scritti brevi, compatti, al limite cdi occasione»,rispetto alle vaste costruzioni romanzesche, che avrebbero fatto, con i grandissimi della prima metà del secolo, il loro tempo. Sembra accedere, Guglielmi, a questa tesi, quando scrive: eNella ripristinata istituzione non vi sono più posizioni privilegiate, come accadeva una volta quando su tutte svettava la forma del romanro. Ora il romanzo è una delle tante opzioni; anzi, forse, la più trascurata, non perché sospettata di minore dignità, cbt tutte sono uguali, ma perché maggiormente compromessa con un passato di mistificazioni e di menzogna». Opinione più che rispenabile, certo: ma, premessa ad un'antologia come questa, non fa nascere almeno il sospetto che di essa Guglielmi voglia servirsi per giustificare l'inagibilità del suo tentativo proprio quando le sue scelte vengono a scontrarsi con il romanro, con la non smembrabile forma-romanw? Che, in altri termini sia, ancora una volta, il mezzo a condizionare, drasticamente, «il messaggio»? Antonio Porta:. Piacere o eccitazione? M a è davvero questa la critica degli anni ottanta? Non è inutile partire da certa critica per affrontare l'antologia di prosa e narrativa, dagli anni settanta a oggi, che Angelo Guglielmi ha pubblicato meno di due mesi fa. Serve a sgombrare il terreno da alcuni equivoci e tentare una lettura utile. Lo scritto di Lorenzo Mondo che ha dettato la domanda iniziale è intitolato <Ma sono davvero questi gli scrittori degli anni settanta?» e mi sembra cosi ricco di corti circuiti da potere essere eletto a emblema. segnale delle contraddizioni palesemente insolubili della critica <che con~ ta>. Primo corto circuito: la denuncia della presenza di <fantasmi• nell'antologia cguglielmina> {uso l'aggettivo di Arbasino perché <mi dà piacere•) viene cosi argomentata: <Passi per D'Arrigo che a metà del decennio ha condotto in porto la sua Orca dopo una caccia ventennale, ma soltanto dal punto di vista del lettore si possono assegnare a quella serie cronologica i nomi di Savinio, Morselli, Satta, Gadda (recuperato artificiosamente attraverso le belle pagine di Cananeo sul Gran L. 'llbardo), i loro libri sono stati scritti in anni precedenti ed anche prima del I 963 o del I 968 {Nuova Avanguardia e Sessantotto) date assunte dall'antologia a-fatato discrimine•. Il corto circuito principale riguarda subito il lettore. È ancora possibile essere convinti che vale più la data {difficile a volte stabilirla con sicurezza) della scrittura di un'opera di quella in cui essa comincia ad agire in pubblico, nella società? E da dove deriva una simile convinzione? La risposta mi pare semplice: da una ideologia assolutamente mandarinale della cultura, quella che tende a separare la scrittura dalla storia. Di qui la scatenata esclusione del lettore da una possibile partecipazione all'opera. Sembra veramente eccessivo: è ormai quasi un luogo comune che il lettore sia comunque, e a tutti i livelli, un co-autore. C'è dunque ancora chi pensa, contro una teoria assunta anche dal semplice buon senso {si, quello buono, caldo, come diceva Emst Bloch)che il lettore deve rimanere «senza voce». Cortocircuito secondario: è dello chiaramente da Guglielmi che egli non ba inteso assumere il 68 come data discriminante, fatata o meno che sia {è certo rassicurante crederla «fatata», ma questo i un altro discorso, anche se si intreccia ...) e che ha inteso invece <misurare» la temperatura degli anni 70 {ma certo, vengono dopo gli anni sessanta ...) seguendo certe trasformazioni di poetica e di scrittura indipendentemente dal 68. Che cosa si è dunque proposto il critico in questione con un simile fraintendimento? Difficile rispondere: forse voleva non lasciarsi scappare l'occasione di potere parlare male, ai suoi lettori, del Sessantotto e della Nuova Avanguardia, bestie che è meglio continuare a esorcizzare. Forse. Secondo cortocircuito, esterno-interno, si può dire. Come riesce il critico