Alfabeta - anno V - n. 49 - giugno 1983

Mensile di informazione culturale Giugno 1983 Numero 49 - Anno 5 Lire 3.000 Edizioni Cooperativa Intrapresa Via Caposile, 2 • 20137 Milano Spedizione in abbonamento postale gruppo mno • Printed in Iialy tasR ~ Agenzie per la wmunicazione pubblicitaria in Milano e Modena P. Y..... 01 Il de•onlaco nel .... lo * Wa, Prellllo Pasollnl '83 * A. ■olllloz Regioni --■mi:1• G. C...., N. ■ertore■1 1 IINI • .,....,. : A. Faetl1 Un Itinerario ped■1:,:.: * E. ■-11 Pul■llslcaP. Murch•■nb 11......_.._ • Goaltrowla Prove d'urtuta1 E. lsgr6/P. V I: Purllcol .. l••••lllto Da New York* Da Pungi * S. Vaccaro: Cl■-tr•, pn111■ dello Stato * D. Marconi: La swollu llll9ulallca ,..._1 U. lco1 Postllle u «Il ..... della ro•• * G. Dorfl•1 La nozione • cwuMO * T. De Mauro1 La 1e11.,. I■ - G. lpe11deb llllenlstu • e.clii■ 1<111·•F. Ronclollno: Max llrotllu Praga·•• Pullh::bL'oscudlà 1••••- F. Ck.11llw1 Repertori* L. Crespi: Il più razlonule * G. Toti: Poetica elettronica .A. Attualll: T-■tro ·•gato G.S. l.uM1 Il sonlso delle alidotllà * Cfr. * R. Gulducci: Le 11eltlliedel 7 aprile N.. ■lllwhL,I: Anche un procouo agi lntelloltuul * Glonaule del Glonaull: Le coperti- del Mlii•-• 1974/1982 •••• della co.. nlcuzlono: Ca-■-e •111on■1 * l11111H19lnInl:tegrare Il MOstro Bibliotecaginobianco

Nuovecollane le imlllagindiiquestonumero Narrativa J. Neruda I raccontidi Mala Strana Introduzione di C. Magris Pagine 239, lire 12.000 VittorioStrada, li Corriere della Sera: «Un'atmosferad'intimità Biedermeier, la cui discreta,tenera,pastosaserenità è animatada un humour che ricordaDickens e Gogol». Valerio Dehò, Alfabeta: «Con questi racconti inizia la grande stagione letterariadi una città crogiuo/o di miti... » A.P. Giitersloh La favola de~amicizia Introduzione di E. Bonfatti Pagine XXIII-193, lire 17.000 Il libro straordinariodel più geniale e stravaganteautore austriacodel '900. Maria Brunei/i, Il Giornale: «L'ultimo caso letterarioche, in ordine di tempo, viene riportato alla luce dopo anni di dimenticanza». I. Cankar Immagini dal sogno Introduzione di A. Rebula Postfazione di A. Bressan Pagine X.1-147,lire 12.000 Le inquietantinovelle del maestrodella narrativaslovena:un dolceconnubio di fantasia visionaria, corposo realismo, ispirazione religiosa e tenerezza sensuale. M. Moicher Sfurim I viaggidi Beniamino Terzo Presentazione di C. Magris Introduzione di D. Leoni Pagine XV-130, lire 12.000 Il grande libro del padre della letteraturajiddischper laprima voltatradottoin Italia. La storiaavvincentedi un nuovo Don Chisciotte, spaesato viaggiatore nel mondo. H. Grab ii Parco Introduzione di R. Buzzo Màrgari Pagine XXXI-I 13, lire 14.000 L'amore di un adolescentesullo sfondo del magicoparco di Praga:capolavoro di Grab, poeta discretoe struggenteche narra il tramontodellavecchiaEuropa. Saggistica Autori vari Anima ed Esattezza Pagine 320, lire 20.000 Saggi dei maggiori critici contemporanei sul rapportotraletteraturae scienza nella culturaaustriacatra '800 e '900. R. Caillois Babele Postfazione di M. Y ourcenar Pagine 304, lire 23.800 La proposta provocatoria e attuale di un nuovo «Vocabolarioestetico». Vittorio Sa/lini, L'Espresso: •· .. saggi polemici (classicisticie antistoricistici) contro le avanguardieletterarie... saggi premonitori... ». Giampaolo Dossena, Tuttolibri: «Un librodurissimochepotrà sorprendereo sconcertare». CarloLaurenzi, Il Giornale: «Un Caillois demistificatorioal punto giusto». G. Morpurgo - Tagliabue La nevrosi austriaca Pagine 238, lire 23.500 Saggisul romanzo con scrittisu Musi/, Kafka, Lukacs, Roth e Kant alle prese con il mondo deisogni e l'artedivinatoria. Fllosofta H.G. Gadamer Studi platonici I La prima parte dei saggi di Gadamer sullafilosofia anticanon ancoratradotti in Italia. «Azienda & Società» O. Marchisio Breda Termomeccanica: un caso, un paradigma Introduzione di M. La Rosa Pagine XVIII-221, lire 18.000 La storia di uno dei più grandi complessi industrialiitalianiricostruitadall'interno, attraverso i documenti dell'azienda. Un libro nuovo che applica le metodologiedellamicrostoriaalla realtà industriale. casa editrice maertiti Il Medio Evo cerca di integrare il mostro, di esorcizzarlo assegnandogli un posto e un fine nella creazione. Talvolta riconosciuto come prodotto da forze malefiche («il demonio e le streghe possono fare animali con il permesso di Dio, ma solo imperfetti», Malleus Maleficarum), non perde per questo il suo rapporto con il divino e il suo compito nel piano della salvezza. Se gli storpi, i mutilati, per non parlare di esseri «magis bestiae quam homines», inducono a dubitare della giustezza della Natura, sant'Agostino ammonisce che solo colui che non può considerare l'insieme è scioccato per l'apparente difformità di una parte di cui ignora la convenienza e il rapporto con il tutto. Nessuno dunque sarà tanto stolto da pensare che il Creatore abbia commesso qualche errore nella sua opera, ma anzi si dovrà considerare che il mostro, in quanto elemento di diversità, contribuisce ad accrescere la bellezza del creato. Così il Medio Evo riesce a convivere armoniosamente con gli esseri meravigliosi che vivono nelle fredde regioni dell'Antartide, o nelle terre dell'Africa e dell'Asia troppo calde perché le sembianze umane e animali possano svilupparsi gradevoli. I mostri abitano luoghi a cui Sommario Paolo Valesio Il demoniaco nel saggio (Cerchi, di R. W. Emerson; Agon, di H. Bloom) pagina 3 Jabès, Premio Pasolini '83 pagina 4 Alberto Boatto Regioni essenziali (Giochi africani - Avvicinamenti, di E. ]unger; Ernst ]unger, Roma 14-16 marzo 1983) pagina 5 Guido Costa Nicoletta Bertorelll I libri di Jiinger (Avvicinamenti • Eumeswil - Heliopolis, di E. ]unger) pagina 6 Pietro Marcbesanl Il bestseUer di Gombrowicz («Maledettifilologi» 4) pagina 7 Antonio Faeti Un itinerario pedagogico (Emilio, di A. Porta) pagina 8 Prove d'artista Emilio Isgrò pagina 9 Paolo Volponi Particolare ingrandito pagina 10 Enrico Baj Patafisica pagina 12 Da New York a cura di Stefano Rosso e di Maurizio Ferraris pagina 13 Da Parigi a cura di Nanni Balestrini e di Maurizio Ferraris pagina 14 Salvo Vaccaro Clastres, prima deUo Stato (La societàcontro lo Stato • Archeologia della violenza, di P. Clastres) pagina 15 Diego Marroni La svolta linguistica (The Linguistic Tum • Philosophy and the Mirròr of Nature, di R. Rorty; Truth and OtherEnigmas, di M. Dummett; Il nome di Kripke, di A. Bonomi; Kripke e Putnam, di G. Milione e D. Voltolini;Rorty: l'essenzaspeculare,di M. Danieli) pagina 16 Comunicazione ai collaboratori di «Alfabeta» Le collaborazioni devono presentare i seguenti requisiti: a) ogni articolo non dovrà superare le 6 cartelle di 2000 battute; ogni eccezione dovrà essere concordata con la direzione del giornale; in caso contrario saremo costretti a procedere