Alfabeta - anno IV - n. 32 - gennaio 1982

Mensile di informazione .,, culturale Gennaio I 982 Numero 32 - Anno 4 Ure 2.500 Printed in Italy Edizioni Cooperativa Intrapresa Via Caposile. 2 20 I37 Milano Spedizione in abbonamento JX)Slale gruppo 111170 FONITCETRA :t: C?JtòJiò0 Niccolò Castiglioni Le favole di Esopo Salmo XIX disco fTL 70082 Ste-no ID•fl Polonia 13 dicembres, tampaitaliana Letteradei 420 da Rebibbia PerGaribald(iHugo) Lealtre e Rossanda CriticadiSchmitt Giuseppe Garibaldi 11ell'u11iformeche ponava ne~Uruguay. (Civica Raccolta delle Stampe. Milano). Discutere di letteratura Bouveresse, Maubon, Spinella,Porta, Leonetti Lyotard/ Lotmani:nterventiper Alfabeta Discutere di Letteratura (J. Bouveresse, M. Spinella, A. Porta, F. Leonetti, C. Maulbon) J•F. Lyotard: Intervento italiano * Blackout: Lettera del 420 eia R.WbWa * Cfr. Testo: Unguaggio teatrale e plNura, di J.M. Lotman; Commento al testo di Lotmm1, • S. Salvestroni Giappone: Minami Tacla (Intervista di A. Jouffroy) * C. Saletti: Verifiche fotografiche S. Vegetti Flnzi: Le altre secondo Rossana e altri * H. Muller: Le ceneri riff.tate F. Leonetti: Eros e Roma * A. Caronla, C. Formenti: Dalla parte del pubblico* R. Buglmal: Stile secondo Mao A. Dal Lago: Il fascino tardivo della guena * A. Bolaffi: Colloquio con Schmltt * M. Terni: La rivoluzione francese V. Nugo: Discono per Garlbaldl (1860) * Poesie (M. Mottolese, B. Meo, P. Perii■, G. Sica, C. VIiia) Lettere * Glomale del Glomal: Polonia 13 dicembre * Le Immagini: Garlbal• Bibliotecaginobianco

Leimmagini ·~---q~ui estonumero '•~~__, Garibaldi In principio, viene l'Eroe. È un Eroe buono, anzi òtfimo. t un Eroe che non ha chiesto di fare l'Eroe, ma piuttosto vi è costrello da/l'altrui infamia. D'Arra gnan. Il Conte di Montecristo. ·Dllpprima,• Egli è solo. Po,~ si ..meaerà a capo di altri aspirami eroi, strappàti dalla malvagità dei comemporanei alla loro condizione felice di normalità. L'Eroe è dunque w1 Giusto per amonomasia: le sue imprese sono volte all'instaurazione di un ordine migliore, di un'uguaglianza, della Libertà E poiché la Libertà è vessata, l'Eroe è un minoritario: Robin Hood, lvanhoe. E poiché l'Eroe è minoritario, le sue imprese sono colpi d'avventura, affronti all'impossibile, memorabilia. li suo quotidiano è l'imprevisto, il nomade, il fuggiasco. Al limite, il segreto: la Primula Rossa. Il risultato de/l'impresa è la vittoria, ma sempre unita con la bef fa: il debole invincibile contro il forte degradato. In seguito, viene l'Uomo. Uomo del Destino, o della Provvidenza, o della Gloria. La sua idemità è già prevista, basta solo riempirla di comenuti variabili. La fuga. Il viaggio. Il combauimenro in inferiorità numerica. L'impresa impossibile. Gli amori assolwi. Il Sommario Jacques Bouveresse Crisi senza nostalgia, Musi! pagina 3 Mario Spinella, Antonio Porta, Francesco Leonetti li piacere della conoscenza (Il piacere della lelleratura, a cura di Angelo Gttglielmi) pagina 4 Catherine Maubon Il nastro nero di Leiris (Le ruban au cou d'Olympia • L'Afrique FantOme,di Miche/ Leiris, Miroirs d'encres, di M. Beattjour; Miche/ Leiri$,numerospecialetle Il Verria cura di - Guido Neri) pagina 6 Blackout Lettera/appello da Rebibbia di 420 detenuti pagina 8 Jean François Lyotard Intervento italiano pagina 9 Linguaggio teatrale e pittura Simonetta Salvestroni Commento al testo di Lotman pagine 15-17 Alain Jouffroy (a cura di) Giappone: Minami Tada pagina 19 Carlo Saletli Verifiche fotografiche (La camera chiara. Nota sulla fotografia- Critica e Verità, di Ro/and Barthes; Fotografia e inconscio tecnologico, di F. Vaccari) pagina 20 Comunjcazione ai collaboratori di «Alfabeta» Le collaborazioni devono presentare i seguenti requisiti: a) che ogni articolo non sia più di una pagina del giornale. cioè al massimo di 7 cartelle di 2000 battute. con un'accettabilità fino a 9-IO cartelle (dovendo altrimenti procedere a tagli e rinvii prolungati); b) che il riferimento diretto sui libri inBibliotecag1nobianco sacrificio dei migliori. La vittoria. L'onore. Garibaldi è tutto qllesto. Garibaldi costrllisce la propria immagine sulla falsariga de~'Eroe romanzesco. D,il•résto, era amico•'di rOmanzieri, e rom'al1ziere(pur mediocre) lui stesso: Alessandro Dumas (padre e figlio, qllest'ulrimo persino partecipe all'impresa dei Mille); Vieto, Hugo; William Thackeray; Alphonse Didier; Charles Dickens e ceminaia d'altri. L'Uomo, insomma, è frullo di romanzo, e romanza sé medesimo: spesso sconfiuo, riesce ad apparire vincitore (solo in Sicilia vi è piena villoria); combaue con pochi contro molti, e li meue in scacco; salpa e sbarca di noue; si nasconde, si maschera, fugge. Veste come un Personaggio, agisce comr un Protagonista. Terzo tempo, il romanziere diviene romanzato. Tranne Manzoni, non c'è autore italiano che non racconti di lui. Professionisti, come Carducci, Pascoli, D'Annunzio; o Guerrazzi, Pascare/la, Aleardi, Nievo. O dileuami, nelle due schiere: garibaldini, e son quelli dei testi odierni per le scuole medie, Abba, Mercamini, Alberto e Jessie Mario, Guerzoni; o antigaribaldini, come il famigerato padre Bresciani, che tentò di distruggere la sua figura, alimentanSilvia Vegetti Finzi Le altre secondo Rossana e altri (Le altre, di R. Rossanda; Sesso e carattere, una ricerca di base, di O. Weininger; L 'imerprerazione dei sogni - Psicologia delle masse e analisi del/' lo, di S. Frettd; Elogio della psicanalisi, di S. Ferenczi; li piccolo Hans, nn. 28, 30, 31; Amame marina, di L. Irigaray) pagina 23 Alessandro Dal Lago Il fascino tarèllvo della guerra (Le categorie del «politico» - La diuatttra • Teoria del partigiano - Il custode della costituzione - Romamicismo politico, di Cari Schmill) pagina 25 Massimo Terni La rivoluzione francese (Le ricchezze, il progresso e la storia universale, di Turgot; lmroduction à la révolution française, di Barnave; Histoire socialiste de la révolution française, di J. Jaurès; L'antico regime e la rivo/11zio11ed,i A. de Tocqueville; The miti! of the french revolution, di A. Cobban; Penser la révolwion française, di F. Furet) pagina 27 Victor Hugo Discorso per Garibaldi (I 860) pagina 28 Giornale dei Giornali Polonia I3 dicembre A cura di lndex - Archivio Critico del- /' Informazione pagina 30 Poesie Marco Mottolese, Baldo Meo, Plinio Perilli, Gabriella Sica, Carlo Villa pagina 18 Finestre Heiner Milller Le ceneri rifiutate