Crissienza~Jalgia, Musil Questa nuova serie di scrilli vari fa •• seguito fl quella del 11. 3 I di Alfabeta (Gorga11i,Leo11e11iP, ortfl, Bflrilli). I f Austria dell'epoca Biedermaier • si distingue dalla maggioranza delle altre grandi potenze europee, e in particolare dalla sua rivale prussiana, per il fatto di essere riuscita a mantenere relativamente più a lungo che altrove un sistema di valori, uno stile di vita e delle forme di organizzazione sociale e politica che lo sviluppo della civiltà industriale stava rendendo più o meno inadatte e anacronistiche. Di conseguenza l'opposizione fra il laisser./aire e il laisser vivre austriaci e rattivismo e l'efficienza prussiane, e l'idea di una Kultur austriaca specifica, fondata sul culto dei valori più tradizionali, più umani e più attraenti di quelli della Zivilisarion tedesca, sono divenute un tema classico per gli intellettuali della doppia monarchia. È a proposito di questa concezione, che egli considera come ingenuità caratteristica che Musil nota, in L'annessione alla Germania (1919): cLo sguardo austriaco rideva, perché non aveva più muscoli sul volto. on c'è bisogno di negare che con ciò qualcosa di aristocratico, sommesso, misurato, scettico, ecc., ecc., entrò nella sfera viennese; ma pagato troppo caro. Se anche non si avesse di fronte nient'altro se non questa 'cultura viennese• col suo esprit de finesse, che si perverte sempre in FeuiJJetonismus, nient'altro se non questa aristocrazia, che non vorrebbe più tener separate forza e brutalità: sarebbe già abbastanza per desiderare di tuffarsi nell'agitazione tedesca». Agli occhi di Musil la famosa •Cultura austriaca•, di cui sottolinea il fatto che si sia potuta sviluppare solo all'interno di uno Stato che riunisce tanto rau.e che nazionalità differenti e che realizza una sintesi armoniosa sulla base degli apporti e delle influenze più diverse quando non antitetiche. corrisponde a cun errore prospettico dovuto al punto di vista viennese> ed in realtà dipende dal mito puro e semplice: cii discorso della cultura austriaca che dovrebbe prosperare con più forza sul terreno caratterizzato da un miscuglio di Stati nazionali meglio che altrove, questa missione della sancta Austria, cosi spesso affermata, era una teoria mai confermata; il fatto che essa si sarebbe ostinata a mantenersi salda. in contraddizione con la realtà, era la consolazione di persone che non potendo pagare il panettiere si saziavano di parole•. L'illusione proviene dal fatto che migliaia di individui dotati e colti e una «eccedenza di pensatori, poeti, attori. osti e barbieri• si suppone che rappresentino, in virtù di un ragionamento completamente fallace, l'equivalente di una reale cultura nazionale. L'cAustriaco di Buridano>, che esita fra le due bisacce di fieno della Federazione Danubiana e della Grande Germania, la seconda delle quali lo trasporta indiscutibilmente sul piano del contenuto calorico, mentre la pri- •ma emana un profumo spirituale nettamente più invitante, commette l'errore di attribuire unicamente alle circostanze e alla sfortuna storica il fatto che una nazione cosi eccezionalmente favorita come la sua dal punto di vista delle doti naturali e della cultura si sia rivelata cosi improduttiva e modesta nel campo delle realizzazioni tangibili! cL'errore si lascia esprimere cosi: uno stato non ha sfortuna. Oppure cosi: non ha talento. Ha forza e salute, oppure no; questa i l'unica cosa che può e non può avere. Poiché l'Austria non l'aveva, l'avevano gli austriaci dotati e colti (mediamente in una quantità che ci assicurerà un posto di rilievo in Germania), e non c'era la cultura austriaca. La cultura di uno Stato consiste nell'energia con cui colleziona libri e quadri e li rende accessihili. con cui fonda ~cuolc e istituti di ricerca, offre ad uomini dotati una base materiale ed assicura loro lo stimolo dovuto alla intensità di corrente della propria circolazione sanguigna; la cultura non consiste nell'ingegno, che pare suddiviso internazionalmente in misura equa, ma nello strato sottostante di tessuto sociale.> Culturae stato Nella sua comunicazione al Congrès lnternational des écrivains pour la défense de la culture, che ebbe luogo a Parigi nel 1935, Musi! difese l'idea - poco seducente per il genere di pubblico al quale si rivolgeva - che i soli 1 bllotecagu o 1anco ,cassiomi culturali• accettabili ·che a rigore si possano proporre sono purtroppo molto più deboli e imprecisi di quanto si preferisce credere. In particolare, contrariamente all'abitudine degli uomini politici di considerare cuna cultura dominante come il naturale bottino della loro politica, come un tempo le donne toccavano ai vincitori>, la cultura non è mai il prodotto diretto dell'azione dello Stato: «La cultura di uno stato non esiste come media della cultura e dell'intelligenz.a dei suoi abitanti, ma dipende dalla propria struttura sociale e dalle più diverse circostanze. Non è fatta della produzione di valori spirituali per ragion di Stato, ma della creazione di istituzioni che facilitano la loro produzione ai singoli uomini ed assicurano ai nuovi valori spirituali la possibilità di avere degli effetti. Questo è veramente quasi tutto •ciòche uno Stato può fare per la cultura; deve essere un corpo robusto e pronto che ospita lo spirito>.