Ombre Bianche - anno III - n. 5-6 - febbraio 1981

50 F. Bozzini e A. Castegnaro ticherò mai. L'altro, il gruista, aveva la testa schiacciata sotto il pezzo. Rantolava ancora. Gli usciva sangue dappertutto. Saccardo invece ha anche parlato. Ha detto delle parole che non ho inteso perché ero frastornato. Era cosciente di star per morire. Ha fatto un segno di saluto. Morire in quella maniera è atroce. Ogni tanto mi ritorna alla mente. Oltre al dolore ed allo sconforto, in quei in omenti mi chiedevo se veramente avevamo fatto tutto per evitare quello che era successo. Quel reparto era stato oggetto di piattaforme, di rivendicazioni, di lotte da diversi anni. Tutfi sapevamo che quel reparto era pericoloso. E lo è ancora. È vero il senso di fatalità che si è manifestato nella gente. Il rischio imprevedibile fa parte della vita. Anche e specialmente di certi ambienti di lavoro. Lo si accetta fatalmente, in fabbrica, per strada, nella vita. Questo modo di pensare mi urtava e mi fa rabbia anche adesso. Questo è lo strumento culturale con cui ci fanno accettare questi tipi atroci di morte. Abbiamo già detto che il nostro tentativo di gestire il funerale è fallito. Quello che più mi ha impressionato in questa vicenda non è stato tanto il comportamento dell'azienda che, a ben guardare, ha fatto soltanto il suo interesse. Quello che mi ha dato da riflettere è stato il comportamento dei familiari. ~-Il gruista aveva solo la moglie.' Siamo andati a trovarla ed abbiamo visto una povera donna, senza figli, senza nessuno, distrutta dal dolore. Ho visto lo sconforto della solitudine. Una creatura che in un momento si è vista sola e abbandonata. ~ --- Saccardo invece aveva una famigli~ molto numerosa. Aveva un fratello prete, gesuita, ed una sorella suora. . Quando abbiamo capito come la ditta voleva utilizzare i funerali e che la cerimonia era ormai nelle sue mani, abbiamo cercato per lo meno di inserirci. Abbiamo pensato di leggere un nostro comunicato alla fine della cerimonia. Per renderlo adatto ad una lettura in chiesa, abbiamo cercato la consulenza di un prete della pastorale del lavoro che ci ha dato una mano nella stesura. Per prima cosa siamo andati a parlare con Monsignore, qui a Schio. Non ha avuto nulla da ridire. Poi siamo andati a casa di Saccardo. Io conoscevo molto bene i fami liari. Eravamo in due delegat.i, più il prete che ci aveva dato una mano per il comunicato. Loro c'erano tutti. Abbiamo cercato di spiegare il documento, chiedendo il loro consenso alla lettura. A questo punto è nata una discussione assurda ed incredibile, Litigavano anche fra fratelli, fra religiosi e laici. -::::::: Alcuni pensavano alla morte come a un fatto privato, da gestirsi in famiglia. Non capivano che una morte successa in quella maniera era anche un fatto pubblico, sociale, che interessava anche altre persone. Era successo in un ambiente di lavoro dove potrebbe ricapitare domani ad altre creature umane. Facevamo molta fatica a spiegare che la necessità che noi avevamo non urtava con i loro sentimenti. Che anzi noi cercavamo di dare anche un senso di utilità più generale a quella morte. Due esseri umani non dovevano essere morti per niente. Che servissero aln1eno ad evitare altre morti. \, Ne è usci~a veramente una. ?aruffa incresciosa, specialmente con 'la su?ra. Ci ac- pi I v.-.-~9'1-1"-''N - 1zzare tutto, anche la morte. lo cercavo d1 far com-

RkJQdWJsaXNoZXIy MTExMDY2NQ==