pagina IO Francesco Leonetti Eros e Roma pagina 20 Antonio Caronia, Carlo Formenti Dalla parte del pubblico pagina 22 dicati in apertura (con tutti i dati bibliografici. prezzo e pagine compresi) giunga a una sostanziale valutazione orientativa,insieme agli apporti teorici e critici dell'autore dell'articolo sul tema; c) che. insieme alla piena leggibilità di tipo espositivo piuttosto che saggistico. sia dato dove è utile e possibile un cenno di spiegazione o di richiamo ai problemi e agli accertamenti anteriori sull'argomento o sul campo. La maggiore ampiezza dell'articolo o il suo carattere non recensivo sono sempre done invece il mito. Infine, il ritorno al romanzo. L'Uomo perde il suo nome proprio, e rinasce in a/trrJi.Ritorna l'Eroe: Sandokan, il Cors~r<{·!veto: magari Con quDlche comaminazione cristologica di Verbo, Povertà, Purezza. Sandokan ha i tigrotti e Mompracem: piccioui e Caprera. La perla di Labuan: Anita, morta allo stesso ,nodo. L'amico Yanez: Bixio, colto, cinico, fumatore, mono in Malesia su una nave schiavista. Tremai Naik, l'indigeno: il Moro di Garibaldi, fedele seguace che per lui perde la vita. Corsari entrambi, entrambi libertadores. In testa a/l'assalto, con la spada e non con la pistola. E Sandokan riunirà i Ma(esi, come Garibaldi gli Italiani. Dal romanzo al romanzo, dunque, auraverso la Vita. La quale fòrse non solo è sogno, come si sttol dire: è sogno raccontato. Come il mio: che racconto di un sogno raccontato, e della possibilità di costruire infiniti, interminabili, inesauribili racconti. N.B. Lo dico, e mi scuso: le immagini sono traile dal mio prossimo Garibaldi, a fine febbraio per I' Electa. Roberto Bugliani Stile secondo Mao pagina 24 Omar Calabrese Angelo Bolaffi Colloquio con Schmi11 pagma 26 Lettere pagina 29 Le immagini Garibaldi alfabeta mensiledi informazioneculturale dellacooperativaAlfabeto Comitato tli direzione Nanni Balestrini, Omar Calabrese, Maria Corti, Gino Di Maggio, Umberto Eco, Francesco Leonetti, Antonio Porta1 Pier Aldo Rovatti, Gianni Sassi, Mario Spinella, Paolo Volponi Redazione Vincenzo Bonazza, Maurizio Ferraris. Carlo Fonnenti 1 Marisa Giuffra (segretariadi redazione), Bruno Trombetti (grafico) Art director Gianni Sassi Edizioni Intrapresa Cooperativa di promozione culturale Redazionee amministrazione Via Caposile 2, 20137 Milano Telefono (02) 592684 Coordinatoreeditoriale Gigi Noia Composizione GDB fotocomposizione, via Tagliamento 4, Milano,Tel. 5392546 Tipografia S.A.G.E. S.p.A., via S. 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Teatro di Porta Romana distribuisce Il Padre di August Strindberg regla di Mina Mezzadri scene e costumi di Enrico 1ob con Virginio Gazzolo e Delia Bartolucci Lo spettacolo italiano che ha sorpreso ~; al festival strindberghiano di Stoccolma Valeria Magli Banana Lumière testi di Nanni Balestrini regla di Lorenzo Vitalone musiche di John Cage e Walter Marchetti scene e costumi di Cinzia Ruggeri luci fantastiche di Piero Fogliati La figura di maggior spicco della new dance italiana in uno spettacolo che contamina poesia, musica e arti figurative per informazioni e programmazioni Teatro di Porta Romana ufficio organizzazione Corso di Porta Romana, 124 20122 Milano telefono: 582455-5483547 Avanguardie artistiche Volumi unici in edizione originale limitata Ristampe anastatiche delle più prestigiose pubblicazioni delle avanguardie artistiche. Edizioni Jean Michel Piace, Parigi (IRI) La Rt;olulion Surréaliste Collezione completa dal n° I del 1/12/1924 al n° 12 del 15/12/1929 Rilegato in un volume in piena tela con sopracopertina f.to 29,5 x20,5 • 528 pp. lir_e 80.000. (IR2) Le Surréalisme au servite de la ré-volution Collezione completa dal n° I del luglio I 930 al n° 6 del Maggio I933 Rilegato in piena tela con sopracopertina f.to 29,5 x20,5 • 407 pp. lire 80.000. (IR3) Revu.. de Depero Numero unico Futurista Campari 1931 Futurismo 1932 Dinamo Futurista 1933 Rilegato in piena tela f.to 32 X24 • 224 pp. lire 70.000. (IR4) L'Art PosW Futuriste a cura di Giovanni Lista Rilegatura in tela f.to 24,5x18,5 • 80 pp. lire 15.000 (IRS) Cobra bullelin pour la coordination des in-Yestigationsartistiqun Collezione completa dal n° 1 Anno 1948 al n° 10 Anno 1951 di cui i numeri 8 e 9 completamente inediti Rilegalo in piena tela f.to 32 x24 • 356 pp. lire 80.000. (IR6) Dada: Zuricll/Paris 1916 1922 Comprendente: i due numeri della rivista Cabaret Voltaire Dada numeri 1 e 8 Der Zeltweg numero unico Le Coeur à barbe Rilegato in piena tela f.to 32 x24 • 256 pp. lire 60.000. Gli ordini sono da effettuarsi tramite bollettino di Conto Corrente Postale specificando il codice del libro richiesto e intestandolo a lntn:presa Via Caposile 2 • 20137 Milano C.C.P. 15431208 li prezzo dei volumi i comprensivo di /. V.A. e spesepostali lmrapresa maUtng

Crissienza~Jalgia, Musil Questa nuova serie di scrilli vari fa •• seguito fl quella del 11. 3 I di Alfabeta (Gorga11i,Leo11e11iP, ortfl, Bflrilli). I f Austria dell'epoca Biedermaier • si distingue dalla maggioranza delle altre grandi potenze europee, e in particolare dalla sua rivale prussiana, per il fatto di essere riuscita a mantenere relativamente più a lungo che altrove un sistema di valori, uno stile di vita e delle forme di organizzazione sociale e politica che lo sviluppo della civiltà industriale stava rendendo più o meno inadatte e anacronistiche. Di conseguenza l'opposizione fra il laisser./aire e il laisser vivre austriaci e rattivismo e l'efficienza prussiane, e l'idea di una Kultur austriaca specifica, fondata sul culto dei valori più tradizionali, più umani e più attraenti di quelli della Zivilisarion tedesca, sono divenute un tema classico per gli intellettuali della doppia monarchia. È a proposito di questa concezione, che egli considera come ingenuità caratteristica che Musil nota, in L'annessione alla Germania (1919): cLo sguardo austriaco rideva, perché non aveva più muscoli sul volto. on c'è bisogno di negare che con ciò qualcosa di aristocratico, sommesso, misurato, scettico, ecc., ecc., entrò nella sfera viennese; ma pagato troppo caro. Se anche non si avesse di fronte nient'altro se non questa 'cultura viennese• col suo esprit de finesse, che si perverte sempre in FeuiJJetonismus, nient'altro se non questa aristocrazia, che non vorrebbe più tener separate forza e brutalità: sarebbe già abbastanza per desiderare di tuffarsi