sua efficacia e anzi viene rovesciato: proprio quella componente minoritaria- quel tredici per cento che rappresenta la proprietà mobiliare - la borghesia commerciale e industriale di Barnave e Jaurès diventa il fauo fondamentale e determinante di una rivoluzione ormai avviata su quel «cammino naturale• che è nel.la «natura delle cose• e che porta al capitalismo. In questa linea di pensiero si muove Albert Soboul, quando, nella sua recente correzione dello schema di Jaurès, prospetta non più una rivoluzione del 1789 già di per sé borghese e capitalista, ma una rivoluzione che prepara i presupposti di un futuro sviluppo economico-capitalistico, liberando la società di tutti i vincoli politici e giuridici di natura feudale. Così, guardando con occhi diversi, da lontano e da vicino, alla stessarivoluzione, emergono falli diversi e rivoluzio11idiverse, e in ciascunodei due approcci vi sono altrettante ragioni di verità. Sono verifa11i di storia, sia quelli di Cobban che configurano la rivoluzione come oggeuiva cominuità, sia quelli di Barnave che prospettano la rivoluzione come programma di rottura. Tutto dipende dal punto di vista da cui ci si pone, ed ambedue i punti di vista sono legittimi; ma poichè si sta parlando della stessa cosa, vi deve essere un unico modo di vedere questa cosa- la rivoluzione francese si pensa che essa sia reale. Si tratta quindi di riuscire a mettere insieme i due punti di vista, di pensare a un'unica rivoluzione guardando al tempo stesso da lontano e da vicino. Si tratta di co11ce11ualizzare in un solo problema l'oggetto-rivoluzione, trovando un punto di aquilibrio tra due ragioni tradizionalmente contrastanti. Un modello interpretativo di questo genere viene individuato da F.Furet nella classica opera l'amico regime e la rivoluzione di Alexis de Tocqueville, dove la caratteristica fondamentale della rivoluzione sembra consistere proprio nella «dialettica continuità/ rottura», intendendo il primo come «continuità nei fatti, ed il secondo come rottura negli animi» (Furet, trad. it, p.158).Nell'ottica di questa attualizzazione polemica della tesi ottocentesca , già più volte ripresa nel novecento, del liberale Alexis de Tocqueville, verifichiamo il modello proposto da Furet nell'interpretazione del problema della feudalità. Secondo la tesi sostenuta da Tocqueville, già prima dell'89 «i diritti feudali erano passati semplicemente dallo stato di istituzioni a quello di sopravvivenze». In effetti, «il contadino francese era già per molti aspetti un contadino del XIX secolo, ossia un proprietario indipendente dal suo signore», ed in questo come in altri settori della società «la Rivoluzione si era già realizzata per tre quarti abbondanti ancor prima della Rivoluzione> (Furet, pp.157-58). Cosi laco111i11uità ra antico regimee rivoluzione è il primo aspetto della rivoluzione: essa consiste nel fatto, apparentemente paradossale, che la rivoluzione era già in atto nello stesso antico regime; la storia dell'antico regime, che co11ri11ua durante e dopo la rivoluzione, è la medesima storia della rivoluzione francese, vale a dire quella di una inarrestabile tendenza alla democrazia, all'eguaglianza delle condizioni di vita. Ma proprio il fatto che la rivoluzione si era realizzata in buona parte già prima della rivoluzione, rendeva «la residua feudalità tuttora esistente nelle campagne ...ancora più insopportabile» e imponeva una «rottura rivoluzionaria> che dichiarassea gran voce che ciò che era già morto nella sostanza non esisteva più neppure nella sua forma simbolica e giuridica. Così la ri,·oluzione viene definita nei termini di una «continuità nei fatti», ma proprio questo suo aspetto di continuità rende necessariauna «rotturanegli animi• che è funzionale a tale continuità, e costituisce l'altra faccia della rivoluzione: solo cogliendo lo stretto rapporto dialettico di queste due dimensioni, quella strutturale della co111i11uità e quella ideologica della ro11ura, diviene possibile la comprensione del fenomeno «rivoluzione>. Perchè senza la «continuità nei fatti• non si spiega la «rottura rivoluzionaria», ma si deve fare un «esameobbieuivo del reale contenuto• di quest'ultima, che , come suggerisceTocqueville, è fondamentalmente «ideologico». E questa è una «idea eccezionalmente feconda, se pensiamo quanti storici di ieri e di oggi tendono a prendere il discorso rivoluzionario per oro colato, quando invece non esiste probabilmente coscienza più 'ideologica' ...della coscienza rivoluzionaria» (Furet, p.158). Discorspoerç,,ribaldi(1860) S ignori, eccomi a rispondere al vostro appello. Ovunque venga innalzata una tribuna per la libertà e mi reclami, io vi giungo, è