a tagli; B1bilotecaginob·1anco Integrare il mostro sono legati, e i viaggiatori ne riferiscono nei loro racconti. L'India è per elezione il luogo dove si possono vedere Perindei, alberi che con la loro ombra spaventano il drago e offrono rifugio ai colombi, e serpenti dai colori meravigliosi. L'altra faccia della terra è abitata dagli Antipodi, esseri con cui gli uomini non possono comunicare in alcun modo e che tuttavia vivono in una sorta di mondo parallelo, l'alter orbis, e i cui piedi sono letteralmente incollati alle nostre suole: a ogni uomo corrisponde un antipode. A chi si stupisce che essi camminino a testa in giù senza cadere nel vuoto il pensiero medievale risponde che la Natura non può lasciarli cadere. Come il fuoco dimora nelle fwmme, l'acqua nelle acque, così per le creature legate alla terra non v'è altro sito. Con queste argomentazioni e con altre simili il Medio Evo esorcizza il problema del difforme, di ciò che è oltre o contro la norma, identificata in questo caso con la Natura. Lo stesso atteggiamento governa i Bestiari. In essi animali meravigliosi e animali domestici sono trattati allo stesso modo: non sono altro che segni, cifre, attraverso le quali Dio parla. Il Bestiario ci invita ad andare oltre il dato fenomenico per cogliere, sotto le spoglie del Testo Umberto Eco Postillea «Il nome della rosa» pagine 19-22 Gilio Dorfles La nozione di consumo pagina 23 Giovanna Spendei Intervista a Cecilija Kin pagina 24 Tullio De Mauro La lettura in Italia pagina 25 Fabrizio Rondollno Max Brod a Praga (Der PragerKreis, di M. Brod; L'amata perduta, di J. Urzidil; Aus Prager Gassen und Niichten, di E.E. Kisch) pagina 27 Giorgio Patrizi L'oscurità gaddiana (li tempo e le opere - Meditazionemilanese, di C.E. Gadda) pagina 28 Francesco Garritano Repertori (Repenoires I-V, di M. Butor) pagina 29 crr. pagine 30-31 Luciano Crespi Il più razionale (Il fascino di Luhmann, di P. Derossi; La sfera e il labirinto, di M. Tafuri; Il momento tecnico de~'architettura, di P.A. Cetica;Attore socialee sistema, di M. Crozier e E. Friedberg) pagina 32 Gianni Totl Poetica elettronica (Art vidéo: retro-per-spectives,di L. Busine e J.-P. Tréfois; Video-Roma '82-'83, di A. Sily; Il gergo inquieto, di Autori vari;Il gergo inquieto. Le parole degli ospiti 1, di Autori vari; Trente ans de cinéma expérimentalen France, di D. Noguez; Éloge du cinémaexpérimental, Parigi1979;Il cinemaelettronico, di Autori vari; Vidéo art explorations, di D. Bel/oir; Vidéo, la memoire au poing, di A.-M. Duguet; Videotapes. Arte Tecnica Storia, di S. Luginbuhl e P. Cardazzo) pagina 33 Giorgio S. Luso Il sorriso delle autorità pagina 33 Antonio Attisani Teatro drogato (The connection, di L. De Berardinise Coop. Nuova Scena) pagina 35 Roberto Gulducci Le nebbie del 7 aprile pagina 36 Nanni Balestrlnl Anche un processo agli intellettuali pagina 37 b) tutti gli articoli devono essere corredati da precisi e dettagliati riferimenti ai libri e/o agli eventi recensiti; nel caso dei libri occorre indicare: autore, titolo, editore (con città e data), numero di pagine e prezzo; c) gli articoli devono essere inviati in triplice copia e l'autore deve indicare indirizzo, numero di telefono e codice fiscale. drago, il demonio; nelle sembianze del coccodrillo, il lussurioso. Ma nelle storie dei santi o nei libri di viaggi si può scorgere anche un'altra attitudine verso il mostro. John Mandeville racconta di un eremita che nel deserto incontra un essere metà uomo e metà capro. Interrogato sulla sua identità, ,de monstre respondit que il estoi creature mortelle telle que Dieu lavoit ~ree et demeuroit en ce desert et pouarchacoit sa soustenance. Et pria a termite que il vousis celui Dieu prier pour li». Queste immagini di mostri buoni, sofferenti, mostrano l'altra faccia della medaglia: se da un lato il mostro è il male, il disordine, l'espressione del demonio nella creazione e va recuperato, anche se trattato con il dovuto disgusto e la necessaria cautela, con argomentazioni teologiche dai Padri della Chiesa, dall'altro lato affascina, si cerca di toccarlo, di identificarsi nel suo stato, gli si attribuisce un'anima. Anche il Medio Evo aveva i suoi E. T. Le illustrazioni di questo numero sono tratte da Il Bestiario di Cambridge, Parma, Franco Maria Ricci, 1974, e da un testo di Claude Kappler, Monstres, démons et merveilles à la fin du Moyen Age, Paris, Payot, 1980. Giuseppina Bonerba Giomale dei Giornali Le copertine dei settimanali 1974/1982 pagina 38 Indice della comunlcaziooe Cannes e dintorni pagina 38 Le immagini Integrareil mostro di Giuseppina Bonerba alfabeta mensiledi informazione culturale della cooperatit!aAlfabeto Comitato di direzione: Nanni Balestrini, Omar Calabrese, Maria Corti, Gino Di Maggio, Umberto Eco, Francesco Leonetti, Antonio Porta, Pier Aldo Rovatti, Gianni Sassi, Mario SpineUa, Paolo Volponi Redazione: Carlo Formenti, Vincenzo Bonazza, Maurizio Ferraris, Marco Leva, Bruno Trombetti (grafico) Art director Gianni Sassi Edizioni Intrapresa Cooperativa di promozione culturale Redazione e amministrazione Via Caposile 2, 20137 Milano Telefono (02) 592684 Coordinatoretecnico: Giovanni Alibrandi Coordinamentomarketing: Sergio Albergoni Composizione: GDB fotocomposizione, via Tagliamento 4, Milano Telefono 5392546 Stampa: Rotografica s.r.l. via Massimo Gorlci, San Giuliano Milanese Distribuzione: Messaggerie Periodici Abbonamento annuo Lire 30.000 estero Lire 36.000 (posta ordinaria) Lire 45.000 (posta aerea) Numeri arretrati Lire 5.000 Inviare l'importo a: Intrapresa Cooperativa di promozione culturale via Caposile 2, 20137Milano Telefono (02) 592684 Conto COrTmtePostale 15431208 Autorizzazione del Tribunale di Milano n. 342 del 12.9.1981 Direttore responsabile Leo Paolazzi Tutti i diritti di proprietà letteraria e artisticariservati La maggiore ampiezza degli articoli o il loro carattere non recensivo sono proposti dalla direzione per scelte di lavoro e non per motivi preferenziali o personali. Tutti gli articoli inviati alla redazione vengono esaminati, ma la rivista si compone prevalentemente di collaborazioni su commissione. Il Comitato direttivo TRIENNALE INTERNATIONALE Le Landeron'83 "Lafemme et l'art" Le Landeron Svizzera da lunedì 6 giugno a domenica 28 agosto 1983 Arti visive sezione permanente Anna Margarita Albrecht (Berlino}, Rina Aprile (Milano), Marie Baeruchi (Siiriswil}, Renate Be.rtlmann (Vienna), Renata Boero (Genova), Heidi Bucher (Winterthur), Marischa Burckhardt (Basilea), Maria Patrizia Cantalupo (Roma), Marion Cbrist (Berlino), Bignia Corradini (Dietikon), Margaretha Dubach (Zurigo), Marianne Eigenheer (Lucerna), Valie Export (Vienna), Esther Ferrer (Parigi), Christine Fessler (Zurigo), Liii Fischer (Amburgo), Ruth Francken (Parigi}, Elsie Giauque (Schemelz), Ikcmura Leiko (Zurigo), Margrit