazioni, questo scritto si riferirà ·prevalentemente al dibattito in corso all'interno della Cisl. Ho l'impressione che il discorso sarà abbastanza noioso e un po' al di fuori degli interessi di questa rivista che ha finora sufficientemente evitato il confronto diretto con i grandi temi politici ''che superano la circonferenza prodotta dal ruotare del nostro braccio''. E tuttavia, dopo aver cercato nello scorso numero di avanzare alcune ipotesi per un sindacato popolare, ci è s_embratogiusto far sapere che non è precisamente questa la direzione in cui si sta sviluppando il dibattito. Queste note saranno necessariamente Schematiche: ne andrà di mezzo la profondità dell'analisi, ma ne guadagnerà qualcosa la chiarezza e la comprensibilità. La tendenza _Comincia ad essere evidente anche agli occhi degli sprovveduti che da qualche anno è in atto, in modo non esplicito, ma non per questo meno reale, una trasformazione del modello di sindacato le cui premesse erano state poste nel corso degli anni 60 e che era balzato sulla scena politica del paese con il ciclo 68-72. In che direzione si muove questa trasformazione? Credo sia possibile individuare, dentro alcune scelte compiute dal sindacato ed anche nel dibattito in corso negli ambienti intellettuali che gr_avitano attorno ad esso, il progressivo affermarsi di tendenze di tipo "neocorporativo". Che, va detto subito a chi avesse i riflessi condizionati dal termine "corporativo", non sono di per s~ cosa del diavolo, ma vanno capite per quello che sono e valutate per quello che possono dare. BibliotecaGino Bianco

Parliamo di politica, perdio! 19 Naturalmente, come del resto era implicito nella premessa, fatichereste molto a trovare qualcuno, almeno nella Cisl, disposto ad ammettere che questo possa essere l'orizzonte entro cui tendono a muoversi, sempre più frequentement~, iragionamenti sul futuro. Ma ciò non toglie ... ~ • Le coordinate di questi ragionamenti sono in breve: il giusto riconoscimento delle difficoltà in cui versa da qualche tempo il sindacato contrattuale unionista, quello che, come dicevamo nello scorso numero, abbiamo cpiarnato con un po' di ottimismo '.'sindacato di classe"; una rivalutazione delle esperienze socialdemocratiche (o neocorporative); l'assenza di "terze v.ie" sindacali, unita forse ad una certa indisposizione dell'animo a ricercarle. Aspetti del neocorporativismo Un modello neocorporativo si attua quando le deeisi_oni fondamentali relative alla politica economica e sociale sono prese ("concertate") attraverso un sis~ema di rapporti (che assumono forme diverse nei paesi interessati) fra stato, padronato e sindacato·, al_di fuori dei canali formali della democrazia parlamentare. Condizione elementare perché un tale sistema di rapporti possa instaurarsi in forma permanente è che i tre interlocutori si riconoscano come tali sul piano ''generale'' della definizione della politica economica e sociale. Il sindacato in particolare deve poter avere li~ero accesso ai momenti in cui si formano le decisioni politiche in quanto organizzazione di interessi certamente, ma capace però di comprendere al di là dei propri• specifici, quelli "generali" del paese. Esso non formula quindi i propri obiettivi in termini di interessi particolari, di gruppo, ma in. termini di interessi generali (non la salute sui luoghi di lavoro, ma "la salute", non una casa per i lavoratori dipendenti, ma "la casa", ecc.). La risorsa fondamentale che il sindacato deve controllare e di cui si deve avvalere i~ un modello di questa natura è il ''consenso''. Quindi non la vertenzialità (contrattazione) in senso classico, ma la capacità di garantire il consenso attorno a determinate scelte, o, per dirla con il linguaggio di moda, la disponibilità e la possibilità di contribuire alla ''governabilità''. Il permanere di una forte vertenzialità (ad esempio per farsi riconoscere come interlocutore) è segno di un cattivo funzionamento del modello. Il sindacato in sostanza si impegna a contenere il potere di mercato dei gruppi che rappresenta in cambio di contropartite per i rappresentati (difesa dell'occupazione, controllo del mercato del lavoro - misure assistenziali, di W·elfare - modifiche nella struttura delle disuguaglianze sociali) e per l'organizzazione (riconoscimenti istituzionali). · Dove i modelli neocorporativi si sono instaurati (paesi scandinavi e R.F. T .) ciò non ha ribaltato il ruolo subalterno del sindacato - il sistema non ha subito trasformazioni radicali - ma si sono attuate condizioni per uno ''scambio politico'' efficace nel portare ai rappresentati concreti miglioramenti nei livelli di vita. Un B 'bi i dizio Qn 'ide logjco dovrebbe dunque tener conto di questo. 1 o eca 1no 1aTico