mio istinto, e vi dico la verità, è mio dovere. La verità, eccola: è che in quest'ora non è permesso ad alcuno di essere indifferente di fronte ai grandi avvenimenti che si stanno compiendo, è che all'opera augusta di liberazione universale cominciata oggi è necessario l'impegno di tulli, il concorso di tuui, il colpo di mano di tutti; che non un solo orecchio deve essere sordo, non un solo cuore deve tacere; che là dove si innalza il grido di tu lii i popoli dev'esserci un'eco nell'animo di tutti gli uomini; che chi non ha che un soldo lo deve donare ai liberatori; che chi ,non possiede che una pietra deve gettarla contro i tiranni. Gli uni agiscano, gli altri parlino. tulii si diano da fare! Si, tutti all'opera! Il vento soffia. L'incoraggiamento pubblico agli eroi sia gioia per gli animi! Le moltitudini si facciano rosse di entusiasmocome una fornace! Coloro che non combanono con la spada combanano con l'idea! Non una solointelligenza resti neutrale, non un solo spirito resti inoperoso! Coloro che lonano si sentano guardati, amati ed appoggiati! Intorno a quest'uomo valoroso, che è in piedi laggiù a Palermo, ci sia un fuoco su tutte le montagne della Sicilia e una luce su tutte le cime d'Europa! Ho appena pronunciato questa parola: i tiranni! Ho esagerato? ho forse calunniato ingiustamente il governo napoletano. Niente parole, eccovi i fatti. Fate attenzione. Questa è storia vissuta, si potrebbe dire che è storia sanguinante. per le gambe al muro di fronte: fallo ciò, gli salta sopra sino a slogarlo. Ci sono delle pinze che spezzano le dita della mano, c'è il mulinello serra testa, cerchiodi ferro compressoda unavite, che fa uscire e quasi sprizzare gli occhi. Qualche volta si riesce a fuggire: un uomo, Casimiro Arsimano, è fuggito: sua moglie, i suoi figli e le sue figlie sono stati presi e messi a sedere al suo posto sulla poltrona ardente. Il capo Zafferana confina con una spiaggia deserta: su questa spiaggia, degli sbirri trascinano dei sacchi, in quei sacchi ci sono degli uomini: si immerge il sacco nell'acqua e ve lo si tiene finché non si agita più: a quel punto lo si solleva e si ordina di confessareall'esserechevi si tezzerà orrendamente questadinastia, e cambierà Borbone in Bomba. Sl, un uomo di vent'anni commette tutte queste azioni sinistre. Signori, io vi dichiaro che mi sento preso da una pietà profonda pensando a questo miserabile piccolo re. Che tenebre! È nell'età in cui si sa, in cui si crede, in cui si spera, che questo disgraziato tortura e uccide. Ecco ciò che il diritto divino fa di un'anima infelice. Il diriuo divino sostituisce tutte le forme di generosità dell'adolescenza e dell'inizio con gli sfaceli e i terrori della fine, pone come una catena sul principe e sul popolo la tradizione sanguinaria. accumulasul nuovo Il regno di Napoli - quello di cui ci occupiamo in questo momento - possiede un'unica istituzione, la polizia. Ciascun distreno ha la sua «commissione di bastonatura». Due sbirri, Ajossa e Maniscalco, regnano dopo il re: Ajossa bastona Napoli, Maniscalco bastona la Sicilia. Ma il bastone è solo il mezzo turco, mentre questogoverno possiede inoltre il procedimento dell'inquisizione, la tortura. Sl, proprio la tortura. Garibaldi 11eltUruguay. (Da Comt11uli11i«:L'flalia nei cemo mmi•). Ascoltate: uno sbirro, Bruno, tiene legati gli accusati con la testa fra le gambe finché non confessano. Un altro sbirro, Pontillo, li fa sedere su di una griglia e vi accende sotto il fuoco, e questo si chiama ela poltrona ardente». Un altro sbirro, Luigi Maniscalco, parente del capo, ha inventato uno strumento in cui si introduce il braccio o la gamba del paziente, si fa girare un ingranaggio, e le membra si spezzano: questa si chiama la «macchina angelica». Un altro sospende un uomo per le braccia a due anelli fissi nel muro, e trova dentro. E se rifiuta, lo si riimmergé. Giovanni Vienna, di Messina, è morto in questo modo. A Monreale, un vecchio e sua figlia erano sospettati di patriottismo: il vecchio è morto sotto la frusta, e sua figlia, che era incinta, è stata denudata ed è morta anch'essa sotto la frusta. Signori, è un giovane di vent'anni che fa queste cose. Questo giovane si chiama Francesco II. Questo accade nel paese di Tiberio. t possibile? è vero. La data? il 1860, l'anno in cui ci troviamo. Aggiungete a tutto ciò i fatti di ieri, Palermo schiacciata sotto i proieuili, annegata nel sangue, massacrata - aggiungete questa tradizione spaventosa della distruzione delle città, che sembra la rabbia maniaca di una famiglia, e che, nella storia, batBibI i V t ... va~ i r.o o I an CO venuto al trono le influenze della famiglia, cosa orribile! Togliete