tutte le congetture riguardanti il crollo della scienza e dell'industria non siano che un sogno, per il momento e per molto tempo ancora, e che scienza e industria uniranno la terra, dopo miserie infinite e con esse, voglio dire, la riuniranno in un uno, in cui sicuramente tutto sarà presente prima della pace. Poiché la scienza e l'industria decidono piuttosto la guerra, o così sembra» L'ambivalenza dell'atteggiamento di Wittgenstein si manifesta chiaramente nel suo modo in cui si espdme, nel 1946, sul problema della bomba atomica: «La paura isterica che l'opinione pubblica ora ha della bomba atomica, o almeno che esprime, è fra l'altro un segno che è stata fatta per una volta una scoperta utile. Per lo meno il timore ha l'effetto di una medicina amara davvero efficace. Non posso fare a meno di pensare: se non fossimo davanti a qualcosa di buono, i filistei non alzerebbero alcun grido. Ma forse anche questo è un pensiero infantile. Perché tutto ciò che posso pensare è che là bomba promette la fine,la distruzione, di un male mostruoso, della scienza ripugnante che sa di soluzione d'acqua saponata. !ò non si tratta certo di un pensiero spiàcevole; ma chi ci dice cosa seguirà ad una tale distruzione? Chi oggi parla contro la produzione della bomba fa certo parte della feccia dell'intelligenza, ma ciò non significa necessariamente che si 'debba lodare ciò che essi detestano». L'anima e la scienza Si potrebbe confrontare in una certa misura la reazione mitigata di Wittgenstein con quella di Ulrich, che è rimasto un ammiratore de!la scienza e dcli~ tecnica, .a.Ilequali ha smesso di interessarsi direttamente essenzialmente per delle ragioni negative, e cioè a causa delle persone che ledetestano, degli impulsi ai quali obbediscono e dei rimedi che essi propongono. Come nota ironicamente Musil è, in una certa misura, perché Galileo ed i suoi fratelli spirituali hanno considerato le cose con la sobrietà e la «superficialità» caratteristiche della scienza sperimentale che «ha dato origine- in brevissimo tempo, se usiamo le misure della storia - agli orari ferroviari, alle macchine utensiJi, alla psicologia fisiologica e alla corruzione morale del tempo presente, e ormai non si può porvi rimedio». La ragione per cui Ulrich mette fine al «saggio più importante» che egli ha compiuto per diventare un uomo di qualità è la scoperta del fatto che «anche nella scienza egli era come un alpinista che scavalca una catena dopo l'altra senza mai vedere una meta». In altri termini le soddisfazioni che si possono ottenere dalla pratica della scienza non sono in fondo sufficientemente diverse da quelle che si trovano nello sport o nella ginnastica per riuscire a dare un senso all'esistenza di un uomo il cui problema non è quello di continuare a sviluppare le sue capacità ed a migliorare le sue prestazioni, ma unicamente quello di scoprire l'uso che si può fare di ciò che si sa fare. Come nota Nietzsche a proposito del fatto che tutte le verità importanti della scienZa finiscono per diventare ordinarie e comuni, la soddisfazione estremamente ridotta che essa è in grado di procurare al non iniziato tende a sparire più o meno rapidamente. E «se la scienza procura per se stessa sempre meno piacere, ed anzi ne toglie sempre più, rendendo sospette la metafisica, la religione e l'arte consolatrici, ne risulta che questa grande sorgente di piacere alla quale l'uomo deve quasi tutta la sua umanità finisce per disseccarsi». Musil considera, come Niet?.Sche, il fatto che la scienza ha prodotto una sovrabbondanza di verità, ma non ha mai risolto il problema cruciale (che del resto non è il problema di coloro che la producono, ma piuttosto quello di coloro che la ricevono o la subiscono), cioè quello dell'interesse e del valore della verità stessa. Ma è chiaro che è questo problema che va risolto in un modo o in un altro e che i «combattenti dell'anima» non propongono niente che assomigli da vicino o da lontano ad una soluzione, dato che essi non sono manifestamente in grado più degli altri di dire «come sarebbe oggi una cultura o una religione o una comunità, se si assimilassero veramente nella loro sintesi i laboratori, gli aerei e i corpi sociali mummificati, e non si dessero semplicemente per scontati e sorpassati». Ciò che si dice l'«anima» è, in realtà, essenzialmente l'espressione della rasGaribaldi generale dell'esercito italiano. (Civ. Racc. delle Stampe, Milano). segnazione e dell'impotenza di un'epoca inferiore al suo compito e sovrastata dai suoi problemi: «semplicemente si vorrebbe che il presente si - superasse da sé. Incertezza, mancanza di energia, tinte pe-ssimistecaratterizzano tutto ciò che oggi è anima». È chiaro allora che se il problema fondamentale del nostro tempo è la ricerca di una sintesi «tra il pensiero scientifico e le esigenze dell'anima», esso non sarà certo risolto dalla negazione e dal rifiuto - ma solamente a condizione di accettare risolutamente i dati di fatto, cioè: «con un di più, un piano, una direzione di lavoro, un'altra valorizzazione della scienza e della poesia». Ma il problema è precisamente il fatto che «si è perso in sogno ciò che si è guadagnato in realtà>, e che la realtà ottenuta non assomiglia generalmente che da molto lontano a quella che costituiva l'oggetto del sogno. La nostra epoca, constata Musil, «è un'epoca di realizzazione, e la realizzazione è sempre una delusione; le manca la nostalgia per qualcosa che ancora non sa, mentre le batte nel cuore». Avendo trasformato alcune delle aspirazioni più utopiche delle epoche precedenti in una realtà banale e deludente, è normale che essa rivolga la sua nostalgia verso la cosa essenziale Discutere di letteratura che essa davvero non può fare e che, per questa ragione, non smette di sognare, e cioè precisamente di ritornare indietro e ritrovare ciò che essa pensa di aver perduto. Da ciò questo «immenso romanticismo spirituale che dal presente fugge per tutto il passato, in cerca del fiore azzurro della sicurezza perduta», dimenticando, fra l'altro, che l'amara realtà di oggi è proprio il prodotto delle inquietudini e dell'insoddisfazione di ieri, che la realtà ideale che noi vorremmo ritrovare deve il suo carattere ideale solo all'impressione che noi abbiamo di averla parduta, e che il passato al quale sognamo di ritornare non ha probabilmente mai avuto altra realtà di quella del sogno che 19 trasforma nel nostro impossibile avvenire. Dato che il bene più prezioso che il progresso scientifico e tecnico ha tolto all'uomo (che ha scelto del_iberatamente, scegliendo la scienza, la privazione spirituale, senza prevedere che l'avrebbe trovata un giorno intollerabile) è la fede, la nostalgia dell'epoca attuale si eprime essenzialmente in un bisogno di credere che è suscettibile di rivestire le forme religiose o profane più diverse e più sospette. Sembra che il cammino percorso dall'umanità sia quello di un declino progressivo al quale si tratta oggi di por fine: «Ci si è posti i seguenti stadi di decadenza: all'inizio c'è stata un'epoca che credeva con semplicità e fermezza a dio. Poi ne arrivò una che lo doveva provare con la ragione. Poi una, che si accontentò che la ragione non avesse nulla da provare contro di lui. E alla fine la nostra, che crederebbe in lui se lo potesse incontrare continuamente in un laboratorio». • Da ciò questo «mare di lamenti» che ha invaso la letteratura sulla distruzione dell'anima, la meccanizzazione dell'esistenza, la disumanizzazione dell'uomo, vittima degli eccessi della razionalità calcolatrice e tecnicista, il positivismo,· l'individualismo, l'egoismo e la ferocia dell'uomo contemporaneo. A un uomo che si è liberato dai legami organici tradizionali e che non beneficia più, di conseguenza, della sicurezza e della stabilità che essi gli procuravano, si propone come rimedio la regressione concertata e la restaurazione artificiale degli antichi valori: fede, semplicità, umanità, altruismo, civismo, solidarietà nazionale, ecc. Questa volontà di regressione e «questa situazione morale che non trova più in se stessa· il proprio sostegno e lo cerea dietro di sé (razza, nazione, religione, l'antica semplicità e forza, l'incorrotto bene) non costituiscono, per Musil, una soluzione erronea ed illusoria, ma il problema nuovo bello e buono che la nostra epoca deve risolvere e per il quale ancora non si intravvede una soluzione. La prima condizione richiesta perché Csso un giorno possa essere risolto è evidentemente che essa lo percepisca come il suo proprio problema e la sua mansione specifica. Il problema dell'epoca attuale è dunque un problema enorme di organizzazione spirituale, che per il momento non è risolto, in modo soddisfacente, che nella scienza, mentre tutt'intorno la produzione, il confronto e la combinazione degli elementi ideologici sono praticamente abbandonati al caso. Non c'è bisogno di dire che la soluzione di questo genere di problemi non può essere cercata in nessun modello anteriore e deve essere interamente inventata. A questo proposito come a molti altri la Caeania, «questo Stato dopo di allora sparito e rimasto incompreso, che fu esemplare per tanti aspetti, senza che gli si renda giustizia», è agli occhi di Musil niente meno che lo Stato moderno più avanzato: essa è la nazione in cui il j:,roblema è stato posto prima e con più chiarezza, in cui regnano le illusioni più caratreristiche sulla sua reale natura e in cui l'arte di non risolverlo ha raggiunto il suo più alto grado di perfezione, e cioè il genere di Stato cui è stato per la prima volta data la rivelazione dell'inutilità profonda di ogni specie di progetto o di ambizione, che non sussista che «per forza di abitudine», in equilibrio instabile fra il passato e il futuro e senza mai assumere il rischio di