· Al contrario anche se si pensa al caso dei regimi particolarmente autoritari e ostili alla cultura, non è facile immaginare una infrastruttur3 sociale e politica che renda intrinsecamente impossibile la formazione di un'autentica cultura. Parte della spiegazione di que!-to fenomeno sconcertante è trovata da Musil in una nota profetica di Nietzsche, nota che sembra aver segnato profondamente la sua riflessione sul problema della cultura contemporanea: eLa vittoria di un ideale morale si raggiunge con gli stessi mezzi immorali proprii di ogni vittoria: violenza, inganno, calunnia, ingiustizia». Giustificata o meno, la diagnosi formulata ne L'Uomo senza Qualità sul caso della filosofia corrisponde ad uno di quei paradossi culturali che rendono cosi difficile ed azzardata la formulazione esplicita di un reale programma di difesa della cultura: «Nei tempi di tirannia vi sono stati grandi filosofi, mentre nei tempi di progresso civile e di democrazia non c'è verso che si produca una filosofia convincente, almeno per quanto se ne può giudicare dal rammarico che si sente universalmente esprimere a questo proposito. Perciò oggi si filosofeggia moltissimo al minuto, cosl che le botteghe sono i soli luoghi dove si può comprendere qualcosa senza una Welumschauung, mentre regna una pronunciata diffidenza contro la filosofia all'ingrosso.> In altri termini, se sappiamo pressapoco quali sono le qualità individuali che costituiscono dei «presupposti psicologici indispensabili• per lo sviluppo di una cultura: libertà, franchigia, coraggio, incorruttibilità, amore della verità, ecc., ignoriamo per contro quasi completamente attraverso quali mezzi, diretti o indiretti, nobili o disprezzabili, esse possano venir suscitate o fortificate. Musil nota come «se tali qualità non vengono spinte in tutti gli uomini da un regime politico, non vengono alla luce, anche in talenti particolari>. Agire sulla conoscenza delle condizioni sociali che rendono possibile la realizzazione di questo presupposto fondamentale potrà dunque ben «essere l'unica cosa che si lasci ottenere con mezzi non politici, per l'autodifesa della cultura». Questa concezione originale delle relazioni che esistono fra la cultura ed i soui presupposti materiali, sociali o politici, è d'una importanza cruciale per comprendere il giudizio che Musi!• formula sul mondo contemporaneo, e in particolare il suo rifiuto sistematico ad annoverarsi nel coro dei nostalgici che deplorano il fatto che la civilizzazione industriale e tecnica abbia reso più o meno impossibile lo sviluppo di una reale cultura, distruggendo ciò che si è convenuto di chiamare !'«anima>, cioè ciò che si riduce, per l'autore de L'Uomo senza Qualità, ad una specie cli «grande buco> che abitualmente viene riempito con ideali e morale. In realtà non c'è nessun motivo per credere che un'epoca come la nostra non sia, come qualsiasi altra, in grado di produrre la propria cultura, anche se è vero che può essere tentata di trovare nella sua particolare situazione degli elementi che la portino a dubitare seriamente di questa possibilità. Per molti intellettuali austriaci, lo Stato moderno, la guerra industrializzata, la scienza mcgalomanica e la tecnica asservente sono divenute, ai loro occhi, i quattro cavalieri dell'Apocalisse, che seminano morte e rovina. La macchina è stata descritta come l'idolo moderno assetato di sangue, che esigerà in misura sempre maggiore sacrifici umani e alla quale l'uomo ha già consentito, ad ogni modo, il sacrificio pressoché completo della propria umanità. Wittgenstein nota, nel 1947, a proposito di quella che lui chiama «la concezione apocalittica del mondo>: «Ad esempio non è stupido pensare che l'era scientifica e tecnica è l'inizio della fine dell'umanità; che l'idea del grande progresso è un abbaglio, come anche quella della conoscenza finale della verità; che nella conoscenza scientifica non c'è niente di buono o di desiderabile e che l'umanità, che l'insegue, corre verso una trappola. Non è affatto chiaro che non sia cosi>. Ma, nello stesso tempo, un altro esito finale, che non è necessariamente più rassicurante, è concepibile: «Potrebbe darsi che la scienza e l'industria ed il loro progresso siano la cosa più permanente del mondo attuale. Che
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