Ombre Bianche - anno III - n. 5-6 - febbraio 1981

) 56 F. Bozzini e A. Castegnaro I La morte? Un oggetto di consumo Volevo fare una considerazione che mi è venuta in questi giorni a proposito del terremoto. La televisione ti manda irt casa riprese, magari in diretta, violente e agghiaccianti. Vedi che tirano fuori i morti, sfigurati e deformati. Mi sembra quasi che ormai ci hanno abituati a consumare anche la morte. Con la televisione ti sbattono in casa a ripetizione fatti violenti che una civiltà contadina, che si n1uoveva più lentamente, ci metteva anni a digerire sentimentalmente e culturalmente. Un tempo le morti di cui eri informato erano quelle delle persone care o conosciute, del vicinato. Nei confronti di questi morti avevi sentimenti di reazione e potevi gestirle emotivamente con il tempo, il rito e il lutto. Oggi sei continuamente bombardato di notizie atroci, di morti violente nei confronti delle quali sei totalmente estraneo ed impotente. Se facciamo la storia del terrorismo ci rendiamo conto che finché uccidevano una persona avevi tempo di inorridirti, di reagire, di farti un'opinione e un giudizio. Quando han cominciato ad uccidere in serie, su scala industriale, ti hanno assuefatto, ti hanno abituato. Per cui non hai più reazioni adeguate e significative se da uno si passa alla strage di Bologna. · Ci hanno abituato a consumare la morte. lo facevo caso ieri sera ai miei ragazzi davanti al televisore che trasmetteva i servizi sul terremoto. Eccettuato uno, un po' più grande e sensibile, gli altri neanche guardavano. Ascoltavano con un orecchio e intanto leggevano il giornalino. Sono ormai talmente abituati a sentirne ogni giorno di tutti i colori che la morte non è più un argomento sul quale soffermarsi e riflettere, ma un oggetto da consumare velocemente perché tanto domani ci saranno i morti del giorno dopo. Ci sono troppi fatti di morte, ed in troppo grandi quantità. È molto strano, ma la grande quantità in questi fatti sembra eliminare l'emozione che crea il caso individuale. E questo forse è l'argomento da mettere in luce. O l'esperienza della morte la vivi tu in prima persona oppure non lo senti come problema tuo, che ti metti in discussione. Il terremoto succede al Sud, la guerra è in Iran, i massacri sono nell'America Latina. Tutti luoghi che ti tengono il problema ad una sufficiente lontananza. Solo quando io mi son sentito la morte vicina, non la 1norte di un altro ma la mia morte, il senso della vita mi è cambiato come dal giorno alla notte. In un .momento ho capito che io, tanto sano e forte, che non ho mai avuta la più piccola malat- .tia, potevo lasciare la pelle sul bordo di quella strada. È stato lì che ho cominciato a riflettere, a pensare al senso che devo dare alle cose da questa nuova e realissima prospettiva. Perciò lavorare duro, consumare, far straordinari per comperarmi la macchina più grossa, tutte queste cose divengono ridicole. Che senso hanno visto che da un momento all'altro potrei andarmene. Ora, non è che la morte ce l'abbia sempre presente in maniera ossessiva. Ma ti vien naturale uno stile di vita che tien conto della relatività delle cose. Tutto sommato ho una fede religiosa, anche se non sono un praticante in senso tradizionale. Mi son posto in diverse occasioni esistenziali il problema della vita e della sofferenza. Perciò ho anche delle speranze, benché piuttosto confuse e non Bi · · o Bianco .

RkJQdWJsaXNoZXIy MTExMDY2NQ==