l' oscuritig;a,,ddiana Carlo Emilio Gadda U tempo e le opere a c. di Dante Isella Milano, Adelphi, 1982 pp. 228, lire 9.500 Meditazione milanese a c. di Dante Isella Torino, Einaudi, 1974 pp. 477, lire 6.000 E siste una famosa e splendida pagina di Adorno che lo scritto di Spinella, dedicato alla «dissonanza» gaddiana (Alfabeta n. 45), richiamava alla mente. È nell'Introduzione alla Filosofia della musica moderna, e si riferisce alla polemica del «mercato» artistico contro la pretesa «incomprensibilità» delle esperienze dell'arte d'avanguardia: «Se l'arte ha perduto la sicurezza in se stessa che le veniva da materia e forme accettate senza discussione, le si è aggiunto, nella 'coscienza delle pene', nel duolo sconfinato diffusosi sugli uomini e nelle tracce che questo ha lasciato sul soggetto stesso, un che di 'oscuro' ... «Quanto più la strapotente industria culturale trae a sé il principio chiarificatore e lo corrompe in una manipolazione dell'umanità per far durare !"oscuro' più a lungo, tanto più l'arte si pone come contrario della falsa chiarezza ... e serve alla chiarificazione solo in quanto convince coscientemente il mondo, apparentemente così luminoso, della propria tenebrosità». C'è da rileggere in questi termini la spesso paradossalmente nascosta oscurità di Gadda - colui che, come dice Spinella, ha incluso nel suono il rumore. La raccolta di brevi saggi e note Il tempo e le opere, proposta da Adelphi a cura di Dante Isella, ci dà l'occasione per riconsiderare lo strano destino della pagina gaddiana. Se leggiamo uno scritto di raffinata costruzione prosodica, dal lessico alto e denso, dalla sintassi solennemente dispiegata, il rimando culturale più esplicito che subito s'accampa, sulla polivocità interpretativa, è quello di una prosa d'arte rivisitata (nel 1955) nello stile dell'elzeviro: «Chi annaspa e chi suda, chi volta carta e scartoffia da mane a sera, e si contenta di un par di marmocchi da issarli in ascensore al sesto piano dopo la passeggiata in carrozzella, quello viene schizzato alla periferia: una periferia disamata da novellatori e romanzieri perché nuova e relativamente pulita e piuttosto luminata nel sole ... » (da Quartieri suburbani, in Il tempo e le opere, p. 249). Ma è dietro l'identificabilità storico-culturale dell'impianto della scrittura che occorre rileggere più a fondo la dissonanza tra l'altezza del registro, i ritmi spezzati, per frasi nominali («Intonaco a scorza di arancia, cosiddetto ... Davanzali di travertino. Terrazzi. Attici ... »), nell'ansia dello sguardo, e gli inserti in linguaggio basso («si contenta di un par di marmocchi»). Con l'attenzione a ritenere la tensione della scrittura non un semplice attributo di una classica costruzione della pagina che, così, ne è appena increspata; ma piuttosto il senso privilegiato e portante della scrittura, quello che attinge, nello sciogliersi dalla linearità narrativa, a una «oscurità» che cerca una propria voce, una propria lingua. È allora alla luce di questa complessità stratificata della pagina che occorre rileggere ogni stagione dell'opera gaddiana, d'altronde tradizionalmente legata a un incessante riciclaggio dei propri materiali. Una rilettura che vada al di là dei tributi eventualmente pagati .. dall'Ingegnere, nel corso della sua storia e della storia letteraria, ai modelli letterari dominanti: in primo luogo, lo si è detto, alla cultura della prosa d'arte (con Emilio Cecchi a scrivere di Gadda: «L'arte di un contrappunto in cui tintinnano le sonorità più ilari e disperate, con echi capricciosi e pur rigorosissimi, con equilibrismi fonici giocati, risicati sull'ultima corda, finché essa si spezzi e salti in aria come un serpente»). M a, tentando di definire quest'oscurità gaddiana - destino pagato con una resistenza della critica ancora non vinta, e nemmeno smussata, - non possiamo non ricordare una pagina di Gianfranco Contini dell'Introduzione a La cognizione del dolore: «La narrativa di Gadda è ... totalmente aliena dalla narrativa tonale d'atmosfera ... i narratori di questo tipo ... esercitano come facoltà prìncipi, la memoria e l'evocazione. Il solo bene di Gadda è il presente, l'esaltante buccia delle cose... In questo senso l'arte di Gadda è tutta lirica; egli non dispone di vite altrui, ma solo della propria». Dunque la scrittura come «messa in scena» di un soggetto che non si rassegna ad adagiarsi