Ombre Bianche - anno III - n. 5-6 - febbraio 1981

36 Bruno Manghi Di sicuro sappiamo soltanto che la stessa menzogna accomuna i potenti con i terroristi che promettono liberazione immediata e con i teorici del puro ''grido''. Le nostre ipotesi imperfette e la nostra modesta esperienza di operatori del cambiamento ci portano al difficile compito di far convivere determinazione radicale con pazienza graduale. Tuttavia quest'operazione è possibile soltanto in un sindacato i cui modi di funzionamento, persone e cultura siano piuttosto diversi da quelli di oggi. Un sindacato di cui la gente che lavora si senta parte integrante; non in momenti di emotività bensì nella dimensione quotidiana della vita. E un sindacato che, con altri, ponga il problema della violenza (quella della fabbrica, quella della lotta, quella del terrorista-tiranno) come problema di scelta fondamentale, non di opportunità. 7. Conclusioni Le convinzioni di chi scrive sono abbastanza chiare anche se aver chiare le operazioni da compiere è un altro paio di maniche. Nel caso Fiat - Torino si impone al sindacato di essere una realtà associativa, capace di raccogliere i bisogni quotidiani della gente che si collega, si rapporta, crea legami. Anche il migliore dei sindacati se si definisce come puro strumento di lotta e negoziazione e quindi come élite potrà contrattaccare, aver~ successi, ma si allontana dalla società effettiva e perciò non è in grado di contrastare né la Fiat né i germi disperati della violenza. Il sindacato deve agire sulla cultura della gente e per questo deve tradurre il movimento in dimensione associativa. Solo così il contropotere diventa un progetto di cambiamento. (1) Uso il ~ermine associazione non nella sua accezione polemica (contrapposto a movimento) ma nella dimensione ositiva di relazioni quotidiane di solidarietà. Biblioteca ino Bianco

RkJQdWJsaXNoZXIy MTExMDY2NQ==