Alfabeta - anno V - n. 49 - giugno 1983

LaletturainItalia 1. Negli ultimi trentacinque anni vi è stato un allargamento impetuoso dei confini, prima assai angusti, della possibile readership di testi letterari. È cresciuta rapidamente tra le classi più giovani la scolarità, trasformando 'il livello che qui ci interessa, il post-elementare (ed, entro questo, il medio-superiore), da livello di élite a un livello generalizzato, per quanto riguarda la media dell'obbligo, e di massa per la scolarità mediosuperiore, anche se il Paese resta lontano dai livelli di scolarità medio-superiore degli altri Paesi europei e ad alto sviluppo. E ciò, sia pure con la ovvia lentezza dei fatti demografici, ha progressivamente innalzato il livello medio della scolarità media e medio-superiore. Inoltre, è cambiato profondamente il rapporto con la lingua dei libri, che è stata ed è la lingua che diciamo italiano. Dal dialetto all'italiano 2. Circa trent'anni fa l'uso abituale dell'italiano era ristretto a una percentuale modesta della popolazione, stimabile tra il 10 e il 18 per cento degli adulti, concentrati soprattutto in Toscana, a Roma, negli esili strati di più alta scolarità in alcuni centri urbani maggiori (Napoli, Milano, assai più che, per ragioni storiche varie, Torino, Venezia, Palermo). Lungo gli anni sessanta, lo stato di cose ora ricordato si era modificato nel senso di una progressiva diffusione dell'uso dell'italiano. stanti le note condizioni linguistiche dell'Italia anche dopo l'unità politica, ciò comporta insieme una diffusa adesione collettiva alle grandi linee, almeno, di quel modo d'uso (o fascio di modi d'uso) della lingua italiana hhe diciamo norma scritta o letteraria. • 3. Non è fon;e privo di interesse, anche agli specifici fini del nostro discorrere, soffermarci su una considerazione. La percentuale di coloro che adoperano sempre l'italiano è nettamente superiore a quella di chi ha un titolo scolastico medio o medio-superiore. Ed è immensamente superiore la percentuale di chi parla di preferenza o, almeno, anche l'italiano. Insomma, la scuola è solo per una piccola parte direttamente responsabile della diffusione dell'uso dell'italiano. In gran parte, la scelta dell'italiano avviene sotto la spinta di altri fattori: l'ascolto televisivo, l'imitazione dei ceti urbani e, se questa parola ha un senso definito, borghesi. Sarà anche utile rammentare che questi dati di linguistica esterna non danno piena ll'isura dei fenomeni in corso: al passaggio dal dialetto all'italiano occorre assommare l'imponente italianizzazione interna dei dialetti, che, là dove siano ancora in uso, paiono ridursi sempre più spesso (lungo una strada imboccata vari secoli fa dal romanesco) a un apparato morfologico e fonologico, del resto anch'esso intaccato, che opera in funzione di un vocabolario e di Sulla base d'una somma di son- una sintassi fortemente italianizdaggi, a metà anni settanta si pote- zanti. va ritenere che una qualche conoscenza dell'italiano fosse acquisita Le nuove produzioni per circa il 60 per cento della po- 4. La produzione ha tenuto conpolazione (un dato che parve otti- to di queste nuove condizioni. Se mistico, trionfalistico, a studiosi si guarda ai titoli letterari editi, sia come R. Simone e L. Renzi). In originali sia tradotti, si osserva una effetti, un sondaggio Doxa del crescita nu1Derica assai forte. È 1974 faceva pari al 56,8 per cento aumentato enormemente in questi della popolazione coloro che di- anni il numero di coloro che prochiaravano di parlare italiano ducono testi letterari originali o esclusivamente o accanto a uno tradotti. La sicurezza linguistica, dei dialetti. Negli anni seguenti, la assai maggiore che in passato, ha marcia verso l'acquisizione dell'u- fatto venire meno le vecclue so dell'italiano è continuata. preoccupazioni puristiche e incliNel 1982, in coda a un'inchiesta nazioni auliche, entrambe radicate sui dentifrici, la Doxa ha ripetuto in un atteggiamento linguistico diil suo utile sondaggio. Risulta che tensivo. In tale sicurezza probabilcoloro che parlano sempre e solo mente occorre trovare anche la italiano sono il 26,7 per cento della fonte prima della straordinaria repopolazione; coloro che lo parlano viviscenza di produzione letteraria di preferenza rispetto ai dialetti nei dialetti verificatasi durante gli sono il 15,2 per cento; coloro che anni settanta. parlano sia dialetto sia italiano so- 5. Se dalla domanda potenziale no il 22,1 per cento; coloro che in- di testi letterari e dall'offerta lo vece parlano sempre e solo dialet- sguardo si sposta alla domanda efto sono scesi al 23,0 per cento. Per