Ignazio Silone - Uscita di sicurezza

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Pubblicato sotto gli auspici del CONGRESSO INTEìlMAZIONALE PER LA LIBERTA' DELLA CULTURA BibliotecaGinoBianco

TESTIMONIANZE U~CITADI ~ICUD~ZZA di IGNAZIO SILONE COMITATO ITALIANO PER LA LIBERTA' DELLA CULTURA BibliotecaGinoBianco 3

LIBRI DELLO ST~SSO AUTORE: Fontamara, romanzo, 1930. Il fascismo, storia, 1934. Un viaggio a Parigi, novelle, 1935. Pane e vino, romanzo, 1937. La scuola dei dittatori, dialoghi, 19~8. Mazzini, saggio e pagine scelte, 1939. Il seme sotto la neve, romanzo, 1940. Ed ellli si nascose, dramma, 1944. Questo saggio di Ignazio Silone è stato già pubblicato sulla rivista e Comunità> (settembre-ottobre 1949, n. 5) ed in seguito raccolto nel volume e Testimonianze sul comunismo> ((Il dio che è fallito) edito dalla casa editrice e Comunità > di Milano, con introduzione di Richard Crossman, assieme ai saggi, di contenuto analogo, scritti da Louis Fischer, Andrè Gide, Arthur Koestler, Stephen Spender, Richard Wright. Dopo la prima pubblicazione sulla rivista e Comunità >, lo scritto ha provocato numerose e vivaci reazioni nella stampa politica, tra cui merita speciale menzione un articolo di Palmiro Togliatti ( e Unità >, 6 maggio l 950, Contributo alla Psicologia d'un rinnegato, Comf' Ignazio Silone venne espulso dal Partito Comunista). A seguito di ciò, l'autore, ha apportato al suo testo alcune aggiunte riguardanti il periodo di tempo tra il 1927 e il 1931. I Biblioteca'GinoBianco •

,. .. Non vi si pensi, quanto sangue costa. (Dante, Paradiso, XXIX) I Quella sera di novembre, subito dopo la promulgazione delle « leggi eccezionali», ci eravamo salvati in parecchi dal1' arresto rifugiandoci in un villino di un sobborgo milanese, da poco affittato da un nostro compagno che si fingeva pittore. Nei quartieri popolari le vie erano deserte, le osterie chiuse, silenziose, le case buie. Ciò dava alla stagione umida e fredda un carattere tetro. La forza pubblica operava nei quartieri popolari incursioni vaste e subitanee, in pieno assetto di guerra, cingendo di assedio i casamenti sospetti, come se si trattasse di fortilizi nemici. Il numero degli arrestati era già assai elevato e si accresceva di giorno in giornò in base ai nomi e agli indirizzi che in qualche modo risultavano dalle perquisizioni, dalle denunzie delle spie, dei provocatori, e dalle deposizioni degli arrestati più deboli, costretti dalle minacce o dalla tortura. Nelle altre città e province avveniva press'a poco lo stesso, su vasta scala. I giornali che ancora potevano pubblicarsi 3 BibliotecaGinoBianco

.. • (quelli di aperta oppos1z1one erano stati soppressi proprio in quei giorni) avevano ricevuto l'intimazione di neppure accennare agli arresti, e di riferire invece gli elogi della dittatura italiana espressi, a nostro scherno e mortificazione, da eminenti rappresentanti della democrazia e del liberalismo d'altri paesi. Ma il notiziario dei tre o quattro corrieri di partito, i quali raccoglievano nelle principali regioni la corrispondenza dei fiduciari provinciali e la portavano agli uffici centrali clandestini, non ci lasciava più alcun dubbio sul deliberato proposito della dittatura di sterminare una volta per sempre ogni traccia di resistenza avversaria. I comunisti erano i soli che disponessero allora di un'organizzazione clandestina di una qualche efficienza; ma in varie province le razzie poliziesche avevano già distrutto la rete dei nostri collegamento. E numerosi erano i compagni che, sfuggiti all'arresto, ci chiedevano un rifugio duraturo in una città diversa dalla propria e documenti falsi per poter viaggiare e cercarsi una nuova « sistemazione » . Quelli di noi che già da tempo vivevano sotto false generalità, dissimulando l'attività cospirativa sotto apparenze innocenti e banali, si trovavano allora in una condizione certamente più vantaggiosa; ma neppure troppo sicl.).ra,poiché r eventuale tradimento o debolezza di qualcuno degli arrestati poteva offrire alla polizia indicazioni portanti sulle nostre tracce. Così anch'io, quella sera, ero stato improvvisamente avvertito di non tornare a casa, apparendo la mia abitazione sorvegliata dalla polizia. Assieme ad altri che si erano venuti a trovare nelle stesse condizioni, cercammo un rifugio provvisorio nel villino del nostro compagno finto pittore. Dopo aver messo un uomo di guardia nelle vicinanze e presi gli accordi per il caso di allarme, ci rasse4 BibliotecaGinoBianco \

gnammo a passare la notte sulle sedie, dato che il villino era appena sommariamente mobiliato e non disponeva che si un solo letto. Assieme al finto pittore e a sua moglie eravamo un finto turista spagnolo, un finto dentista, un finto architetto e una ragazza tedesca finta studentessa. Ci conoscevamo già da un paìo d'anni, .ma i nostri rapporti, fino a quel giorno, erano stati esclusivamente di collaborazione tecnica per incarico dei rispettivi uffici dell'organizzazione cospirativa; non avevamo ancora avuto tempo e modo di stringere amicizia. Tutt'al più qualcuno di noi conosceva degli altri il luogo d'origine e la situazione familiare, e ciò per gli inevitabili riflessi che questi n.ati spesso avevano sugli espedienti della complicata vita fuori legge. Perché- dunque il fortuito incontro di quella sera m'è rimasto così a lungo impresso nella memoria? · Avvenne che il dentista ad un certo momento disse: - Questo pomeriggio sono passato davanti alla Scala. Una gran folla faceva coda per l'acquisto dei biglietti del prossimo concerto. Mi sono un po' fermato ad osservarla ed ho avuto la netta impressione d'un corteo di pazzi. - Perché pazzi ? - chiese il turista spagnolo. - La musica per te è follia ? - Non in circostanze normali - ammise il dentista. Ma, coi tempi che corrono, come ci si può distrarre con musica ? Si deve essere7 veramente maniaci. - La musica non è solo e sempre distrazione - osservò il turista spagnolo. - Se i musfrqmani potessero ora vederci e sapere di noi chi siamo e che facciamo - aggiunse il pittore - quasi certamente a loro volta, ci considererebbero pazzi. Non è 5 81bliotecaG1noBianco