Jaeggli (Detlingen), Johanna Kandl (Vienna), Lilly Keller (Montet), Marieke Kem (La Chaux-de-Fonds}, Annalise Klophaus (Monaco di Baviera), Lis Kocher· (Bici}, Heidi Kuenzler (Bema), Manon (Zurigo), Murici Olesen (Ginevra), Brenda Palma (Neuchatel), Gina Pane (Parigi), Erica Pedrctti (La Neuveville}, Diana Rabito (Roma), Dagmar Rodius (Monaco di Baviera), Ulri.ke Rosenbach (Colonia), Anna Maria Santolini (Milano), Moik Schicle (Zurigo), Heidrun Schimmel (Monaco di Baviera), Francine Schncider (Le Landeron), Katharina Sieverding (Diisseldorf), Cbristiane Wylcr (St. Mauricc/Ginevra). Dama Erika Ackermann (St. Gallen), Lis Bugnon (Herrcnscbwandcn), Gcncviève Fallet (Bema), Ursula Janowsky (Bici}, Valeria Magli (Milano}, Jaclcic Planeix (Ginevra), Barbara Winzcnried (Berna). Performance Heidi Bucher (Wintcrthur}, Cbristine Brodbeck (Basilea), Margaretha Dubach (Zurigo}, Esthcr Fcrrcr (Parigi), Barbara Heinisch (Berlino), Rosina Kubn (Zurigo/New York}, Brcnda Palma (Siclncy/Neuchlitel), Annetta Pedrctti (Zurigo/Londra}, Ulrike Rosenbach (Colonia), Susan Swinboume (Sidney). Vicleo Lauric Anderson (U.S.A.}, Trisha Brown (U.S.A.}, Heidi Bucber (Winterthur}, Barbara Hamman (Monaco di Baviera), Julia Hayward (U.S.A.), Renate Kocer (Vienna), Joan La Barbera (U.S.A.), Franziska Megert-Vogt (Diisseldorf/Bema), Murici Olesen (Ginevra), Frederi.ke Pezold (Monaco di Baviera), Ulrike Rosenbacb (Colonia), Delphine Seyrig (Parigi), A. Soltau (Darmstadt}, Anna Winterle.r (Basilea}. Film Linda Christanell (Vienna), Valie Export (Vienna), Isa Hesse (Rapperswil}, NeUy Kaplan (Parigi), Margrit Keller (Zurigo), Maria Lassnig (Vienna), Ulrike Ottinger (Berlino), Gertrud Pinkus (Zurigo/Francoforte), Kathrin Siebold (Zurigo), Jacqueline Veuve (Losanna/Cambridge), Véronique Goel (Ginevra). Musica Desairs (Bruxelles), JoeUe Lcandre (Parigi), Liliput (Zurigo), lrè.ne Schweitzer con il gruppo di donne (Zurigo), 'Arréte, tu fais pleurer ta mère' (Besançon), Ka Moser (Bema). Letteratura Adelheid Duvanel (Basilea), Anne Grobety (Cernier), Hanna Johansen (Kilchberg), Monique Laederach (Comaux}, Gertrud Lcutenegger (Miege), Margucrita Von Dach (Bici}. Altro Lucie Cottens Astrologia (Losanna), Annic Fratellini Circo (Parigi), Barbara Gross Gallerista (Bergen/Mossburg), Marianne Kaltenbach Gastronomia (Lucerna), Dany KcUc.rGallerista (Monaco di Baviera), Donatella Sirtori Moda (Milano). Segreteria: Ville 32, CH-2525 Le Landeron (Svizzera) telefono 0041-38513819 orari d'apertura: martedì - vcnerdl dalle ore 14.00 alle ore 17.00 sabato - domenica dalle ore 10.00 alle ore 12.00 dalle ore 14.00 alle ore 17.00

Ildemonia~ngelsaggio Ralpb Waldo Emerson Cerchi a c. di Roberto Mussapi Bologna, Cappelli, 1983 pp. 89, lire 6.000 Harold Bloom Agoo. Towards a theory or revisionism New York-Oxford, University Press, 1982 pp. 336, dollari 19.95 «Nascendo si ha il f!ernoccolo di tutto e il bernoccolo di niente!... li desideriodi tutto e di altro! All'inizio, capitemi, gli istinti e le bozze frontali non c'entrano! È dell'energia che chiede di essere impiegata: punto e basta! Ecco la mia teoria. Solo che quell'energia andrà dove la si condurrà, perdinci, è sicuro! Ma chi ne possiede il comando?... È questo che occorresapere!... È lì che bisogna guardare!... LI risiede la responsabilità!,. (parla il grarr criminale CbériBibi, in Les cagesflottantes di Gaston Leroux) A scolta come comincia: «L'occhio è il primo cerchio; l'orizzonte che esso forma è il secondo; e per tutta la natura questa figura primaria è ripetuta all'infinito. È l'emblema più alto nella cifra del mondo». Sono le frasi d'apertura del saggio «Cerchi», che presta il titolo alla traduzione italiana di alcuni saggi di Emerson. (Avverto che nel citare riprendo - con ritocchi - questa recente traduzione, salvo naturalmente per le mie citazioni da saggi qui non antologizzati). Poca fantasia, eh? Voglio dire, se metà dell'ars del critico (del critico, per dirla all'inglese, che valga il proprio sale) consiste nell'intarsiare il proprio discorso con appropriati tagli citatori che rinnovino gli scorci, che offrano prospettive inedite sui testi analizzati - allora è una scelta troppo prevedibile (dunque, vitanda) quella che ritaglia la frase d'apertura del primo saggio d'una raccolta. Ma non so che farci; in questo caso, è inutile lambiccarsi il cervello: le frasi citate offrono, in microcosmo, tutto l'emblema di quel che vuol dire essere gran scrittore di saggi. Waldo Emerson. Questi sono i tratti distintivi del saggio in genere - caratteristici, appunto, di questo genere potentemente misto (di letteratura e filosofia), al suo più alto e impegnativo livello. Vi è uno scatto interessante, una punta di emulazione, in un saggio di Auerbach dove egli, parlando dello stile di Pascal, esclama: «Nascono frasi cosi chiare e insieme così profonde che un lettore il quale per parte sua aspiri a esprimersi bene non può reprimetà, non si può scrivere un vero saggio (come cosa distinta dall'articolo trattatistico e accademico) senza gettarsi fin dall'inizio in un'atmosfera turbolenta. L a peculiarità di Emerson - l'unico tratto che propriamente lo distingua come saggista americano (ma su questo dovrò tornare più innanzi) - è il rifiuto di celarsi nel modo descritto: la turbolenza è dichiarata subito e direttamente, addirittura ostentata - _:,.~ ... -~~p va tradizionale di ogni metafisica: una ricerca dell'unitarietà, sia che si insista sul gran disegno nello sfondo sia che (al polo opposto, ma senza mutare intrinsecamente l'atteggiamento) si sottolinei la presenza del Buon Dio nei piccoli dettagli. Il saggio, nella sua turbolenta irrequietezza, contesta questa illustre tradizione teologico-filosofica, pur mettendo continuamente in opera concetti della filosofia e della teologia; e la contesta, essenColui che è proposto ora al lettore italiano è il Saggista per eccellenza in tutta la tradizione letteraria nordamericana. Questa piccola antologia costituisce una scelta fortemente metonimica - che come tale essenzialmente ha la funzione di suscitare desiderio: di sospingere alla lettura di tutti gli altri, egualmente importanti, saggi emersoniani. Ma l'esilità del libretto non deve trarre in inganno: ogni pagina ha il peso di un materiale eletto, anche se questo pregio traluce indirettamente poiché - e questa non è certo una critica del benemerito curatore - nei saggi esattamente come nella poesia v'è sempre una distanza fra la traduzione e la bellezza dei nessi originari. Un albero invisibile, a cui il serpente si auorciglia, è l'asse di questa cosmografia; agli angoli scene di vita pastorale (si traila di una illustrazione alle Georgiche) ..., Emerson «vedeva ciascuna cosa re un sentimento di ammirazione misto a una certa invidia». Commentando questa affermazione, ho tentato altrove di mostrare e definire l'elemento demoniaco del saggio. La ragione per cui lo stile letterario - che ha sempre in sé qualche cosa di demoniaco (si ricordi quel titolo fortunato del libro Le démon du style) - è più demonico che mai nel saggio è che il saggio, almeno nella sua declinazione moderna (dal Rinascimento in giù), è forse il più intrinsecamente (non ideologicamente) sovversivo tra i generi letterari. Esso infatti nasce dalla violazione dei confini che tradizionalmente in ciascuna cosa e parlava con la sono eretti per separare il discorso lingua di un demone», scrive Ha- letterario da altri tipi di discorso. rold Bloom nel suo libro Agon. Nulla di più ingannevole che la Son parole, del resto, che definì- superficie levigata - riflettente un := scono benissimo Emerson in sorriso urbano, di quelli che punquanto saggista. Non si tratta, teggiano una conversazione trancioè, di una differentia specifica quilla, - dietro la quale il saggio si che qualifichi !