nell'agitazione tedesca». Agli occhi di Musil la famosa •Cultura austriaca•, di cui sottolinea il fatto che si sia potuta sviluppare solo all'interno di uno Stato che riunisce tanto rau.e che nazionalità differenti e che realizza una sintesi armoniosa sulla base degli apporti e delle influenze più diverse quando non antitetiche. corrisponde a cun errore prospettico dovuto al punto di vista viennese> ed in realtà dipende dal mito puro e semplice: cii discorso della cultura austriaca che dovrebbe prosperare con più forza sul terreno caratterizzato da un miscuglio di Stati nazionali meglio che altrove, questa missione della sancta Austria, cosi spesso affermata, era una teoria mai confermata; il fatto che essa si sarebbe ostinata a mantenersi salda. in contraddizione con la realtà, era la consolazione di persone che non potendo pagare il panettiere si saziavano di parole•. L'illusione proviene dal fatto che migliaia di individui dotati e colti e una «eccedenza di pensatori, poeti, attori. osti e barbieri• si suppone che rappresentino, in virtù di un ragionamento completamente fallace, l'equivalente di una reale cultura nazionale. L'cAustriaco di Buridano>, che esita fra le due bisacce di fieno della Federazione Danubiana e della Grande Germania, la seconda delle quali lo trasporta indiscutibilmente sul piano del contenuto calorico, mentre la pri- •ma emana un profumo spirituale nettamente più invitante, commette l'errore di attribuire unicamente alle circostanze e alla sfortuna storica il fatto che una nazione cosi eccezionalmente favorita come la sua dal punto di vista delle doti naturali e della cultura si sia rivelata cosi improduttiva e modesta nel campo delle realizzazioni tangibili! cL'errore si lascia esprimere cosi: uno stato non ha sfortuna. Oppure cosi: non ha talento. Ha forza e salute, oppure no; questa i l'unica cosa che può e non può avere. Poiché l'Austria non l'aveva, l'avevano gli austriaci dotati e colti (mediamente in una quantità che ci assicurerà un posto di rilievo in Germania), e non c'era la cultura austriaca. La cultura di uno Stato consiste nell'energia con cui colleziona libri e quadri e li rende accessihili. con cui fonda ~cuolc e istituti di ricerca, offre ad uomini dotati una base materiale ed assicura loro lo stimolo dovuto alla intensità di corrente della propria circolazione sanguigna; la cultura non consiste nell'ingegno, che pare suddiviso internazionalmente in misura equa, ma nello strato sottostante di tessuto sociale.> Culturae stato Nella sua comunicazione al Congrès lnternational des écrivains pour la défense de la culture, che ebbe luogo a Parigi nel 1935, Musi! difese l'idea - poco seducente per il genere di pubblico al quale si rivolgeva - che i soli 1 bllotecagu o 1anco ,cassiomi culturali• accettabili ·che a rigore si possano proporre sono purtroppo molto più deboli e imprecisi di quanto si preferisce credere. In particolare, contrariamente all'abitudine degli uomini politici di considerare cuna cultura dominante come il naturale bottino della loro politica, come un tempo le donne toccavano ai vincitori>, la cultura non è mai il prodotto diretto dell'azione dello Stato: «La cultura di uno stato non esiste come media della cultura e dell'intelligenz.a dei suoi abitanti, ma dipende dalla propria struttura sociale e dalle più diverse circostanze. Non è fatta della produzione di valori spirituali per ragion di Stato, ma della creazione di istituzioni che facilitano la loro produzione ai singoli uomini ed assicurano ai nuovi valori spirituali la possibilità di avere degli effetti. Questo è veramente quasi tutto •ciòche uno Stato può fare per la cultura; deve essere un corpo robusto e pronto che ospita lo spirito>.· Al contrario anche se si pensa al caso dei regimi particolarmente autoritari e ostili alla cultura, non è facile immaginare una infrastruttur3 sociale e politica che renda intrinsecamente impossibile la formazione di un'autentica cultura. Parte della spiegazione di que!-to fenomeno sconcertante è trovata da Musil in una nota profetica di Nietzsche, nota che sembra aver segnato profondamente la sua riflessione sul problema della cultura contemporanea: eLa vittoria di un ideale morale si raggiunge con gli stessi mezzi immorali proprii di ogni vittoria: violenza, inganno, calunnia, ingiustizia». Giustificata o meno, la diagnosi formulata ne L'Uomo senza Qualità sul caso della filosofia corrisponde ad uno di quei paradossi culturali che rendono cosi difficile ed azzardata la formulazione esplicita di un reale programma di difesa della cultura: «Nei tempi di tirannia vi sono stati grandi filosofi, mentre nei tempi di progresso civile e di democrazia non c'è verso che si produca una filosofia convincente, almeno per quanto se ne può giudicare dal rammarico che si sente universalmente esprimere a questo proposito. Perciò oggi si filosofeggia moltissimo al minuto, cosl che le botteghe sono i soli luoghi dove si può comprendere qualcosa senza una Welumschauung, mentre regna una pronunciata diffidenza contro la filosofia all'ingrosso.> In altri termini, se sappiamo pressapoco quali sono le qualità individuali che costituiscono dei «presupposti psicologici indispensabili• per lo sviluppo di una cultura: libertà, franchigia, coraggio, incorruttibilità, amore della verità, ecc., ignoriamo per contro quasi completamente attraverso quali mezzi, diretti o indiretti, nobili o disprezzabili, esse possano venir suscitate o fortificate. Musil nota come «se tali qualità non vengono spinte in tutti gli uomini da un regime politico, non vengono alla luce, anche in talenti particolari>. Agire sulla conoscenza delle condizioni sociali che rendono possibile la realizzazione di questo presupposto fondamentale potrà dunque ben «essere l'unica cosa che si lasci ottenere con mezzi non politici, per l'autodifesa della cultura». Questa concezione originale delle relazioni che esistono fra la cultura ed i soui presupposti materiali, sociali o politici, è d'una importanza cruciale per comprendere il giudizio che Musi!• formula sul mondo contemporaneo, e in particolare il suo rifiuto sistematico ad annoverarsi nel coro dei nostalgici che deplorano il fatto che la civilizzazione industriale e tecnica abbia reso più o meno impossibile lo sviluppo di una reale cultura, distruggendo ciò che si è convenuto di chiamare !'