Postmoderno/Moderno (15) Interventoitaliano S iamo in unperiododi rilassamento, parlo del colore del tempo. Da tutte le parti ci spingono a farla finita con la sperimentazione, nelle arti e altrove. Ho letto uno storico dell'arte che elogia i realismi e milita per l'avvento di una nuova soggettività. Ho letto un critico d'arte che diffonde e vende il Transavanguardismo sui mercati della pittura. Ho letto che, con il nome di postmodernismo, degli architetti si sbarazzano del progetto del Bauhaus, gettando il bambino, la sperimentazione, insieme all'acqua del bagno funzionalista. Ho letto che un nouveau philosophe scopre ciò che, stupidamente, chiama giudaico-cristianesimo, e che con essovuol porre fine alla empietà che avremmo fatto regnare. Ho letto su un settimanale francese che non si è soddisfatti di Mille pla1eaux perché si gradirebbe, soprattutto leggendo un libro di rnosofia. di esseregratificati con un po' di senso. Ho letto sotto la penna di uno storico di vaglio che gli scrittori e i pensatori delle avanguardie degli anni 60 e 70 hanno fatto regnare il terrore nell'uso del linguaggio, e che bisogna restaurare le condizioni di un dibattito fecondo imponendo agli intellettuali un modo di parlare comune, quello degli storici. Ho letto un giovane rnosofo del linguaggio lamentare il fatto che il pensiero continentale, di fronte alla sfida lanciatagli dalle macchine per parlare. abbia - egli crede - rimesso a queste ultime la cura della realtà, e sostituito al paradigma referenziale quello della adlinguisticità (si parla di paroie, si scrive di scritti, intertestualità)- e ritiene che attualmente occorre resrnurare un solido ancoraggio del linguaggio referente. Ho letto un teatrologo di talento per il quale il postmodernismo, con i suoi giochi e le sue fantasie, non è troppo ingombrante per il potere, soprattutto quando l'opinione inquieta incoraggia quest'ultimo a una politica di vigilanza totalitaria, di fronte alle minacce della guerra nucleare. co di linguaggio che non è più quello della critica estetica», e interviene «nelle procedure cognitive e nelle aspettative normative», «cambia il modo in cui questi diversi momenti rinviano gli uni agli altri». Ciò che Habermas chiede alle arti e alla esperienza che esse procurano è insomma il gettare un ponte sull'abisso che separa il discorso della conoscenza, quello dell'etica e quello della politica, in modo da aprire un varco alla unitarietà della esperienza. La mia domanda consiste nel sapere a quale genere di unità pensi Habermas. Il fine che si prefigge il progetto moderno consiste forse nella costituzione di una unità socio-culturale in seno alla quale tutti gli elementi della Jea -François Lyotard smo, altre per combatterlo. Non è necessariamente la stessacosa chiedere che si fornisca un referente (e della realtà oggettiva) o del senso (e della trascendenza credibile), o un destinatario (e un pubblico), o un destinatore (e della espressività soggettiva), o un consenso comunicativo (e un codice generale degli scambi, per esempio il genere del discorso storico). Ma vi è, nei multiformi inviti a sospendere la sperimentazione artistica, uno stessorichiamo all'ordine, un desiderio di unità, di identità, di sicurezza, di popolarità (nel senso della Oeffentlichkeit, del ctrovarè un pubblico•). Bisogna far rientrare artisti e scrittori nel girone della comunità; o almeno, se si ritiene che essa sia malata. dar Ho letto un celebre pensatore che prende le parti della modernità contro coloro che chiama neoconservatori. Egli ritiene che essi, sotto le in~egne del post-modernismo, vogliano sbarazzarsi del progeno moderno rimasto incompiuto, quello dei Lumi. Anche gli ultimi partigiani della Aufklarung, come Popper o Adorno, hanno potuto - stando a lui- difenderne il progetto solo in sfere particolari della vita, quella della politica per l'autore di The Open Society, quella dell'arte per l'autore della Aesthetische Theorie. G11rih11/di - Qmulru t1ll<•gorico tlt.'Ipiuort.' IJe/ Rw·su. ( Museo S. Murti'1o, Nt1poli). Jùrgen Habermas (lo avevamo riconosciuto) ritiene che la modernità sia fallita proprio