~ile di Ralph protegge, il più delle volte. In veriBibIi O tecagi obianco dunque è impossibile ignorare la indiavolata (usiamo per una volta tanto nel suo senso proprio questo aggettivo trito, da spettacolo di rivista), la indiavolata turbolenza che circola senza sosta di frase in frase («l'unità di discorso in Emerson tende a essere la frase piuttosto che il paragrafo», nota Bloorn centrando il bersaglio stilistico). Ma si può - si deve - essere più precisi, a proposito di questo elemento demoniaco. Ho tradotto più sopra, letteralmente, quell'apprezzamento su Ernerson che vede «ciascuna cosa in ciascuna cosa». È una brutta traduzione - una di quelle frasi legnose che sembrano troppo chiaramente ciò che sono: tradotte, appunto. Ma questa legnosità era qui indispensabile, per l'importanza fi. losofica - o antifilosofica - della posta in giuoco. Se si parlasse infatti di vedere «il tutto in ciascuna cosa» si evocherebbe la prospettizialrnente, collegando in rete sottilissima cosa a cosa senza rapportarle metonimicamente a qualche Cosa centrale. È in questo senso che il saggio è il rivale del trattato: in quest'ultimo (non importa quanto immanentista e materialista la sua ideologia) il trascendente è vivo essenzialmente sotto specie di Buon Dio (ciò sia detto senza alcuna ironia o superciliosità laicistica), mentre nel saggio vive soprattutto nella forma dell'inquietudine del dairnon. «È una conversione di tutta la natura nella retorica del pensiero, sotto l'occhio del giudizio, con uno strenuo esercizio di scelta», così Ernerson definisce il pensiero geniale: e questa vertiginosa conversione è il movimento caratteristico del saggio nei suoi momenti più alti. Ecco perché debbo ingaggiare qui una breve lotta con la lingua italiana, specificando che il saggio non è saggio. L'inglese distingue, come tutti sanno, il sostantivo essay dall'aggettivo sage. Dunque le due parole aiutano a tenere distinti i due concetti - anche se non si può non avvertire (in forza dell'appena detto) un'involontaria ironia nell'appellativo tradizionale 'il Saggio di Concord' (The Sage of Concord) di cui è fregiato Ernerson autore di dernonicarnente inquieti essays. Noi invece dobbiamo compiere un lieve sforzo per ricordarci che il saggio come genere letterario è etimologicamente un as-saggio; parola che per altro evoca la facciata apologetica di cui si diceva, e dietro la quale il saggio nasconde la sua vera forza. (Solo dopo aver terminato questo scritto ho letto le sottili riflessioni di Musi! sul saggio, in Alfabeta n. 47). T orno a quell'iniziale citazione di un inizio, per cui avevo sollecitato un ascolto particolare. E l'avevo richiesto a un lettore solo: o meglio - con speranza che spero non essere eccessiva - a un lettore dopo l'altro, dove però ognuno è appellato nella sua singolarità. Se, infatti, il vocativo implicito nel trattato è la seconda persona plurale, quello implicito nel saggio è la seconda singolare (per me, una delle rivelazioni giovanili dello stile saggistico è stata il «tu» - non importa quanto metaforico - cui sovente ricorre De Sanctis). Quello citato sopra è un incipit molto bello, che manda quasi un suono di organo, un a fondo su un pedale solenne; ed è anche - a rigor di logica - tutto sbagliato: par di vederlo, un cattedratico intento al lavoro di massacro con la matita blu, se pensieri come questo fossero presentati in una tesi di dottorato! Prima di tutto, l'occhio non è un cerchio (se non in certe immagini che evocano l'incubo - immagini sospese tra gli archetipici occhi di gufo associati a Pallade Atena, e certi volti creati da Williarn Blake), tutt'al più, può essere cosl descritta la pupilla; e poi, il senso in cui si parla di cerchio (meglio, semicerchio) dell'orizzonte è ben diverso da questa circolarità della pupilla. Eppure, questo legarne di visioni agisce, con forza, sull'immaginazione - stimola, come suol dirsi, un turbine di pensieri: appunto la turbolenza intellettuale che è l'impeto rivelatore, nemico della saggezza, tipico del saggio. L'occhio è uno dei più inquietanti tra tutti i simboli, anche là dove non è considerato nel suo aspetto malo. E lo è, mi sembra, poiché esso è la parte del corpo umano che più fortemente evoca la tensione tra corpo e ... mente (ma sarà meglio abbandonare questa alquanto frigida espressione di tipo anglosassone, e parlare - più francamente - di corpo e spirito). Gli occhi sono le più spirituali tra le rnernbra del corpo - e al tempo stesso (per la loro binarietà testicolare, per la loro golosità introiettiva, e così via) le più provocatoriamente carnali (quanto ingenuamente indifesi, al confronto, appaiono gli organi ciechi del sesso!). Non voglio anticipare i dati di una tesi sul terna dell'«occhio mostruoso» in corso di elaborazione a

Jabès,PremioPasolin'i83 La giuria del premio «Pasolini di poesia» (A. Bertolucci, L. Betti, O. Cecchi, M. Corti, F. Fortini, F. Leonetti, M. Luzi, A. Moravia, N. Naldini, S. Ottieri, A. Porta, G. Raboni, J. Risse!, V. Sereni, E. Siciliano, P. Volponi, A. Zanzotto) ha attribuito quest'anno il premio a Edmond Jabès. Alle riunioni ha partecipato anche Vittorio Sereni. Negli anni scorsi il premio è stato dato ad Amelia Rosselli e quindi a Hans Magnus Enzensberger. Su Jabès i lettori di Alfabeta possono riscontrare due scritti (di Anna Panicali e di Donatella Bisutti) nel n. 45. Qui pubblichiamo la dichiarazione di Jabès (tradotta da Jacqueline Risset) la sera del 2 maggio 1983, nella manifestazione di consegna del premio. U n premio lelterario, per quanto prestigioso sia, non è mai una ricompensa; è piuttosto l'occasioneper i membri della Yale, ma mi limito a ricordare un paio di riscontri dentro il corpus degli scritti di Emerson. Come quando egli parla del valore dell'amicizia (nel saggio omonimo) erileva drammaticamente quella che è la posizione di