mica facile sapere chi siano i veri pazzi; forse è una delle scienze più difficili. Il tono che prendeva la conversazione non piaceva al dentista. - Non si può rischiare la libertà e la vita come noi facciamo - egli replicò severamente - e poi ragionare come chi si trovi al di sopra della mischia. - Ci si può gettare nella mischia - rispose il pittore - si può dare calci e pugni all'avversario, ma non obbligatoriamente cornate. Non è meglio riservare la testa per sltri usi? La nostni lotta non è anche ideologica? - chiese il turista spagnolo. - La tua testa non è impegnata ? - La mia testa è impegnata, certo, ma non i. mei occhi - spiegò allora il pittore sqrridendo. - In altre parole - egli aggiunse - vorrei poter continuare a vedere le cose con i miei occhi. - Non capisco - dichiarò· il dentista. - Il rischio che tu corri restando con noi, mi sembra assai sproporzionato al tuo scarso impegno. È venuto il momento di spiegarci chiaramente. Vi fu una pausa di silenzio ·imbarazzante. La conversazione poteva finir male. Attraverso le finestre vedemmo passare sull'autostrada tre camion carichi di militi. La padrona di casa chiuse le persiane delle finestre e ci servì del caffè. - Nella nostra epoca tutte le vie conducono al comunismo - disse il turista spagnolo per riportare l'armonia tra i compagni. - Non si può mica essere comunisti tutti alla stessa maniera. Questa è la verità. - Sulla rivoluzione proletaria io ho scommesso la mia vita rettificò il pittore. -·- Se non ho scommesso anche 6 BibliotecaGinoBianco (

gli occhi è solo per riservarmi il diritto di vedere quello che succede della mia vita. Ma la vita è ormai scommessa. Allo stesso modo, tanto per spiegarmi meglio, una mia cara compagna di scuola si è fatta monaca, scommettendo la sua vita sul Paradiso. Sul Paradiso celeste, intendo dire, da non confondere col nostro. Posso assicurarvi che manterrò la mia scommessa. Perché non dovrei mantenerla? Nessuno ha il diritto di dubitare del mio onore. - Ma la rivoluzione proletaria - commentò duramente il dentista - non è un giuoco d'azzardo. - So bene - spiegò il pittore - .che la vincita della mia scommessa non dipende dall'azzardo, ma dall'abilità e forza dei giocatori e da tutto il resto di cui si legge nei manuali delle nostre scuole di partito. Ed è perciò che io vi partecipo non solo come scommettitore, ma anche come giocatore: come un giocatore interamente preso dalla partita e che ha ~commesso se stesso. Interamente, ripeto, salvo gli occhi. - Non capisco - dichiarò il dentista. - Insomma mi rifiuto di bendarmi - concluse il pittore. - Farò esattamente tutto quello che preténderete, ma ad occhi aperti. - Bene - disse a sua volta il turista spagnolo - ma non ho capito se a te la tua scommessa interessi più del resto. Ecco, scusa la domanda, avresti potuto anche scommettere, trovandoti in altre circostanze, per qualcos'altro del tutto diverso, che so io, la guerra, l'esplorazione del polo sud, l'assistenza ai lebbrosi, la tratta delle bianche, la fabbricazione delle monete false ? - Perché no ? - l'altro rispose ridendo. - Ma è probabile che anche in ognuna di quelle altre mie possibili pro7 BibliotecaGinoBianco --

• fessioni, avrei cercato di mantenere gli occhi aperti, avrei cercato di capire. - Comunisti si nasce - dichiarò la ragazza tedesca. - Uomo però si diventa - commentò il pittore. - Insomma - gli chiese il dentista - si può sapere per quali circostanze tu hai finito con lo scommettere sul comunismo? - Ah, sarebbe una lunga storia ·- l'altro rispose gravemente. - E alcune cose, ad essere sincero, per voi sarebbero incomprensibili. - Raccontaci la tua lunga incomprensibile storia - insisté la ragazza tedesca. - Berremo caffè ·e veglieremo per ascoltarti. Anch~ se non capiremo, non fa niente. Le storie più belle sono sempre incomprensibili. - E racconterete anche voi la vostra storia ? - ci chiese il pittore ridendo. - D'accordo, - consentì il dentista. - Berremo caffè e veglieremo. . - Rifletteteci bene - ammonì il pittore. - Forse per voi è pericoloso volgervi indietro. Forse è pericoloso per ognuno, anche per f!1e, mentre si è nella lotta, esaminar il perché e il come, dico, guardarsi indietro. Ad un certo momento, il gioco è fatto, et rien ne va plus. Chi è nel ballo deve ballare. - Ma si può separare la lotta dai motivi che ci han condotti nella lotta? -' chiese il turista spagnolo. - È pericoloso, secondo te, ricÒrdarci i motivi che ci han condotti al comunismo? - La notte è lunga - disse la ragazza contiamoci le nostre incomprensibili storie. resteremo svegli. 8 tedesca. - RacBerremo caffè e ., BibliotecaGinoBianco

Così passammo quella notte a cercare di spiegarci reoprocamente come e perché fossimo diventati comunisti. Le spiegazioni furono tutt'altro che esaurienti; ma al mattino eravamo diventati amici. « È proprio vero, ci dicemmo separandoci, che al comunismo si arriva da tutte le parti ». (L'anno seguente il finto dentista fu arrestato; sottoposto a tortura, egli si rifiutò -di denunziare i suoi collaboratori e morì in carcere. Il finto pittore continuò a compiere il suo dovere politico fino alla caduta del fascismo; dopo la seconda guerra si è ritirato a vita privata. Della ragazza tedesca non ho saputo più nulla). Ho ripensato spesso, negli anni seguenti, alle confidenze di quell'incontro, poiché l'imperioso bisogno di capire, di rendermi conto, di confrontare il senso dell'azione, in cui mi trovavo impegnato, con i motivi iniziali della mia adesione, si è impossessato interamente di me e non m'!ia lasciato più uegua e pace. E se la mia povera opera letteraria ha un senso, in ultima analisi, è proprio in ciò: ad un certo momento scrivere ha significato per me assoluta necessità di testimoniare, bisogno inderogabile di liberarmi da una ossessione, di affermare il senso e i limiti di una dolorosa ma definitiva rottura, e di una più sincera fedeltà. Lo scrivere non è stato, e non poteva essere, per me, salvo in qualche raro momento di grazia, un sereno godimento· estetico, ma la penosa e solitaria continuazione di una lotta, dopo essermi separato dai miei compagni più cari. E le difficoltà ed imperfeiioni con cui sono talvolta alle prese nell'esprimermi, non provengono certo dall'inosservanza delle famose regole del bello scrivere, ma da una coscienza che stenta a rimarginare alcune nascoste ferite, forse inguari• bili, e che tuttavia~ ostipata,nente, esige la propria integrità. 9 BibliotecaGinoBianco •