«anima>, cioè ciò che si riduce, per l'autore de L'Uomo senza Qualità, ad una specie cli «grande buco> che abitualmente viene riempito con ideali e morale. In realtà non c'è nessun motivo per credere che un'epoca come la nostra non sia, come qualsiasi altra, in grado di produrre la propria cultura, anche se è vero che può essere tentata di trovare nella sua particolare situazione degli elementi che la portino a dubitare seriamente di questa possibilità. Per molti intellettuali austriaci, lo Stato moderno, la guerra industrializzata, la scienza mcgalomanica e la tecnica asservente sono divenute, ai loro occhi, i quattro cavalieri dell'Apocalisse, che seminano morte e rovina. La macchina è stata descritta come l'idolo moderno assetato di sangue, che esigerà in misura sempre maggiore sacrifici umani e alla quale l'uomo ha già consentito, ad ogni modo, il sacrificio pressoché completo della propria umanità. Wittgenstein nota, nel 1947, a proposito di quella che lui chiama «la concezione apocalittica del mondo>: «Ad esempio non è stupido pensare che l'era scientifica e tecnica è l'inizio della fine dell'umanità; che l'idea del grande progresso è un abbaglio, come anche quella della conoscenza finale della verità; che nella conoscenza scientifica non c'è niente di buono o di desiderabile e che l'umanità, che l'insegue, corre verso una trappola. Non è affatto chiaro che non sia cosi>. Ma, nello stesso tempo, un altro esito finale, che non è necessariamente più rassicurante, è concepibile: «Potrebbe darsi che la scienza e l'industria ed il loro progresso siano la cosa più permanente del mondo attuale. Che

tutte le congetture riguardanti il crollo della scienza e dell'industria non siano che un sogno, per il momento e per molto tempo ancora, e che scienza e industria uniranno la terra, dopo miserie infinite e con esse, voglio dire, la riuniranno in un uno, in cui sicuramente tutto sarà presente prima della pace. Poiché la scienza e l'industria decidono piuttosto la guerra, o così sembra» L'ambivalenza dell'atteggiamento di Wittgenstein si manifesta chiaramente nel suo modo in cui si espdme, nel 1946, sul problema della bomba atomica: «La paura isterica che l'opinione pubblica ora ha della bomba atomica, o almeno che esprime, è fra l'altro un segno che è stata fatta per una volta una scoperta utile. Per lo meno il timore ha l'effetto di una medicina amara davvero efficace. Non posso fare a meno di pensare: se non fossimo davanti a qualcosa di buono, i filistei non alzerebbero alcun grido. Ma forse anche questo è un pensiero infantile. Perché tutto ciò che posso pensare è che là bomba promette la fine,la distruzione, di un male mostruoso, della scienza ripugnante che sa di soluzione d'acqua saponata. !ò non si tratta certo di un pensiero spiàcevole; ma chi ci dice cosa seguirà ad una tale distruzione? Chi oggi parla contro la produzione della bomba fa certo parte della feccia dell'intelligenza, ma ciò non significa necessariamente che si 'debba lodare ciò che essi detestano». L'anima e la scienza Si potrebbe confrontare in una certa misura la reazione mitigata di Wittgenstein con quella di Ulrich, che è rimasto un ammiratore de!la scienza e dcli~ tecnica, .a.Ilequali ha smesso di interessarsi direttamente essenzialmente per delle ragioni negative, e cioè a causa delle persone che ledetestano, degli impulsi ai quali obbediscono e dei rimedi che essi propongono. Come nota ironicamente Musil è, in una certa misura, perché Galileo ed i suoi fratelli spirituali hanno considerato le cose con la sobrietà e la «superficialità» caratteristiche della scienza sperimentale che «ha dato origine- in brevissimo tempo, se usiamo le misure della storia - agli orari ferroviari, alle macchine utensiJi, alla psicologia fisiologica e alla corruzione morale del tempo presente, e ormai non si può porvi rimedio». La ragione per cui Ulrich mette fine al «saggio più importante» che egli ha compiuto per diventare un uomo di qualità è la scoperta del fatto che «anche nella scienza egli era come un alpinista che scavalca una catena dopo l'altra senza mai vedere una meta». In altri termini le soddisfazioni che si possono ottenere dalla pratica della scienza non sono in fondo sufficientemente diverse da quelle che si trovano nello sport o nella ginnastica per riuscire a dare un senso all'esistenza di un uomo il cui problema non è quello di continuare a sviluppare le sue capacità ed a migliorare le sue prestazioni, ma unicamente quello di scoprire l'uso che si può fare di ciò che si sa fare. Come nota Nietzsche a proposito del fatto che tutte le verità importanti della scienZa finiscono per diventare ordinarie e comuni, la soddisfazione estremamente ridotta che essa è in grado di procurare al non iniziato tende a sparire più o meno rapidamente. E «se la scienza procura per se stessa sempre meno piacere, ed anzi ne toglie sempre più, rendendo sospette la metafisica, la religione e l'arte consolatrici, ne risulta che questa grande sorgente di piacere alla quale l'uomo deve quasi tutta la sua umanità finisce per disseccarsi». Musil considera, come Niet?.Sche, il fatto che la scienza ha prodotto una sovrabbondanza di verità, ma non ha mai risolto il problema cruciale (che del resto non è il problema di coloro che la producono, ma piuttosto quello di coloro che la ricevono o la subiscono), cioè quello dell'interesse e del valore della verità stessa. Ma è chiaro che è questo problema che va risolto in un modo o in un altro e che i «combattenti dell'anima» non propongono niente che assomigli da vicino o da lontano ad una soluzione, dato che essi non sono manifestamente in grado più degli altri di dire «come sarebbe oggi una cultura o una religione o una comunità, se si assimilassero veramente nella loro sintesi i laboratori, gli aerei e i corpi sociali mummificati, e non si dessero semplicemente per scontati e sorpassati». Ciò che si dice l'«anima» è, in realtà, essenzialmente l'espressione della rasGaribaldi generale dell'esercito italiano. (Civ. Racc. delle Stampe, Milano). segnazione e dell'impotenza di un'epoca inferiore al suo compito e sovrastata dai suoi problemi: «semplicemente si vorrebbe che il presente si - superasse da sé. Incertezza, mancanza di energia, tinte pe-ssimistecaratterizzano tutto ciò che oggi è anima». È chiaro allora che se il problema fondamentale del nostro tempo è la ricerca di una sintesi «tra il pensiero