Bi 22 Alessandro Castegnaro L 1. Anche ammesso che in passato sia esistito qualcosa di simile all' "interesse generale'', mai come oggi questa categoria è stata in crisi. E ciò sùt nella forma ingenua, che non si avvedeva delle divisioni in classi, sia in quella più avveduta, cara ai marxisti, che con essa hanno descritto una pretesa capacità della classe di proiettarsi oltre il limite del proprio specifico. In tutti i sistemi a capitalismo maturo sembra di poter notare un aumento neUa articolazione degli interessi unita ad una crescente difficoltà nell'individuazioneselezione degli interessi da rappresentare. Nella nostra esperienza recente, la classe operaia, e in essa quella figura di ope-· raio comune che aveva animato la fantasia di molti studiosi, sembrano rilevare una diminuita capacità di riassumere in sé interessi e aspirazioni di altri strati sociali (nuovi soggetti,_ma anche altri segmenti del lavoro dipendente). Viene così a mancare, o per lo meno diventa molto poco solida, la base stessa su cui :reggere, se non l'interesse generale, almeno quel progetto dotato di proprie coerenze·interne che· appare sempre più in contrasto con la necessità di rappresentare tutti implicita nel modello neocorporativo. Emergono all'interno del sindacato problemi di governabilità affini, anche se certo non uguali, a quelli in cui si dib~ttono i partiti. Se si sceglie di rappresentare tutti è difficile pensare ad un progetto coerente. E si rischia di tornare, nonostante i "documentoni" e gli escamotage organizzativi (gli accorpamenti ad esempio) a un modello unionista in cui ogni gruppo cerca di massimizzare i benefici conseguibili giocando a breve il proprio potere di mercato·. Se invece si sceglle di non rappresentare qualcuno il rischio che si corre è la ripresa del sindacalismo autonomo da un lato e la ripresa di' forme di protesta dall'altro. In tutti e due i casi il sindacato vedrebbe messa in discussione la suà capacità di essere interlocutore autorevole, nel primo perché le sue parti non si muovono irì coerenza con le decisioni centrali, nel secondo perché il problema del consenso non sarebbe comunqué risolto e lo stato dovrebbe tener conto della presenza di altri soggetti. · 2. I modelli neocorporativi si sono realizzati storicamente in un contesto di durevole sviluppo economico, in una situazione cioè di abbondanza di risorse da scambiare sul mercato politico. Oggi questo modello viene riproposto in un contesto di crisi ed assume più il carattere di un coinvolgimento- del sinçiacato nella gestione della scarsità che un sistema capace di offrire contropartite. Per lo meno non è assolutamente .chiaro quali potrebbero ess~ere. Da ciò una ulteriore difficoltà ad operare délle sintesi negli interessi rappresentati.- Essendo poco quello che si ha da offrire diventa difficile condurre a termine l'unica strategia apparentemente possibile in-una situazione caratterizzata da forte articolazione degli interessi: offrire ai rappresentati qualcosa di diverso da q4ello che ciascun gruppo richiede, ma offrire pur sempre qualcosa. 3..Un terzo ordine di problemi che si oppone alla stabilizzazione di un modello or ·yo,- rmalmente trascurato dalla pubblicistica in materia, è conpes- !l~,~rgè. e ~.,...,,,.,.r, come in altri paesi, di tendenze localistiche o, detto in

Parliamo di politica, perdio! 23 altre parole, di fenomeni di aggregazione degli interes?i su base territoriale. Il modello neocorporativo è tipicamente "nazionale", postula una aggregazione degli interessi a base funzionale e non territoriale: gli interessi vengono cioè aggregati sulla base della collocazione dei cittadini nel sistema sociale-professionale e non sul territorio. · Esso presupporrebbe perciò una avvenuta omologazione di situazioni strutturalmente e culturalmente diverse all'interno di un unico progetto. E che questo sia nelle aspirazioni del ceto politico nazionale, anche sindacale, è fuori di dubbio. Ma in ciò esso sembra non tenere conto a sufficenza della presenza nel nostro paese di almeno tre formazioni economico sociali, che si muovono secondo linee non proprio omogenee, intrecciandosi con le culture locali che paiono, anche per questo, rivitalizzarsi. (Su questo punto meglio e più diffusamente ha già detto Carbognin nell'art. che precede). 4. Un quarto ordine di problemi è connesso ai caratten specifici del sistema politico italiano. l modelli neocorporativi si sono realizzati solo in paesi in cui il sindacato poteva contare dell'appoggio di un partito "1ratello' al governo (partiti "pro labour"). È una condizione che in Italia manca del tutto come è noto, data la natura non precisamente "pro labour" della D.C., il permanere -del PCI all'opposizione e la stes~a forte articolazione della sinistra italiana, che rende improbabile un unico progetto di governo a cui un altrettanto improbabile sindaca- .to unico dovrebbe riferirsi. Il sindacato dovrà più pr9babilmente scontrarsi ancora a lungo con la permanente difficoltà del sistema politico italiano a garantire uno scambio politico credibile e quindi faticare non poco per convincere i gruppi che rappresenta alla moderazione nel breve in cambio di benefici nel medio periodo di cui non può dare nessuna garanzia. . . Proprio questa situazione spinge alcuni a ritenere che, se nella situazione italiana il neocorporativismo incontra maggiori di_ficoltà che altrove, la sua realizzazione ·comporterà un ruolo non subalterno del sindacato, una specie di primato sulle forze politiche e una incidenza maggiore che altrove nella trasformazione del paese. Ma con questa forzatura "ottimistica" ci si dimentica come, al contrario, l'assenza delle condizioni per uno scambio politico credibile abbia g1à favorito in questi anni un logoramento del potere sindacale, delegittimando l'azione del sindacato rispetto ai rappresentati, rendendo sempre più cosmica la distanza fra le politiche proposte e "il sentire" della gente, demolendo in sostanza Je basi di cui, in ogni caso, ha bisogno un progetto di trasformazione del paese. Al di là della specifica situazione italiana, la riproposizione oggi di linee neocor- . porative non sembra tenere sufficientemente conto delle difficoltà che questi modelli incontrano anche laddove essi si sono storicamente realizzati. In tutte le so- . . cietà a capitalismo maturo i sistemi politici sono scossi dal sovraccarico di domande che ad essi vengono rivolte e dalla difficoltà a tradurre le domande "nuove" in modo da poterle "trattare" politicamente. Sono in gioco non solo la capaBib · ' · a · t · e risposte, ma la stessa capacità di individuare quali siano 1 n p do 1 soddisfare le domande.