nell'esemplarità di eventi narrabili, conclusi e definiti, ma che tende - con un'acuta coscienza dei processi della conoscenza - a porsi come nodo di rapporti, campo di forze, luogo di tensioni e di trasformazioni della materia: «Le teorie fisiche, cioè fisico-matematiche, biofisiche, psicologiche, psichiatriche recenti, hanno profluito contro l'idolo io, questo palo» (/ viaggi, la morte); «L'individuo umano, già limitatamente alla sua persona, non è un effetto ma un insieme d' effetti ed è stolto pensarlo come unità: esso è un insieme di relazio- · Bibliotecagiobianco ni non perennemente unite» (Meditazione milanese). Tutto attorno all'individuo va allora pensata una rete di rapporti tra mondi, oggetti, azioni-reazioni. Nei quaderni della Meditazione - e nelle pagine fondamentali che Giancarlo Roscioni ha dedicato a essi - circola incessantemente quest'idea di una realtà non semplificabile e in fondo inconoscibile, se non nella parzialissima descrizione di una piccola tranche di quell'infinita catena di rapporti. Se la sostanza è molteplicità («Si possono concepire aggruppamenti infiniti degli elementi d'un dato sistema che siano attimo per attimo a funzionar da sostanza», dalla Meditazione), tesa da un movimento dal semplice al molteplice, e l'unica possibilità di agire per l'uomo è nel costruire «macchine» che sintetizzino, rappresentino, quei rapporti («la macchina risolve un problema di collegamento logico fra i dati, materia interpretata come acquisto logico»), e se in ogni processo conoscitivo è presente la tensione deformante del mondo («conoscere è inserire alcunché nel reale, è, quindi, deforL'idro è un serpente acquatico: quando vede un coccodrillo dormire con la bocca spalancata, gli si infila nelle fauci e ne dilania le viscere esiste dietro il mondo, sotto le cose («barocco è il mondo e il Gadda ne ha percepito e ritratto la baroccaggine»). Col «troppo e il vano» si attraversa il soggetto per parlare di un mondo delle relazioni che si dispiegano al di là della fenomenicità del quotidiano. E mile Benveniste ha scritto che «il linguaggio è organizzato in modo da permettere a ogni parlante di appropriarsi dell'intera lingua designandosi come io... Il linguaggio è quindi la possibilità della soggettività, per il fatto che contiene sempre le forme adeguate alla sua espressione e il discorso provoca l'emergere della soggettività per il fatto che consiste di situazioni discrete» (É. Benveniste, Problemi di linguistica generale, trad. it., Milano, Il Saggiatore, 1971, pp. 315-16). La scrittura di Gadda si inscrive in una teoria che riprende, rovesciandola, questa definizione: se il linguaggio tende a complicare le sue «situazioni discrete» concependole all'interno di una rete di rapporti logico-discorsivi che oltrepassano l'organizzazione stilistico-espressiva più tradizionale, ecco che la soggettività - la possibilità di appropriarsi dell'intera lingua - si dissolve nell'incapacità di fissarsi in «forme adeguate alla sua espressione», perché queste non possono pensarsi ritagliate fuori dall'evolversi continuo della realtà. La «coscienza del migliore riferimento attuale» è il momento della citazione dei linguaggi, chiamata in causa, e in gioco, della possibilità di infiniti - non finiti, non definibili - mondi linguistici. È l'affermazione, tragica, del votarsi all'incompiutezza della narrazione, del linguaggio; e alla possibilità della sopravvivenza - del discorso, della parola - nel catalogo, nella moltiplicazione, nel «numero». -----~::.==-:::-...::::::::=::::::=:::::.. mare il reale», dalla Meditazione), «la perenne deformazione del reale non consente canoni definiti per la conoscenza poiché il punto attuale d'osservazione è perpetuamente mutevole ... Il metodo consiste quindi sotto questo rapporto nella coscienza del migliore riferimento attuale: esso è una sensazione viva nella realtà presente» (dalla Meditazione). Questa impossibilità della conoscenza (se non in forme precarie e contingenti) è, per Gadda, impossibilità della lingua, della unicità di essa: «I doppioni li voglio, tutti, per mania di possesso: e voglio anche i triploni e i quadruploni, sebbene il re cattolico non li abbia ancora monetati ... Sicché do palla nera alla proposta del sommo e venerato Alessandro, che vorrebbe nientemeno potare, ecc. ecc. per unificare e codificare: 'd'entro le leggi trassi il troppo e il