scientifico e le esigenze dell'anima», esso non sarà certo risolto dalla negazione e dal rifiuto - ma solamente a condizione di accettare risolutamente i dati di fatto, cioè: «con un di più, un piano, una direzione di lavoro, un'altra valorizzazione della scienza e della poesia». Ma il problema è precisamente il fatto che «si è perso in sogno ciò che si è guadagnato in realtà>, e che la realtà ottenuta non assomiglia generalmente che da molto lontano a quella che costituiva l'oggetto del sogno. La nostra epoca, constata Musil, «è un'epoca di realizzazione, e la realizzazione è sempre una delusione; le manca la nostalgia per qualcosa che ancora non sa, mentre le batte nel cuore». Avendo trasformato alcune delle aspirazioni più utopiche delle epoche precedenti in una realtà banale e deludente, è normale che essa rivolga la sua nostalgia verso la cosa essenziale Discutere di letteratura che essa davvero non può fare e che, per questa ragione, non smette di sognare, e cioè precisamente di ritornare indietro e ritrovare ciò che essa pensa di aver perduto. Da ciò questo «immenso romanticismo spirituale che dal presente fugge per tutto il passato, in cerca del fiore azzurro della sicurezza perduta», dimenticando, fra l'altro, che l'amara realtà di oggi è proprio il prodotto delle inquietudini e dell'insoddisfazione di ieri, che la realtà ideale che noi vorremmo ritrovare deve il suo carattere ideale solo all'impressione che noi abbiamo di averla parduta, e che il passato al quale sognamo di ritornare non ha probabilmente mai avuto altra realtà di quella del sogno che 19 trasforma nel nostro impossibile avvenire. Dato che il bene più prezioso che il progresso scientifico e tecnico ha tolto all'uomo (che ha scelto del_iberatamente, scegliendo la scienza, la privazione spirituale, senza prevedere che l'avrebbe trovata un giorno intollerabile) è la fede, la nostalgia dell'epoca attuale si eprime essenzialmente in un bisogno di credere che è suscettibile di rivestire le forme religiose o profane più diverse e più sospette. Sembra che il cammino percorso dall'umanità sia quello di un declino progressivo al quale si tratta oggi di por fine: «Ci si è posti i seguenti stadi di decadenza: all'inizio c'è stata un'epoca che credeva con semplicità e fermezza a dio. Poi ne arrivò una che lo doveva provare con la ragione. Poi una, che si accontentò che la ragione non avesse nulla da provare contro di lui. E alla fine la nostra, che crederebbe in lui se lo potesse incontrare continuamente in un laboratorio». • Da ciò questo «mare di lamenti» che ha invaso la letteratura sulla distruzione dell'anima, la meccanizzazione dell'esistenza, la disumanizzazione dell'uomo, vittima degli eccessi della razionalità calcolatrice e tecnicista, il positivismo,· l'individualismo, l'egoismo e la ferocia dell'uomo contemporaneo. A un uomo che si è liberato dai legami organici tradizionali e che non beneficia più, di conseguenza, della sicurezza e della stabilità che essi gli procuravano, si propone come rimedio la regressione concertata e la restaurazione artificiale degli antichi valori: fede, semplicità, umanità, altruismo, civismo, solidarietà nazionale, ecc. Questa volontà di regressione e «questa situazione morale che non trova più in se stessa· il proprio sostegno e lo cerea dietro di sé (razza, nazione, religione, l'antica semplicità e forza, l'incorrotto bene) non costituiscono, per Musil, una soluzione erronea ed illusoria, ma il problema nuovo bello e buono che la nostra epoca deve risolvere e per il quale ancora non si intravvede una soluzione. La prima condizione richiesta perché Csso un giorno possa essere risolto è evidentemente che essa lo percepisca come il suo proprio problema e la sua mansione specifica. Il problema dell'epoca attuale è dunque un problema enorme di organizzazione spirituale, che per il momento non è risolto, in modo soddisfacente, che nella scienza, mentre tutt'intorno la produzione, il confronto e la combinazione degli elementi ideologici sono praticamente abbandonati al caso. Non c'è bisogno di dire che la soluzione di questo genere di problemi non può essere cercata in nessun modello anteriore e deve essere interamente inventata. A questo proposito come a molti altri la Caeania, «questo Stato dopo di allora sparito e rimasto incompreso, che fu esemplare per tanti aspetti, senza che gli si renda giustizia», è agli occhi di Musil niente meno che lo Stato moderno più avanzato: essa è la nazione in cui il j:,roblema è stato posto prima e con più chiarezza, in cui regnano le illusioni più caratreristiche sulla sua reale natura e in cui l'arte di non risolverlo ha raggiunto il suo più alto grado di perfezione, e cioè il genere di Stato cui è stato per la prima volta data la rivelazione dell'inutilità profonda di ogni specie di progetto o di ambizione, che non sussista che «per forza di abitudine», in equilibrio instabile fra il passato e il futuro e senza mai assumere il rischio di avanzare e di retrocedere. Saggio inedilo tradotto da Isabella Pezi.ini, in versione ridotta per cura redazionale. Il piacereM,d"'"""'""'~tnosc O piacere della letteratura Prosa italiana dagli anni 70 a oggi a cura di Angelo Guglielmi Milano, Feltrinelli, 1981 pp. 445, lire 15.000 Mario Spinella: La verginella è simile alla rosa... discutere il criterio di selettività, sempre opinabile, e del resto ampiamente giustificato dall'autore, quanto il senso stesso dell'operazione tentata. Dei dubbi che il suo lavoro avrebbe potuto suscitare Angelo Guglielmi appare pienamente consapevole, e mette- nella prefazione- come si suol dire «le mani avanti». «Si tratta - vi leggiamo - di una letteratura difficile e on il titolo Il piacere della letteratu- che fa risiedere la sua qualità negli ra, allusivamente ricalcato su ostacoli che oppone alta comprensione quello di Roland Barthes,/1 piace- del lettore. Scopo di questa antologia è re del testo, Angelo Guglielmi ha cura- di avvicinarla al lettore, facendolo to, per l'editore Feltrinelli, una anto- uscire dalla frustrazione che patisce». : logia della «prosa italiana dagli anni Frustrazione a parte, questo lettore ·~ '70 ad oggi», che si presenta esterior- di Guglielmi mi ha immediatamente ~ mente parallela a Poesia degli antri set- richiamato l'immagine di un me stesso "' tanta, pubblicata nella stessa collana scolaro delle medie inferiori, come si ~ da