Alfabeta - anno IV - n. 32 - gennaio 1982

bra che riprenda forza come Anteo dalla terra-madre dove veniva scaraventato da Eracle... Lasciamo stare'il fatto che questo momento della scienza sta per passare, f(?rSee, magarisale il rapporto fra l'uomo e la natura turbolenta nella versioneprigoginiana; la scienza è orgogliosa quanto e più della letteratura ufficiale; meglio non fidarsi e non avere euforia ... A me non sembra che la letteratura ci guadagni, come portatrice di una certa suaverità estremamente fallibile ma non minore di quella di tante altre cinture protettive della scienza. Sappiamo bene che il Bello non è il Vero (se mai, il bello era la menzogna, anni fa, quindi menzogna divenne tutto il discorsoconscio, ecc. ecc.). Insomma ritengo che c'è una certa sottrazione di verità conoscitiva alla letteratura stessa, ora che si marca d'incertezza lascienza: perché la verità della letteratura si reggeva sull'essere il Bello collocato in un mondo con talune verità, contrastate ma prima o poi certe. La verità della letteratura stava neH'essereil velo sul vero... stava nel darsi come suggestione, suggerimento, attraverso 1a sua propria «aseità» semantica-stilistica... Non era forse cosi persino in Engels, come osservò con furore contenuto Della Volpe, opponendo a tale ambiguità il concetto di polisemia? Oggi il libro costruito con gusto d'assemblaggio sugli «ultimi artigiani rimasti» da Guglielmi Angelo contiene tulio questo problema. La perdita di certezza, con la «vertigine della perdita»; e cioè la perdita di distinzione (non fra i generi, per carità, ma fra i tipi formali), e anche la perdita di criterio discretivo utile rassicurante, con la necessità felice di audacia critica tendenziosa nuova... Presso Guglielmi ciò viene condotto con una sua peculiarità: che è il senso etico letterario suo proprio del testo; ciò gli viene da un'attenzione critica né formalistica né gruppista; e dà un risultalo volutamente paradossale. È un bene; mentre l'operazione critica eantologica si presenta con un piccolo choc di strenna feltrinelliana nella magra ... "'Si "sà "dicosa parlo. Dopo (nell'ordine) Arbasino, Balestrini, Leonetti, Pasolini, fra i «predicatori» della parte prima si leggono, in un difficile «Piacere della letteratura, Pintor (più penetrante) e Scalfari (più persuasivo) ... Il casto rimescolatore del senso dei libri a modo suo che è Alfredo Giuliani ha nella Repubblica eccepito su tutto o quasi, acutamente. Alberto Arbasino. critico nella Repubblica degli spettacoli tristi e dell'Italia (senza occhio militante internazionalista ma con viaggi continui) e critico nell'Espresso del resto, ha usato qui tutto il suo furore snobistico (snobismo: importanza attribuita al dettaglio rivelativo, sia indiziario sia coefficiente del Bello). Rivenendo a Guglielmi direttamente, per cogliere qualche punto che lo sveli. leggo: ché la letteratura è «uno sforzo della mente, un impegno della tecnica, un investimento ludico», e gli vengono dunque, con avanguardia allargata, da Barthes e da Deleuze le punte più recenti; e leggo che qui c'è «una letteratura che nasce dalle ali estreme»: espressionistedunque, dantesche, con più «struttura» che «poesia», certo non petrarchesche, armonizzanti, idilliche, dall'ali tagliate secondo Contini degli anni Cinquanta; e dunque Guglielmi qui mette in vista con passione e piacere i necessari passaggi del Letterario dentro l'«eteronomia», nei quali è Leiris l'ultimo maestro dopo Majakowski; da noi ripreso. Ricordiamo, ora, a riprendere il nostro contributo al discorso teorico, che il valore «cognitivo» attribuito alla letteratura dai classici antichi e moderni si sostentava sulla Gnoseologia: e cioè sul rapporto fra soggetto e oggetto, da Kant in poi. Non conviene più ritenere che tale rapporto sia cognitivo, da un bel pezzo: si ha anzi il sospetto che sia piuttosto fantasmatico; o meglio il rilievo del fantasmatico in esso è l'acquisto ultimo della conoscenza... Mentre l'episteme (la conoscenza certa, il nucleo cognitivo) era pur sempre quella induttiva, propria dell'esperimento scientifico e dell'osservazione diretta con «protocolli», l'arte e letteratura si giustificavano insomma per un percorsoesperenziale proprio, assai discutibile nei suoi frequenti eccessi singolari, tuttavia autentico nel timbro d'interpretazione ed espresso in una forma provvista di una qualche «durata, (un poco più lunga della civiltà da cui viene emessa, fino a quando è comprensibile l'etos che vi è presente) ... Ma se tutti i percorsi esperenziali sono approssimati e diffidabili, anche questo. E presso Goodman l'artistico è, senz'altro, nominalistico... A noi cosa basta ora per procedere spediti, toccando qui inizialmente Garibaldi giovane. (Civ. Raccolta delle Stampe, Milaflo} questo delicato tema? Ci basta che da parte di tutti sia concessochesi discuta di teoria della letteratura. Sia concesso dai pratici, amanti della bella letteratura già fatta; e anche dai semiologi sottili e potenti che ora generalizzano il loro sapere, rendendo «testo» anche !'