perché ha lasciato che la totalità della vita si frantumasse in specialismi indipendenti, abbandonati alla competenza ristretta degli esperti, mentre l'individuo concreto vive «il senso desublimato• e eia forma destrutturata» non come una liberazione, ma al modo di quell'immenso ennui che Baudelaire descriveva più di un secolo fa. Seguendo una indicazione di Albrecht Wellmer, il filosofo stima che il rimedio a questa parcellizzazione della cultura e alla sua separazione dalla vita possa venire solo dal «cambiamento dello statuto della esperienza estetica, tale per cui essa non si esprima più, principalmente, nei giudizi di gusto• ma «sia utilizzata per esplorare una situazione storica della vita», cioè vita quotidiana e del pensiero troverebbero postocome in un tutto organico? Oppure il varco che bisogna aprire tra i giochi di linguaggio eterogenei - quelli della conoscenza, dell'etica e della politica - è di ordine diverso da essi?e se sl, come potrebbe realiu.are la loro sintesi effettiva? La prima ipotesi, di ispirazione hegeliana, non rimette in causa la nozione di una esperienza dialetticamente totaliu.ante; la seconda è più vicina allo spirito della Crilica del giudizio ma, come questa, deve subire il severo riesame che la postmodernità impone all'Illuminismo, alla idea di un fine unitario della storia, e a quella di un soggetto. È proprio questa la critica iniziata non solo da Wittgenstein e Adorno ma anche da certi pensatori, francesi e non, che non hanno l'onore di essere letti dal Professor Habermas, il che consenteloro, perlomeno, di non essere segnati sul libro nero del neoconservatorismo. D realismo Le domande che ho citato all'inizio quando «la si mette in relazione con i non sono tune equivalenti. Possono problemi della esistenza•. Perché que- anche contrastarsi a vicenda. Alcune sta esperienza «entra, allora, in ungio- sono fatte in nome del post-moderni110lca ir b1anc loro la responsabilità di guarirla. Esiste un segno indiscutibile di questa disposizione comune: il fatto che per tutti questi autori nulla è più urgente del liquidare la eredità delle avanguardie. ~ questa, in particolare, l'impazienza del sedicente transavanguardismo. Le risposte che Achille Bonito Oliva ha dato alle domande di Bernard Lamarche-Vadel e Miche) Enric non lasciano alcun dubbio in proposito. Procedendo a una mescolanza delle avanguardie, l'artista e il critico si ritengono più sicuri di sopprimerle, che attaccandole frontalmente. Perché possono spacciare l'ecclettismo più cinico come un oltrepassamento del carattere tutto sommato parziale delle ricerche precedenti. Se invecevolessero volgere apertamente le spalle alle avanguardie, si esporrebbero al ridicolo del neo-accademismo. ,, ~ Ora, i Salons e le Accademie hanno potuto, nell'epoca in cui la borghesia si insediava nella storia, svolgere una funzione selettiva e conferire premi di buona condotta plastica e letteraria, con la copertura del realismo. Ma il capitalismo ha in se stesso un tale potere di derealizzazione degli oggetti di costume, dei ruoli della vita sociale e delle istituzioni, che le rappresentazioni definite «realiste» possono ormai evocare la realtà soltanto COJlle nostalgia e derisione, come una occasione di sofferenza più che di soddisfazione. Il classicismosembra precluso, in un mondo in cui la realtà è destabilizzata al punto che non dà matçria di esperienza, ma di sondaggio e sperimentazione. Questo tema è famigliare ai lettori di Walter Benjamin. Però bisogna ancora coglierne esattamente la portata. La fotografia non è stata una sfida lanciata alla pittura dall'esterno, non più di quanto lo sia stato il cinema industriale rispetto alla letteratura narrativa. La prima portava a compimento alcuni aspetti del programma di riorganizzazione del visibile elaborato dal Quattrocento, e il secondo consentiva di completare la ricomprensione in totalità organiche delle diacronie che era stato l'ideale dei grandi romanzi di formazione a cominciare dal XVIII secolo. Che il meccanico e l'industriale venisseroa sostituirsi alla mano e al mestiere, non era in sé una catastrofe, a meno che