Ignazio Silone - Uscita di sicurezza

- L'ho fatto con mio grande rammarico - così il pretore, alcuni giorni dopo, si scusava in casa nostra. - Parola d'onore, credetemi, mi è assai dispiaciuto. Ma se, come privato cittadino, avendo io stesso assistito al disgustoso fattaccio, non potevo non riprovarlo, come giudice dovevo però_ attenermi alle risultanze processuali; ed esse purtroppo, come sapete, sono state favorevoli al cane. Un vero giudice - quell'onesto pretore amava sentenziare - deve saper far tacere i propri sentimenti egoistici, ed essere imparziale. - Certo - commentava mia madre - ma che orribile mestiere. Meglio badare ai fatti nostri m casa nostra. Figlio mio, - diceva a me - quando sarai grande, fa tutto quello che ti pare, ma non il giudice. Di piccoli episodi esemplari, analoghi a quel processo del cane padronale e della ·serva, ne conservo altri dolorosamente incisi nella memoria. Ma non vorrei, con simili storie, ingenerare il dubbio che da noi i sublimi concetti di giustizia e verità fossero ignorati o vilipesi; ah, tutt'altro. A scuola, in chiesa e nelle manifestazioni pubbliche se ne parlava spesso e con altissima eloquenza e ostentata venerazione. Ma in termini piuttosto astratti. Per caratterizzare meglio quella strana e veramente curiosa nostra situazione, e affinché non sia confusa con altre, di civiltà più arretrata, devo aggiungere che essa riposava su un inganno di cui tutti, per.fino i bambini, erano coscienti; e tuttavia essa durava, assisa dunque su qualche cosa d'altro che la stupidità o ignoranza delle persone. Ricordo in proposito una vivace discussione sorta un giorno, nella mia classe di catechismo, tra i ragazzi che si preparavano alla cresima e il parroco. Ne fu causa una rap12 BibliotecaGinoBianco •

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