Miche! Butor Répertoires V Paris, éd. de Minuit, 1982 Répertoires I-IV Paris, éd. de Minuit 1%0, 1964, 1968, 1974 e on Répertoires V, apparso in• libreria nel novembre scorso, Miche! Butor pone fine a un ciclo di saggi, centocinque, racco!- 1 ti in cinque tomi. L'autore giustifica tale decisione, ritenendo che il numero cinque, quello della mano, esprima ciò che ba preso forma, fissandosi e chiudendosi. Nella lettura del volume si è colpiti dal termine Antifantome, che riconduce alla luce, alla superficie, ciò che è sommerso, invisibile, ma presente. L'attività estetica, nonché la lettura, che non ba come fine la spiegazione dell'opera, ma la costruzione di un'opera di secondo grado, per lo scrittore francese è un'interrogazione sulla condizione esistenziale, con l'obiettivo di rendere visibile ciò che si allontana, si camuffa, si respinge. L'antifantasma - Butor si qualifica con questo vocabolo nel saggio «dialogue avec Cbarles Perrault sur les fontaines de la fable» - respinge, abbatte, la demarcazione tra presente percepito e presente latente, facendo ritornare ciò che sfugge, che si cancella. L'Antifantome è la sintesi di un insieme di rapporti tra rappresentazione, realtà, inconscio, malattia, follia, mone, buio, notte, che si riassumono nell'opera d'ane, nella poesia, che permette a ciò che è bandito di esistere, di manifestarsi nella presenza, nel presente del testo. Nelle ultime pagine dell'opera, Butor parla delle strutture matematiche, che assolvono un ruolo imponante nella regolamentazione dell'immaginazione, e sulle quali si fondano i metodi di esplorazione poetica. Nel momento in cui si prende coscienza dell'attività, dell'influenza delle strutture, ci si libera di esse, giocandoci. Butor, in «une semaine d'escales,,, parla di una serie di trasmissioni musicali, protrattesi per una settimana, da lui curate e nelle quali le rubriche erano distinte con i titoli di alcuni suoi libri. Parlando di Poème électronique, egli mette in luce il fulcro della sua concezione estetica, fondato sul principio della serie nell'unità, che consente la simultaneità. Costruire un'opera significa organizzare elementi, gruppi, serie, materiali, con echi, legami, transiti attuali e vinuali, ma, soprattutto, creare la possibilità che si manifestino nuovi rumori, nuove perturbazioni in grado di espandersi sull'intera struttura, riorganizzandola, spostandola. Ciò implica un cambiamento di posto, di volume, di prospettiva, una fuga con l'immersione all'interno di un altro spazio, mediante un movimento che faccia provare la vertigine del lontano attraverso la variazione di prospettiva su assi curvi e multipli. Si realizza una specie di andata e ritorno tra gli elementi nel volume, una modificazione spaziotemporale, annullata dai rapporti di somiglianza e d'identità tra i singoli esponenti disposti nei piani dell'insieme. Ogni elemento riflette l'insieme, quindi gli altri elementi, ponendosi in marcia erratica nella struttura, cosl da svelare flussi temporali, inevitabilmente presenti. La struttura, l'edificio, dice Butor, si combina con lo spettacolo, in rappono complementare, permettendo allo stesso di svolgersi e integrandolo. Viene meno la distinzione tra di curiosità, di volontà conoscitiva, di concupiscenza, si traduce nell'azione degli occhi, tanto è vero che il verbo vedere, traduttore nel linguaggio del senso precipuo creato dalla percezione ottica, viene esteso, erroneamente egli dice, agli altri sensi. Butor propone di operare la confluenza dei verbi che traducono in discorso la perceLa sirena è ralvolta incarnazione del diavolo contenente, l'edificio, e contenuto, lo spettacolo, che ha bisogno di un'impalcatura per esistere, e delle variazioni che questa offre. La struttura è una macchina per rappresentare. Una cena scena per essere prodotta deve disporre di una