Roland Barthes, i rapporti dialettici tra memoria ed invenzione, tra vecchio e nuovo). Su che cosa, se non proprio su questo, si interroga Miche! Leiris verso la fine de Le ruban au cou d'Olympia, nelle pagine pubblicate anticipatamente sulla Nouvelle Revue Française ed intitolate, con sottile provocazione surrealista, Modernité-Merdonité? Facendo l'anamnesi dei suoi precoci rapporti alla modernità - e la Salomé di Strauss gliene procurò la prima perturbante sensazione -Leiris approda rapidamente alla nozione baudelairiana d'incontro del transitorio, del contingente, del fuggitivo con l'eterno, l'immutabile. Nozione relativa se mai ce ne furono, se è poi vero che la modernità non risiede nella cosa mai fissa che si tratta di catturare ma nel gesto di catturarla, non nella cosa vista ma nell'occhio che guarda. E se Leiris, cen mal de modernité•, finisce per trovare un suo modo specifico di appartenere al nostro secolo, I(\ trova nella parte più remota di sé, nella ccoscience cruellement afflìtée que je crois avoir de la difficulté qu'un individu à peu prés informé et qui soit tani soit peu réfléchi a de vivre à notre époque». Che è poi modo di sottrarsi all'adesione, di stare ai margini. Relativa, sfuggente, mutevole, polimorfa, ribelle, sconcertante, «bn'.ìlure actuelle plutOt qu'actualité bn'.ìlante», la modernità trova nel nastro nero che orna il collo dell'Olympia di Manet, la sua immagine più seducente. I suoi predicati, accumulati e non articolati in una tassonomia, confinano nel C3J!!posemantico del sacro di cui Leiris ha dato, fin dagli anni del Collègede Sociologie, l'immagine geometrica di un punto di tangenza (// sacro neJ(o vita quotidiana, la celebre conferenza /et:U\-,l'Sgennaio 1938 e giustamente il]!i<:rilai11questo primo omaggio all'opera di Leiris della nostra cultura, il Jascicolo monografico curato da Guido Neri per// Verri). Modalità della comunicazione, la modernità, come già allora il sacro, è ,çlq,~,!I~ ,PJlìS/1.,SU\rleaa..ltà,. l:isµintc che spezza la durata, la breccia che apre le labbra del segno, il gesto trasgressivo che sprigiona la parte maledetta, il «selvaggio• - «Et n'est-ce pas toujours quelque chose de sauvage. (brut, nu, intouché, voir rétif) que cc lasso doit prendre au dehors comme au-dedans de moi?:i.. L'altro da sé. Quello che, l'allora trentenne, Miche! Leiris andò a cercare in Africa, partecipando, come segretario-archivista, alla prima grande missione sul territorio della giovane etnografia francese, e che, in due anni. lo condusse da Dakar a Gibuti, dalla lingua segreta dei Dogon di Sanga agli spiriti «Zar• degli etiopici di Gondar. A questa partenza non dovette essere estranea la sconvolgente profezia di Rimbaud che tanto affascinò i surrealisti - e dunque Leiris. Poiché «Je est un autre>, altrove bisognava andare e il più lontano era il meglio. La dilatazione dello spazio era promessa di alterità. Non alla ricerca di esotismo ma di identità, Leiris approdava all'etnologia, scienza dell'altro per eccellenza. subjectivité qu'on touche a l'obiectivité» - con un'emarginazione prolungata. In quanto all'Africa, a Leiris non rimaneva tra le mani che un fantasma, non quello che avrebbe risposto al suo gusto del meraviglioso ma quello che aveva frustrato le sue illusioni d'uomo occidentale, un fantasma che il tempo non ha certo esorcizzato. Sul piano esistenziale, si trattava di uno dei primi disinganni («C'est une influence sOrement démystificatrice qu'ont eue sur moi l'étude et la pratique de l'ethnologie•) di una lunga quanto crudele serie che, attraverso la «via della lucidità», ha condotto l'autore de Le ruban au cou d'Olympia cnez à nez avec soi, dans un vide autant dire tota!». Ahhandonata la speranza di conosang, déflagration de ma matièrc grisc ou ultime vomissure dont mon écroulement (conccvable pour moi sous celte seule forme de soudaine catastrophe) marquera le ciel fictivement». Arcipelago alla deriva o isola