Poiché per essere veri non basta evidentemente essere smceri. Non è dunque senza sforzo che, rinunziando alle parabole, mi sono accinto a questo racconto diretto. 2 Al co.ngresso di fondazione del Partito Comunista Italiano (Livorno, 1921) io espressi l'adesione di gran parte della gioventù socialista, di cui facevo parte dal 1917. L'orientamento della gioventù socialista italiana, fin dal tempo della guerra, era stato così decisamente critico verso la social-democrazia rìformista, che quell'atto non suscitò alcuna sorpresa. Quella sera del novembre milanese, volendo spiegare ai miei amici perché,. all'età di 17 anni, in piena guerra, mentre ero ancora studente liceale, avessi aderito al socialismo zimmerwaldiano, dovetti, di gradino in gradino, risalire con la memoria alla prima adolescenza e menzionare perfino qualche episodio dell'infanzia, per ritrovarvi le più lontane origini della lenta formazione di un giudizio morale sull'ordine sociale esistente che, più tardi, assumendo forma e portata politica, doveva necessariamente rivelarsi estremista. A diciotto anni, e in tempo di guerra, difficilmente si entra in un movimento rivoluzionario perseguitato dal governo, per motivi futili o d'opportunità. Sono cresciuto in una contrada montuosa dell'Italia medionale e in un'epoca in cui il fenomeno che più m'impressionò, appena arrivato all'uso della ragione, era un contrasto stridente, incomprensibile, quasi assurdo, tra la vita privata e familiare, ch'era, o almeno così appariva, prevalentemente 10 BibliotecaGinoBianco

•• morigerata seria onesta, e i rapporti sociali, assai spesso rozzi, odiosi, falsi. Della miseria e della disperazione nelle province meridionali si conoscono (io stesso ne ho narrati) numerosi episodi terrificanti; ma ora non intendo riferirmi ad ·avvenimenti clamorosi, sibbene ai piccoli fatti della vita quotidiana, monotoni, banali e ossessionanti, in cui si manifestava quello strano doppio modo di essere della gente in mezzo alla quale crescevo, e la cui muta osservazione fu una delle angosce segrete della mia adolescenza. Ero ancora un bambino (avevo cinque anni) quando, una domenica, mentre attraversavo la piazzetta del luogo nativo accompagnato per mano da mia madre, assistei allo stupido e crudele spettacolo d'un signorotto locale che aizzò un suo cagnaccio contro una povera donnetta, una sarta, che usciva di chiesa. La misera fu gettata a terra, gravemente ferita, e i suoi abiti ridotti in stracci. Nel paese l'indignazione fu generale, ma sommessa. Nessuno mai capì come la povera donna concepisse poi l'infelice idea di sporgere querela contro l'ignobile signorotto; poiché n'ebbe solo il prevedibile risultato di aggiungere ai danni le beffe della giustizia. Ella fu, devo ripetere, compianta da ognuno e privatamente soccorsa da molti, ma non trovò un solo testimonio disposto a deporre la verità davanti al pretore, né un avvocato per sostenere l'accusa. Furono invece puntuali il difensore del signorotto (un avvocato considerato uomo di sinistra) e alcuni testimoni prezzolati che, sotto falso giuramento, diedero una versione del tutto grottesca del fatto incolpando la donna di avere provocato il cane. Il pretore, in privato una degnissima e onestissima persona, assolse il signorotto e condannò la povera donna alle spese. Il u bliotecaGinoBianco

- L'ho fatto con mio grande rammarico - così il pretore, alcuni giorni dopo, si scusava in casa nostra. - Parola d'onore, credetemi, mi è assai dispiaciuto. Ma se, come privato cittadino, avendo io stesso assistito al disgustoso fattaccio, non potevo non riprovarlo, come giudice dovevo però_ attenermi alle risultanze processuali; ed esse purtroppo, come sapete, sono state favorevoli al cane. Un vero giudice - quell'onesto pretore amava sentenziare - deve saper far tacere i propri sentimenti egoistici, ed essere imparziale. - Certo - commentava mia madre - ma che orribile mestiere. Meglio badare ai fatti nostri m casa nostra. Figlio mio, - diceva a me - quando sarai grande, fa tutto quello che ti pare, ma non il giudice. Di piccoli episodi esemplari, analoghi a quel processo del cane padronale e della ·serva, ne conservo altri dolorosamente incisi nella memoria. Ma non vorrei, con simili storie, ingenerare il dubbio che da noi i sublimi concetti di giustizia e verità fossero ignorati o vilipesi; ah, tutt'altro. A scuola, in chiesa e nelle manifestazioni pubbliche se ne parlava spesso e con altissima eloquenza e ostentata venerazione. Ma in termini piuttosto astratti. Per caratterizzare meglio quella strana e veramente curiosa nostra situazione, e affinché non sia confusa con altre, di civiltà più arretrata, devo aggiungere che essa riposava su un inganno di cui tutti, per.fino i bambini, erano coscienti; e tuttavia essa durava, assisa dunque su qualche cosa d'altro che la stupidità o ignoranza delle persone. Ricordo in proposito una vivace discussione sorta un giorno, nella mia classe di catechismo, tra i ragazzi che si preparavano alla cresima e il parroco. Ne fu causa una rap12 BibliotecaGinoBianco •

presentazione di marionette alla quale noi ragazzi, assieme al parroco, avevamo assistito il giorno prima. Il soggetto, ricordo benissimo, esponeva le drammatiche peripezie d'un bambino perseguitato dal diavolo. Ad un certo punto il bambino-marionetta era apparso sulla scena tremante di paura e per sfuggire alle ricerche del diavolo si era nascosto sotto un lettino, che occupava un angolo della scena. Poco dopo era sopraggiunto il diavolo-marionetta e l'aveva cercato invano. - Eppure dev'essere qui, - diceva il diavolo-marionetta, - sento il suo odore. Adesso chiedo a questi bravi spettatori. -·- E rivolto a noi, aveva chiesto: - Cari miei ragazzi, avete forse visto nascondersi m qualche posto quel bambinaccio che io cerco ? - No, no, no, - immediatamente gli rispondemmo m coro e con la più grande energia. - Dove si trova dunque? Perché non lo vedo? - insisté il diavolo. - È partito, è andato ·via noi gli rispondemmo - è andato a Lisbona. - (Nel nostro parlare e nei nostri proverbi, Lisbona è ancora oggi il punto più lontano del globo). Devo spiegare che nessuno di noi, andando allo spettacolo, prevedeva di essere interpellato da un diavolo-marionetta; e il nostro comportamento era stato pertanto del tufto istintivo e spontaneo. E suppongo che in qualsiasi altro paese del mondo, davanti all'identico spettacolo, i bambini reagirebbero alla stessa mani€ra. Ma il nostro curato, una degnissima colta e pia persona, con nostra grande sorpresa, non fu interamente soddisfatto. Ce lo spiegò con rammarico nella piccola cappella di Santa Cecilia, ove di solito egli impartiva le lezioni di catechismo. Quel luogo a noi ragazzi era assai 13 BibliotecaGinoBianco

