Alfabeta - anno V - n. 49 - giugno 1983

Lasvolt".,.li~guistica Richard Rorty Tbe Linguistk Turn Tue Univ. of Chicago Press, 1967 Pbilosophy and the Mirror of Nature Princeton Univ. Press, 1979 Michael Dummett Truth and Other Enigmas Cambridge (Mass.), Harvard Univ. Press, 1978 Andrea Bonomi «Il nome di Kripke» in Alfabeta n. 41 ottobre 1982, p. 19 Gianni Millone, Dario Voltolini «Kripke e Putnam» in Alfabeta n. 43 dicembre 1982, p. 29 Morena Danieli «Rorty: l'essenza speculare» in Alfabeta n. 45 febbraio 1983, p. 16 A !l'inizio degli anni trenta, era diffusa nella filosofia europea la tesi secondo cui le questioni filosofiche sono questioni di linguaggio. Esistevano, della tesi, due versioni distinte. Secondo la prima, che chiamerò 'risolutoria' o costruttiva, e che era sostenuta per esempio da Mocntica del linguaggio» (Tractatus logico-philosophicus, 4.0031), Wittgenstein implicava che fosse compito della filosofia detenninare la vera funzione di ciascuna espressione linguistica, mostrando con ciò come certe formulazioni filosofiche derivassero dalla sua incomprensione. Linguaggio ideale e linguaggio comune La «svolta linguistica» - il progetto di far filosofia operando sul linguaggio - si biparti in due programmi di ricerca, spesso in polemica l'uno con l'altro: quello legato al progetto di costruzione di un linguaggio ideale, assolutamente non fuorviante, e quello impegnato nell'analisi del linguaggio comune, il nostro modo di parlare ordinario, considerato come perfettamente adeguato una volta ritz Schlick (The Future of Philo- sri •• sophy, 1932), i problemi filosofici : sono problemi di significato delle ~---~- parole, e si risolvono accertando qual è il significato di certe parole. compreso effettivamente, al di là Chiedersi qual è il contenuto di un della sua apparenza. concetto - per esempio, che cos'è Filosofi come Bergmann e Carconoscenza, o che cos'è il giusto, - nap da un lato, Ryle e (per molti è domandarsi qual è il significato aspetti) Austin dall'altro, possono di una parola, come 'conoscenza' essere considerati rappresentanti o 'giusto'. Come già Socrate (se- dei due programmi di ricerca. Va condo Schlick) aveva compreso, in notato che entrambi i programmi filosofia non si tratta di accertare possono essere messi in rapporto fatti, come nelle scienze, ma di con tutt'e due le versioni della tesi chiarire significati. «linguistica» sulla filosofia. Si può Secondo l'altra versione della pensare, infatti, che la costruzione tesi, che chiamerò 'dissolutoria' o di un linguaggio ideale consenta critica, i problemi filosofici sono sia la risoluzione dei problemi filoproblemi di linguaggio perché na- sofici legittimi - che si tradurranno scono dal fraintendimento, o dal- o in problemi scientifici, o in quel'abuso, del linguaggio. Essi deri- stioni relative alla forma del !invano dalla mancata comprensione guaggio ideale, - sia la dissoluziodel modo in cui un'espressione ne degli pseudoproblemi, che rifunziona nel linguaggio, dallo sulteranno informulabili nel linscambio della sua funzione appa- guaggio ideale. rente (espressa dalla forma gram- D'altra parte, l'analisi del linmaticale) con la sua funzione rea- guaggio comune può essere orienle, o dall'uso «deviante» di certe tata alla risoluzione - il.problema espressioni. La mitologia lockiana della giustizia è il problema del delle idee, per esempio, deriva dal modo in cui"è usata la parola 'giufatto di aver presò sul serio la for- sto' nel linguaggio comune - ma ma apparente di enunciati come anche alla dissoluzione, perché l'a- 'Giovanni odia l'idea di andare in nalisi del linguaggio comune eviospedale' (che «in realtà» significa denzia il carattere deviante degli semplicemente che Giovanni si usi che stanno alla radice delle forsente depresso quando pensa a ciò mulazioni filosofiche (il caso di che gli accadrà quando andrà in 'volontario'). ospedale). Facendo un bilancio del lavoro D'altra parte, molti problemi fi- filosofico svolto all'insegna della losofici connessi con la volontà, la svolta linguistica, Richard Rorty libertà e la necessità, derivano dal- osservava (nel 1967) che i filosofi l'abuso della parola 'volontario', linguistici, «risolutori» o «dissoluche è usata dai filosofi per qualifi- tori», non erano riusciti a realizzacare azioni di