amico: «Quel grande occhio di sfida, la bellezza sprezzante del suo aspetto e dei suoi atti non ti deve offendere piegandoti, ma deve accrescere la tua potenza, innalzarti: inchinati a ciò che in lui è più grande». Non possiamo non vedere qui una delle linee genealogiche che portano alla scrittura di Genet - non solo allo stile, ma a quel che vi è in questo scrittore di più universale: e che non è l'ostentato tema dell'omosessualità, ma il tema sotterraneo dell'amicizia. Ma quest'altro esempio è specialmente ricco: «L'occhio fu collocato là dove un certo raggio sarebbe caduto, così che esso potesse dar testimonianza di quel raggio particolare» (da quello che è il più sfolgorante tra i saggi di Emerson - «Self-reliance», non incluso in questa antologia; difficile, a cominciare dal titolo pressoché intraducibile: si potrebbe usare «autonomia» se non fosse parola che oggi, nel contesto italiano, ha una connotazione sinistramente ironica ... ). La frase citata è essenzialmente una glossa a una delle poesie cruciali di William Wordsworth, «Expostulation and Reply», soprattutto ai versi: «L'occhio - non può scegliere se non di vedere; I Non possiamo ordinare al nostro orecchio d'essere inattivo; / I nostri corpi, in qualunque posizione, / Sentono, che noi lo vogliamo o no. // Né esito a credere che esistano Poteri I Che per la sola loro forza intrinseca / Restano impressi sulle nostre menti; I Queste menti nostre che possiamo nutrire I In una saggia passività». Q uesta «wise passiveness» si propaggina in tanti altri luoghi di Emerson; come questo, dal saggio sull'«lntelletto»: «Il nostro pensare è sempre un'accettazione devota. La nostra verità di pensiero è dunque viziata tanto da una direzione troppo violentemente impressa dalla nostra volontà quanto da un'eccessiva trascuratezza. Noi non determiniamo ciò che penseremo ... Siamo prigionieri delle nostre idee. Esse ci sollegiuria di questo Premio di rendere pubblico omaggio al vincitore, di testimoniargli la propria stima. Di questa stima sono loro riconoscente; poiché a essa risponde quella che ho per loro da molto tempo, avendo letto le loro opere. Non ho bisogno di insisteresulle mie affinità con alcune di tali opere; i loro autori lo sanno, e lo sanno anche se non ho avuto finora l'occasione di dirglielo. Ciò che lega gli scrittori tra loro sta al di là de~elogio, in disparte, nella regione più intima e silenziosa del loro essere. Lì, infatti, risiede la loro vicinanza, nel cuore di un'avventura che ne annulla le differenze. Ed è anche perciò che, in questo luogo dell'amicizia, in cui la parola fa eco alla parola, vorrei, per attardarmici un attimo, evocare paradossalmente il silenzio: quel silenzio nel quale sono immerse leparole di una vita e di una morte che il libro ci restituisce. Libro la cui vocazione è, certamani, guardiamo con occhi spalancati come bambini senza fare alcun sforzo per impadronircene, di queste idee» ecc. ecc. Qui la genealogia testuale, se porta aJl'indietro verso l'immediato precedente di Wordsworth, punta anche in avanti, verso propagginazioni più intricate (non parlo infatti, è chiaro, di derivazione diretta): come le stupende pagine d'apertura che fanno del saggio pascoliano sul Fanciullino uno dei grandi saggi d'estetica nel Novecento italiano - non ostante la piattezza e quasi leziosaggine con la quale questo testo, a coda di pesce, si conclude. (Questa genealogia del discorso pascoliano non è un aneddoto marginale - andrebbe esplorata più a fondo; scrive Emerson nel citato «Self-Reliance», parlando dei bambini e fanciulli, questa frase che comincia blanda e finisce forte: «Il loro spirito essendo integro, il loro occhio non è ancora conquistato, e quando guardiamo ai loro visi restiamo sconcertati», dove è cruciale - e basti pensare a certe analisi di Emmanuel Lévinas - la tematizzazione dello sguardo come reciprocità critica: cioè uno sguardo che non soltanto è ricambiato, ma è attentamente scrutato: e poco più avanti, l'asserzione si fa ancora più forte, e pre-rivela la violenza che Pascoli cela nelle pieghe, spesso rifinite in piegoline, dei suoi discorsi: «Queste sono le voci che noi udiamo nella solitudine, ma esse divengono fioche e non più distinguibili a mano a mano che noi c'inoltriamo nel mondo», scrive Emerson - ed è questo un tono che Pascoli, traduttore fra l'altro di Wordsworth precursore di Emerson, sa bene come sviluppare - ma la frase immediatamente seguente nel testo emersoniano ci mostra come la posta in giuoco sia ben più grave: «Dappertutto, la società cospira contro la dignità umana di ognuno dei suoi singoli membri»). Ma perché ho parlato prima di occhio «mostruoso»? Per evocare la genealogia più profonda del pensiero di Emerson - che è, al di là della trafila romantica, la filiera neoplatonica: «Nel modo che il tuo occhio sta al tuo corpo, in quello stesso modo la tua mente sta alla tua anima. La mente è infatti l'occhio dell'anima». È Marsilio Ficino, che essenzialvano catturandoci per alcuni mo- mente sta citando Plotino. Ma poi menti nel loro cielo e così total- Ficino sviluppa questo conceir con mente ci impegnano che non c'è più in noi alcun pensiero del douna torsione sua, originale: «Fingiti nell'animo che l'occhio cresca Bib11t0ecagi obianco mente, quella di suscitare innumerevoli letture ma che non di meno, nel mistero o nella dispersione, si concede a un solo leuore per volta, al suo lettore. Crocevia di incontri privilegiati, un libro che si afferma dunque solo nel moltiplicarsi ma del quale ogni decifratore, occasionale o familiare, è in grado da solo di forzare il destino. Lo scrittore è il proprio libro; in esso tuttavia non entriamo tutti atfino a tanto che - risucchiato ogni altro membro - tutto il corpo divenga un occhio solo. Immagina inoltre la tua mente di tanto crescere sulla punta dell'anima che - erase tutte le altre parti dell'anima della fantasia del senso - l'anima tutta divenga una mente, una mente sola». È la Theologia Platonica - ed è un testo che funziona in due sensi, per ciò che concerne la genealogia di Emerson. Per comprendere come, occorre prima di tutto rendere omaggio a James Russell Lowell, contemporaneo di Emerson, il quale aveva già trovato la formula critica che lo definisce perfettamente: «Plotino-Montaigne» lo chiamava. (L'asserzione è citata nella biografia Emerson di Frank B. Sanborn - ho veduto l'edizione bostoniana del 1901 pubblicata da Small, Maynard & Company, - libro modesto, ma che ha il vantaggio d'essere scritto da un contemporaneo che fu tutore dei figli di Emerson). Emerson era certamente in contatto con i rappresentanti di un moderno neoplatonismo (Sanborn ricorda il suo lungo rapporto intellettuale con A. Bronson Alcott e certamente la lista - cui anche Bloom accenna r.el suo libro - si può allungare). È anche certo