Ombre Bianche - anno III - n. 5-6 - febbraio 1981

La vita e la morte, il bene e il male 55 lizzato. Il fatto _dipoter gestire questi morti in maniera collettiva, dando loro u,n 'significato' - questi morti sono nostri, fanno parte della nostra battaglia, è .l'unica maniera in cui possono servire a qualcosa - è uno strumento per uscire dal panico che ti provoca la morte. Non credo proprio. A parte un po' di tremolio alle gambe e di sbiancamento in viso sono rimasto stranamente impassibile. Se non paresse offensivo, mi trovavo indifferente. Dal punto di vista emotivo era come se la faccenda non mi toccasse. Questo atteggiamento emotivo, che in quelle situazioni equivale ad umano, non c'era, non l'ho vissuto. Non so _spiegareperché. ,forse fa parte del mio carattere, della mia esperienza. Io credo d'aver vissuto in realtà una situazione che prima è stata buttata lì come esempio inventato. Nel mio reparto sono.morte due persone di cancro nel giro di un anno. Due compagni di lavoro. Ad un certo punto scompaiono. Non c'era il problema di incidenti, né di nocività visto che siamo un ufficio di impiegati. Ed è in questi casi che viene più radicale la domanda su che senso abbia vivere. Ti ricordi quello che han fatto, come si comportavano? Uno di loro, ad esempio, si dedicava interamente al lavoro. Il capo fischiava e lui correva come una schioppettata. -Era pignolo, si dava da fare con zelo. Scioperi mai, sindacato neanche parlarne, solidarietà con gli altri meno che meno. Ricordo che una volta in fonderia hanno fatto una sottoscrizione perché un lavoratore era morto per,collasso. Lui si è rifiutato di dare i mille franchi. Poi scompa·re. Morto. È impossibile non fermarsi un attimo a riflettere su quello che sei, su che vita fai, sul senso che ha la vita, e su che senso abbia la morte. E su che senso ha ovviamente il lavoro, visto che il lavoro ti occupa una parte consistente della vita. Quindi ti viene da pensare anche al modo di lavorare, a cosa privilegi. _ Credo comunque che al di là di un atteggiaipento di rimozione del quale si parlava prima, che sicuramente esiste, questi siano quegli eventi con i quali finisci inevitabilmente per scontrarti. Non puoi non chiederti come mai Tizio, che era nella scrivania accanto fino a venti.giorni prima, in poco tempo è morto. Ti ritrovi fra le mani disegni, fogli di commissione, cose che ha scritte e fatte lui. Come fai a non chiederti "E questo qua dov'è andato a finire?". Eppure ci si riesce. E si fa anche di peggio. A volte senti che vengono scaricati sul morto degli errori di ufficio. Così gli si fa un servizio completo e lo si liquida. Non è mai esistito. O se è esistito è come se fosse vissuto tremila anni prima. E ti viene da pensare che senso aveva lavorare come ha lavorato quello. Mai un minimo di solidarietà, di partecipazione, sempre rigàr dritto secondo la logica del padrone e del capo. Che senso aveva se dopo, nel giro di quattro e quattr'otto, muori. Rimozione, si dice. Ecco un esempio. Nel mio reparto sono morti questi due. Nessuno dei colleghi ha mai proposto di fermare un minuto il lavoro per ricordarli. Vedete, è p~eferibile lavorare che pensare. Così si muore lavorando e sovrapens1ero. BibliotecaGino Bianco

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