«evento» ... Altro modo più tempestivo non c'è per discutere di letteratura non ad utile immediato dell'editore. Né qui si parla, mi pare, di Marx... Ponendo il quesito teorico ci si vuole premunire semplicemente, fin che si può, contro il rischio prossimo del mercato, che anche Guglielmi nel suo libro ha presente e qua e là denuncia: il vedere un grande lancio editoriale pubblicitario prossimo di un Pitigrilli, mentre viene pure annunciato in piccolo, com·eedizione numerata o riservata alla sinistra residua, una certa opera di un Pincherle o un·libretto col suggestivotitolo «Nome e lacrime».'.. Discutere di letteratura, e cioè di teoria della letteratura, vuol dire escludere con garbo i ricuperi in corsodi vecchi arnesi. Lo «storico» (romanzo), per esempio. Io non faccio qui riferimento a Eco in alcun modo. Spero di scrivere prima o poi del suolibro interessantissimo,e, in breve, sostengo (d'accordo con un manoscritto di Luperini che ho letto) trattarsi qui di un conflitto, non risolto forse ma per fortuna non ricomposto, fra il significante (nostalgia, e disposiDiscutere di letteratura tivi del giallo) e il significato (intelligenza in lotta). Imperversa ora il filtro oggettivante e il quadro.ricostruttivo. E torna cioè il Luogo Finto nel Passato, di cui si narra. Tutto questo è triste. Ma, si dice, essendopiù triste il Socialismo, è giusto che torni. Io non so cosa è più triste. Né è questo il solo ricupero. Anzi va detto che a lungo si è ritenuto in questi anni che una «protesi> in versi, o l'innamoramento per la propria fonte, siano sprovviste di Luogo Finto (e in senso generalissimo la poesia): assumendo con ciò come luogo e orizzonte il Linguaggio, in bocca a tutti. Questo è lo sbaglio: perché allora l'episteme è bellettristica, di una o d'altra misura. Certo il linguaggio non è strumento; ma neppure efflorescenza, escrescenza, ectoplasma ... Ci sarebbe un errore di facilitazione: verso il problema, che c'è sempre, di «autonomia ed eteronomia dell'arte• (a porlo cosl, col giovane Anceschi). Il luogo dell'episteme (e del connesso dubbio sull'episteme) che è specifico o proprio della letteratura non è quello dove non c'è luogo ma linguaggio. Nell' «Infinito• o nel •Bateau ivre> c'è un luogo dove si agisce; o come dice questo punto il vecchioamico Biancho!: la letteratura produce luoghi (una città in cui si gira, una vita sospesa, la scena vuota, un ospedale intero) che non riproducono luoghi della «realtà>, né tali quali né concentrati, anche quando sembra che li riproduca e concentri, ma che sono luoghi alla pari fra quelli della realtà. E dunque non ci interessa la supposta assenza di luogo, ma il carattere peculiare di un luogo, il Letterario, ora che è defunta la luce del Bello, su cui sembrava reggersi evidentemente e avere sensoquesta produzione «creativa>. Come•mi regolo io stesso (occorre pur dirlo?) Si è visto col mio Campo si battaglia, 1981: a fare uno schema del mio libro: - c'è l'uso dell'ironico dal basso (nel quotidiano tragico) che una volta era detto «realismo grottesco> e secondo Bachtin proviene da Rabelais e dalla cultura contadina (per errore detta «popolare•); - C'è il tempo presente assoluto, col suo valore; - c'è il dialogico e il dialettico, sino . all'operetta morale, al PiccoloTeatro, ecc. ecc. - c'è una dominante intellettuale e politica (o si potrebbe dire ancora «concettuale•) nel polisemico e nell'ambiguo del simbolo; - c'è l'osservazione diretta, da cui si parte, per scoprire l'istituzione totale; - c'è un nucleo finale nell'osso, in una parte degli ossi, nel minerale inorganico puro, come regresso fino in fondo (paradossale, a mettere capo al paradiso prima della «vita») tenendo ferma l'essenza materialistica. Dunque non è valida, presso di me, la non certezza. Non punto su una letteratura centrata nei motivi epistemologici come tali; l'argomènto dei miei libri non è la perdita