circondata dal vuoto, come questa anacronistica Ile de la Cité che, dal quarto piano del 53bis Quai des Grands Augustins,sioffre, da più di quarant'anni, al suo sguardo senzaaver mai «preso» in una descrizione (e si può leggere a questo proposito il capitolo Perséphone in Biffures, Einaudi, 1979)- Leiris, che subiscecome «una lesione personale» le morti degli amici pittori e scrittori che, l'una dopo l'altra, scandiscono le tappe di un percorso sempre più difficile, si è esiliato nella solitudine di una scrittura «Qui sait trop bien Je n'est pas un autre». Di questa esperienza, contrariamente a Rimbaud che non ruppe mai il silenzio abissino, Leiris riportò indietro una lunga testimdnianza, il «carnet de route>, tenuto giorno per giorno. che Gallimard ha appena ristampato, inserendolo a cinquant'anni di distanza, nella prestigiosa «Bibliothèques L ·ascensione di GaribaMi. (Dal Fischietto tle/tepoC11). des Sciences humaines•, dopo averlo scersi meglio attraverso l'altro, Leiris fatto trasmigrare dagli iniziali «Do- ha progressivamente ripiegato lo spacuments bleus• diretti da Malraux zio dell'interlocuzione su se stesso. E (1934) alla letteraria «Collection poiché, man mano che scriveva La rèblanche• (I 969), con una tappa nei gledu Jeu, sono svanite anche le ipotelimbi degli «Hors strie• (1951). tiche condizioni di un'impossibile totaPeregrinazioni che non hanno nulla lità, ha rinunciato allo schema narratidi innocente né di casuale. In anticipo vo, già fortemente eroso dalla scrittura - e dunque contro i tempi -L'Afrique esplosa di Frele bruit, l'ultimo volume famome -è il titolo, abbondantemente di ciò che avrebbe dovuto essere, se se sovradeterminato, di questa, allora ne fossero verificate le condizioni aninammissibile pratica dell'interlocu- tropologiche, la sua autobiografia: zione etnologica - pagò la modernità cPliìtOtque suite logique ou chronolodel suo postulato - «c'est en poussant gique, ces pages seront - quand finies le particulier jusqu'au bout qu'on at- ou du dehors interrompues - archipel teint le général, par le maximum de ou constellation, image de la giclée de B1bllotecag1nob1anco • Privata di un materiale autobiografico esaurito nella gigantesca impresa di ricostruzione di una coerenza (se non di un senso), ma che, per aver rinunciato alla sintagmatica narrativa non è per tanto riuscita a colmare i buchi che cercava di coprire con la rete analogica, le giustapposizioni an'acroniche, le omologie sostitutive, la sua· quéte, «chassesansprise», è sboccata su due abissi: la morte e l'umana condizione. Che è la situazione di sempre dell'autoritrattista, costretto a barcamenarsi tra questi due limiti per produrre ciò che sarà sempre «pour l'cssentiel l'entrelacement d'une anthropologie et d'une thanatologie» (Beaujour). «Ecrit à la main plutòt qu'à la ma- .chine pour que ce soit celte main - l'une des parties de notre corps que nous sentons à. nous le plus immédiatement - qui sansintermédiaire autre que le stylographe /.../ façonne lettre par lettre les lignes et s'y accroche, comme si chacune d'elles et chacun meme des signes tracés devait Ctre, d'une pari affirmation de vie /.../ et, d'autre part, perche saisie en pleine coscience physiquc de l'accomplissement de ce geste, pour échapper à la noyade». Il lettore di Leiris è, da lungo tempo, abituato ad essere trascinato nelle palinodie labirintiche che sott"ndono un discorsodiventato presto il suo stesso oggetto. ad assistere. come parte. al processo di una scrittura troppo cosciente delle insidie della malafede per potersi mai acquietare, convincersi non solo della sua fondatezza ma della sua legittimità. Sfuggito all'ermeneutica antropologica quanto allo sguardo dell'altro, l'interrogativo ontologico «Chi sono?» è slittato in un altrettanto amletico interrogativo sulla scrittura: «/.../ revenir au point de départ et s'cfforcer par la pratique, de résoudre la quest!on du comment écrire, n'est-ce