Ombre Bianche - anno III - n. 5-6 - febbraio 1981

Il caso PIA T 35 per contrapporvi l'azione non-violenta. Su questa base possiamo dire che l'espandersi della violenza tra gli uomini intesa principalmente come aggressione alla vita e alla persona è in ultima analisi controbattibile oggi soltanto attraverso la non-violenza radicale, l'affermazione della vita (di tutti anche degli avvérsari) contemporanea alla lotta. Malgrado siano presenti in tutte le diverse speranze di liberazione, da quella cristiana a quella socialista, tensioni non-violente e malgrado la sostanziale "pacificità" della gente, dobbiamo ammettere che in tutte le organizzazioni politiche e sociali la condanna della violenza è solo una condanna legata ali' opportunità. Per cui, tragicamente, il dibattito a distanza tra sindacati e terrorismo verte soltanto sui "danni" storici di quest'ultimo. L'orrore per la violenza sull'uomo viene razionalizzato e banalizzato come timore per gli esiti politici di quella violenza. Troppo debole questa risposta! Sono convinto che senza una cultura della nonviolenza riusciremo volta a ·volta a sconfiggere "una" forma di violenza per ritrovarne subito dopo un'altra. Tutti gli elementi "militari" della lotta di classe, plausibili storicamente nei dec~nni passati ci paralizzano e ci rendono inautentici rispetto agli appuntamenti di oggi. C'è una seconda dimensione del problema: capire quali legittimazioni la violenza trova nel mondo della gente che, personalmente, non ''si sogna'' di mettere in atto violenza programmata. Non intendo qui il delirio tirannico e strategico del terrorista, bensì le motivazioni di quanti, essendo del tutto fuori da ogni terrorismo, lo giustificano se non altro attraverso la loro passività. Credo che vada anzitutto sottolineato il peso che hanno nella testa e nel cuore di tanta gente le disuguaglianze non accettate. '' Perché io devo fare il verniciatore e tu invece il dirigente, l'avvocato, il professore, il commerciante o il sindacalista?" Dieci e più anni di cambiamento culturale hanno aperto ansie e speranze che restano senza risposta. A questo puntq da un lato troviamo l'offensiva di chi vuole ricondurre a rassegnazione e silenzio coloro che non accettano la loro (oggettiva) inferiorità di vita. Dall'altro si esalta il puro ' 4 grido" di chi sta in basso e ·su questo grido si legittimano le avventure più atroci ed inutili. Noi stiamo in mezzo. Rifiutiamo la rassegnazione e di questo rifiuto facciamo la ragione della solidarietà di classe. Rifiutiamo il puro "grido". Ma non abbiamo una risposta valida nei tempi in cui essa viene richiesta: quelli di una singola vita o di una generazione. Il nostro egualitarismo sui grandi temi si riduçe ad emotività ideologica. Siamo ambigui nella nostra mistura di ragionevolezza e di utopia. Per un verso sappiamo che la rassegnazione alle diseguaglianze ci spazzerebbe via, per altro verso siamo costretti a predicare una pazienza che cozza con l'urgenza dei disagi. Ma la pazienza che noi giustamente predichiamo è poco autentica perché noi "soggetti" che la esaltiamo siamo, per qualità di vita, esterni ai nostri interlocutori. E questa estraneità non vale soltanto per chi pensa a graduali riforme, ·è B ·~ es. o anc(:j~r-iù gp v · chi disegna prospettive rivoluzionarie. lu IO eca I 10 I

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