che Emerson - da teologo quale, anche, era - conoscesse il neoplatonismo antico. Non è certo - per quel che so - che egli avesse studiato Ficino e gli altri neoplatonici rinascimentali. Ma non è ciò che soprattutto conta (sto facendo una proposta genealogica, non svolgendo un'esercitazione universitaria di critica delle fonti). Quel che mette conto sottolineare è che autori come Ficino (e Pico, e altri) offrono il legame vivo che connette quei due nomi (Plotino in un angolo, Montaigne nell'altro) che altrimenti apparirebbero troppo divergenti, e solo uniti dalla bizzarria di una parola composta - come una di quelle irte parole lunghe con cui traverso la stessàporta, ma sempre attraverso noi stessi che ci avviciniamo allo scrittore. Nel nostro desiderio di assomigliargli, egli diventa la nostra creatura,poiché siamo noi a prestargli, inconsciamente, i nostri tratti. Egli è l'altro noi stesso, non per sua volontà ma per volontà nostra. Perciò, arrischiandoci a parlare di lui, non sappiamo mai se non è di noi, in fin dei conti, che stiamo parlando. Qui, oggi, un assente domina con la sua grande personalità i nostri discorsi: uno scrittore, un cineasta, un polemista, un pensatore, un militante, un poeta infine, un poeta nell'intera accezione del termine, un grande poeta perché ha pagato con la propria vita la scoperta di un suono, di un vocabolo, di unafrase, di un canto - chef osse di gioia, di rivolta o di sgomento,- di una immagine, di un silenzio; sapendo che la poesia è un atto di impegno totale e che ciò che essa dice - senza dirlo veramente, diAristofane si diletta d'accoppiare i personaggi e le entità più disparate. M a la mia citazione da Ficino (che si potrebbe anche, volendo, prolungare in continuazioni molto lunghe - fino a certi quadri surrealisti) era intesa come un simbolo che riassumesse tutta un'argomentazione. Vale a dire. La scrittura (italiana e latina) dell'alta saggistica e filosofia itaJiana, fra il tramonto def Quattrocento e la grande mattinata del Cinquecento, riesce a fondere la vivezza del gran stile di prosa con la metodicità fredda del discorso filosofico. Ecco la demonicità che Montaigne apprende dagli italiani - e trasmette (a Rousseau, a tanti altri) - negli anni in cui egli ,i-plasma il saggio come genere moderno. Ma allora, questa è una rivendicazione della geneaJogia europea di Emerson? Certo che sì - e marca il mio rispettoso dissenso dal più brillante capitolo («Emerson: La religione americana») di quel bel libro che è Agon, dove Bloom rapidissimamente rifiuta-una dopo l'altra (si vedano soprattutto le pp. 162 e sgg.) le correnti collocazioni storiografiche di Emerson - giuocando tutte le carte sull'autoctonia, sulla irriducibile americanità, del Saggio di Concord. Bloom è il maggiore critico letterario americano emerso dopo Kenneth Burke - e il più dis-educativo (per fortuna!) tra i critici universitari; e questa mia discussione è in dialogo con la sua opera di dis-educazione (di anticonformistico revisionismo) che crea tanto spazio rinfrescante fra i tralci rampicanti sui muri universitari (a Yale, e negli aJtri collegi dell'edera, e altrove). Vorrei insistere su ciò ch'era suggerito aJl'inizio: l'americanità di Emerson non consiste in una particolare filosofia o religione, ma nel suo lacerare ogni cortinaggio d'apologia nella scrittura saggistica. Ciò non significa certo sottovalutare la filosofia di Emerson (la sua importanza è stata qui chiaramente asserita), né denegare la significatività del suo modo d'essere americano. Si può aggiungere che la nonsentimentale celebrazione emersoniana delle cose proietta un'ombra geneaJogica molto lunga - delcendolo altrimenti, .- altro non è che il rischio che corre chi ha voluto fare, delle parole del poema, le sue stesse parole. Nella sua ricerca dell'assoluto, verso un assoluto che giorno e notte lo abitava, Pasolini avrà esplorato tutte le vie che gli si offrivano: vie del possibile e dell'impossibile - fino a quella che egli sapeva fatale e che ci lascia intravvedere la sua tragicamorte. Egli ha portato fino al punto più alto l'interrogazione dell'uomo e del suo linguaggio, denunciando rutto ciò che, erenosi sul suo cammino per impedirlo, gli appariva, a un trano, come la sfida insolente, l'ostacolo intollerabile che egli avrebbe potuto distruggere solo distruggendosi. Nessuno più di lui si sarà bruciato per la causa dell'uomo e per la sua verità, che altro non sono, forse, che l'amore dell'uomo per il suo prossimo e per la verità. La risposta sta nella domanda che essa comporta. Grazie. la quale ho voluto evocare l'aspetto degradato ma vivace nella letteratura popolare di cui un campione fa da esergo a questo saggio; e, aJJ'aJtro estremo, si ritrova fin dentro la solenne retorica heideggeriana che in Italia (grazie alla creativa rielaborazione di Severino, per esempio) ha trovato la strada per arrivare fino alle colonne dei quotidiani. Di un grande stilista, sono anche troppe le frasi citabili. Permettimene, lettore singolo, una sola per finire: «La sola cosa che noi ricerchiamo con insaziabile desiderio è dimenticare noi stessi, esser sorpresi aJ di fuori della nostra proprietà, perdere questa nostra sempiterna memoria, e far quaJche cosa senza sapere come o perché; in breve: tracciare un nuovo cerchio». Anche questo potrebbe essere l'inizio di discorsi lunghi. Discorsi stilistici: l'italiano ha qui un vantaggio sull'inglese poiché con la parola proprietà esprime sia l'inglese propriety, 'appropriatezza, rispetto delle convenzioni sociali' (che è nel testo originario) sia l'inglese property ('proprietà', nel senso economico) - dunque, la versione italiana rende questo passo ancor più fluido e suggestivo di quel che sia nell'originaJe. E discorsi geneaJogici: questa non è soltanto un'esclamazione nata nei boschi - ancor oggi folti - della Nuova Inghilterra (pure, è anche questo), ma un'intertestualizzazione di antiche tradizioni europee, che hanno grande impeto per esempio nella mistica (il «Yo no sé lo que digo» di Teresa di Avila, ecc.). Ma io voglio dire una cosa molto più semplice: che qui abbiamo ancora una volta la conferma di quella demonica irrequietudine che presiede alla scrittura di un saggio. Infatti: il cerchio è un simbolo di perfezione e inclusione, non è vero? (il passo citato all'inizio prosegue con un'allusione a sant'Agostino). Eppure, che cosa, in effetto, accade? L'immagine del cerchio non ha ancor finito d'essere evocata che già affiora, daJ respiro della stessa frase, un movimento che spezza il cerchio. Come abbiamo veduto, infatti, tu e io: né il cerchio dell'occhio né quello dell'orizzonte sono veramente tali. E anche qui: che cos'è mai, questo «tracciare un nuovo cerchio», se non infrangere il cerchio (di «proprietà») all'interno del quaJe pensavamo di ristare, tranquilli?