Antonio Porta. chiamavano allora, e di un'altra antoAngelo Guglielmi è critico intelli- logia, quella scolastica di prose e versi. gente e sottile; e lo dimostra nella inte- ove, tra l'altro, la poesia del Furioso ressantissima prefazione e nelle note era esemplificata attraverso le due illustrative ai singoli testi. È anche un «celebri» ottave che cominciano con ~ critico coraggioso, che ama il rischio di «La verginella è simile alla rosa». Ve- :: andare controcorrente. Non sorpren- ramente il mio testo et'a stato debita- ~ de perciò che abbia voluto lanciarsi mente espurgato, sostituendo- ad evi- ~ nella impresa spericolata di questo li- tare fantasie o domande pruriginose- ~ bro: del quale qui non si vuole tanto «giovinetta» a «verginella»: ma non di 81bliotecag1nob1anco questo particolare aneddotico si tratta. Per l'adolescente di allora la straordinaria tessitura del poema, cui non a caso Guglielmi fa riferimento a indicare quegli scrittori che «rovesciano la più comune nozione di letteratura come specchio della realtà in quella di letteratura come strumento di allar- !-!"111ento della rcalt:1». rimane scmpli- « t:ra l't!rt1me111esovrunuma cosa quella donna valorosa... »-Garibaldi. (Da «li Messia dei Popoli» di Balbiani). cemente inesistente, e Ludovico Ariosto rimase a lungo il poeta della rosa~ assai vicino a quello delll'«albero a cui tendevi la pargoletta mano». Fuor di metafora, e di paragone, la domanda preliminare e dirimente che questo lavoro di Guglielmi perciò mi propone verte sulla possibilità stessa di «antologizzare>, senza snaturarli, corpi narrativi, in versi o in prosa che siano, per la cui comprensione, e valutazione la complessa struttura, la costruzione, hanno per lo meno la medesima importanza delle singole parti o pagine. Avulse dall'ordine del discorso testuale, tanto più rigoroso e reso necessario quanto più lo scrittore, sia detto banalmente, è grande, le pagine, e vengano pur scelte con il massimo dell'intelligenza, non possono che appariredisiecta membra, frammenti e lacerti di un corpo che rimane inimmaginabile nel suo insieme. Con i riassunti delle opere narrative di maggior mole che Guglielmi fa precedere agli stralci da lui proposti, egli dimostra di essere ben consapevole di questo «ostacolo»: ma chiude gli occhi, si tappa il naso, e si tuffa. A soffrirne di più, ovviamente, sono proprio le opere più complesse e più ampiamente strutturate: di meno i racconti o gli articoli di giornale: sicché l'inclusione di questi ultimi, lungi dal poter far scandalo, appare funzionale al carattere stesso dell'operazione compiuta. Si dà infatti il caso che, appiattiti, per ragioni oggettive, in questo volumC, testi pur molto diversi, Scalfari e Pintor finiscano davvero per apparire più leggibili e godibili, poniamo, del Volponi di Corporale, o che, non a caso, il romanziere Moravia sia rappresentato da un servizio giornalistico, Sanguineti dal suo Giornalino, Malerba da un suo articolo sul Corriere della sera e via dicendo. Ciò che ne deriva è uno stravolgimento totale delle gerarchie dei valori e dei risultati, dal quale sì salvano unicamente-epourcause!- i soli autori antologizzati nei racconti: scritti, non meno di un articolo, in sé compiuti. Vi è, certamente, un'obiezione possibile a questi miei, certo pesanti, rilievi di metodo: che proprio questo Guglielmi si proporrebbe, affermare la maggiore validità e la maggior resa di

scritti brevi, compatti, al limite cdi occasione»,rispetto alle vaste costruzioni romanzesche, che avrebbero fatto, con i grandissimi della prima metà del secolo, il loro tempo. Sembra accedere, Guglielmi, a questa tesi, quando scrive: eNella ripristinata istituzione non vi sono più posizioni privilegiate, come accadeva una volta quando su tutte svettava la forma del romanro. Ora il romanzo è una delle tante opzioni; anzi, forse, la più trascurata, non perché sospettata di minore dignità, cbt tutte sono uguali, ma perché maggiormente compromessa con un passato di mistificazioni e di menzogna». Opinione più che rispenabile, certo: ma, premessa ad un'antologia come questa, non fa nascere almeno il sospetto che di essa Guglielmi voglia servirsi per giustificare l'inagibilità del suo tentativo proprio quando le sue scelte vengono a scontrarsi con il romanro, con la non smembrabile forma-romanw? Che, in altri termini sia, ancora una volta, il mezzo a condizionare, drasticamente, «il messaggio»? Antonio Porta:. Piacere o eccitazione? M a è davvero questa la critica degli anni ottanta? Non è inutile partire da certa critica per affrontare l'antologia di prosa e narrativa, dagli anni settanta a oggi, che Angelo Guglielmi ha pubblicato meno di due mesi fa. Serve a sgombrare il terreno da alcuni equivoci e tentare una lettura utile. Lo scritto di Lorenzo Mondo che ha dettato la domanda iniziale è intitolato <Ma sono davvero questi gli scrittori degli anni settanta?» e mi sembra cosi ricco di corti circuiti da potere essere eletto a emblema. segnale delle contraddizioni palesemente insolubili della critica <che con~ ta>. Primo corto circuito: la denuncia della presenza di <fantasmi• nell'antologia cguglielmina> {uso l'aggettivo di Arbasino perché <mi dà piacere•) viene cosi argomentata: <Passi per D'Arrigo che a metà del decennio ha condotto in porto la sua Orca dopo una caccia ventennale, ma soltanto dal punto di vista del lettore si possono assegnare a quella serie cronologica i nomi di Savinio, Morselli, Satta, Gadda (recuperato artificiosamente attraverso le belle pagine di Cananeo sul Gran L. 