Ombre Bianche - anno III - n. 5-6 - febbraio 1981

La vita e la morte, il bene e il male 53 Quando il padrone con cui prendersela non c'è O.B.: Provo a dire la mia opinione. Nel modo di affrontare la questione della passività della gente del reparto mi pare che ci sia qualcosa che non quadra. Non ha molto senso approfittare del terremoto per proporre di spolverare il salotto. E non ha senso di fronte alla morte drammatica di due compagni proporre una piattaforma sindacale. Non so come spiegarmi, ma mi sembra che ci sia uno scarto incolmabile fra l'accaduto e la proposta. Non puoi esaltare in tutta la sua importanza, in tutta la sua valenza emotiva un fatto del genere senza mettere in discussione non solo l'ambiente di lavoro, ma tutte le scelte che hai fatto nel corso della vita. Di fronte alla morte tutto salta per aria. La vita che hai fatto, le tue scelte, il fatto che ti sei sposato, che hai dei figli, sono tutte cose che normalmente ti legano. Di fronte alla morte tutti questi legami saltano. Quando vedi il tuo amico schiacciato sotto quella macchina che stavi costruendo con le tue mani e pensi che potevi essere al suo posto, come puoi non chiederti "Ma chi me lo fa fare a tornare qua tutti i giorni? Chi mi costringe a sopportare i legami che mi obbligano a tornare?'' Secondo me la morte è una messa in discussione troppo radicale del modo di esistenza che abbiamo scelto e del quale siamo complici attivi perché si possa in maniera saggia tenerla presente in tutta la sua portata esplosiva. Bisogna soltanto rimuoverla. Non pensarci. 'Hanno ragione loro, in sostanza. Hanno ragione quelli che dicono "È una fatalità. Speriamo che non succeda più". L'atteggiamento nei confronti della morte che esprimeva la monaca sorella di Saccardo non ha nulla di nuovo. È l'atteggiamento proprio di una società contadina che vede la morte come destino e fatalità. La religione e il convento l'hanno conservato intatto. lo avrei pensato che questi due morti sarebbero stati come un fiammifero su un bidone di benzina. E invece il cerino si è spento. È incredibile. Ci hanno creato anno per anno, giorno per giorno, questa mentalità egoista e piccina. O.B.: Facciamo un esempio in cui la nocività aziendale, contro la quale è apparentemente facile scagliarsi, non è immediatamente percepibile. Prendiamo il cancro. Una percentuale elevatissima di persone muore di cancro. Il riferimento alla tecnologia, al processo produttivo di queste morti non è sempre immediatamente visibile. Il sindacato di fronte ad un fenomeno così grosso, così mastodontico è assolutamente inoperante. A meno che il cancro non abbia l'astuzia di manifestarsi come malattia aziendale. Però il cancro è ormai diffuso socialmente. Non è l'industria, ma la società industriale che è cancerogena. Non è solo questo o quel processo produttivo, ma un modo .,.,e .1ilenza che produce cancro. Di fronte alla critica di questo sistema di vita come sindacato siamo paralizzati ed inoperanti. Io farei questo tipo di domanda: se domani mattina veniste a sapere che due con1pagni di lavoro vostri sono morti di cancro, che reazione avreste? Non c'è un BibliotecaGino Bianco

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