Alfabeta - anno V - n. 49 - giugno 1983

Le nebbi~,~d,~I 7 aprile Pubblichiamo soltanto ora questo scritto di Roberto Guiducci (pervenuto nel febbraio scorso) che si riallacciaali'articolo di M. Spinella, su Alfabeta n. 44. Alfabeta ha infatti preferito far precedere ogni successivo intervento (e altri ne attendiamo per ilfuturo) dal dibattito interno pubblicato sul n. 48. L o scritto di Mario Spinella implica problemi di fondo che è impossibile evitare. Sia pure brevissimamente occorre tornare a precisare che una legge.biologica generale vieta a ogni essere di uccidere membri della propria specie. Solo l'uomo l'ha violata, proprio mano a mano che è divenuto un essere culturale e artificiale. Il delirio di onnipotenza, per cui ogni gruppo ha ritenuto di essere quello «esclusivo» degli uomini, unito alla proiezione paranoica dei propri lutti, disgrazie, perdite, malattie, ecc., colpevolizzando un altro gruppo, ha creato le premesse per gli scontri mortali. Ma la «licenza di uccidere» è stata determinata dal poter vedere il «diverso umano» (per colore della pelle, costumi, maschere, credenze, riti, lingue, ecc.) come non appartenente alla propria specie, e perciò non-uomo, e quindi animale da poter sopprimere. Nelle società moderne Hitler usò largamente del delirio di onnipotenza, della proiezione paranoica del lutto e della stigmatizzazione dei «diversi» come non-uomini da uccidere. Ma anche i suoi nemici non poterono resistere dal bollare i tedeschi come «belve naziste» e i giapponesi come «scimmie gialle». Stalin riuscì a eliminare i suoi avversari usando per loro proprio il termine di «mostri del genere umano». E «mostro del genere umano» vuol dire «aberrazione del genere», essere «degenerato», individuo abnorme ed escluso dal «genere» a cui appartiene l'uomo. Nel corso della storia anche gli eretici, le streghe, gli omosessuali, i devianti perseguitati, ecc., erano considerati «mostri» che si accoppiavano con il demonio o effettuavano pratiche non-umane, «contro natura» (umana). La domanda che ne deriva è, rapidamente, la seguente: se è vero che la violenza nasce da uno scambio simbolico distorto, per cui si prende un uomo per un essere di un'altra specie onde avere «licenza di ucciderlo», non occorrerebbe, per coerenza, da posizioni di sinistra dichiararsi per la non-violenza assoluta? Anche contro Hitler (per prendere l'avversario peggiore all'estrema destra)? Anche contro Stalin (per prendere l'avversario peggiore dentro la stessa sinistra)? Per rispondere a questi dilemmi così difficili non basta neppure la pur intelligente definizione di Camus secondo la quale non bisogna essere «né vittime né carnefici», perché è difficile stabilire il grado in cui sia lecito uccidere per non essere vittime, e il grado fino al quale ci si debba trattenere dall'uccidere per non essere, a propria volta, carnefici. Probabilmente occorre, innanzi tutto, veder bene cosa significa «il fine di prendere il potere per costruire una nuova società» libera, giusta ed egualitaria. Un movimento, un processo trasformativo profondo, una rivoluzione, per essere veramente tali dovrebbero, innanzi tutto, avere come fine non la presa in se stessa del potere, ma la costruzione di una nuova società dove il potere sia tutto - senza residui - reso (restituito) alla società civile. Questo era ed è sempre stato il fine delle rivoluzioni egualitarie e lo scopo originario anche del marxismo, poi gravemente turbato dal «paradosso» dello stesso Marx sulla «dittatura del proletariato», considerato «alla lettera» da Lenin, portato alle peggiori conseguenze da Stalin. A storia raffreddata, sappiamo tutti che il paradosso per cui una larghissima maggioranza egualitaria possa o debba difendersi contro le insidie e i colpi di Bibliotecag1nobianco coda dell'avversario sconfitto, non regge affatto. È evidente che una larghissima maggioranza egualitaria dovrebbe potersi difendere anche senza alcuna forma di dittatura. Ma ciò sarebbe possibile soltanto se un movimento rivoluzionario egualitariIl giudizio di Cristo stico avesse già iniziato la costruzione di una nuova società dentro la vecchia. Persino in clandestinità non dovrebbe essere obbligatorio il