qualsiasi genere, re le loro ambizioni, se queste mentre nell'uso comune essa è ap- comportavano l'eliminazione dalla propriata solo quando si parla di filosofia di tutte le controversie azioni illecite o riprovevoli. Era che non fossero dirimibili con i questa l'opinione di Gilbert Ryle metodi caratteristici della filosofia (Systematically Misleading Expres- linguistica. sions, 1931-32), che possiamo con- Ai filosofi del «linguaggio ideasiderare come un esponente tipico le» si è potuto obiettare che l'indella versione 'dissolutoria'. formulabilità di una tesi filosofica In un certo senso, entrambe le nel linguaggio ideale non provava versioni della tesi si possono ripor- ancora che essa fosse insensata o tare al pensiero di Wittgenstein. falsa, perché era ancora possibile Dicendo che «tutta la filosofia è mettere in discussione (Schlick) la Bibliotecagiob1anco correttezza dei criteri di «traduzione» (Ryle), lo stesso carattere ideale del linguaggio, cioè la sua adeguatezza per tutti gli usi non filosofici. D'altra parte, agli analisti del linguaggio comune si poteva obiettare, anzitutto, che identificare il problema filosofico di «che cos'è X» (la conoscenza, la giustizia) con il problema semantico dell'uso ordinario della parola 'X' comportava che si ignorasse la dimensione prescrittiva di questi problemi: per cui chi si chiede che cos'è X si domanda non tanto come è di fatto usata l'espressione 'X', quanto piuttosto come dovrebbe essere usata. Ma, anche scontando questa difficoltà (di cui Rorty, per esempio, non sembra fare gran caso), non è affatto detto che il significato di -un'espressione linguistica possa essere identificato senza problemi con il suo uso attuale; c'è per esempio una certa difficoltà a conCavallo marino visto nell'oceano: simboleggia l'ambizione di voler dominare sulla terra e sul mare siderare qualsiasi cambiamento nell'uso come un cambiamento di significato (la scoperta di una qualche peculiarità dei cavalli del1'Afghanistan cambia il significato di 'cavallo'?). Qual è, allora, l'autorevolezza dei risultati dell'analisi dell'uso comune per il filosofo «costruttivo», che vuole risolvere e non dissolvere i problemi filosofici? Ma anche il dissolutore ha le sue difficoltà. Egli può forse stabilire che un certo uso tipicamente filosofico di un'espressione linguistica è difforme dal suo uso comune; ma ciò non implica che l'uso filosofico vada considerato un abuso del linguaggio. Nel linguaggio dell'informatica, parole di uso comuMostro con mani e piedi bovini ne come 'pagina', 'indirizzo' o 'compilare' sono usate in modo più o meno «deviante», senza che ciò comporti alcun abuso. Certo, si può accusare la filosofia tradizionale di usare gli stessi tennini sia in maniera «tecnica» (cioè deviante) sia in maniera conforme all'uso, per accreditare le proprie conclusioni come pertinenti a ciò di cui la gente normalmente parla. Ma per cogliere questi usi sofistici del linguaggio non si richiede alcuna svolta linguistica: si tratta di un'attività critica che la filosofia ha sempre esercitato. Rorty concludeva - quindici anni fa - che la svolta linguistica, se pure non ha realizzato le sue ambizioni, è però riuscita a mettere la filosofia tradizionale sulle difensive, facendo vedere che certe specifiche formulazioni di problemi filosofici tradizionali richiedono in maniera essenziale usi insoliti di certe parole, sicché le loro premesse sono difficili da giustificare - e la riformulazione, a cui possono difficilmente sfuggire, è spesso impossibile. Rorty, quindi, attribuiva alla filosofia linguistica esclusivamente un compito critico: anche se la sua critica non era mai definitiva, come sarebbe stato se fosse stato possibile trattare usi non comuni come abusi del linguaggio. Fondazionalismo e antifondazionalismo in ftlosofia del linguaggio Eppure, buona parte della filosofia di tradizione analitica continua a intrattenere un rapporto privilegiato con il linguaggio, senza per altro essere orientata alla dissoluzione. In un testo del 1973, Michael Dummett presentava così il rapporto fra linguaggio e filosofia: «Un enunciato è una rappresentazione di qualche aspetto della realtà. Il nostro linguaggio- la matrice a partire dalla quale formiamo i nostri enunciati - ha due funzioni: di mezzo di comunicazione