Ignazio Silone - Uscita di sicurezza

senza rendersi pienamente conto di quello che gli è successo. Manifestai a Togliatti l'intenzione di rimanere nel partito, esonerato da ogni attività politica; appena la salute me lo consentisse, avrei pot~to, tutt'al più, accettare qualche mansione secondaria, assistenziale o editoriale. Togliatti si dichiarò d'accordo. I motivi della mia perplessità erano assai complessi, politici e personali. C'era la polemica tra il partito e i tre espulsi, sulla stampa dell'emigrazione, che aveva assunto una asprezza e una volgarità inaudite. Uomini, fino a poco tempo prima, amici l'uno dell'altro, solidali nel comune pericolo, si chiamavano, reciprocamente, traditori, vigliacchi, bugiardi, opportunisti, ipocriti, e anche ladri, spie, venduti. L'effetto che produceva in me quella specie di letteratura, mi divenne palese, per via riflessa, un giorno che un industriale, degente nella mia stessa casa di cura, mi confessò di essere stanco della vita, ma di astenersi dal suicidio unicamente per il ribrezzo di quello che ne avrebbero detto i giornali. Anch'io inorridivo alla sola idea di compiere un atto, forse necessario, forse inevitabile, che avrebbe costretto persone, alle quali volevo bene, a ingiuriar.lI)i, calunniarmi, attaccarmi; e me? a rispondergli per le rime. Ah, se fosse stato possibile sparire in silenzio ! E c'era un motivo ancora più grave. Non è con facilità che ne parlo. Da più di due anni (dall'aprile del 1928) un mio fratello più giovane, l'ultimo che mi restava, era in carcere, in Italia, imputato di appartenenza al partito comunista illegale. Al momento dell'arresto egli era stato così duramente torturato da riceverne permanenti e atroci lesioni interne; e doveva attendere fino al 1932, nel penitenziario di Procida, la morte che ponesse fine al suo martirio. Ma un particolare che dà gravità di tragedia a quel destino, era che, almeno fino a quel momento 68 BibliotecaGinoBianco

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