gradito perché la martire romana vi era raffigurata sull'altare nelle bellissime sembianze d'una fanciulla bionda, assorta e melanconica, e con un oggetto tra le braccia somigliante in modo strano all'utensile domestico, chiamato chitarra, che nelle nostre case serve a fare gli spaghetti all'uovo. L'immagine ci attirava a tal punto che, per sottrarci a quella seduzione, almeno durante l'ora del catechismo, il curato era stato costretto a disporre i banchi di noi ragazzi in modo da costringerci a voltare le spalle a Santa Cecilia. - Il vostro comportamento durante la rappresentazione delle marionette - egli ci disse dopo averci imposto di sedere - mi è assai dispiaciuto. Noi avevamo detto una bugia, egli ci avverti preoccupato. L'avevamo detta a fin di bene, certo, ma era pur sempre una bugia. Non bisogna dir bugie. - Neppure al diavolo? - domandammo noi interdetti. - Una bugia è sempre un peccato - ci rispose il curato. - Anche davanti al pretore ? - domandò --uno dei ragazzi. Il parroco ci redarguì severamente. - Io sono qui per insegnarvi la dottrina cristiana e non per fare pettegolezzi - ci disse. - Quello che succede fuori della chiesa non m'interessa. E tornò a spiegarci la dottrina sulla verità e sulle bugie, in generale, con bellissime e difficili parole. A noi bambini però non interessava, quel giorno, la questione dottrinaria delle bugie in generale; noi volevamo sapere: « Dovevamo rivelare al diavolo il nascondiglio del bambino, sì o no? ». - Non si tratta di questo - ci ripeteva il povero curato veramente sulle spine. - La bugia è sempre peccato. Può essere un peccato grande, uno medio, uno così così, e 14 BibliotecaGinoBiancq>

Biblit uno piccolino; ma è sempre un peccato. Bisogna onorare la- verità. - La verità è - dicevamo noi - che da una parte c'era il diavolo e dall'altra c'era quel bambino. Noi volevamo aiutare il bambino, quesc'è la verità. - Ma avete detto un bugia - ripeteva il parroco. - A fin di bene lo riconosco, ma una bugia. Per farla finita io gli mossi un'obiezione d'una per.fidia inaudita e, tenuto conto dell'età, piuttosto precoce: - Se invece d'un bambino qualsiasi si fosse trattato d'un prete - gli chiesi - che cosa dovevamo rispondere al diavolo? Il parroco arrossì ed evitò una risposta, imponendomi, come punizione per la mia impertinenza, di restare tutto il resto della lezione in ginocchio accanto a lui. - Sei pentito ? - mi chiese alla fine della lezione. - Certo - gli risposi. - Se il diavolo mi chiede il vostro indirizzo, glielo darò senz'altro. Era senza dubbio eccezionale e fortuito che si discutesse in quei termini in una classe di catechismo; ma nell'ambiente familiare e, in genere, in privato, tra adulti, la pregiudicatezza era assai frequente.· La svegliatezza dell'intelligenza non turbava però menomamente la stagnazione della vita sociale in forme umilianti e primitive. 3 Da qualche tempo la cosiddetta democrazia aveva tuttavia introdotto nei rapporti tra lo Stato e i cittadini un particolare tecnico (il voto segreto) che, pur non bastando, da solo, 15 GinoBianco

a cambiare radicalmente le cose, consentiva ogni tanto risultati sorprendenti e, per l'ordine pubblico, scandalosi. Erano episodi singoli, senza seguito, eppure preoccupanti. Avevo sette anni quando nella mia contrada si svolse la prima campagna elettorale politica di cui io abbia un ricordo. Partiti politici, in quell'epoca, da noi ancora non esistevano; e perciò l'annunzio dei comizi fu accolto con scarso interesse. Ma grande fu l'emozione popolare non appena venne divulgato che tra i candidati vi sarebbe stato nientemeno che il Principe. Non c'era bisogno di aggiungere nome e cognome per sapere di quale principe si trattasse. Era il proprietario del grande Feudo, costituitosi con l'usurpazione delle terre emerse nel secolo precedente dal prosciugamnto del lago di Fucino. Circa .ottomila famiglie (cioè la maggioranza della popolazione locale) coltivano ancor oggi i quattordicimila ettari del Feudo. A queste «sue» famiglie il Principe si degnava di chiedere il voto per diventare loro deputato al parlamento. Gli agenti del Feudo che propagarono la notizia, l'accompagnarono con un discorsetto; in armònia con i nuovi tempi, d'intonazione perfettamente liberale: «Naturalmente», dicevano, « naturalmente nessuno sarà obbligato a votare per il Principe, questo si capisce; allo stesso modo che nessuno, naturalmente, potrà obbligare i1 Principe a lasciare lavorare la sua terra a chi gli voterà contro. Quest'è l'epoca del!a vera libertà per tutti: liberi voi, libero il Principe». La enunciazione di questi concetti liberali produsse tra i .contadini una comprensibile costernazione.' Poiché, com'è facile immaginare, il Principe era la persona più odiata della nostra regione. Finché egli era rimasto nell'invisibile Olimpo dei grandi feudatari (nessuno degli ottomila fittavoli, fino allora, lo aveva mai visto, nepp?re da lontano) l'odio contro .... IG BibliotecaGinoBianco

di lui era pubblicamente ammesso e somigliava alle bestemmie contro le divinità avverse, che non servono a niente, eppure dànno una certa soddisfazione. Ma ecco che le nubi si squarciavano ed il Principe stava per scendere a distanza d'uomo. Bisognava perciò, d'ora innanzi, riservare le espressioni d'odio contro di lui alla ristretta cerchia della vita pri-- vata e pn;pararsi ad accoglierlo nelle strade del paese con , i dovuti onori. Mio padre sembrava restìo a questa logica. Egli era il più giovane di un numeroso gruppo di fratelli, contadiniproprietari; il più giovane, il più inquieto e l'unico proclive all'insubordinazione. Una sera vennero da lui i fratelli per raccomandargli, nell'interesse comune, prudenza e accortezza; e fu per me (di cui nessuno si curava, perché gli adulti credono che i ragazzi certe cose non le capiscano) una sera assai istruttiva. Dopo aver servito da bere, le donne si ritirarono nella stanza accanto. Io rimasi accovacciato in un angolo del grande camino, attorno al quale gli uomini si disposero a semicerchio. Erano uomini alti e forti, quasi solenni, i più anziani erano barbuti; piedi enormi; ginocchia, spalle, mani poderose. Senza riguardo all'età e all'agiatezza familiare, essi continuavano ad accudire personalmente a fatiche assai dure, conducevano i carri, guidavano l'aratro, dirigevano la trebbiatura: il bisogno di lavorare sembrava in essi necessità fisica. Erano uomini· di chiesa, ma non di sacrestia; uomini d'ordine, non di anticamere; ed erano stati allevati nell'orgoglio del coraggio davanti a qualsiasi pericolo, davanti ad una bestia infuriata, ad un'alluvione, ad un incendio. Quella sera però erano assai imbarazzati. - La candidatura del Principe è un'autentica buffonata - ammetteva il fratello più vecchio. - Le candidature pò17 2. BibliotecaGinoBianco