e di veicolo di pensiero. Ciò che si può apprendere direttamente si può anche comunicare ad altri: le asserzioni degli altri mi forniscono una vasta estensione dei miei poteri di osservazione. Ma è ancora per mezzo del linguaggio che siamo in grado di imporre un ordine alla realtà come ci si presenta, di impiegare concetti mediante i quali possiamo cogliere aspetti della realtà che non sono evidenti all'osservazione macroscopica (gross). «La teoria del significato, che sta a fondamento dell'intera filosofia, cerca di spiegare il modo in cui riusciamo a rappresentare la realtà per mezzo del linguaggio; e fa questo fornendo un modello del contenuto di un enunciato (del suo potere rappresentativo)» (Truth and Other Enigmas, p. 309). Questa citazione chiarisce subito come almeno Dummett sia lontano dagli scopi dissolutori della versione critica della filosofia linguistica. Non è che i problemi filosofici svaniscano grazie all'analisi delle loro formulazioni linguistiche; l'analisi del modo di funzionare del linguaggio - in particolare, della sua funzione rappresentativa, - è il presupposto della filosofia, perché la filosofia indaga attività e formazioni culturali in cui il linguaggio svolge un ruolo essenziale. In particolare, ciò che chiamiamo ronoscenza è incomprensibile se non si comprende in che modo i suoi elementi - che sono enunciati - possono svolgere la funzione rappresentativa che di fatto svolgono. Il rapporto privilegiato fra filosofia e linguaggio non si fonda quindi sul fatto che i problemi filosofici sono problemi di linguaggio, ma sul fatto che le attività e formazioni culturali che sono oggetto dell'interesse filosofioo- e in relazione a cui si pongono problemi filosofici - sono compenetrate di linguaggio. Il punto non è che, poniamo, il concetto di conoscenza è una parola, la parola 'conoscenza'; il punto è che la ronoscenza i una formazione linguistica. Un aspetto di questa posizione di Dummett è oggi largamente condiviso, all'interno del campo filosofico analitico: la concezione più costruttiva che critica della filosofia, l'idea che la dissoluzione dei problemi filosofici, o l'abbandono di certe loro formulazioni, sia eventualmente soltanto un sottoprodotto dell'adozione di una teoria del linguaggio il cui scopo primario è la comprensione di attività basate sull'uso del linguaggio. A partire dalla citazione di Dummett, si possono evidenziare quattro tesi: 1. Un enunciato è una rappresentazione di qualche aspetto della realtà. 2. La teoria del significato ha il compito di spiegare la funzione rappresentativa del linguaggio. 3. La teoria del significato sta a fondamento di tutta la filosofia. 4. La filosofia è essenzialmente epistemologia, cioè teoria della conoscenza. Le prime tre tesi sono esplicitate da Dummett, l'ultima no; e .non voglio dire che essa sia a rigore deducibile dalle prime tre, o da altro che Dummett dice. Ma mi pare chiaro che Dummett non abbia in mente il ruolo del linguaggio, poniamo, nel comportamento che è oggetto della filosofia morale, o nell'arte, ma il suo ruolo nella conoscel,lZa,e in particolare nella conoscenza scientifica. La teoria del significato sta alla base della filosofia solo se la filosofia ha per compito essenziale la comprensione di un'attività che è essenzialmente rappresentazione linguistica della realtà, cioè (per Dummett) la comprensione della scienza. È quindi evidente che tutta questa concezione del rapporto fra linguaggio (e teoria del linguaggio) e filosofia sta o cade con le due idee della funzione rappresentativa del linguaggio (e della conoscenza) e dell'epistemologia come essenza, o almeno nucleo, della filosofia. Difatti l'attacco più vigoroso che sia stato portato recentemente al rapporto privilegiato fra linguaggio e filosofia - Philosophy and the Mirror of Nature di Rorty - prende di mira precisamente queste due idee. Rorty concepisce l'epistemologia come tentativo di fondare filosoficamente la conoscenza, in particolare la conoscenza scientifica. Perciò la sua critica dell'epistemologia è in buona parte critica del fondazionalismo; una critica che ormai è molto familiare, anche qui da noi. Ma la riflessione filosofica sulla scienza non è necessariamente il tentativo di fondare o giustifi-

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