di certezza, ma la lotta dentro questo quadro. Tuttavia ritengo che possa darsi un buon lavoro solo nella garanzia che vi è incertezza. Che non si ricominci da «destra» (letterariamente parlando: dal valore della bella letteratura, o «dei buoni sentimenti», come dice Guglielmi). Che cosa garantisce ciò? la vecchia «nuova avanguardia»? e la disseminazione, o il crisismo? Non credo, pur trattandosi, in ciò, di amici che stimo, di una tecnica letteraria tagliente (che io non adotto, metto sempre nei versi le virgole), e di una posizione teorica che ha molto interesse. Può garantire ciò l'idea di letteratura come liberazione di flusso, quale è nel movimento beat, secondo la definizione di Deleuze (a cui pure mi sono riferito nel '79?) non ne sono convinto; anzi questo argomento ora si abusa, applicandolo ad altri in senso testuale stretto, mentre è chiaro che presso Deleuze vale anche il comportamento • beat degli «autori» medesimi, non solo dei loro eroi. Io mi fermo con semplicità massimaa sostenereciò che un teorico strano come Richard von Mises in anni lontani definiva «alone semantico• della parola letteraria. Non più chequesto occorreche ci siacome luogo. Perché, se il luogo non è il Iinguag-. gio, non c'è neppure una speciale sapienza letteraria, la quale pure rischia la bella letteratura. Da un libro letterario non sta bene citare qualcosa di sapienziale (come si fa tanto, ora, Borges). Sul punto della cristallizzazione dell'amore, per esempio, non conviene citare il luogo dei romanzi di Stendhal, con valore sapienziale, ma il trattatello De /'amour. Il nastronerodiMicheLl eiris Miche! Leiris Le ruban au cou d'Olympia Paris, Gallimard, 1981 L'Afriquc Fantòmc Paris, Gallimard, 1981 M. Beaujour Miroir d'encres Paris, Le SeuiI, I980 AA.VV. «Michel Leiris» Il Verri, 1981 a cura di Guido Neri S e Narciso scrivesse,la suascrittura non potrebbe essere, ancora oggi, che quella dell'autoritratto. Ma se Narciso scrivesse,non sarebbe certo per mirarsi sul bianco della pagina, come gli è stato a lungo imputato, ma per tuffarsi in uno «specchiod'inchiostro» a catturare, anche a prezzo della morte, il miraggio che agita il fondo torbido dell'acqua. Da sempre considerato «escrivaillerie coupable» (Montaigne), l'autoritratto pecca ancora di inutilità se non più di autocompiacimento. E per questo, escrescenza abnorme, è stato, edè tuttora, confinato ai margini della letteratura che, pur allargando le sue zone periferiche, non l'ha per tanto riportato nel suo centro. C3so estremo. gli t::s.rnis di MontaiGuribaldi durame una tregua d'armi. (Civica Raccolta delle Stampe, Milano). Bibliotecag1nobianco Catherine Maubon gne che non hanno trovato posto nelle tipologie letterarie se non inaugurando un paradigma di comodo nel quale, tra l'altro, rinunciando presto all'iniziale ma non del tutto appropriata rubrica «Souvenirs», la casaeditrice Gallimard ha preferito ricollocare la singolare produzione autobiografica di Miche! Leiris, L'iìge d'homme, il ciclo de La régle du jeu. cd ora Le ruba11 a11 Garibaldi e Aniw. Medaglione. (Dal Museo Storico Garibt1ldino di E. Pavia, Roma). cou d'Olympia. Tutti offerti al lettore come «Essais», e forse - soprattutto nell'ultimo caso - non a torto. Infatti mai come in quest'ultimo lihro t·hc:.in tal senso.risulta. <.topoquaGaribaldi con la camicia rossa, quale la porrò nelle campagne d'Italia. ram'anni di indagine introspettiva, inaugurale, Miche) Leiris ha praticato quel «bricolage> individuale - «D'où p1ut6tce qui me fascine, c'est moins le résultat et le sens qu'en principe j'en attends, que ce bricolage méme dont le hut affiché n'est tout compie fait qu'un prétexte» - che, secondo Beaujour (che lo inserisce in una lunga quanto illustre tradizione) pennette all'autoritratto di utilizzare «à ses propres fins des pièces et des morceaux empruntés à un vastesystémehumanitaire auquel le sujet participe en tant qu'homme cultivé•. E se fosse questa, come lo suggerisce l'autore dLquesti Miroirs d'encre, la specificità che accomuna, nelle loro dovute differenze cronologiche, l'esperienza rinascimentale di Montaigne e quella contemporanea di Leiris, Barthes o Laporte? li difficile esercizio di una libertà (le modalità proprie del discorso narrativo alla prima persona, liberato, inoltre, dai fini della persuasione) all'interno di una rigida quanto diffusa servitù (il sistema retorica di un dato periodo, la «Bétise• di

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