avanzare e di retrocedere. Saggio inedilo tradotto da Isabella Pezi.ini, in versione ridotta per cura redazionale. Il piacereM,d"'"""'""'~tnosc O piacere della letteratura Prosa italiana dagli anni 70 a oggi a cura di Angelo Guglielmi Milano, Feltrinelli, 1981 pp. 445, lire 15.000 Mario Spinella: La verginella è simile alla rosa... discutere il criterio di selettività, sempre opinabile, e del resto ampiamente giustificato dall'autore, quanto il senso stesso dell'operazione tentata. Dei dubbi che il suo lavoro avrebbe potuto suscitare Angelo Guglielmi appare pienamente consapevole, e mette- nella prefazione- come si suol dire «le mani avanti». «Si tratta - vi leggiamo - di una letteratura difficile e on il titolo Il piacere della letteratu- che fa risiedere la sua qualità negli ra, allusivamente ricalcato su ostacoli che oppone alta comprensione quello di Roland Barthes,/1 piace- del lettore. Scopo di questa antologia è re del testo, Angelo Guglielmi ha cura- di avvicinarla al lettore, facendolo to, per l'editore Feltrinelli, una anto- uscire dalla frustrazione che patisce». : logia della «prosa italiana dagli anni Frustrazione a parte, questo lettore ·~ '70 ad oggi», che si presenta esterior- di Guglielmi mi ha immediatamente ~ mente parallela a Poesia degli antri set- richiamato l'immagine di un me stesso "' tanta, pubblicata nella stessa collana scolaro delle medie inferiori, come si ~ da Antonio Porta. chiamavano allora, e di un'altra antoAngelo Guglielmi è critico intelli- logia, quella scolastica di prose e versi. gente e sottile; e lo dimostra nella inte- ove, tra l'altro, la poesia del Furioso ressantissima prefazione e nelle note era esemplificata attraverso le due illustrative ai singoli testi. È anche un «celebri» ottave che cominciano con ~ critico coraggioso, che ama il rischio di «La verginella è simile alla rosa». Ve- :: andare controcorrente. Non sorpren- ramente il mio testo et'a stato debita- ~ de perciò che abbia voluto lanciarsi mente espurgato, sostituendo- ad evi- ~ nella impresa spericolata di questo li- tare fantasie o domande pruriginose- ~ bro: del quale qui non si vuole tanto «giovinetta» a «verginella»: ma non di 81bliotecag1nob1anco questo particolare aneddotico si tratta. Per l'adolescente di allora la straordinaria tessitura del poema, cui non a caso Guglielmi fa riferimento a indicare quegli scrittori che «rovesciano la più comune nozione di letteratura come specchio della realtà in quella di letteratura come strumento di allar- !-!"111ento della rcalt:1». rimane scmpli- « t:ra l't!rt1me111esovrunuma cosa quella donna valorosa... »-Garibaldi. (Da «li Messia dei Popoli» di Balbiani). cemente inesistente, e Ludovico Ariosto rimase a lungo il poeta della rosa~ assai vicino a quello delll'«albero a cui tendevi la pargoletta mano». Fuor di metafora, e di paragone, la domanda preliminare e dirimente che questo lavoro di Guglielmi perciò mi propone verte sulla possibilità stessa di «antologizzare>, senza snaturarli, corpi narrativi, in versi o in prosa che siano, per la cui comprensione, e valutazione la complessa struttura, la costruzione, hanno per lo meno la medesima importanza delle singole parti o pagine. Avulse dall'ordine del discorso testuale, tanto più rigoroso e reso necessario quanto più lo scrittore, sia detto banalmente, è grande, le pagine, e vengano pur scelte con il massimo dell'intelligenza, non possono che appariredisiecta membra, frammenti e lacerti di un corpo che rimane inimmaginabile nel suo insieme. Con i riassunti delle opere narrative di maggior mole che Guglielmi fa precedere agli stralci da lui proposti, egli dimostra di essere ben consapevole di questo «ostacolo»: ma chiude gli occhi, si tappa il naso, e si tuffa. A soffrirne di più, ovviamente, sono proprio le opere più complesse e più ampiamente strutturate: di meno i racconti o gli articoli di giornale: sicché l'inclusione di questi ultimi, lungi dal poter far scandalo, appare funzionale al carattere stesso dell'operazione compiuta. Si dà infatti il caso che, appiattiti, per ragioni oggettive, in questo volumC, testi pur molto diversi, Scalfari e Pintor finiscano davvero per apparire più leggibili e godibili, poniamo, del Volponi di Corporale, o che, non a caso, il romanziere Moravia sia rappresentato da un servizio giornalistico, Sanguineti dal suo Giornalino, Malerba da un suo articolo sul Corriere della sera e via dicendo. Ciò che ne deriva è uno stravolgimento totale delle gerarchie dei valori e dei risultati, dal quale sì salvano unicamente-epourcause!- i soli autori antologizzati nei racconti: scritti, non meno di un articolo, in sé compiuti. Vi è, certamente, un'obiezione possibile a questi miei, certo pesanti, rilievi di metodo: che proprio questo Guglielmi si proporrebbe, affermare la maggiore validità e la maggior resa di
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