~ ~ ~ <:s RegionAi ~senziali Ernst Jiiuger Giochi africani trad. it. di Ingrid Harbeck Milano, Sugarco,1982' pp. 190, lire 5.500 Avvicinamenti. Droghe ed ebrezza trad. it. di Chiara Sandrin e Ugo Ugazio Milano, Multhipla, 1982 pp. 3TI, lire 16.000 «Ernst Jiinger,o convegno internazionale Goethe-lnstitut di Roma (14-16 marzo 1983) I convegni possiedono il grosso merito di allineare le ~pinioni come sopra un prosceruo o una balconata in piena luce, e noi come spettatori troppo disposti alla pigrizia abbiamo la comodità di coglierle, per così dire, con un unico giro di attenzione e di riflessione. Nel recente convegno internazionale su Emst Jiiuger, il nostro sguardo ha seguito di preferenza, con partecipazione interessata, i contributi offerti dagli studiosi italiani (ma non possiamo non ricordare lo splendido intervento di Helmut Lethen attorno alle convergenze, sul tema della modernizzazione, fra Jiinger e Brecht). Nelle prestazioni dei nostri germanisti c'è stato chi, come Cesare Cases, ha sottolineato la pericolosità di Jiinger (scrittore reazionario, irresponsabile, apologeta dell'imperialismo, disumano) e lo ha giudicato rudemente; e tutto questo potrebbe coinvolgerci senz'altro, se riuscissimo a dare credito alla paginetta, ovviamente inedita, di un Lukacs «pre-distruzione della ragione», sulla quale viene innalzato questo tribunale di condanna. cio Masini e la centralità dell'avventura). A noi personalmente interessa Jiinger per i temi che affronta - proviamo a elencarli: la guerra, la tecnica, la natura, la fine della storia, l'interrogativo portato sulla sorte dell'individuo, la droga, le trasformazioni delle forme letterarie - e soprattutto per il «come» le affronta. Semplificando: con una tendenza a circoscrivere ogni tema come se fosse un oggetto in sé, in modo da esercitare sopra di esso e attraverso di esso una sorta di sottile esercizio di penetrazione e di visione (di contemplazione), Jiinger arriva a cogliere la «superficie» dell'oggetto con la precisione sobria e fredda dell'entomologo e del naturalista, e si dispone al tempo stesso a scavalcarlo con la passione del visionario, a radiografarne l'al di là come a registrare le sue radici e le sue profondità. Non per nulla il grande nome del poeta viene pronunciato nella prima parte del libro, come monito e previsione del fallimento inevitabile: «Nemmeno lei riuscirà a sfondare il muro dinanzi al quale falli già Rimbaud». Dopo questa bruciatura, non sarà più necessario intraprendere un lungo viaggio, ma è qui e nell'adesso che si gioca l'esperienza cruciale; l'Europa stessa è diventata il luogo atroce dell'avventura - se avventura significa misurarsi con la terribilità del mondo, - l'Europa che nel suo nichilismo con la tecnica sta sterminando la natura e con il furore nazionalistico, unito a sua volta alla potenza distruttiva della tecnica, si dispone a scatenare un primo e un secondo conflitto mondiale. I diari della prima guerra mondiale, che biograficamente vengono dopo i Giochi africani, anche se nell'approccio qualunque punto di vista totalizzante, sia di ordine storico, economico e perfino semplicemente informativo, e affidandosi solo al punto di vista particolare e accidentale che è dato dalla sua esperienza diretta. Così, chiudendo le Tempeste di acciaio (1920), la cronaca di quattro anni trascorsi quasi sempre in prima linea, non conosceremo, è vero, nemmeno i nomi delle nazioni alleate e delle nazioni avversarie, ma sapremo che cosa è la guerra moderna in sé, giunta al punto massimo della propria potenza: una «guerra di ma:eriali», condotta non più da soldati ma da operai, e dove la morte è solo un incidente anonimo, prevedibile (pianificato) ma sempre casuale. Nel labirintico, intricato itinerario che lo scrittore finirà per tracciare, Jiinger è rimasto sempre fedele a questo sguardo radioCè stato chi, come Oaudio Magris, vuole convincerci che si tratta di un autore di scarso o nullo rilievo, e che decisamente perdiamo il nostro tempo, cosi prezioso, dietro a Jiinger, quando esistono autori importanti come Dostoevskij, Rilke, Saba o Svevo. Ma, appunto, leggiamo Jiinger proprio perché non è né l'uno né gli altri. I Marsi sanno domare i serpenti, e il loro morso è innocuo per essi Stranamente, coloro che hanno tentato con impazienza e pure con apprezzabile coraggio una definizione esauriente di Jiinger, hanno mancato sempre la presa. Sia frequentando l'apologia che la negazione. Ci hanno provato Magris e Italo A. Chiusano, il primo muovendosi contro Io scrittore tedesco Q uesto esercizio di penetrazione e di scavalcamento è molto simile al movimento stesso dell'avventura, quale è stato delineato dall'intervento di Masini, così che in Jiinger esperienza e conoscenza tendono a convergere in un nodo inestricabile. Ciò che lo scrittore attende dall'avventura, questo «concentrato della vita», è prima di tutto la prova, la conferma di se stesso, e poi l'ingresso in regioni essenziali, profonde ed elementari. e il secondo a favore, con l'adozio- Ci si apre all'avventura mossi ne tuttavia dello stesso metodo di dal proposito di dare un contenuto lettura, quello del confronto. al proprio nulla e di oltrepassare la Chiusano, accostando al nome di dimensione inessenziale in cui ci si Jiiuger quelli di Pico della Miran- trova coinvolti. L'avventura non si dola, Leonardo, Diirer, Holbein, configura pertanto come una fuga, Brunelleschi, Piero della France- che è un cedimento reattivo, ma sca (e numerose altre auctorita- come un confronto, un collocarsi tes), e Magris, paragonando Jiin- nelle zone di frontiera della vita, ger a Rilke, a Dostoevskij, a Sve- un andare lucidamente incontro vo, a cosa hanno messo capo se alla realtà. non all'esibizione delle rispettive Esiste per altro un apprendistaqualità di fantasia e di sottigliezza to all'avventura, e in questa diree alla cancellazione dell'opera su zione i Giochi africani (1936), la cui intendevano portare il loro giu- narrazione dell'avventura «prima» dizio di valore? dello scrittore, la fuga dalla casa Ci sono stati infine coloro che, patema e l'arruolamento nella leconvinti dell'importanza di