Alfabeta - anno IV - n. 32 - gennaio 1982

LealtresecondRoossaneaaltri Rossana Rossanda Le altre Milano, Bompiani, 1979 pp. 235, lire 5.000 Otto Weininger Sesso e arattere, una ricerca di base (1903) Trad. Giulio Fenoglio Milano, Feltrinelli- Bocca, 1978 pp. 477, lire 13.000 Freud Opere Torino, Boringhieri: L'interpretazione dei sogni ( 1899) voi. Ili, pag. 144 e seg; Psicologia delle masse e analisi dell'Io (1921), voi. IX, pag. 295 e seg. Sandor Ferenczi Elogio della psicoanalisi. Interventi 1908 - 1920 Torino, Boringhieri, 198 I pp. 167, lire 15.000 Il piccolo lhns Rivista di analisi materialistica. «Scoprire la scuola di Budapest, la psicoanalisi in Ungheria oggi>, n. 28, ottobre-dicembre 1980 ed inoltre n. 30, aprile-giugno 1981 e n. 31, luglio-settimbre 1981 Luce lrigaray Amante marina Trad. Luisa Muraro Milano, Feltrinelli, 1981 pp. ~lire-9500 Il I~ mi sono sempre trattenuto al '' pianterreno e nel sotterraneo dell'edificio: Lei afferma che, se si cambia punto di vista, si riesce a vedere anche if piano superiore, nel quale abitano ospiti cosi distinti come la religione, l'arte e altri ancora ... In questo Lei è conservatore, io rivoluzionario>. Cosi scriveva, nel I936, il vecchio Freud a Ludwig Binswanger, il grande maestro della psichiatria esistenzialista. La metafora istituisce una contrapposizione tra l'«alto>, come luogo della razionalità ed il «basso•, il sotterraneo ombroso del sintomo, della materialità corporea. Una dicotomia che ba orientato la mia lettura di un libro «alto•, come Le altre di Rossana Rossanda, sino a privilegiarne le notazioni marginali, il sussurro, la confidenza, il ritegno, rispetto all'architettura neoclassica dell'insieme. Rossanda, questa grande signora della cultura, raccogliendo i suoi interventi a Radio Tre, coniuga la voce «Donne> con quelle che Freud chiamerebbe «le grandi istituzioni della civiltà>: Politica, Libertà, Fraternità, Uguaglianza, Democrazia, Fascismo, Resistenza, Stato, Partito, Rivoluzione, Femminismo: i fili ad alta tensione della nostra storia. Ma, quanto più il discorso si fa potente, quanto più inquadra, con lente grandangolare, i tempi e gli spazi di una soggettività storica, tanto più le voci delle donne - che Rossanda raccoglie con pietas materna - si fanno sommesse. Alla fine, il loro interloquire con «lo, io, io...> sembra un pigolio informe, di fronte al grande scenario evocato sullo sfondo. L'interrogazione forte che le investe, anziché amplificarle finisce per comprimerle nell'esiguità del privato, nell'inconsistenza di un'individualità senza storia. E come sarebbe possibile altrimenti per interlocutori che si presentano, dopo la significativa figura di Pietro Ingrao, con i nomi cuciti in casa di Patrizia, Rosario, Rosalba, Luciana, Marina, Lidia di cui sappiamo soltanto che sono, come tante altre, insegnanti, impiegate, una giornalista? Una dissimmetria, questa, che non soltanto separa il maschile dal femminile, ma le diverse donne tra di loro: da una parte le competenti (con nome e cognome), coloro che condividono il sapere ed il potere degli uomini, dall'altra le voci anonime di donne che· testimoniano soprattutto l'insofferenza della subalternità, l'impossibilità di una soggettività femminile. Ma, non a caso, l'ultima parola spetta a loro, alle «altre•. Chiede una certa Rosario: «E allora lo sai cosa fanno le donne? Si autodistruggono. Queste sono le due alternative, capito? O diventi come vuole la società, e io non l'accetto più, oppure ti autodistrull_gi!» E Rosalba conclude: «Ma infatti, è questa la stasi che si è creata. È la nostra voglia di essere in un certo modo, e la non possibilità di essere nell'altro». Il sapiente montaggio di Rossanda ci trasmette il senso angoscioso di una impossibilità, di una dicotomia inconciliabile, di una frattura che possiamo solo esorcizzare attribuendola