Ombre Bianche - anno III - n. 5-6 - febbraio 1981

12Maurizio Carbognin te neo-corporativo in ritardo (e la parallela, ma ahitnè improbabile, evoluzione in senso socialdemocratico del quadro politico) garantirebbe una maggiore efficienza, snellezza e razionalità al sistema politico. E il sindacato italiano, soprattutto nella sua dimensione confederale nazionale, sembra tutto speso in questa direzione, anche se, osserva sempre Sandro, le probabili Lache tale modello si affermi nel caso italiano sembrano scarse. Non ci interessa qui discutere se l'espressione "neo-corporativo" sia corretta, per individuare quello che sta avvenendo nel sindacato italiano: intendiamo comunque sottolineare una tendenza per cui il rapporto di rappresentanza tra sindacato e lavoratori si "libera" sempre di più degli elementi di identificazione (da parte dei lavoratori) in un'ipotesi di trasformazione, per fondarsi quasi esclusivamente sui risultati (per lo più ipotetici, sperati) che il sindacato riesce (q dovrebbe riuscire) ad ottenere in una contrattazione di verLice con il Governo: risultati quindi che dipendono non dalla quotidiana presenLa, azione contrattuale e mobilitazione, ma da quanto il sindacato riesce a far pesare nei confronti delle istituzioni il peso del consenso da esso amministrato. Questa sta diventando l'ultima spiaggia anche per i meno teneri nei confronti delle istituzioni, ma ormai convinti della necessità di "trattare" la domanda dei lavoratori per i limiti invalicabili raggiunti dallo strumento principe dell'azione sinòacale nell'ultimo decennio, la contrattazione: il ragionamento che essi fanno è, pressapoco, ''i lavoratori ci chiedono, ad esempio, salario, non è possibile farglielo avere per le note ragioni, facciamo in modo di ottenere risultati su altri terreni''. Esistono alternative per affrontare in modo diverso le due questioni di partenza? Esistono tendenze diverse nella società, le quali, oltre a far dubitare dell'efficacia di un modello di azione tutto speso e determinato dal centro, indichino possibilità e spazi diversi e inesplorati per il sindacato? Partiamo da alcune constataz1on1. 1) Le differenziazioni della struttura di classe nd nostro Paese, come in altri paesi industrializzati, non riflettono semplicemente una gerarchia nella distribuzione del reddito, e nella posizione lavorativa, n1a hanno un profondo radicamento nelle differenziazioni territoriali esistenti iu Italia; per dirla schematicamente, l'operaio di Torino è diverso da quello di Pomigliano e quest'ultimo da quello di Conegliano. Proporre un modello di sindacato e di rappresentanza unico per le tre situazioni significa supporre una idenuLà di interessi che resta, invece, tutta da dimostrare. 2) Il peso del territorio nella allocazione delle risorse politiche sta aumentando in molti paesi, come gli Stati Uniti e la Francia, e anche in Italia; così come sta sempre di più diventando cruciale il problema uel rapporto centro-periferia. L'esperienza delle regioni, al di là del giudizio che se ne da, va in questa direzione; alcune vicende relative anche al "quadro poliuco" nazionale fanno intravedere la nascita di schieramenti dove la variabile "territorio" diventa una delle discriminanti di fondo (si pensi al caso Sardegna o, perché no?, all'asse Bisaglia-De B · · ~"~,;, i~ za, ancora non chiara1nente definibile, corrisponde

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