litiche dovrebbero essere riservate agli avvocati e a somiglianti chiacchieroni. Ma siccome il Principe è candidato, a noi non resta che appoggiarlo. - Se la candidatura del Principe è una buffonata rispondeva mio padre - non capisco perchè dobbiamo sostenerla. - Perché, come sai, noi dipendiamo da lui - gli veniva risposto. - Non in politica - diceva mio padre. - In politica siamo liberi. - Noi non coltiviamo la politica, ma la terra - gli veniva risposto. - Come coltivatori di terra dipendiamo dal Principe. - Nel contratto per la terra - diceva mio padre - non si parla di elezioni, ma di patate e di barbabietole. Come elettori siamo liberi. - Anche l'amministrazione del Principe sarà poi libera di non rinnovarci il contratto - gli veniva risposto. - Ecco perché siamo costretti a dichiararci per lui. - Non posso votare il nome di qualcuno solo perché costretto - diceva mio padre. - Mi vergogno. - Nessuno saprà come tu voterai - gli veniva risposto. - Nel segreto della cabina elettorale tu voterai come ti pare liberamente. Ma durante la campagna elettorale, tutti assieme, noi dobbiamo dichiararci per il Principe. - Lo farei con piacere se non mi vergognassi - diceva mio padre. - Ma, credetemi pure, mi vergognerei troppo. Per finire, i miei zii e mio padre arrivarono a questo compromesso: egli non si sarebbe dichiarato né per il Prin- . ~ c1pe ne contro. Il giro elettorale del Principe fu preparato accuratamente 18 BibliotecaGinoBianco

dalle autorità civili, dalla polizia, dai carabinieri e dall'amministrazione del Feudo. E finalmente, una domenica il Principe si degnò di attraversare, senza fermarsi e senza pronunziare discorsi, i principali comuni del collegio. Quei suo viaggio è rimasto memorabile dalle nostre parti soprattutto perché egli lo compì in automobile, ed era la prima volta che quel nuovo veicolo appariva nella nostra contrada. La stessa parola automobile non era ancora entrata nel nostro linguaggio corrente: in sua vece i contadini dicevano la « carrozza senza cavalli ». Strane leggende correvano nel popolino sulla invisibile forza motrice che sostituiva i cavalli, sulla diabolica velocità del nuovo veicolo, e sugli effetti rovinosi, specialmente per le vigne, del puzzo eh'esso lasciava dietro di sé. Quella domenica tutta la popolazione del mio paese era andata incontro al Principe lungo la strada da cui era annunziato il suo arrivo. Numerosi erano i segni visibili dell'ammirazione e dell'affetto collettivo per il Principe. Archi di trionfo furono eretti, e la folla era vestita a festa, in un orgasmo ben comprensibile. La « carrozza senza cavalli» arrivò con ritardo, e rombando attraversò la folla e l'abitato, senza fermarsi e senza neppure .rallentare, lasciando dietro di sé un . fitto polverone bianco. Gli agenti del Principe poi spiegarono, a chi voleva ascoltarli, che la « carrozza senza cavalli,> corre « a vapore di benzina » e non può fermarsi che qnando la benzina termina. « Non è come con i cavalli», essi spiegavano, « con i quali basta tirare le redini. Lì non vi sono redini. Avete visto forse le redini ? ». Due giorni dopo arrivò in piazza un curioso vecchietto da Roma; portava gli occhiali, un bastoncino nero e una valigetta. Nessuno lo conosceva. Egli disse di essere un medico oculista e di aver presentato, a nome del Partito del Popolo, la propria candida19 BibliotecaGinoBianco

tura contro quella del Principe. Pochi curiosi l'attorniarono, per lo più bambini e donnette senza diritto di voto. Tra i ragazzi ero anch'io, con i calzoni corti e i quaderni di scuola sotto il braccio. Supplicammo il vecchietto di tenerci un discorso. Egli ci disse: « Ricordate ai vostri genitori che il voto è segreto. Nient'altro>>. Poi disse: « Sono povero; vivo facendo il medico; ma se qualcuno ha gli occhi malati, volentieri lo curo gratis >>.Gli portammo una vecchia fruttivendola che da molti anni aveva gli occhi malati, ed egli le pulì gli occhi e le diede una boccettina con le gocce e le spiegò come si usavano. Poi disse ai presenti (eravamo solo un gruppo di ragazzi): « Ricordate ai vostri genitori che il voto è .. segreto >>.E se ne andò. Ma l'elezione del Principe era talmente sicura, anche a giudicare dalle folle festanti che l'avevano salutato nel suo rapidissimo giro elettorale, che le autorità e l'amministrazione del Feudo annunziarono in anticipo tutto un programma per la celebrazione dell'immancabile vittoria. Mio padre, secondo gli accordi presi con i fratelli, si astenne dal parteggiare per l'uno o l'altro candidato, ma riuscì a farsi includere tra gli scrutatori dei risultati. Grande fu la sorpresa di tutti allorché fu reso noto che nel segreto delle cabine elettorali l'enorm~ maggioranza degli elettori aveva votato contro il Principe e per lo sconosciuto medico oculista. Grande fu lo scandalo. Le autorità lo definirono addirittura un abietto tradimento. E quel ch'è peggio, esso era in • proporzioni tali da interdire ali'amministrazione del Feudo ogni possibilità di rappresaglia contro singoli contadini. A mo' di risarcimento il Principe fu però nominato senatore del re. Dopodiché la vita sociale riprese le sue forme co.nsuete. 20 BibliotecaGinoBianco

:t-.J"essunsoi chiese: perché la libera volontà dei cittadini non può manifostarsi che in espressioni sporadiche? Perché non si potrebbe riorganiz_zare su di essa, in maniera permanente e stabile, la vita pubblica? A tanto nessuno arrivava. Ad ogni modo, non sarebbe esatto credere, dando una falsa interpretazione dell'episodio ora da me ricordato, che l'impedimento maggiore fosse la paura. La nostra gente chiunque la conosce sa che non è mai stata vile, fiacca, o molle. La rigidità del clima, la pesantezza del lavoro, l'asprezza delle condizioni della lotta per la vita l'hanno anzi resa una tra le popolazioni italiane più tenaci, più dure e resistenti. L'enigma non poteva dunque essere spiegato dalla paura, ma da qualcosa d'altro. Ed infatti le nostre cronache politiche, più ancora che di sorprendenti risultati elettorali consentiti dal segreto delle urne, ricordano numerose rivolte, brevi e localizzate, ma violente, distruggitrici, quasi selvagge. Gli animi umiliati e offesi erano capaci di subire senza lamentarsi i peggiori soprusi, ma poi esplodevano in occasioni impreviste. Il mio comune nativo, nell'epoca alla quale ora mi riferisco, contava circa cinquemila abitanti e l'ordine pubblico vi era custodito da una ventina di carabinieri comandati da un tenente. 4 • Questo elevato numero -di gendarmi era di per sé rivelatore. Tra i soldati e i carabinieri, durante la prima guerra mondiale, non correva un'eccessiva simpatia, essendo questi ultimi addetti ai servizi di retrovia e ve n'erano anche, come si raccontava, che nell'interno del paese si occupavano un po' troppo assiduamente delle mogli e delle fidanzate dei mili21 BibliotecaGinoBianco •