a fingere di non accorgersi che l'operazione di Angelo Guglielmi non è di clan? Come ci riesce, voglio dire, dal momento che alcuni «sospetti» membri del sospellatissimo clan (avanguardisti e sessantottisti, almeno in parte) hanno subito preso le distanze e con una certa quale durezza? Alberto Arbasino, appunto, che ha paragonalo Guglielmi al Colonnello Gheddafi (povero colonnello, gli italiani, in genere, non sanno che ripetere su di lui quello che dice l'ex-generale Haig ...), e Alfredo Giuliani che ha accusato Guglielmi, tra l'altro, di non avere contato su un riferimento significativo come il 68, tra l'altro ... Ma allora deve essere lo scritto di Lorenzo Mondo ad avere un retroterra pieno di fantasmi. È ancora il clan un tempo chiamato Gruppo 63 che fa paura? Viene davvero da sorridere ... E ci si chiede: ma chi sono i lettori di Lorenro Mondo? Solo quelli che hanno tanta paura e non escono più la sera? Ecco una funzione utile per il critico letterario di un quotidiano importante: rassicura/ore. Da questa funzione rassicuratrice l'ultimo corto circuito, quello finale: state tranquilli, si tratta solo di un gioco di società. Lo atto vitale in sé, come impegno totale della persona, quasi escludendo che ne scaturisse una conseguenza di piacere; e va sottolineato che il termine eccitazione veniva, e viene usato ora, mediandolo dalla fisica atomica che lo definisce come quel «processo elementare per cui una molecola, un atomo, ecc. passano, per assorbimento di energia, da uno stato energetico a un altro (staio eccitalo) ...• li lettore veniva dunque in qualche modo ca li urato dal testo, omologato al testo. Con il sessantollo {ed è vero che Guglielmi sottovaluta questo passaggio che c'è stato in narrativa anche se meno visibile che in poesia) il lellore sposta il peso dalla sua parte, lo scrittore avverte questa tensione e l'asseconda. Cerca di far passare la letteratura oltre il testo (andare al di là della letteratura) e non disdegna più il conceno di piacere {«viva soddisfazione che viene all'uomo dall'appagamento di appetiti, desideri, aspirazioni...>); progella cosi di soddisfare il lenore nel senso più nobile del termine, senza cioè assecondarne i cbassi istinti>, ai quali pensa già il marketing editoriale { eia storia della narrativa italiana di questi anni» mi scriveva Luciano Anceschi qualche tempo fa «è anche la storia di un'operazione di marketing fallita... •). li punto dove mi sembra prevalere l'opinione di Giuliani è questo: si tratO~U8!QOU!68~8lO!lq!8 campo magnetico e la direzione è presa... Concetto, come si sa da un pezzo, di difficile gestione, ma non è a causa dellasua difficoltàche lo si può rimuovere. A differenza degli uccelli migratori {o almeno a noi umani cosi sembra anche se ne sappiamo troppo poco ...) il gusto critico è formalo da infinite stratificazioni prodone da infinite letture: è, appunto, il gusto che deriva dalla competenza. Per questo si può dire che esso ha fondamenti oggettivi. Mi sembra certo che del gusto non si può fare a meno (come dell'orecchio in musica...) anche all'interno di sistemazioni critiche che aspirano alla «scientificità». Già, ma anche il gusto è un metodo e sono i risultati quelli che contano, direbbe subilo l'epistemologo «anarchico• Feyerabend ... Mi sono occupato di recente degli Ossi di seppia di Eugenio Montale. Ecco la domanda che prima o dopo un critico è costrello a porsi: che cosa distingue le poesie degli Ossi da quelle loro coeve, che in fondo partono dalle stesse premesse storico-socio-filosofiche? Ecco una risposta: come ha subilo notato De Robertisla decisione della loro pronuncia {mi riferisco a Romano Luperini, sul 900, già recensito su Alfabeta da Bugliani e Leoneni). Che cos'è la decisione? Non è forse una capacità di scegliere, un gusto più sicuro di altri? E lo stile non è figliodel gusto?. Le aree dominale dal marketing ne possono risultare perturbate? È a partire da queste perturbazioni