sistema militare - nel senso non delle regole di segretezza, ma di quelle gerarchiche e autocratiche. Il Partito leninista mutuò, invece, proprio queste regole dalle istituzioni militari, come adottò, poi, i sistemi tayloristici nel lavoro. Da tutto ciò si può dedurre che, per costruire una nuova società, è impossibile e contraddittorio imitare le istituzioni che si vogliono abbattere anche se, a breve, possono sembrare vie semplici di efficienza. Si potrebbe quindi concludere che il primo punto vincolante per la costruzione di una società egualitaria dovrebbe essere quello di applicare alle forze del mutamento le regole e le istituzioni della nuova società che si intende edificare. E se si volesse realmente una società libera, egualitaria e ad organizzazione orizzontale autogestita, tali dovrebbero essere le strutture anticipatorie anche lungo il percorso del movimento. A questo punto occorre prendere in considerazione la proposizione di origine gramsciana: «La rivoluzione dovrebbe essere soltanto un mezzo e mai un fine». Se la nuova società sarà cresciuta a lungo, tenacemente e senza decampare ai fini, pur entro il sistema esistente, ci sarà un punto di rottura con il vecchio sistema. A fine ragggiunto, la rivoluzione sarà stata solo un mezzo. Ma l'aggiungere «La violenza dovrebbe essere considerata solo un mezzo eventuale di una rivoluzione,. non dà per scontato che la rottura debba essere necessariamente violenta. Non esistono molti esempi nella storia di trasformazioni radicali e irreversibili nonviolente, ma sempre maggiori studiosi stanno dando credito all'ipotesi, fino a poco tempo fa considerata azzardata, che persino il New Deal rooseveltiano sia stata una rivoluzione non-violenta (si badi: borghese) dal capitalismo al neocapitalismo, così come le trasformazioni socialiste-democratiche nordiche e laburiste o i recenti rovesciamenti socialisti francese, spagnolo, ecc., siano state un passaggio netto, ma non-violento, dal capitalismo arcaico a un sistema con alcune aperture progressiste e, in ogni caso, chiaramente diverso dal precedente. E si potrebbe dire (comunque vadano le cose a breve periodo) che i recenti movimenti polacchi rappresentino il primo sintomo di un tentativo di rivoluzione nonviolenta dal comunismo autocratico a un comunismo consigliare nei Paesi dell'Est. Ma se i vecchi capitalisti americani o i vecchi capitalisti nord-europei avessero attaccato o attaccassero i nuovi sistemi con la forza, si può ritenere che gli appartenenti ai movimenti trasformatori avrebbero il diritto di difendersi. Così pure si potrebbe dire che se Andropov o i suoi mandanti intervenissero con i carri armati a Danzica o a Varsavia, gli operai avrebbero il diritto di resistere. Ciò vale, ovviamente, per Reagan nella sua area. Si potrebbe allora concludere su questo punto che un movimento progressista o rivoluzionario non ha diritto di stabilire a priori che il suo fine è la rivoluzione senza stabilire e anticipare anche - durante il percorso - l'applicazione dei suoi fini democratici ed egualitari; non ha diritto neppure di stabilire che la rottura sarà, in ogni caso, violenta; non ha diritto, infine, di usare la violenza, a modificazione avvenuta, ma soltanto metodi democratici. Il suo residuo diritto di ricorso alla forza resta, di conseguenza, quello della resistenza qualora l'avversario tentasse di inficiare la trasformazione avvenuta adoperando la sua violenza. Ma il diritto alla resistenza (anche contro Hitler da un lato e contro Stalin dall'altro) dovrebbe avere ulteriori limitazioni che potrebbero essere riassunte nel «non assomigliare mai all'avversario anche nella necessità della violenza stessa». Di fronte all'allargarsi della violenza come malattia autodistruttiva in epoca nucleare, occorrerebbe dunque che l'uso della violenza venisse consfderato solo un mezzo eventuale di una rivoluzione che, a sua volta, fosse soltanto un mezzo per il fine di costruire una nuova società. E ad una violenza difensiva non dovrebbe mai essere attribuito un carattere eroico, purificatore, sublime, perché anche la violenza difensiva è negativa, sporca, crudele, come sa chi si è trovato nelle

RkJQdWJsaXNoZXIy MTExMDY2NQ==