Ombre Bianche - anno III - n. 5-6 - febbraio 1981

Sindacato italiano o sindacato veneto? 13 una dimensione territoriale locale dell'azione del sindacato che, quando c'è, corrisponde alla traduzione in piccolo delle parole d'ordine nazionali. 3) "Nelle società a capitalismo avanzato si vanno estendendo nuove forme di disuguaglianza che si affiancano o sovrappongono al sistema verticale delle disuguaglianze di classe (quello riconducibile alla diversità delle posizioni nell'organizzazione dello sfruttamento). È un vero e proprio sistema di disuguaglianze orizzontali che complica notevolmente la tradizionale struttura di classe" (Cella). Queste disuguaglianze, disparità tra ambiti di vita, riguardano oggi in particolare un nuovo tipo di soggetti: dei veri e propri gruppi --~ituazionali", come i giovani, le donne, i disoccupati intellettuali ecc. Il sistema d1 organizzazione e di rappresentanza degli interessi presente nella nostra societ<.tnon favorisce la presa in considerazione di questo nuovo ambito di disuguaglianLe. Gli interessi ad esse corrispondenti non sono presi in seria considerazione, non trovano reale rappresentanza. "Risultano perciò "non garantiti" (perché non ammessi o perchè discriminati o selezionati in modo stravolgente), da una parte gli interessi espressione di bisogni di carattere generale (che non si riferiscono a gruppi specifici; ad es. la salute, la qualità della vita, l' "occupazione" come interesse generale ecc.), dall'altra gli interessi dei gruppi che non hanno capacità di promuovere organizzazione o di generare conflitti delicati, diffusi, gestibili, negoziabili, realistici" (Cella). 4) Nel trentennio del dopoguerra, fino ali' inizio uegli anni '70, il sindacato ha potuto inserire la sua azione su un tessuto culturale ed associativo che gli garantiva condizioni pre-politiche favorevoli, anche quanuo, in certi casi, lo osteggiava. 11valore del lavoro e della famiglia, l 'atteggian1ento verso il reddito e i consumi erano largamente comuni, avevano un senso simile e condiviso; la solidarietà era un comportamento largamente, anche se non universalmente, presente, canonizzato dalle teorizzazioni e dalle pratiche associative delle grandi ''culture'' storiche, quella socialista e quella cattolica. La cultura di massa, della televisione e della musica da discoteca, sta spazzando via, si dice, questa cultura, ed è probabilmente vero: ma è legittimo considerare ogni radicata sopravvivenza come redisuo nostalgico, e per ciò stesso "regressivo" e n1arginale? Scrivo queste righe ascoltando i resoconti radiofonici delle sconvolgenti vicende post-terremoto in Irpinia. Ad un giornalista beota che gli chiede insistente e stupito perchè non se ne vuole andare, un emigrato tra i 40 e i 50 anni, ritornato dalla Germania per il terremoto, con sulle spalle 30 anni di lavoro all'estero, dice: "Ho sempre vissuto qua e ho lavorato dappertutto". Proprio la situazione di disgregazione culturale nella quale ci troviamo, forse, rende paradossalmente più possibile una ''cultura locale'', basata su reti sociali locali che difficilmente la cultura di massa potrà distruggere al di fuòri delle grandi città. D'altra parte anche gli studiosi di relazioni industriali più attenti si rendono conto che una politica rivendicativa che insegua l 'a1noralità del mercato è ormai senza sbocchi; si incomincia a sentire l'esigenza d1 un "nuova" etica (lo dicono anche gli economisti), che possa servire da bussola nella nostra strategia. Una taB. l e · c~~ ov. ·ame e non può essere elaborata a tavolino e non può non radicarsi 1 e· al-(j i, 6H ffettivamente condivisa dalla gente.

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