'llbardo), i loro libri sono stati scritti in anni precedenti ed anche prima del I 963 o del I 968 {Nuova Avanguardia e Sessantotto) date assunte dall'antologia a-fatato discrimine•. Il corto circuito principale riguarda subito il lettore. È ancora possibile essere convinti che vale più la data {difficile a volte stabilirla con sicurezza) della scrittura di un'opera di quella in cui essa comincia ad agire in pubblico, nella società? E da dove deriva una simile convinzione? La risposta mi pare semplice: da una ideologia assolutamente mandarinale della cultura, quella che tende a separare la scrittura dalla storia. Di qui la scatenata esclusione del lettore da una possibile partecipazione all'opera. Sembra veramente eccessivo: è ormai quasi un luogo comune che il lettore sia comunque, e a tutti i livelli, un co-autore. C'è dunque ancora chi pensa, contro una teoria assunta anche dal semplice buon senso {si, quello buono, caldo, come diceva Emst Bloch)che il lettore deve rimanere «senza voce». Cortocircuito secondario: è dello chiaramente da Guglielmi che egli non ba inteso assumere il 68 come data discriminante, fatata o meno che sia {è certo rassicurante crederla «fatata», ma questo i un altro discorso, anche se si intreccia ...) e che ha inteso invece <misurare» la temperatura degli anni 70 {ma certo, vengono dopo gli anni sessanta ...) seguendo certe trasformazioni di poetica e di scrittura indipendentemente dal 68. Che cosa si è dunque proposto il critico in questione con un simile fraintendimento? Difficile rispondere: forse voleva non lasciarsi scappare l'occasione di potere parlare male, ai suoi lettori, del Sessantotto e della Nuova Avanguardia, bestie che è meglio continuare a esorcizzare. Forse. Secondo cortocircuito, esterno-interno, si può dire. Come riesce il critico a fingere di non accorgersi che l'operazione di Angelo Guglielmi non è di clan? Come ci riesce, voglio dire, dal momento che alcuni «sospetti» membri del sospellatissimo clan (avanguardisti e sessantottisti, almeno in parte) hanno subito preso le distanze e con una certa quale durezza? Alberto Arbasino, appunto, che ha paragonalo Guglielmi al Colonnello Gheddafi (povero colonnello, gli italiani, in genere, non sanno che ripetere su di lui quello che dice l'ex-generale Haig ...), e Alfredo Giuliani che ha accusato Guglielmi, tra l'altro, di non avere contato su un riferimento significativo come il 68, tra l'altro ... Ma allora deve essere lo scritto di Lorenzo Mondo ad avere un retroterra pieno di fantasmi. È ancora il clan un tempo chiamato Gruppo 63 che fa paura? Viene davvero da sorridere ... E ci si chiede: ma chi sono i lettori di Lorenro Mondo? Solo quelli che hanno tanta paura e non escono più la sera? Ecco una funzione utile per il critico letterario di un quotidiano importante: rassicura/ore. Da questa funzione rassicuratrice l'ultimo corto circuito, quello finale: state tranquilli, si tratta solo di un gioco di società. Lo atto vitale in sé, come impegno totale della persona, quasi escludendo che ne scaturisse una conseguenza di piacere; e va sottolineato che il termine eccitazione veniva, e viene usato ora, mediandolo dalla fisica atomica che lo definisce come quel «processo elementare per cui una molecola, un atomo, ecc. passano, per assorbimento di energia, da uno stato energetico a un altro (staio eccitalo) ...• li lettore veniva dunque in qualche modo ca li urato dal testo, omologato al testo. Con il sessantollo {ed è vero che Guglielmi sottovaluta questo passaggio che c'è stato in narrativa anche se meno visibile che in poesia) il lellore sposta il peso dalla sua parte, lo scrittore avverte questa tensione e l'asseconda. Cerca di far passare la letteratura oltre il testo (andare al di là della letteratura) e non disdegna più il conceno di piacere {«viva soddisfazione che viene all'uomo dall'appagamento di appetiti, desideri, aspirazioni...>); progella cosi di soddisfare il lenore nel senso più nobile del termine, senza cioè assecondarne i cbassi istinti>, ai quali pensa già il marketing editoriale { eia storia della narrativa italiana di questi anni» mi scriveva Luciano Anceschi qualche tempo fa «è anche la storia di un'operazione di marketing fallita... •). li punto dove mi sembra prevalere l'opinione di Giuliani è questo: si tratO~U8!QOU!68~8lO!lq!8 campo magnetico e la direzione è presa... Concetto, come si sa da un pezzo, di difficile gestione, ma non è a causa dellasua difficoltàche lo si può rimuovere. A differenza degli uccelli migratori {o almeno a noi umani cosi sembra anche se ne sappiamo troppo poco ...) il gusto critico è formalo da infinite stratificazioni prodone da infinite letture: è, appunto, il gusto che deriva dalla competenza. Per questo si può dire che esso ha fondamenti oggettivi. Mi sembra certo che del gusto non si può fare a meno (come dell'orecchio in musica...) anche all'interno di sistemazioni critiche che aspirano alla «scientificità». Già, ma anche il gusto è un metodo e sono i risultati quelli che contano, direbbe subilo l'epistemologo «anarchico• Feyerabend ... Mi sono occupato di recente degli Ossi di seppia di Eugenio Montale. Ecco la domanda che prima o dopo un critico è costrello a porsi: che cosa distingue le poesie degli Ossi da quelle loro coeve, che in fondo partono dalle stesse premesse storico-socio-filosofiche? Ecco una risposta: come ha subilo notato De Robertisla decisione della loro pronuncia {mi riferisco a Romano Luperini, sul 900, già recensito su Alfabeta da Bugliani e Leoneni). Che cos'è la decisione? Non è forse una capacità di scegliere, un gusto più sicuro di altri? E lo stile non è figliodel gusto?. Le aree dominale dal marketing ne possono risultare perturbate? È a partire da queste perturbazioni che si può ricominciare a discutere di letteratura. Francesc:oLeonetti: L'episteme nel luogo specirlco della letteratura. N on sappiamo più con certezza che cosa la le11era1ura è. li suo valore cognitivo appare caduto (in generale, non nell'ambito del Lellerario). Ciò non significa che si 1ra11idi una manifestazione linguistica spuria, come tale mal definibile, diversa solo parzialmente dai media ... In difello d.i una nuova teoria, fin qui, spieghiamo e svolgiamo questi piccoli punti. La perdita di certezza {e d'identità, peculiarità, proprio campo e proprio rapporto col contesto) si presenta qui disciplinarmente in termini singolari. Mentre nel processo storico, per esempio, è il soggetto ora inteso come «decentrato• a farci diffidare della sua funzione pubblica, anche come Proletariato, e nella scienza è in questione il rapporto fra esperimento e teoria, da intendere assolutamente in termini di approssimazione, l'opera di letteratura e arte in quanto «orgia di emozioni> sino a poco fa possedeva una sua virtù nello stile. Cioè nell'impronta unitaria dell'organismo formale. Sia come manifestazione concreta sensibile dell"assoluto{conogni valore di ritorno di tale idea hegeliana), sia come cristallo dell'epoca e del gruppo o strato sociale (marxista), sia come misto del dionisiaco e dell'apollineo (nietzschiana), nelle ricorrenze novecentesche pure o combinate di queste definizioni c'era un punto di riferimento obbligatorio: il Bello: con ampliamento o rottura del suo canone o della sua soglia, con ricorso ali' carte simbolica» preistorica secon?o Hegel {presso Lukacs lellore di Benjamin) di fronte all'incomprensibilità delle avanguardie ... Già conviene considerare disastroso verso tutto ciò l'assunto di Marcuse, tramontato, che, dentro il fuoç<;!