fettiva, il quadro cambia: gli indici la prima volta dopo i primi secoli di lettura di libri (come, del resto, dell'Era volgare, una maggioranza quelli di lettura dei giornali) restadella popolazione italiana, sia pu- no in Italia bloccati da decenni e, re non robustissima, si ritrova nel- ormai, tra i più bassi in Europa. l'uso costante di una lingua comu- La lettura è ancora un bene di pone. chi, e di pochissimi la lettura di Ma i dati Doxa ci permettono di testi letterari. li best-seller all'itagettare un'occhiata anche tra le liana - come ha mostrato G.C. mura domestiche: per la prima Ferretti - non contraddice, al più volta coloro che a casa parlano maschera, ma solo a un primo susempre e solo uno dei dialetti non perficiale sguardo, questa povertà hanno più la maggioranza assolu- asfittica della circolazione della ta, e scendono al 46,7 per cento; letteratura nella nostra società. mentre la maggioranza tocca or- 6. Questa povertà della domanmai a quelli che anche tra le mura da effettiva è soltanto una faccia di casa parlano italiano sempre della scarsa circolazione della let- (29,4) o talvolta (23,9). Con ciò teratura. Sondaggi (svolti dalla a: possiamo considerare giunto, se Doxa o a intermittenza da singoli ~ non a una meta, a una svolta dcci- studiosi) rivelano una diffusa iner- ~ sa il cammino dell'uso dell'italiano zia collettiva: ci si adagia su vecchi B b I iofetè~Ìgi D'ooia n tea· anche a livello di popolaTullio De Mauro zione giovane universitaria (in astratto, dunque, al livello ottimale), si hanno amare sorprese negative per quanto riguarda la quantità e qualità delle letture, diciamo di più, la stessa pratica, lo stesso gusto della lettura di testi letterari. Con circospezione, poniamo tuttavia la domanda: come mai questo rifiuto della letteratura tra giovani e in un ceto colto che la scuola dovrebbe avere nutrito, stando ai programmi, di belle lettere? Perché, sia chiaro, soltanto da meno di tre anni, e soltanto in una sezione importante, m~. limitata, della nostra scuola, cioè nella media dell'obbligo, dopo i nuovi programmi (che troppi intellettuali si sono ben guardati dal leggere) si è riusciti a spezzare l'amalgama che nelle scuole e patrie università ha nome «Italiano»: l'amalgama tra studi letterari e studio della lingua, la confusione tra formazione del gusto ali' espressione bella (come dicono i programmi dei bienni, dei magistrali, ecc.) e formazione spesso, anche dalle università, se, di là dei programmi, si guarda agli effettivi risultati, cioè alle competenze letterarie almeno di molti insegnanti. Userò ora e nel seguito la prima persona nel solo modo che dovrebbe essere lecito in una sede critica, scientifica e pubblica: come singulare humilitatis, per rimarcare fin dalla grammatica la fragilità ipotetica di quel che verrò dicendo. 8. Credo che l'educazione letteraria, nel nostro Paese, debba·vincere quattro nemici, quattro veleni che, spesso, sono l'intera sostanza dello studio letterario che si fa da noi: il manualismo (degenerazione della giusta idea secondo cui un testo non si intende senza l'opportuno inquadramento storico e critico), per cui la lettura dei manuali di noi professori (e poco importa se in futuro o già oggi siano per esser sul punto d'essere di molto semiologico-strutturali e punto storicisti) schiaccia o elimina del tutto la lettura dei testi da inquaL'elefante è dotato di grande intelligenza: apprende e ricorda, e venera la divinità delle capacità di leggere testi d'ogni sorta, comprenderli puntualmente, collocarli criticamente, e di scrivere testi non necessariamente letterariocentrici quanto a stile e contenuti. Questo amalgama, la convinzione che leggere poeti e scrittori letterari - dalla Compiuta Donzella a Pasolini - serva a sviluppare le capacità di leggere e scrivere, dominano la nostra scuola e dominano la formazione universitaria degli insegnanti. C'è, evidentemente, qualcosa che non va, se poi il risultato è il rifiuto d'una larga consuetudine con testi letterari appena si stia fuori delle mura dell'istituzione scolastica. Allevati per essere un «popolo di poeti», gli italiani si rifiutano di essere un popolo, almeno, di lettori. Educazione linguistica, educazione letteraria 7. Ho cercato di sviluppare altrove qualche argomentazione in favore della separazione e reciproca autonomia di educazione linguistica ed educazione letteraria: l'una e l'altra non possono che trarre benefici da un regime di distinzione, e di collegamento di ciascuna con i vari altri aspetti del processo formativo di base e medio-superiore, dall'educazione scientifica alla storia politico-culturale, all'educazione