24 Alessandro Castegnaro Il sindacato è doppiamente interessato a questi problemi. In primo luogo perché essi favoriscono il logoramento delle condizioni per lo scambio politico. Secondariamente perché, tanto più ampio è lo spettro di interessi che esso pretende di rappresentare, tanto più profondamente esso ne è direttamente coinvolto e al suo stesso interno. Già oggi la definizione che il sindacato dà di se stesso in quanto portatore di una rappresentanza generale e l'arroganza co·n cui viene esorcizzato il problema posto dall'emergere del cosiddetto "frammento", mascherano una selezione in atto degli 'interessi e, quel che più conta, una prof onda incapacità a rappresentare le nuove domande. Conclusioni Il modello neocorporativo può essere criticato da molti punti di vista, ma probabilmente, nella misura in cui esso si realizzasse, potrebbe costituire una risposta alle difficoltà attualmente attraversate dal sindacato. Certo sarebb_equalcosa di profondamente diverso dall'idea di sindacato cui molti di noi e molti militanti sono affezionati e tuttavia esso dovrebbe essere in· primo luogo valutato per la sua efficacia nel condurre concreti benefici alla gente. Le cose dette fin qui però, mentre riconoscono l'esistenza di tendenze neocorporative, consentono di dubitare che questa prospeuiva sia realistica oggi e in questo paese. .. · Di fatto l'assenza di alcune delle condizioni necessarie alla sua realizzazione riduce la prassi dell'organizzazione alla affannosa ricerca del riconoscimento istituzionale (obiettivo a cui spesso si sono sacrificati i _rapporti.con la base), l'elaborazione del "progetto" alla asfittica definizione di parole d'ordine su cui di volta in volta "ricompattare" l'organizzazione; mentre i processi di accentramento del potere, privi di ogni giustificazione funzionale, impoveriscono la democrazia interna, minano alla radice la spinta alla militanza ancora forte nonostante tutto, costringono l'organizzazione (gli operatori di zona· soprattutto) a un def atigante lavoro di tenuta nei confronti çiei lavoratori e, quello che è ancor più grave, finiscono per impedire la ricerca di strade diverse che avrebbero bisogno, per potersi affermare, di un lavoro paziente di riflessione e di sperimentazione. BibliotecaGino Bianco

Sul numero scorso è apparso l'articolo .. lµotcsi µu un sinuacalo popolan:' · sul quale abbiamo richiesto degli interventi: pubblic111a1110quelli Ji Gianni HagetBozzo, Bruno Manghi e Fausto Tortora LA FORMA POLITICA DEL SINDACA ro Lettera di Gianni Baget-Bozzo Cari amici di Ombre Bianche, ho letto il vostro saggio sul "sindacato popolare'' quando sulla FLM si proietta l'ombra nera dei quarantamila (o meno) di Torino,,cioè quelli che hanno avuto la vittoria dell'immagine: e l'immagine proietta sempre un'ombra. Mi domando appunto se porre l'accento sulla rappresentanza di coloro che non sono formalizzati nel ruolo di lavoro non risulu privato del suo tono dal tempo in cui cade, e che è all'insegna della rivalutazione della professionalità. Le due esigenze ·sembrano infatti contrarie; voi volete che il sindacato rappresenti quelli che non hanno valore professionale, o non in quanto hanno valore professionale, ma in quanto di fatto, in qualche 1urma, lavorano o domandano di lavorare. Siamo tornati di fatto al tema delle "due societa", dell' "Italia che lavora e che produce" e di quella che vive in forma marginale. Il fatto è che le "due società" esistono e quella che è all'interno di una condizione alto-operaista è tanto più attaccata allo status alto-operaio quanto più misura la vertigine dell'abisso sottostante. Il problema è se offrire nella forma del sindacato uno statuto di rappresentanza globale della realtà del lavqro anche al di fuori delle strutture formali che cir- . condano oi:mai il .lavoro alto-operaio e che costituiscono la chiave del nostro siB1bl M r0ill

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