alle «altre». Ma nell'introduzione - che logicamente segue, anziché precedere il libro -vi è qualche cosa di più. Rossanda, che fin qui ha guidato il gioco, osservando dall'alto tutti gli schieramenti, forte dei suoi strumenti culturali, della sua capacità di dare la parola alle une ed alle altre, mette in campo se stessa, la sua storia, che testimonia, in modo esemplare, come la frattura, che s-eparagli uomini dalle donne e le donne tra di loro, ci attraversi poi tutte. Le une e le altre siamo noi, incapaci di riconoscerci nella frammentazione e nella contraddizione delle nostre molteplici appartenenze. Di qui l'insoddisfazione di un simbolico unitario che non ci rappresenta o che, esprimendoci a metà, ci aliena ancor più profondamente a noi stesse. Nel simbolico il femminile fa sintomo, sperimentando tutta l'estraneità di una dimensionç androcentrica, la duplice violenza del suo sistema di riduzione ed imposizione. Nell'Organiuazione genitale infantile (1923), Freud sancisce questa condizione affermando: «La mascolinità riunisce in sé le caratteristiche del soggetto, dell'attività e del possesso del pene, la femminilità si assume quelle dell'oggetto e della passività» (Opere IX, pag. 567). Nel secondo termine di paragone scompare, si noti, l'accenno alla sessualità corporea, bastando l'inversione delle due prime _caratteristiche. Per Freud, infatti, è più che sufficiente la categoria di «passività», che considera irrinunciabile, per dar ragione della evidente inferiorità femminile. Una passività che egli non coglie nell'esperienza analitica o nell'osservazione sociologica ma che desume dal modello di riproduzione sessuata, dove all'elemento femminile (ovulo) spetta una posizione inerte rispetto a quello maschile (spermatozoo). In questo modo la biologia classica (aristotelica) si traduce in una psicologia naturalistica, con il risultato di cancellare le componenti culturali e sociali della dissimmetria sessuale. Non ci si può stupire, poi, che in Analisi terminabile ed interminabile ( l 937) Freud riconosca, nella posizione femminile, un ostacolo insormontabile all'analisi. Questo inèiampo terapeutico non è che la conseguenza dell'esclusione, dal corpo teorico, del rapporto attivo che intercorre tra i due poli sessuali, l'effetto della cancellazione della loro reciproca interazione. P roiettando la divisione tra i sessi nello spazio e nel tempo neutri della materia organica ci si priva della possibilità di sottoporla al lavoro analitico, di recuperarla alla comunicazione, consegnandola interamente all'espressione del sintomo. Di fronte a tale misconoscimento, le B i b li O t O C8 Q I ob1anco Silvia Vegetti Finzi ingiurie del misogino Weini~ger ci appaiono, per certi versi, più eloquenti della prudenza scientifica di Freud. In Sesso e carauere (1903), dopo aver rilevato una evidente contraddizione tra la smodata propensione della donna al sesso (già sancita dalla tradizione filosofica greca) e la sua immagine ideale di moralità, pudore e religiosità, Weininger ne ricerca la ragione e crede di riconoscerla nella sua caratteristica fondamentale: l'imprimibilità. Anche Weininger media questa categoria dalla biologia aristotelica (dove la materia femminile è rappresentata come una tavoletta di cera approntata per ricevere, dal di fuori, l'impressione degli elementi formali maschili), ma il suo modello ha il pregio, per lo meno, di rappresentare un'interazione, anziché una immobile contrapposizione polare. L'apparente moralità della donna, la sua adesione agli ideali sociali, appare, a Weininger, solo una capacità di lasciarsi «impregnare» dalle opinioni maschili, di farsi «penetrare» da elementi estranei al suo sentire, sì che una seconda natura si viene sovrapponendo alla prima, con una mendacità che può definirsi «ontologica». gni, a livello psichico, ad una