pas cssayer de se garer de la cascade vertigineuse qui, de quoi en pourquoi, vous fait dégringoler de l'abime où serpentent les plus venimeux points d'interrogation?». In assenzadi una trascendenZasalvifica, è alla scrittura che è stato affidato il compito di fornire una risposta, costretta - proprio dall'impossibilità di esseremetafisica e dunque totalizzante - ad abbandonare, prima l'illusione di senso del progetto cronologico, e poi la discorsività. E, come il suo soggetto-oggetto, essa si è fatta frammento. Presenza a sé di un'enunciazione, la topica leirisiana tende una tela aracnea che dovrebbe sorreggere il soggetto, impedirgli di sprofondare nel vuoto che, nel Ri!venon ri!vé de Le ruban au cou d'Olympia, si schiude al di sotto della scala alfabetica che il sognatore deve percorrere dalla A alla Z per scampare alla morte. La «dérobade» (nel senso proprio e figurato) del referente trova in questo ultimo libro una prima immediata conferma nel restringimento della zona focale limitata, qui per la prima volta, alle dimensioni della passeggiata quotidiana: esploso, il macrocosmo si è ridotto al Quartiere Latino i cui confini vengono raramente varcati, se non per l"ormai decennale puntata al Musée de l"Homme. Estensione dello spazio domestico più che esplorazione del nuovo, l'esterno ha l'ambivalenza del familiare. Perché c'è sempre qualcosa di perturbante, una leggera dissonanza, un impercettibile slittamento verso il fantastico (gli incontri con gli animali e i vagabondi che popolano questo ibrido V0 «arrondissement» ), in questi squarci di vissuto parigino che, di volta in volta, riallacciano il testo alla realtà, dot?.ndolo ino!~redi_9~~/. '/1ì,~).smr.;~o~ 210 po(enztale dà! quale lo sc\rr1mte può tipartireog'n'i volta'u·n~o; più-lon1ano nella sua éspfodzione metadisCorsiva.: • • ', •;• • . : ' ln rresa diretta sul reale,. qiJt!sti «flashes» baudelairi~ni (i,I Bau'cielaire dei Tableaux parisiens e di Le spleen de Paris), nella lo~o·felicesperimentaziorie di una po~iica del presente, rimandano, scavalcandol'intera propuzione «autobiografica», alla «succession dc flashes relatifs à des faits sul;,,- jectifs aussi bien qu'à des choses extéricures» che compone L'Afrique fa1116111e. Ma, mentre in questo ultimo caso, la struttura diaristica conteneva i frammenti, innestandoli in una diacronia generatrice di senso, ne Le ruban au cou d'O/ympia Leiris lavora senza rete. Agrappato alla sola scala alfabetica, ha rinunciato persino alla tela dei rimandi analogici. A suadisposizione, il solo nastro nero di Olympia, fune acrobatica e funebre. «Ecriture du désastre» (M. Blanchot), il frammento, sospesonel vuoto, mima la morte, promette «le désarroi, le désarrangement». A meno che, «écriture de la chance» (G. Bataille), non mimi quclraltra, piccola morte, l'istante estatico del godimento che promette la fusione con l'altro, una comunicazione che non sia «troc» ma «effet d'une intime résonance». Autoritratto poetico, liberato dal fascino discreto dell'autobiografia, Le ruban au cou d'Olympia è un libro inaugurale nella misura in cui, dietro i geroglifici della memoria, Leiris ha decifrato quel segno- la poesia- che vi aveva nascosto, residuo infantile, nel momento di entrare nell'Età d'uomo (sulla svolta realista di Lciris, si veda ne Il Verri, La poésie jusqu'à Z di Dcnis Hollier, ove Z, pronunciato «zed» in francese, sta per Zette, moglie dello scrittore). In quanto a Miche! Baujour, più che legittima sarà la sua soddisfazione nel vedere confermate, l'una dopo l'altra, le sue nuove prospettive sull'autoritratto di cui Leiris ci ha appena offerto un'illustrazione esemplare nella modernità della sua presenza, del suo impatto sul lettore: «Commcnt passcr autor du cou des choses /.../ le ruban qui Ics rendra, pour moi comme pour ceux à qui j'en parlerai, aussi présentes, prcssantes que l'Olympia de Manet avec son cou barré de noir?»
RkJQdWJsaXNoZXIy MTExMDY2NQ==