Jiin- gione straniera, lo slancio verso l'iger, gli si sono accostati mediante gnoto e la pronta delusione, seuna lettura ravvicinata (Massimo gnano la verifica concreta di una Cacciari sul dialogo fra Heidegger possibilità ma anche il fermo ade Jiinger), oppure mediante uno dio all'avventura di tipo romantiscandaglio sintetico che mira a co- co, intesa proprio come fuga verso gliere il nucleo fondamentale ma un «altrove», dietro le suggestioni sfuggente dello scrittore (Ferruc- di Rimbaud e di Gauguin. scritti prima di essi, ci consegnano già un'immagine compiuta dello scrittore, un'immagine per molti aspetti sconvolgente. Mettono in scena un io che si nega a ogni distensione umana e che riesce a sostenere la prova della guerra senza ricorrere a nessun sostegno né ideologico, né politico, né patriottico. Il giovane Jiinger si fonda esclusivamente sulla forza della propria soggettività che sta portando a compimento la metamorfosi radicale del moderno, allargamento e frammentazione ad un tempo, incorporando in sé le figure antitetiche del cacciatore e delh selvaggina, dell'inseguitore e della preda, e frammentandosi ulteriormente fra una parte «patetica» che agisce, soffre, si prova, e una parte immobile che osserva e registra implacabilmente. Pure nell'istante in cui, raggiunto da un proiettile nella regione del cuore, si trova sospinto sui bordi della morte. Con questa metamorfosi dell'io, Jiinger è riuscito a mettere a punto quello straordinario sismografo che gli appartiene, sensibile alle impressioni e alle radiazioni imponderabili, e che gli ha consentito, in questo caso, di registrare le trasformazioni minime (nel soggetto) e massime (nella realtà) che la guerra ha provocato. Procedendo lungo una strada che in fondo non abbandonerà mai: scartando scopico («stereoscopico») che, dalla superficie minuziosamente ispezionata nella sua particolarità, si spinge verso il retroterra, il rovescio della scena, la vertigine dei punti di fuga. Esercitando questo sguardo, assieme profondo e superficiale, Jiinger ha accumulato un fitto numero di dettagli e di materiali e noi, come lettori, per riscoprirli, dovremo a nostra volta ripercorrere all'inverso il lavoro radioscopico dello scrittore. Specie quando la sua osservazione così implacabile e «infallibile», come ha scritto Enrico Filippini, si distende nella complessità del saggio e dell'affresco onirico-visionario del romanzo filosofico. M olle «figure» adottate da Jiinger, spesso scostanti e oltraggiose - il lanzichenecco, l'avventuriero, il metafisico, l'aristocratico, l'anarca, - mirano a stabilire ogni volta un «non luogo» dislocato, da cui osservare con ottica estraniante la nostra. epoca, la fine dell'Europa, il moderno e il suo declino, per leggere i suoi segni, comporre una pianta topografica per orientarsi nel «tremendum» del secolo. È questo lo Jiinger della guerra e poi della tecnica che «produce nichilismo» (Cacciari), e lo stesso Jiinger che viene dopo, della «virata» contrassegnata dalle Scogliere di marmo B1bliotecagiob1anco (1939), non sembra neanche lui venire meno a questo programma di confronto e di visione. È come se, dopo avere completato l'ispezione del luogo - la distruzione dei valori in cui fin dall'inizio si è collocato Jiinger e dove solo da pochi anni si è installata la nostra cultura, con molte reticenze e perfino con un bel mucchio di festanti illusioni, - compiuto questo giro dell'orizzonte, lo scrittore fosse ritornato al punto di partenza: alla questione del «soggetto» stretto in una difficile morsa, che minaccia questa volta perfino il funzionamento dello sguardo e della sua capacità di osservazione. Nel fissare la posizione di questo «soggetto», di fronte a una crisi epocale provocata dalle due potenze che hanno occupato sempre la sua attenzione, la guerra e la tecnica, Jiinger convoca la natura, ciò che permane sullo sfondo e tra le infrastrutture, l'enigma di un fiore, di una pietra o di un animale marino, riscoperti in un nuovo moto di scavalcamento della superficie, dove l'avventuriero incontra il metafisico e lo spirito scientificamente contemplativo. In un'opera infine della sua feconda vecchiaia, Avvicinamenti. Droghe ed ebrezza (1970), l'avventura verso l'ebrezza, attorno alla quale lo scrittore ha raccolto l'intera sua esistenza, non rimane soltanto come il contenuto ma diventa la forma stessa di un libro che procede simile a un labirinto, pieno di biforcazioni imprevedibili, di passaggi e di corrispondenze segrete. Percorrendo le diverse stazioni di questo labirinto, assieme autobiografia, trattato sulle diverse maniere con cui l'uomo «corrode le pareti dello spazio e del tempo», libro di demonologia e di perdizione e manuale iniziatico, abbiamo l'impressione di penetrare per la prima volta nel suo laboratorio e di assistere alle sue più nascoste operazioni. Molte cose ci colpiscono in queste pagine, dove il vecchio scrittore ha riversato le sue ricchezze e le sue conoscenze innumerevoli, ma una ci trattiene in particolare. Fondamentalmente questo viaggio verso l'ebrezza appare come un viaggio senza immagini, privo di visioni. Ancora una volta l'autore si sottrae alle nostre aspettative; se Jiinger è uno spirito affascinato dalle immagini e, per la sua tensione totalizzante, è un visionario; se per di più la sua poetica presenta una impronta figurativa, fra la geroglifica e l'araldica, pure in questo viaggio allucinato non c'è visione. Non c'è visione perché è la realtà stessa che con la droga diventa una visione. Mentre in quasi tutti i grandi sperimentatori della droga il viaggio ha un'apertura essenzialmente verticale, in Jiinger il viaggio presenta un disegno orizzontale, diviso ogni volta fra gli estremi di se stesso e del mondo. L'ebrezza tocca e delinea il perimetro ultimo della propria psiche e del proprio corpo e poi, attraverso percezioni infinitesimali di ordine tanto visivo che auditivo, arriva a delineare il. luogo, una stanza, un corridoio, una piazza. In una trasparenza ancora una volta radiografica, che allinea sullo stesso piano con suprema disinvoltura la superficie e la profondità.

RkJQdWJsaXNoZXIy MTExMDY2NQ==