produzione di immagini. li transito tra l'organico e lo psichico sarebbe affidato ai rappresentanti pulsionali, agli aspetti ideativi delle cariche energetiche. Ma, nel momento in cui l'organico affida la sua delega alle rappresentazioni, il messaggio del corpo viene elaborato in un sistema di produzione che lo trasforma in altro, che lei rende estraneo a se stesso. Consegnandosi ai rappresentanti psichici, il bisogno entra in dissonanza con le sue origini somatiche. In tal modo, la traiettoria pulsionale non si salda più, come nella fisiologia dell'arco riflesso, con il punto d'origine, ma si snoda lungo gli erratici cammini di un'anatomia immaginaria. Un corpo relazionale prende il posto della cosa, dell'organico preverbale. Nell'economia della rappresentazione, il corpo relazionale della donna è quello che reca impresso, in negativo, ilsigillo dell'uomo, la traccìa della sua storia. Ma tanto colui al quale compete l'atto di imprimere, quanto la femminile materia impressa, soggiacciono ad un imperio altro, neutrale ed impersonale ad un tempo: l'Edipo. È nell'ambito di questa macchinaGaribaldi e il suo Mof)/' Caricatura della Siampa papalina nel I 849. (Civica Raccolta delle S1ampe, Milano). L'interesse della teoria di Weininger risiede soprattutto nel riportare la contraddizione all'interno della donna stessa, oltre che di svelare il processo di riproduzione ideologica che si realizza attraverso lo scambio sessuale. La cera- su cui il graffito maschile si imprime - è la materia sessuale della donna, sono quelle pulsioni libidiche che Freud considera particolarmente malleabili, atte ad essere tradotte nel codice alto della sublimazione. Eppure questo processo non è senza residui: la donna oppone, alle imposizioni del simbolico, il silenzio e l'impermeabilità del suo corpo, di quello «scrigno di piombo• nella cui sorda opacità Freud riconosceva la specificità del femminile (Il motivo della scelta degli scrigni, 1913). Spetterebbe dunque al corpo, sottratto all'oblio, dire quella verità che la lingua nasconde. Sarebbe dunque auspicabile quel «ritorno al corpo» che risuona come l'estrema promessa di un'estenuata pratica della parola? L'invito nasconde più di un'insidia: prima delle quali l'accettare l'evidenza di un oggetto, come il corpo, tra i più inafferrabili dall'esperienza e dalla teoria. È indubbio che il corpo ha un sapere ma si tratta di coglierlo, di leggerlo, di confrontarlo, di trasmetterlo, al di fuori dell'illusione di una presa diretta, di un corto-circuito mistico del corpo con se stesso. Freud è perentorio in proposito: non vi è impressione cenestesica, percezione interna che non si accompa• zione asoggettiva (acefala, dice Lacan) che si decidono i posti ed i rapporti reciproci. Ma se il distillato del processo edipico (che Levy Strauss identifica con la sigla del divieto) è una forma vuota di contenuti, un semplice qualsivoglia ostacolo alla indifferenziata circolazione dei flussi libidici, non altrettanto si può dire del materiale immaginario dal quale proviene, della corporeità dalla quale si astrae. Poiché il simbolico si fonda (come è stato ricostruito da Mario Vegetti, /I coltello e lo stilo, Milano, li Saggiatore 1979) sulla disanimazione del corpo, sulla sua dissezione e messa a morte, a maggior ragione questo processo, di essiccazione degli umori vitali, vale per l'Edipo che, del simbolico, è la condizione stessa. Noi ne cogliamo, secondo l'inse• gnamento freudiano, gli aspetti legiferanti nella forma icastica della tragedia classica, rinunciando però a rappresentarci, paghi della sua evidenza, la trama dei possibili o di ciò che si è dimostrato storicamente impossibile. Quando Freud si interroga sulla universale sensazione di riconoscersi nell'Edipo Re, affronta, in realtà, il pro- 'lJlema del patto simbolico e della sua condivisibilità. Gli