Ombre Bianche - anno III - n. 5-6 - febbraio 1981

52 F. Bozzini e A. Castegnaro Ad esempio non mi lascio più prendere dall'orgasmo del lavoro. C'è il rifiuto del lavoro, si dice. In certi reparti nostri c'è invece ancora un attaccamento morboso al lavoro. La gente non riesce a pensare ad altro che a lavorare. E per il guadagno e per i consumi si trascurano così valori molto più importanti. Un santo per ogni pilastro O.B.: Nel reparto calderai ci sono circa sessanta operai. Nessuno si è licenziato dopo l'incidente? No. Come conseguenza, no. Anzi, nel periodo successivo ci sono state nuove assunz1on1. C'è stato invece qualcuno che si è messo in malattia. Questa è stata l'unica reazione all'accaduto. Tre giorni li ho fatti a casa anch'io. Il lunedì mi sono presentato al lavoro. Il mio posto è a tre metri dal luogo in cui erano morti ..Non me la sentivo. E il giorno dopo mi è toccato starmene a casa. Per una settimana facevo fatica a dormire la notte. Li avevo sempre davanti. Non puoi dimenticare una cosa del genere. Tanto più che erano amici. Specio uno. Eravamo come fratelli. Anche adesso, quando si passa dal posto dove son morti, ti sembra ancora di calpestarli. C'è stato un lungo periodo durante il quale tutti quanti, quando passavano da quel posto, giravano attorno per non pestare il pavimento dove sono spirati. Eh, è stata una batosta. In reparto si diceva che c'era un santo su ogni pezzo, su ogni 'pilastro'. Il santo di quel pezzo o stava chiacchierando o ha avuto un momento di 'bauco'. . Questa è una delle forme in cui passa il discorso della fatalità. È il discorso che è passato fra i compagni, i lavoratori, fra tutta la gente. Se intendiamo la religione come un legame, in casi del genere il legame viene interrotto. Lo strano è che la gente si rifiuta di interrogarsi sul perché. Non vuol sentir parlare di responsabilità. Considera blasfema una riflessione sulle cause. Il fatto è che i morti non ci sono più. E si cerca consolazione non nella rivincita contro il responsabile, ma nel tentativo di ripristinare il legame, il rapporto a livello spirituale. Questo è il guaio. Perché un simile atteggiamento giustifica il concetto che si vive per la morte. Se dico: vivo, ma non dipende da me reagire quando la vita mi è compromessa, vuol dire che si accetta l'impotenza. Uno che ha una fede religiosa non si ferma a dire "vivo per la morte", ma dice "vivo per una vita futura". Il reparto ha incassato. Siamo rimasti sconvolti per qualche giorno. Poi lentamente la vita ha ripreso il ritmo di prima. Non mi so spiegare come ci siamo lasciati perdere un momento così drammatico, ma anche così favorevole per un cambiamento delle condizioni di lavoro nel reparto. BibliotecaGino Bianco

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