Ombre Bianche - anno III - n. 5-6 - febbraio 1981

38 Fausto Tortora le indifferenze ostili di chi sciopera per abitudine o per disciplina interiore ma non si riconosce nel parlare "largo" dei dirigenti. Queste crepe, che hanno spesso risvolti di pura negatività e non riescono a esprimere e coagulare posizioni e atteggiamenti positivi, intaccano anche le strutture dell'organizzazione cosicché all'abbandono di qualcuno si accompagna il pigro e burocratico vivacchiare di molti. Nel corso di questi anni il sindacato non è stato, malgrado le apparenze, impermeabile né indifferente alle critiche e alle sollecitazioni che gli sono complessivamente pervenute; esso si è perciò plasmato, o tende a farlo, su un modello che, _nei suoi tratti costitutivi, sembra più rispondere alle richieste che gli sono giunte dall'esterno che a quelle, certo meno esplicite, e certo più complicate da decifrare, che affiorano al suo interno. Senza impiantare qui un generico, e forse moralistico, lamento sulla "democrazia tradita'' converrà semplicemente cercare di verificare se, a prescindere dai compiti nuovi e diversi che il movimento sindacale potrà essere chìamato ad assolvere su terreni più generali e complessivi, esso sapra conservare quello per· cui esso è nato, agli albori della civiltà industriale. Se si verificasse che il sindacato fa ormai altro o parzialmente altro potremmo ugualmente convenire sulla sua utilità ed efficacia, ma tanto varrebbe prendere atto che nel corso degli anni, la sua ragione sociale di origine o è cambiqta o convive (in che misura?) con altre, pur ugualmente legittime e degne. Ma qual'è questa ragione sociale d'origine, essenziale al sindacato? Ebbene, per dirla con una formula un po' schematica ma che, tuttavia, coglie la sostanza del problema, a me pare che il sindacato, coevo alla società capitalistica, sia nato per tutelare tutte le forme storicamente determinate in cui si manifesta lo scambio (ineguale),fra erogazione della forza lavoro e salario. Dove tute- -la sta dinamicamente a significare il costante tentativo di ridurre quanto più pos- _sibile(nelle due dimensioni: individuale e sociale)"i tern1ini di quell'ineguaglianza che costituisce il fattore distintivo ed essenziale di quasi tutte le società moderne. Se questo è il problema, occorre quindi analizzare, sia la tipologia assai ampia in cui si manifesta quello scambio, che cercare di verificare in che misura tale scambio costituiscè ancora un evento- decisivo per la dislocazione del potere all'interno di tutta la società; Le due tesi che qui voglio schematicamente esporre sono le seguenti: a) il sindacato è stato,' ed è tuttora, inadempiente rispetto al compito di esercitare quella tùtela di cui s'è detto; b) il lavoro, e quindi anche il lavoro salariato, ha perso: quella centralità dialettica che, storicamente, anche all'interno del movimento sindacale gli è stata attribuita dalla cultura in esso prevalente. Non mi sembra davvero necessario spendere molte parole per ricordare, ancora una volta, che il sindacato ha, di norma, scelto di tutelare quei soggetti sociali che, a loro volta, erano in grado di scegliere il sindacato. Questa reciprocità è, per se stessa, un meccanismo di esclusione cosicché l'idealtipo del lavo_ratore sinB .db .calizzatoAomig ·a molto a quegli oleografici ritratti di maschie e muscolose fil 1otecau1no 1anco

RkJQdWJsaXNoZXIy MTExMDY2NQ==