vano'. Non esistono il troppo né il vano, per una lingua» (/ viaggi, la morte). E il «troppo» e il «vano», cioè l'eccessivo, l'antieconomico, la dépense, sono gli strumenti per l'apertura del linguaggio a quanto Questa è, forse, l'oscurità di Gadda: l'impossibilità - sua e del suo mondo - della chiarezza del racconto. Come non è possibile pensare le istituzioni del linguaggio al di fuori dell'intreccio dei rapporti paradigmatici e sintagmatici, così appare impraticabile ogni cammino lineare del racconto che narri una vicenda secondo l'univoca relazione di causa-effetto: l'impossibilità è del linguaggio, del discorso, dell'etica. «La causale apparente, la causale principe, era sì, una. Ma il fattaccio era l'effetto di tutta una rosa di causali che gli eran soffiate addosso a molinello ( ... ) e avevano'finito per strizzare, nel vortice del delitto, la debilitata 'ragione del mondo'». Così pensa, nel Pasticciaccio, Ingravallo, la cui lingua i~egue, senza raggiungerla, una qualche meta, una possibile verità: «'Quanno me chiammeno!. .. Già. Si me chiammeno a me... può sta ssicure ch'è nu guaio: qualche gliuommero ... de sberretà .. .' diceva, contaminando napolitano, molisano, e italiano». Dal linguaggio al corpo, la realtà si sbriciola nella rete dei rimandi e delle derivazioni: il destino del soggetto è nella coscienza di essere un grumo: «E poi nelle mie vene di bastardo è sangue ungaro e celtico, e visigotico e longobardico. E poi una congerie di modelli e una moltitudine di maestri: e verso questi una mia 'diligenza', cioè quasi un amore. E una 'disciplina', cioè quasi una guerra» (dalla Meditazione). Guerra e amore, ancora, alla ricerca di un linguaggio. Q ueste tensioni opposte, dissonanze del pensiero e del linguaggio, si riverberano lungo tutti i testi di Gadda. Il grande tema della conoscenza come deformazione, della cognizione del deformato, diviene cognizione del dolore, perché è dolore la perdita dell'orizzonte pacificato su cui i fatti potevano svolgersi con evidenza e chiarezza: e la morte segue a questa perdita, fine del mondo e avvento dei mondi, avvento dei pronomi della pluralità, dei discorsi dei linguaggi diversi, dietro la morte della soggettività: «Nella stanchezza senza soccorso in cui il povero volto si dovette raccogliere tumefatto, come in un estremo ricupero della sua dignità, parve a tutti di leggere la parola terribile della morte e la sovrana coscienza della impossibilità di dire: Io» (da La cognizione del dolore). Ma dietro questa precarietà del mondo c'è forse la possibilità di leggere di nuovo la natura e la storia: «La natura e la storia ... avviene faccino a lor volta un passo falso, o più passi falsi: che nei loro conati ... abbino a incontrare la sosta o la deviazione 'provvisoria' del barocco, magari del grottesco». La letteratura può cogliere nella realtà «il senso come di una parvenza caleidoscopica, dietro cui si nasconda un 'quid' più vero, più sottilmente operante». Così, ne L'Adalgisa, la nota dedicata al «povero Carlo» (la numero 8) è un mirabile esempio di microstoria, con l'icastica enumerazione dei modi, luoghi e tempi della vita milanese fin-de-siècle. Vir, tuosistico catalogo di personaggi e di oggetti, quadro storico del quotidiano, del banale, dell'effimero d'epoca; una narrazione nella narrazione: come a dire un'altra - tante altre - delle possibili direzioni del discorso che si aprono a lato, continuamente, della voce narrante principale. «Il troppo e il vano» del linguaggio tengono dietro a questa scissione della realtà: il racconto - il proverbiale «giallo» insoluto gaddiano - si ferma ai margini di un mondo infinito da descrivere: l'evento perde il proprio senso nella catena delle cause: «Questa catena di cause riconduceva il sistema alto e dolce della vita all'orrore dei sistemi subordinati, natura, sangue, materia: solitudine di visceri e volti senza pensiero» (La cognizione). È la «coscienza delle pene» di cui parla Adorno, ricondotta alla coscienza novecentesca delle forme, dell'impossibilità delle forme. Calando nel romanzo, nelle sue strutture più tradizionali, l'inquietudine di chi come Gadda, dinanzi all'inadeguatezza delle lingue a disposizione per parlare del mondo, al contrario del Lord Chandos di Hofmannsthal che decide di non parlare più alcuna, intende parlarle tutte, tutte assieme.
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