Agrippina da Nerone, cancellate Caterina de' Medici da Carlo IX, e forse non avrete più né Carlo IX, né Nerone. Nello stesso istante in cui l'erede del diritto divino prende lo scettro, vede venire verso di sé questi due vampiri, Ajossa e Maniscalco, che la storia conoscebene, che altrove si chiamano Narciso e Pallante, o Villeroy e Bachelier. Questi spettri si impadroniscono del triste fanciullo coronato, la tortura gli dice di essere ilgoverno, la bastonatura gli dichiara di essere l'autorità, la polizia gli dice• Vengo dall'alto», gli si mostra da dove viene, gli si ricorda il suo bisnonno Ferdinando I, quello che diceva: «Il mondo è retto da tre F: Festa, Farina, Forca»; suo nonno Francesco I, l'uomo degli agguati; suo padre Ferdinando Il, l'uomo delle mitraglie. Potrà rinnegare i suoi padri? Gli si dimostra che deve essere feroce per pietà filiale, ed egli obbedisce; l'abbruttimento totale del potere assoluto lo stupefà, ed è per questo che ci sono dei bambini mostruosi, ed è cosi che fatalmente, ahimé, che i giovani re continuano le vecchie tirannie. Bisognava liberare questo popolo, quasi dirò che bisognava liberare questo re. Garibaldi se n'è fatto carico. Garibaldi! Che cos'è Garibaldi? t un uomo, nient'altro. Ma è un uomo in tutta l'accezione sublime del termine. Un uomo della lihcrtà. un uomo delPer quanto accanita sia la resistenza, questa guerra sorprende per la sua semplicità. t l'assalto di un uomo ad una monarchia; il suo sciamevola intorno a lui, le donne gli gettano dei fiori, gli uomini si battono cantando, l'annata del re fugge. Tutta questa avventura è epica, è luminosa, formidabile e affascinante come un attacco di api. Ammirate queste tappe radiose. E vi dicoche non unadi esse verrà meno nelle scadenze infallibili del~nirc. Dopo Marsala, Palerrno; dopo Palermo, Messina; dopo Messina, N'apol1; dopo Napoli, Roma; dopo Roma, Venezia; dopo Venezia tutto. Signori, è da Dio che viene il terre- ,mot~ di questa,$icjlia al di wpra <,l,ell,a tiuale si vede oggi fiammeggiare il palriottismo, la fede, la libertà, l'onore, I·eroismo, e una rivoluzione da eclissare l'Etna! Sì, doveva essere così, ed è magnifico che venga dato al mondo l'ese io dalla terra delle eruzioni. Oh, quando rora è giunta, com'è bello un popolo! ---------T Che cosa mirabile questo rumoreggiare, questo sollevarsi, questo oblio per gli interessi bassi e vili dell'uomo, que- ,te donne che spingono alla battaglia i loro mariti e che combattono anch'es- "'• queste madri che gridano« Va!• ai loro figli, questa gioia di correre alle armi, di respirare e di essere, questo grido di tutli, questa immensa luce sulI·orizzonte! l'umanità. Vir, direbbe il suo compatriota Virgilio. Possiede un'arrnata? No. Un pugno di volontari, delle munizioni di guerra? Affatto. Della polvere da spa~o? Qualche barile appena. Dei cannoni? Quelli del nemico. Qual è dunque la sua forza? Che cos'ha dalla sua parte? Che cosa lo fa vincere? L'anima dei popoli. Egli va, corre, la sua marcia è l'avanzata di un incendio, il suomanipolo di uomini sbalordisce i reggimenti, le sue deboli armi sono incantate, le pallottole delle sue carabine tengono testa alle palle di cannone, egli ha dalla sua la Rivoluzione: e di quando in quando, nel caos della battaglia, nel fumo, fra gli scoppi, si vede dieLro di lui la dea, come se fosse un eroe di Omero. Non si pensa più ad arricchire, all'orò, al venlre, ai piaceri, alla bestialità dell'orgia, si prova vergogna ed orgoglio, ci si raddrizza, l'atteggiamento fiero delle teste provoca i tiranni, le barbarie se ne vanno, i dispotismi crollano, le coscienzerigettano le schiavi1ù, i partenoni scuotono coloro che ,tanno crescendo, la Minerva austera ,i leva nel sole, con la sua lancia in mano. Le fosse si aprono: ci si chiama di tomba in tomba. Resuscitate! t più che la vita, è l'apoteosi. Oh! t un battito divino di cuori, e gli antichi eroi vinti trovano pace, e gli occhi dei filosofi proscritti si riempiono di lacrime, quando chi era decaduto si indigna, quando chi era caduto si rialza, quando gli splendori eclissati riappaiono affascinanti e temibili, quando Instanbul ritorna Bisanzio, quando Sitinia ritorna Atene, quando Roma ritorna Roma! Tutti noi applaudiamo l'Italia. Glorifichiamola, questa terra di grande progenie, Alma parens. t in simili nazioni che certi dogmi astratti appaiono reali e visibili; essesonovergini nell'onore e madri del progresso. Voi che mi ascoltate, riuscite a vederla, questa splendida visione? L'Italia libera! libera! libera dal golfo di Taranto alle lagune di San Marco, poiché te lo giuro sulla tua tomba, Manio,
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