che si può ricominciare a discutere di letteratura. Francesc:oLeonetti: L'episteme nel luogo specirlco della letteratura. N on sappiamo più con certezza che cosa la le11era1ura è. li suo valore cognitivo appare caduto (in generale, non nell'ambito del Lellerario). Ciò non significa che si 1ra11idi una manifestazione linguistica spuria, come tale mal definibile, diversa solo parzialmente dai media ... In difello d.i una nuova teoria, fin qui, spieghiamo e svolgiamo questi piccoli punti. La perdita di certezza {e d'identità, peculiarità, proprio campo e proprio rapporto col contesto) si presenta qui disciplinarmente in termini singolari. Mentre nel processo storico, per esempio, è il soggetto ora inteso come «decentrato• a farci diffidare della sua funzione pubblica, anche come Proletariato, e nella scienza è in questione il rapporto fra esperimento e teoria, da intendere assolutamente in termini di approssimazione, l'opera di letteratura e arte in quanto «orgia di emozioni> sino a poco fa possedeva una sua virtù nello stile. Cioè nell'impronta unitaria dell'organismo formale. Sia come manifestazione concreta sensibile dell"assoluto{conogni valore di ritorno di tale idea hegeliana), sia come cristallo dell'epoca e del gruppo o strato sociale (marxista), sia come misto del dionisiaco e dell'apollineo (nietzschiana), nelle ricorrenze novecentesche pure o combinate di queste definizioni c'era un punto di riferimento obbligatorio: il Bello: con ampliamento o rottura del suo canone o della sua soglia, con ricorso ali' carte simbolica» preistorica secon?o Hegel {presso Lukacs lellore di Benjamin) di fronte all'incomprensibilità delle avanguardie ... Già conviene considerare disastroso verso tutto ciò l'assunto di Marcuse, tramontato, che, dentro il fuoç<;!_del Sessantollo, colpiva l'armonia lelleraria artistica col termine d'accusa di «pulcrificazione»(e perciò svuotamento del conflillo). Ma di ciò, e di tulli i corni del periodo derivanti da qualunque uso dal basso, ora l'ignoranza e il ricorso storico han fatto spugna, rigetto, carcerario oblio ... Il pt1."i!illggiculi Gurihaldi clu/lc, Siàliu ul/11 Calabria. (Caricatura cli Mc11arelli«Mara» nel «Lm11pio11e»del 16 "gosto /862). Tornato attivo il lavoro di corrosione critica spregiudicata, dentro altri sistemi, risulta incerto lo stile ancora. A pensarci, già la nozione barthesiana di scrittura, con un suo degrado apparentemente utile, o l'uso svuotante avvenuto della «letterarietà» secondo Jakobson, o ancora la critica psicanalitica matura dopo Kris a ricercare lungo il confine Ira l'Io e l'Es, sono tulle compiute rotture d'una idea salda di letteratura; sono una postulazione di crisi, o di spostamento sotto la comunicazione {sorridendo dell'espressività di Bally) o sollo la psicologia; sono almeno una messa in difficoltà. dice proprio chi vorrebbe condurlo questo gioco di società. Si spengono tutte le luci e i lellori possono riposare senza incubi. Sgombrato, cosi spero, il campo dai giochi molto conservativi di una società che esclude i lellori come parli alli• ve del testo letterario, è necessario affrontare alcuni dei nodi teorico-critici che l'antologia di Angelo Guglielmi ci impone. Il primo di questi nodi è stato messo subito in luce dall'intervento di Alfredo Giuliani: che cosa significa piacere del testo o della letteratura? che cosa significa, soprattuttot servirsi di questo con.ceno per tracciare un ne·uo discrimine tra anni sessanta {anni di nuova avanguardia) e anni settanta (anni di ritorno alla leneratura)? e in questo passaggio il sessantotto non c'entra proprio per niente? Ora a me pare che occorra distinguere tra due concetti contigui ma non intercambiabili. Gli anni sessanta, nei lavori della nuova avanguardia, erano caratterizzati da un'ipotesi di accrescimento della vitalità (secondo la formula leopardiana ripresa da Giuliani nella prefazione ai Nuovissimi) dunque di eccitazione del testo (più che di appagamento) una eccitazione che si doveva trasmettere ai lettori (cui la nuova avanguardia sicu·ramente si rivolgeva, come tutte le avanguardie, per provocare o sconvolgere) come ta certamente di uno sviluppo, di un passaggio necessario tra anni sessanta e settanta piuttosto che di ripiegamento e riflusso. Naturalmente la tesi di Angelo Guglielmi non è di riflusso ma è vero che corre questo rischio, intreccialo a quella sollovalutazione del sessantotto cui ho accennato. Attenzione, però, sottovalutare non significa affatto svalutare: è una questione di grammi, forse, o di centimetri, ma bastano a produrre un lieve spostamento che può rivelarsi decisivo. E decisivo si rivela certamente in quell'ambito della scrittura che è stato detto «femminile». Ecco un problema degli anni settanta, e chiaramente postsessantott~- sco, che Guglielmi sembra riluttante a affrontare {tanto che preferisce, con onestà e chiarezza indubbie, <chiamare il lettore a una risposta» su questo tema dopo averne delineato per sommi capi i contorni. ..). Eccitazione, piacere ... contigui ma non sovrapponibili, cosi come il concetto di piacere sembra non potere fare a meno del criterio del gusto. E al proprio gusto, che ha certamente fondamenti oggenivi e di competenza, Angelo Guglielmi si affida con movimento, a volte, di sfida; il gusto è come il senso di orientamento che possiedono gli uccelli migratori: sanno dove puntare, basta loro un minimo segnale, una infinitesimale variazione di E il piacere, allora, non è figlio del gusto e dello stile? E non vi è ora un nuovo, u rinnovato, gusto del narrare nei prosatori scelti da Angelo Guglielmi per la sua antologia? E qui occorre sonolineare un fallo: al di là dei problemi che il lavoro di Guglielmi suscita, il libro, in quanto tale, lo si legge di gusto, e dà piacere. Anche i «saggisti», compresi quelli politici, inclusi, stanno dentro questo alveo del piacere di raccontare (e non è cerio una novità che i confini Ira il saggio e il racconto sono spesso cancellati). Siamo dunque lontani da una rivalutazione della <prosa d'arte• di rondiana memoria, come si potrebbe sospettare. Piacere, gusto, stile... Guglielmi si propone, e si dispone, come baluardo contro il kitsch che come sempre tende a dilagare, in tulle le società, e in particolare in quelle di massa, in quelle con tendenze imperiali ... Non può dunque fare a meno di equilibrarsi rischiosamente sul filo del confine. Di qui l'operazione forse più discutibile dell'antologia, il capitolo intitolato L'aeiouismo e riservato agli scrittori che sono precipitali al di là del confine, nell'inferno del kitsch, per l'appunto. Se del gusto non possiamo fare a meno, occorre delimitarne le zone di influenza anche in negativo, innalzare il cartello offlimits e darne ragione con esempi. Accade intanto stranamente che oggi diversi epistemologi disilludano il pubblico in conferenze vivaci, fatte in piedi, con allo anglosassone di togliersi la giacca, di non usare appunti, di professare il dubbio in crescita, di amare la leneratura, soprattutto Musi! {ecosì ho visto e lello Gargani, Tagliagambe e Cini). Qualche volta si cita anche Gadda, altrove scomparso perché poco vendibile. lo personalmente ho caro Musi! fra gli altri testi, non come lesto opposto; è per me il luogo in cui viene, come da un grande illuminista, dissolto un tabù terribile, l'incesto, e dove il costrutto letterario sistematico di tipo espansivo o pervasivo risponde a una posizione, il fenomenismo del Circolo viennese, come l'inno di Mallarmé risponde al neoplatonismo, ecc. ecc. Ma non così Musi! viene lello. Ora comunque, nel momento teorico della fallibilità della scienza, che induce a comparare la sua «verità» a quella della letteratura, con grazioso voltafaccia dal tempo in cui la scienza era l'altro, la letteratura non mi sem- .,., " .!: ~ e,. ~ - .,! " " ~ ~ ti ] .:è, <l
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