_del Sessantollo, colpiva l'armonia lelleraria artistica col termine d'accusa di «pulcrificazione»(e perciò svuotamento del conflillo). Ma di ciò, e di tulli i corni del periodo derivanti da qualunque uso dal basso, ora l'ignoranza e il ricorso storico han fatto spugna, rigetto, carcerario oblio ... Il pt1."i!illggiculi Gurihaldi clu/lc, Siàliu ul/11 Calabria. (Caricatura cli Mc11arelli«Mara» nel «Lm11pio11e»del 16 "gosto /862). Tornato attivo il lavoro di corrosione critica spregiudicata, dentro altri sistemi, risulta incerto lo stile ancora. A pensarci, già la nozione barthesiana di scrittura, con un suo degrado apparentemente utile, o l'uso svuotante avvenuto della «letterarietà» secondo Jakobson, o ancora la critica psicanalitica matura dopo Kris a ricercare lungo il confine Ira l'Io e l'Es, sono tulle compiute rotture d'una idea salda di letteratura; sono una postulazione di crisi, o di spostamento sotto la comunicazione {sorridendo dell'espressività di Bally) o sollo la psicologia; sono almeno una messa in difficoltà. dice proprio chi vorrebbe condurlo questo gioco di società. Si spengono tutte le luci e i lellori possono riposare senza incubi. Sgombrato, cosi spero, il campo dai giochi molto conservativi di una società che esclude i lellori come parli alli• ve del testo letterario, è necessario affrontare alcuni dei nodi teorico-critici che l'antologia di Angelo Guglielmi ci impone. Il primo di questi nodi è stato messo subito in luce dall'intervento di Alfredo Giuliani: che cosa significa piacere del testo o della letteratura? che cosa significa, soprattuttot servirsi di questo con.ceno per tracciare un ne·uo discrimine tra anni sessanta {anni di nuova avanguardia) e anni settanta (anni di ritorno alla leneratura)? e in questo passaggio il sessantotto non c'entra proprio per niente? Ora a me pare che occorra distinguere tra due concetti contigui ma non intercambiabili. Gli anni sessanta, nei lavori della nuova avanguardia, erano caratterizzati da un'ipotesi di accrescimento della vitalità (secondo la formula leopardiana ripresa da Giuliani nella prefazione ai Nuovissimi) dunque di eccitazione del testo (più che di appagamento) una eccitazione che si doveva trasmettere ai lettori (cui la nuova avanguardia sicu·ramente si rivolgeva, come tutte le avanguardie, per provocare o sconvolgere) come ta certamente di uno sviluppo, di un passaggio necessario tra anni sessanta e settanta piuttosto che di ripiegamento e riflusso. Naturalmente la tesi di Angelo Guglielmi non è di riflusso ma è vero che corre questo rischio, intreccialo a quella sollovalutazione del sessantotto cui ho accennato. Attenzione, però, sottovalutare non significa affatto svalutare: è una questione di grammi, forse, o di centimetri, ma bastano a produrre un lieve spostamento che può rivelarsi decisivo. E decisivo si rivela certamente in quell'ambito della scrittura che è stato detto «femminile». Ecco un problema degli anni settanta, e chiaramente postsessantott~- sco, che Guglielmi sembra riluttante a affrontare {tanto che preferisce, con onestà e chiarezza indubbie, <chiamare il lettore a una risposta» su questo tema dopo averne delineato per sommi capi i contorni. ..). Eccitazione, piacere ... contigui ma non sovrapponibili, cosi come il concetto di piacere sembra non potere fare a meno del criterio del gusto. E al proprio gusto, che ha certamente fondamenti oggenivi e di competenza, Angelo Guglielmi si affida con movimento, a volte, di sfida; il gusto è come il senso di orientamento che possiedono gli uccelli migratori: sanno dove puntare, basta loro un minimo segnale, una infinitesimale variazione di E il piacere, allora, non è figlio del gusto e dello stile? E non vi è ora un nuovo, u rinnovato, gusto del narrare nei prosatori scelti da Angelo Guglielmi per la sua antologia? E qui occorre sonolineare un fallo: al di là dei problemi che il lavoro di Guglielmi suscita, il libro, in quanto tale, lo si legge di gusto, e dà piacere. Anche i «saggisti», compresi quelli politici, inclusi, stanno dentro questo alveo del piacere di raccontare (e non è cerio una novità che i confini Ira il saggio e il racconto sono spesso cancellati). Siamo dunque lontani da una rivalutazione della <prosa d'arte• di rondiana memoria, come si potrebbe sospettare. Piacere, gusto, stile... Guglielmi si propone, e si dispone, come baluardo contro il kitsch che come sempre tende a dilagare, in tulle le società, e in particolare in quelle di massa, in quelle con tendenze imperiali ... Non può dunque fare a meno di equilibrarsi rischiosamente sul filo del confine. Di qui l'operazione forse più discutibile dell'antologia, il capitolo intitolato L'aeiouismo e riservato agli scrittori che sono precipitali al di là del confine, nell'inferno del kitsch, per l'appunto. Se del gusto non possiamo fare a meno, occorre delimitarne le zone di influenza anche in negativo, innalzare il cartello offlimits e darne ragione con esempi. Accade intanto stranamente che oggi diversi epistemologi disilludano il pubblico in conferenze vivaci, fatte in piedi, con allo anglosassone di togliersi la giacca, di non usare appunti, di professare il dubbio in crescita, di amare la leneratura, soprattutto Musi! {ecosì ho visto e lello Gargani, Tagliagambe e Cini). Qualche volta si cita anche Gadda, altrove scomparso perché poco vendibile. lo personalmente ho caro Musi! fra gli altri testi, non come lesto opposto; è per me il luogo in cui viene, come da un grande illuminista, dissolto un tabù terribile, l'incesto, e dove il costrutto letterario sistematico di tipo espansivo o pervasivo risponde a una posizione, il fenomenismo del Circolo viennese, come l'inno di Mallarmé risponde al neoplatonismo, ecc. ecc. Ma non così Musi! viene lello. Ora comunque, nel momento teorico della fallibilità della scienza, che induce a comparare la sua «verità» a quella della letteratura, con grazioso voltafaccia dal tempo in cui la scienza era l'altro, la letteratura non mi sem- .,., " .!: ~ e,. ~ - .,! " " ~ ~ ti ] .:è, <l

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