e storia artistica, ecc. Qui vorrei permettermi di richiamare l'attenzione piuttosto su alcuni aspetti dell'educazione letteraria impartita dalle scuole e, drare; il nazionalismo (per cui, cosa specialmente assurda nel caso di letterature moderne europee, l'orizzonte geopolitico nazionale diventa un confine non valicabile e i nostri storici della letteratura vivono largamente in persistente regime di autarchia); l'antologismo (per cui l'excerptum è, in sostanza, l'unica cosa che si offre alla lettura, quando pur lo si offra); la lettura-non lettura, la lettura-dislessica (per cui quel po' che comunque si legge, sia pure per brani sbranati e sia pure con marchio made in ltaly, viene piuttosto guardato per ricavarne un'impressione o una valutazione di contenuto, piuttosto che letto davvero, per essere interpretato, nel doppio e sanamente doppio senso di questo termine). Con un training del genere, è grazia che la popolazione non aggredisca coloro che fanno professione di letteratura. 9. Rispetto ad altri tipi di discorso e di testo, il testo letterario si qualifica anzitutto per la proprietà tante volte rilevata, da Aristotele a Nabokov, che possiamo dire libertà semantica, con la quale è coerente la libertà sintattica o linguistica: in ragione di queste due ardue libertà i testi letterari selezionano (come bene si è detto) i loro lettori, a misura che questi sappiano essere tali - lettori appunto. Si dirà che ciò vale per testi d'ogni sorta. Ma, se è così, lo è in misura minore e con una qualità diversa. Lungi dall'essere una «macchina pigra», il testo letterario è il meno pigro e malleabile dei tipi di testo, il più coerentemente concepito per definire un piano, un progetto di lettura, che includa un modo di intenderlo e un correlativo modo di dirlo e scandirlo, ben oltre i puri limiti funzionali previsti (quando pure lo sono) dal sistema linguistico. Non ho bisogno di dire io a dei letterari e critici quanto siano delicati i rapporti che corrono tra lettura come dizione e lettura come comprensione, tra l'uno e l'altro versante dell'interpretazione dello spartito letterario. Una scuola e una educazione letteraria che non siano fondate su ciò, sulla Lust zufabulieren, CO· me potrebbero mai dare la Lust zu lesen, il diffuso gusto della lettura? 10. Non ho bisogno di ripetere qui, con Bachelard o Rodari, quanto grande e complessiva sia l'efficacia dell'esperienza della letteratura, proprio per quei caratteri che ho detto di libertà semantica, di messa in scena di mondi possibili tanto bizzarri da potere rassomigliare a quello ovvio e piatto di - diciamo - un professore di linguistica; e di libertà sintattica, di messa in opera di materiali così straordinari da potere rassomigliare perfino alle «parole trite» d'ogni giorno; proprio per la primordialità di quella operazione che sta nel reperire l'espressione adatta per un senso e nell'identificare il senso adatto di un'espressione. Mediamente, le avventure della ricerca intellettuale e della vita morale, dell'invenzione tecnica e dell'impresa economica, non hanno inizio senza che largamente non si siano sperimentate «in su le carte» le avventure cui ogni testo letterario chiama, col suo ordito testuale che merita il convergere di attente indagini analitiche, i suoi propri lettori. La mancanza di una diffusa circolazione di testi letterari aduggia tutta la nostra vita civile e intellettuale. Se letteratura è la lettura di qualche brandello per farci su dell'impressionismo o peggio del marxismo o della semiotica a quattro soldi la vagonata, oppure è la lettura del manuale storicista o no, strutturalista o no, del professor Tal de' Tali, nessuno stupore che saviamente il pubblico rifugga da ciò che gli dicono essere romanzi, drammi, poesie, testi letterari, e preferisca di gran lunga telenovelas e fumetti di Messalinik. Cerchiamo di instaurare (e non restaurare, perché da restaurare c'è poco assai) una educazione letteraria fondata sull'apprezzamento diretto di testi, attentamente studiati per essere portati a interpretazione convincente, ciò che significa: abbandoniamo antologismo e manualismo. E il resto ci verrà dato in appresso. Fino ad allora, pare inevitabile che la lettura di testi letterari resti privilegio di consumati e poco consumanti lettori. Questo contributo di Tullio De Mauro, come già ilprecedente di Dorjles, è stato letto al convegno «Testo e prodotto», organizzato a cura del/'/. stituto Gramsci nello scorso marzo, a Cà Do/fin, Università di Venezia; gli atti del convegno sono in corso di pubblicazione presso l'editore Franco Angeli.

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