spettatori si identificano in Edipo perché alla sua storia fa riscontro la mappa della loro organizzazione fantasmatica. L'elemento comune tra il piano transindividuale dell'umanizzazione dell'uomo e la sua vicenda personale, che si reitera per ogni nato, è dato proprio dalla corrispondenza tra i grandi simboli della cultura ed i fantasmi della microeconomia pulsionale. La struttura edipica è tale da cogliere la relazione che gli elementi stessi della nominazione intrattengono con le produzioni fantasmatiche del corpo. N ell'esperienza analitica, che non possiede altro contenuto di sape- . re che l'Edipo, la parola è terapeutica perché si riconnette alle sue radici corporee. Ma non basta rintracciare la relazione tra il simbolico e l'immaginario, tra la Legge e il corpo, va anche detto che si tratta di un rapporto di dominio e di subordinazione. L'immaginario detiene, nella nostra cultura, uno statuto debole, la sua economia appare contrassegnata dalla dismisura, dall'eccesso, prossima alla dissennatezza dell'infanzia e della follia. Spetta pertanto al simbolico impedire che l'immaginazione prolifichi all'infinito, smarrendosi nella polisemia dei significanti, nella promiscuità degli affetti indisciplinati. Una «messa in ordine» che procede attraverso la funzione fallica, la sua capacità di rappresentare, ad un tempo, il desiderio e la sanzione. Nella pratica analitica, infatti, il Fallo compare solo nella forma negativa della castrazione ma, per la compresenza nell'inconsio dei contrari, rinvia anche alla pienezza, all'onnipotenza dell'Uno e dell'identico. Alla centralità del Fallo nel simbolico corrisponde la predominanza del pene nello schema corporeo, sovrainvestito dalle cariche libidiche infantili. Ma, quanto più l'organo è enfatizzato dagli importi d'affetto, tanto più si rappresenta, nell'inconscio, nella forma inversa dell'angoscia di casfiazione. Un timore che si concretizza, pcn'i,"' solo nella visione del corpo femminile, nella sua capacità di rappresentare, nella realtà, l'assenza del Fallo, di presentificare, come dice Derrida in /I fa11ore della verità, Milano, Adelphi, 1978, il gioco di presenza ed assenza che caratterizza il vero. Osservando il corpo della bambina, il suo coetaneo sperimenta, nella immediatezza della percezione, il divieto e la punizione si che, da quel momento, l'efficacia della Legge si inscrive sul suo corpo, ne fa un corpo sociale. Nell'incrocio degli sguardi, il bambino si fa soggetto, con l'assoggettarsi alla Legge, alla interdizione dell'onnipotenza immaginaria. Di contro, la bambina ne esce passivizzata, resa imprimibile, socialmente impregnabile. Ma ciò che interessa qui sottolineare è che i contenuti rappresentativi dell'Edipo sono esclusivamente maschili: un solo simbolo, il Fallo, evoca la totalità e la parzialità, la presenza e la mancanza, il desiderio e l'interdizione. Che ne è, nel caso della bambina, della rappresentazione psichica che spetta ad ogni percezione di sé, ad ogni moto somatico? Eppure la bambina po_ssiede, è indubbio, un corpo diverso da quello maschile, un apparato sessuale specifico, dal quale provengono messaggi particolari, suscettibili di essere trasposti in contenuti ideativi adeguati. Perché allora troviamo, anche nel suo inconscio, il p?edominio del rappresentante fallico che si sostiene, come abbiamo visto, sulla analogia col corpo maschile? Dobbiamo desumerne che: o esistono pulsioni che si dipartono da una fonte somatica precisa e che non trovano mai il loro contenuto ideativo, ma questo contrasta con i principi stessi della psicoanalisi, o che è intervenuta piuttosto una amnesia che ha reso impraticabili tali rappresentazioni. È vero che l'ingiun~ione edipica vale per tutti e che la sua formula è, in ultima analisi, tanto formale da risul-

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