tari lontani. Nei piccoli centri queste dicerie equivalgono subito a indicazioni personali assai precise. Così unà sera avvenne che tre soldati, tornati in breve licenza direttamente dal fronte, ebbero un di:verbio per motivi di gelosia con alcuni carabinieri, e da g{iesti furono messi in arresto. Il provvedimento, di per sé già ridicolo e poco cavalleresco, divenne addirittura mostruoso con la decisione del comandante dei carabinieri di sospendere la licenza dei tre soldati e di rinviarli al fronte. Essendo io particolarmente amico d'uno di essi (poi morto in guerra), la sua vecchia madre venne piangendo a riferirmi l'ingiustizia di cui stava per essere vittima suo figlio. Il sindaco, il pretore, il parroco, da me sollecitati ad intervenire, si dichiararono incompetenti. - Se è così - io dichiarai - non ci resta che la rivoluzione! Ci si è sempre serviti di questo fatale termine storico, nel nostro dialetto, anche per designare una semplice dimostrazione violenta. In quel periodo di guerra, ad esempio, nel mio comune nativo avevano già avuto luogo due « rivoluzioni», la prima contro il municipio per il tesseramento del pane, la seconda contro la chiesa per il trasferimento in altro comune della sede vescovile. La terza dimostrazione violenta, di cui ora sto narrando, passò poi alle cronache come « la rivoluzione dei tre soldati ». Poiché i tre soldati dovevano essere scortati al treno delle ore diciassette, la « rivoluzione » fu fissata per mezz'ora prima, davanti alla caserma. E disgraziatamente essa ebbe uno svolgimento più grave di quello che fosse nei nostri intenti. Cominciò come uno scherzo, poiché bastammo, per scatenar fa, pochi ragazzi: uno che, .al momento giusto, salì sul campanile e cominciò a suonare a martello la campana grande, come da noi si usa in caso di 22 BibliotecaG1noBianco

grave incendio o d'altro -pericolo pubblico; e altri che, per spiegare di che si trattasse e incamminarli verso la -caserma, andammo incontro ai contadini allarmati dalla campana a martello e accorrenti verso l'abitato. In pochi minuti si radunò davanti alla caserma dei carabinieri una folla minacciosa e tumultuante. Dalle grida si passò assai presto alle sassate e dalle sassate ai colpi di fucile. L'assedio della caserma durò fino a tardi. Il furore aveva reso i miei paesani irriconoscibili. Per finire, le finestre e le porte della caserma furono infrante; i carabinieri, protetti dall'oscurità, si salvarono con la fuga attraverso gli orti e i campi; e i tre soldati, ai quali più nessuno pensava, se ne tornarono inosservati a casa loro. Per un'intera" notte noi ragazzi rimanemmo così padroni assoluti del luogo. Ci radunammo sulla sommità della collina che sovrastava la caserma. Era una collina arida, sassosa, con grandi buche e cespugli di cardi, di ginestre, di rose selvatiche, territorio ben noto ai nostri giuochi e sfide. La notte era chiara e solenne; e si levò una brezza che ci portò dalla montagna odori d'erbe selvatiche. Nel contarci scoprimmo che uno dei « nostri » era stato ferito al braccio da un colpo di fucile; e noi, invece di pensare subito al medico, lo guardavamo con invidia. « Come hai fatto ? » gli chiedevamo. Ed egli sorrideva lusingato e non ci rispondeva, come se fosse un segreto. Ai piedi della collina, intanto, ogni agitazione pareva assopita) le vie erano deserte; ma due o tre madri ogni tanto si sporgevano dalla finestra di casa e chiamavano i figli ancora non rincasati, li chiamavano con grida prolungate, perché la voce arrivasse fin sulla collina, e li chiamavano, li invocavano, li supplicavano coi diminutivi affettuosi dell'uso familiare. 23 BibliotecaGinoBianco

- Le mamme sono veramente assurde - si scusò con noi uno dei chiamati. - Ci rendono ridicoli - aggiunse un altro. A me la brezza della montagna stava facendo però un al- , tro effetto, e gli altri s'accorsero del mio imbarazzo. - Adesso che f3:cciamo? - gli altri ragazzi volevano sapere da me. (La mia autorità più che altro, veniva dal fatto che sapevo il latit?-o). - Domani mattina - io dissi - certamente il paese ~arà rioccupato da centinaia e centinaia di armati, carabinieri e poliziotti, che arriveranno da Avezzano, da Sulmona, da Aquila, e forse anche da Roma. - Ma prima che essi arrivino, questa notte, noi che fac- · ciamo? - questo gli altri ragazzi volevano sapere da me. - Una sola notte evidentemente non basta - io dissi credendo d'indovinare il loro desiderio - per creare un vero ordine nuovo. - Non si potrebbe approfittare del fatto che tutto il paese dorme, per fare il socialismo? - questo gli altri ragazzi volevano sapere da me. Essi avevano udito quella parola da poco, senz'afferrarne il significato; e forse essi erano ancora un po' esaltati dal tumulto della sera; forse essi pensavano che ormai tutto fosse possibile. - Non credo - io dovetti rispondere - veramente non cred·o, anche se tutto il paese dorme, che una sola notte possa bastare per fare il socialismo. - A mia discolpa ora devo dire che la teoria del socialismo in una sola notte e in un solo villaggio a quell'epoca non era stata ancora elaborata. - Una sola notte potrebbe bastare per dornire nel proprio letto prima di andare in carcere - suggerì infine uno dei presenti. 24 BibliotecaGinoBianco