si ritenga che l'arte sia per essenzal'espressionedi una individualità geniale servita da una competenza artigianale di élite. La sfida consisteva principalmente nel fatto che i procedimenti fotografici e cinematografici possono compiere meglio, più rapidamente, e con una diffusione centomila volte maggiore di quanto non possa il realismo pittorico e narrativo, il compito che l'accademismo a'Ssegnava quest'ultimo, preservare le coscienze dal dubbio. Fotografia e cinema industriali devono avere la meglio sulla pittura e sul romanzo quando si tratta di stabilizzare il referente; di ordinarlo rispetto a un punto di vista che lo doti di unsenso riconoscibile; di ripetere la sintassie il lessicoche permettono al destinatario di decifrare rapidamente immagini e sequenze e di giungere quindi senza difficoltà alla coscienza della propria identità contemporaneamente a quella dell'assenso che in tal modo il destinatario stesso riceve dagli altri, perché queste strutture di immagini e di sequenze costituiscono un codice di comunicazione comune. Si moltiplicano cosi gli effetti di realtà o, se preferite, i fantasmi del realismo. I.I pittore e il romanziere devono rifiutarsi a questi usi terapeutici, senon vogliono diventare a loro volta sostenitori, del resto secondari, di ciò che esiste. Devono interrogare le regole dell'arte di dipingere o di raccontare quali le hanno apprese ed ereditate dai loro predecessori. Ben presto esse appaiono loro come mezzi per ingannare, sedurre, rassicurare,che impediscono di essere «veri». Sotto il nome comune di pittura o di letteratura si effettua una rottura senza precedenti. Coloro che si rifiutano di riesaminare le regole dell'arte fanno carriera nel conformismo di massa mettendo in comunicazione, attraverso le «buone regole», il desiderio endemico di realtà con oggetti e situazioni capaci di soddisfarlo. La pornografia è l'uso della fotografia e del film a questo fine. Essa diventa un modello generale per le arti della immagine e della narrazione che non hanno raccolto la sfida dei massmedia. Quanto agli artisti e agli scrittori che accenano di mettere in dubbio le re11,ole delle arti plastiche e narrative, ~d eventualmente di fare condividere il loro sospetto diffondendo le loro opere, sonodestinati a non esserecredibili nei confronti del pubblico, desideroso di realtà e di identità, e si trovano senza udienza garantita. In questo modo, si può attribuire la dialettica delle avanguardie alla sfida che i realismi industriali e massmediatici lanciano alle arti del dipingere e del narrare. li ready made di Duchamp non fa altro che significare attivamente e parodicamente questo costante processodi espropriazione del mestiere di pittore, e di artista. Come nota con penetrazione Thierry de Duve, il problema estetico moderno non è: Che cosa è bello, ma: Che ne è dell'arte (e della letteratura)? li realismo, la cui sola definizione è che esso intende evitare il problema della realtà implicito in quello dell'arte, sisitua sempre in uno spaziochesta tra l'accademico e il kitsch. Quando il potere si chiama partito, il realismo trionfa, con il suo complemento neoclassico,sull'avanguardia sperimentale, diffamandola e vietandola. Inoltre, occorre che le «buone» immagini, i «buoni» racconti, le buone forme che il partito sollecita, seleziona e diffonde, trovino un pubblico che le desideri come medicamento appropriato alle sue depressioni e angosce. La domanda di realtà, cioè di unità, semplicità,comunicabilità,ecc., non ha avuto la stessainsistenza e continuità nel pubblico tedesco tra le due guerre e nel pubblico russo di dopo la rivoluzione: c'è di che fare la differenza tra realismo nazista e staliniano. Resta che, quando è portato dalla istanza politica, l'attacco contro la sperimentazione artistica è propriamente reazionario: il giudizio estetico si do~ vrebbe limitare a pronunciarsi sulla conformità di tale o talaltra opera rispe110alle regole stabilite del bello. Invece di consentire all'opera di preoccuparsi di ciò che fa di essa un oggetto d'arte, e della possibilità di
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