E siccome eravamo stanchi, quel consiglio fu trovato da noi tutti giudizioso e tempestivo. 5 Simili episodi di violenza, con l'inevitabile seguito di arresti in massa, di processi, di esorbitanti spese giudiziarie, di condanne penali, rafforzavano negli animi dei contadini, come è facile immaginarsi, la sfiducia, la diffidenza, la rassegnazione. Lo Stato riacquistava i suoi connotati d'irrimediabile creazione del diavolo. Un buon cristiano, se vuol salvarsi l'anima, eviti pertanto il più che sia possibile ogni contatto con esso. Lo Stato è sempre ruberia, camorra, privilegio, e non può essere altro. Né la legge né la forza possono cambiarlo. Se il castigo talvolta lo colpisce, è per disposizione di Dio. Nel 1915 un violentissimo terremoto distrusse buona parte della nostra provincia e in trenta secondi uccise circa cinquantamila persone. Q~el che più mi sorprese: fu di osservare con quanta naturalezza i miei paesani accettassero la tremenda catastrofe. Le complicate spiegazioni dei geologi, divulgate dai giornali, suscitavano il loro disprezzo. In una contrada come la nostra, in cui tante ingiustizie rimanevano impunite, la frequenza dei terremoti appariva un fatto talmente plausibile da non richiedere ulteriori spiegazioni. C'era anzi da stupirsi che i terremoti non capitassero più spesso. Nel terremoto morivano infatti ricchi e poveri, istruiti e analfabeti, autorità e sudditi. Il terremoto realizzava quello che la legge a parole prometteva e nei fatti non manteneva: l'uguaglianza di tU;tti. Una nostra vicina di casa, una fornaia, in seguito al terremoto nmase alcuni giorni sepolta, 25 BibliotecaGinoBianco

benché illesa, sotto la sua casa interamente distrutta. Non essendosi resa conto che trattavasi d'un disastro generale e supponendo che solo la sua abitazione, per qualche difetto di costruzione. o per qualche malocchio d'invidiasi, fosse crollata, la poveretta assai si angustiava; dimodoché, allorquando un gruppo di soccorritori volle tirarla fuori dalle macerie, essa _ da principio recisamente si rifiutò di uscirne. Si rasserenò tuttavia, e riacquistò rapidamente vigore e voglia pi vivere e ricostruirsi una nuova casa, appena apprese che si trattava del terremoto e che le case crollate erano di un numero sterminato. Non è dunque da stupire se quello che avvenne dopo il terremoto, e cioè la ricostruzione edilizia per opera dello Stato a causa del modo come fo effettuata, dei numerosi brogli, frodi, furti, camor-re, truffe, malversazioni e infamie d'ogni specie cui diede luogo, apparve alla povera gente una calamità assai più penosa del éataclisma naturale .. A quel tempo risale l'origine della mia convinzione che, se l'umanità una buona volta dovrà rimetterci la pelle, non sarà in un terremoto o in una guerra, ma in un dopo-terremoto o in un dopoguerra. Mi sia consentito di raccontare quell'esperienza nei suoi particolari. Un mio conoscente, licenziato da uno di quegli uffici statali incaricati della ricostruzione, mi rivelò un certo numero di dati precisi che costituivano altrettanto reati degli ingegneri dirigenti dell'ufficio. Nient'affatto sorpreso (non ero più un bambino) e pure assai impressionato, mi affrettai a parlarne con alcune persone autorevoli, che conoscevo come probe• e oneste, perché denunziassero i crimini. Non solo quei galantuomini da me consultati non ne contestavano la autenticità, ma essi stessi 26 BibliotecaGinoBianco

erano in grado di confermarla; ~uttavia mi sconsigliarono di «impicciarmi di quei fatti », e aggiungevano affettuosamente: - Devi terminare gli studi, devi crearti una posizione, non devi comprometterti in affari che non ti riguardano. - Volentieri - rispondevo. - Certo è preferibile che la denunzia non parta da un ragazzo di diciassette anni, ma da persone adulte e autorevoli. - Noi non,,.siamo mica pazzi - mi rispondevano indignati quei gentiluomini. - Noi intendiamo occuparci unicamente dei fatti nostri e di nient'altro. Ne parlai allora con alcuni reverendi sacerdoti, e anche con qualche parente più coraggioso, e tutti rivelandomi di essere più o meno al corrente di quelle turpitudini, mi scongiuravano di non intromettermi in quel vespaio, di pensare agli studi, alla carriera, all'avvenire. - Con piacere - io rispondevo; - ma qualcuno di voi è disposto a denunziare i ladri ? - Noi non siamo mica pazzi - essi mi rispondevano scandalizzati. - Sono affari che non ci riguardano. Cominciai aHora a riflettere seriamente sull'opportunità di promuovere, con qualche ragazzo, una nuova «rivoluzione» che si concludesse in un bell'incendìo degli uffici; ma il conoscente che mi aveva fornito la documèntazione sulle malefatte dagli ingegneri, mi dissuase dal farlo, per non distruggere la prova stessa dei reati. Egli aveva più anni e più esperienza di me; e mi suggerì di formulare la denuncia su qualche giornale. Ma quale giornale ? «Ve n'è uno solo » , il mio conoscente mi spiegò, « che può avere interesse ad ospitare una simile denuncia, ed è il giornale dei socialisti ». Fu così che io scrissi tre articoli (i primi articoli della mia vita) per esporre e documentare minuziosamente i loschi af27 ,,,BibliotecaGinoBianco ,,

fari degli ingegneri statali nella mia contrada, e li spedii all'Avanti! I primi due articoli furono subita stampati e suscitarono grande scalpore presso il pubblico dei lettori, ma alcuno presso le autorità. Il terzo articolo non apparve, come seppi più tardi, per l'intervento presso la redazione di un autorevole socialista. .In tal guisa appresi che il sistema d'inganno e di frode che ci opprimeva era assai più vasto di quello che appariva, e aveva invisibili ramificazioni anche tra i notabili del socialismo. La parziale denuncia, avvenuta di sorpresa, conteneva però materia per vari processi, o almeno per ~ma inchiesta ministeriale; invece non avvenne nulla. Da parte degli ingegneri, da me denunziati come ladri e accusati di fatti esplicitamente indicati, non vi fu neppure il tentativo di una rettifica o di una generica smentita. Dopo una breve attesa, ognuno tornò a pensare ai fatti propri. lo studente che aveva osato lanciare la sfida fu considerato, dai più benevoli, ragazzo impulsivo e strambo. Bisogna tener conto che la povertà economica delle province meridionali offre scarse possibilità di sviluppo ai •giovani che ogni anno a migliaia escono dalle scuole. La sola nostra grande industria. era, e rimane, l'impiego di Staro. Ciò non richiede eccezionali qualità d'intelligenza, ma docilità di carattere e conformismo politico. I giovani meridionali, cresciuti in un ambiente come quello da me ora rapidamente tratteggiato, se hanno un minimo di fierezza e una qualche umana sensibilità, tendono naturalmente all'anarchia e aila ribellione. L'accésso all'impiego di Stato comporta dunque per essi, ancora sulla soglia della gioventù, una rinunzia, una capitolazione, e la mortificazione dell'anima. Perciò s1 usa dire ed è 28 BibliotecaGinoBiance

il vero fondamento della società meridionale: anarchici a vent'anni, conservatori a trenta. L'educazione che si riceve nelle scuole~ sia pubbliche che private, non è concepita d'altronde, per irrobustire il caratter~. Dalla mia adolescenza ad oggi la situazione è in parte mutata, ma non migliorata. Una buona parte delle classi ginnasiali e liceali io le ho frequentate presso istituti privati cattolici. L'istruzione umanistica che vi veniva impartita era eccellente; l'educazione del costume privato o intimo, ingenua e pulita; ma l'istruzione e l'educazione civile addirittura pessima, in parte per il conflitto ancora aperto tra Stato e Chiesa. Così, ad esempio, l'insegnamento della storia era esplicitamente critico verso il conformismo ufficiale; la mitologia risorgimentale e i suoi eroi (Mazzini, Garibaldi, Vittorio Emanuele II, Cavour) erano oggetti di dileggio e denigrazione; la letteratura allora prevalente (Carducci, D'Annunzio) disprezzata. E in un certo senso, sviluppando lo spirito critico degli allievi, quell'insegnamento comportava anche alcuni vantaggi. Ma gli stessi professori clericali, poiché dovevano prepararci agli esami delle scuole pubbliche e dai nostri risultati dipendevano la fama e la prosperità dei loro istituti, ci insegnavano anche, e ci raccomandavano per gli esami, le tesi contrarie al proprio convincimento. E, d'altra parte, gli esaminatori delle scuole di Stato, conoscendo la nostra provenienza da scuole confessionali, si dilettavano ad interrogarci sui temi più polemici, e ironicamente poi assai ci lodavano per la liberale spregiudicatezza dell'insegnamento ricevuto. La falsità, l'ipocrisia, la doppiezza dell'espediente erano troppo sfacciate per non suscitare un comprensibile turbamento in chunque portasse in sé un po' d'amore per la cultura. Ma era anche inevitabile che la media dei malcapi29 BibliotecaGinoBianco • •

tati allievi finissero col concepire i diplomi, e il futuro impiego, come le realtà supreme della vita. 6 «Quelli che nascono in questa contrada sono veramente disgraziati», mi ripeteva il Dr F. J., un medico di un villaggio vicino al mio paese. «Qui non c'è via di mezzo: o ribellarsi o essere complici ». Egli si ribellò. Si dichiarò anarchico. Tenne discorsi tolstoiani alla povera gente. Fu lo scandalo dell'intera contrada. Odiato dai ricchi, deriso dai poveri, compatito in segreto solo da pochi. Gli fu infine tolto il posto di medico condotto e morì letteralmente di fame. Il suo destino serviva d'esempio nelle buone famiglie. « Se non mettete giudizio », dicevano le madri ai figli, « finirete come quel pazzo ». Mi rendo conto che l'itinerario da me qui ricostituito è troppo lineare per non apparire forzato. E se ora anticpo questa obbiezione hon è per confutarla e giurare sulla assoluta verità delle mie spiegazioni: posso soltanto garantirne la sincerità, non l'obbiettività. Io stesso, rievocando con i miei coetanei quell'epoca della nostra vita, per tutte le sciagure successive, ormai così remota da seff!brarci preistorica, sono talvolta stupito ch'essi non abbiano alcun ricordo, o assai pallido, degli episodi che su me esercitarono influenza decisiva; e viceversa conservino lucida memoria d'altre circostanze, per me futili e insignificanti. Sono essi, quei miei coetanei, tutti « complici incoscienti » ? E per quale destino o virtù, ad una certa età, si compie la grave scelta, si diventa « complici o ribelli » ? Scegliamo o siamo scelti ? Donde viene ad alcuni 30 BibliotecaG1n0B ianco

quell'irresistibile insofferenza dell'ingiustizia, anche se colpisce altri? E quell'improvviso rimorso d'assidersi ad una tavola imbandita, mentre i vicini di casa non hanno di che sfamarsi? E quella fierezza che rende la miseria il carcere l'esilio preferibili al disprezzo ? Non so. Forse nessuno lo sa. Anche la confessione più diffusa e approfondita diventa ad un certo punto, semplice constatazione o descrizione, non risposta. Ognuno che abbia seriamente riflettuto su se stesso e sugli altri, sa quanto certe deliberazioni siano segrete, e certe vocazioni misteriose e incontrollabili. Vi era nella mia ribellione un punto in cui l'odio e l'amore coincidevano: · sia i fatti che giustificavano l'indignazione come i motivi morali che l'esigevano, mi erano dati dalla contrada nativa. Così mi spiego anche perché tutto quello che finora m'è avvenuto di scrivere, e probabilmente tutto quello che ancora scriverò, benché io abbia anche viaggiato e vissuto a lungo all'estero, si riferisca unicamente, invariabilmente a quella parte di essa che con lo sguardo si poteva abbracciare dalla casa in cui nacqui, e che non misura più di trenta o quaranta chilometri in un senso e nell'altro. È una contrada, come il resto d'Abruzzo, povera di storia civile, e di formazione quasi interamente cristiana e medievale. Non ha altri monumenti degni di nota che chiese e conventi. Per molti secoli p.on ha avuto altri figli illustri che santi e scalpellini. la condizione dell'esistenza umana vi è sempre stata particolarmente penosa; il dolore vi è sempre stato accettato come la prima delle fatalità naturali; e la Croce, in tal senso, accolta e onorata. Agli spiriti vivi le forme più accessibili di ribellione al destino sono sempre state, nella nostra terra, il francescanesimo e l'anarchia. Pres31 BibliotecaGinoBianco

so i più sofferenti, sotto la cenere dello scetticismo, non s'è mai spenta l'antica speranza del Regno, l'antica attesa della carità che sostituisca la legge, l'antico sogno di Gioacchino da Fiore, degli spirituali, dei celestini. E questo è un fatto d'importanza enorme, fondamentale, sul quale nessuno ancora ha riflettuto abbastanza. In un paese deluso, arido, esaurito, stanco come il nostro, questa è una ricchezza autentica, una miracolosa riserva. I politici l'ignorano, i chierici la temono, e forse solo i santi potranno· mettervi mano. Invece assai più ardua, se non inaccessibile, è sempre stata tra noi la percezione delle vie e dei mezzi per una rivoluzione politica, hinc et nunc, creatrice di società libere e ordinate. A questa scoperta io credetti di arrivare, dopo il mio trasferimento in città, al primo contatto col movimento operaio. Fu una specie di fuga, di uscita di sicurezza, da una solitudine insopportabile, un « terra ! terra ! », la scoperta d'un nuovo continente. Ma la conciliazione d'uno stato d'animo di ammutinamento morale contro una vecchia realtà sociale inaccettabile, con le esigenze « scientifiche » di una dottrina politica minutamente codificata, non fu agevole. Poiché, forse non c'è nemmeno bisogno di dirlo, l'adesione al partito della rivoluzione proletaria non è da confondere con la semplice iscrizione ad un partito politico. Per me, come per molti altri, fu una conversione, un impegno integrale. Erano ancora i tempi in cui il dichiararsi socialista o comunista equi~leva a gettarsi allo sbaraglio, rompere con i propri parenti e amici, non trovare impiego. Le conseguenze materiali furono dunque aspre e deleterie, e le difficoltà dell'adattamento spirituale, non meno dolorose. Il proprio mondo interno, il « medioevo » ereditato e radicato nell'anima, e da cu1, in ultima analisi, derivava lo stesso iniziale impulso della 32 BibliotecaGinoBianco

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