cena sala, di una cena macchina. Si stabilisce un rapporto di dipendenza tra contenente e contenuto. Affinché la medesima scena possa essere prodotta in un altro luogo, bisogna modificare la struttura, variandola, negandola, cosl da consentire la ripetizione in un altro spazio. L a figura è legata all'insieme che, modificato, mediante l'inserimento o la sottrazione di un componente, dà origine a un'altra scena collocata in un secondo edificio, quindi in un secondo asse spazio-temporale, tuttavia già presente nel primo essendone l'evoluzione. La capacità della struttura di manifestarsi e negarsi permette gli spostamenti nel volume temporale, anzi il tempo si sovrappone all'edificio con il suo carattere primario, la decostruzione, permettendo l'edificazione di una struttura atemporale, piana, sincronica nella negazione, quindi nell'affermazione immediata che si espande e si riflette in ogni luogo, grazie al campo delle similitudini. Si costruisce una struttura sempre aperta verso il basso, il tempo sommerso, da cui affiorano nuovi flussi, negazione dei precedenti, ma già presenti, quindi simultanei. In «la concupiscence des yeux» si fa riferimento a un passo del Libro decimo delle Confessioni, nel quale Agostino dichiara: voi mi ordinate di difendermi contro la concupiscenza, contro la concupiscenza degli occhi e l'ambizione del mondo. Agostino, nonostante si tenesse lontano dalle tentazioni, era però soggetto a sogni, in cui le voglie si manifestavano, quelle stesse che nella veglia si imponeva di respingere, percependo la sua duplicità. Per Agostino il massimo grado zione realizzata dai sensi, giungendo a un unico senso, quello totale del corpo nel presente, nella ripetizione, nel continuo poetico, con una mescolanza di visioni, sapori, suoni, sensazioni tattili. La mescolanza è ciò che sortisce dalla lettura di «Proust et !es sens». Dalla lanterna magica della memoria di Butor, che traduce in testo un programma televisivo in cui alcuni brani della Recherche sono analizzati alla luce dei cinque sensi, con annotazioni sulla scrittura nella parte iniziale e sul viaggio in quella finale, attraverso le sequenze verbali, passano nella nostra lanterna magica immagini varie. Il nostro testo, la nostra testa, diventa un insieme di papero/es da cui appaiono le pagine della cattedrale, l'autore, che si introduce nel lettore dei brani Laurent Terzieff, negli esegeti Starobinski, Bartbes, Poulet, Richard, Klossowski, Butor, che fanno rivivere Proust, la cattedrale di Amiens, la scalinata del palazzo dei Dogi a Venezia, la Botte d'asperges di Manet, le vie di Parigi con le grida, il famoso boeuf mode offerto da Françoise a Madame de Norpois, i biancospini, le catleyas, il Bois de Boulogne, la figlia di Jéthro nell'affresco di Botticelli alla Sistina. Il narratore, in Le coté de Guermantes, evoca il ricevimento dato dalla duchessa, in cui furono servite delle spremute. Proust non si lascia sfuggire l'occasione per trattare di problemi estetici. La spremuta è il risultato di una trasformazione del frutto, dallo stato solido passa a quello liquido: con una modificazione percettiva consequenziale, il senso che opera la percezione non è più il tatto ma il gusto. In questo caso si opera una riduzione con la estromissione della solidità e quindi dell'esplorazione digitale. Questa revisione della materia produce, anche, una variazione cromatica: il colore della buccia è diverso da quello che si ottiene dopo il passaggio allo stato ·B1D11uu:;Cag11 ,obianco liquido, più uniforme. Tuttavia, si tratta pur sempre del medesimo frutto, che ba subito soltanto una trasformazione che - si badi bene - era già presente, il succo era all'interno, così come il nuovo colore. Prendendo un'arancia, troviamo una superficie sulla quale sono presenti lievi depressioni, che rompono l'uniformità, e lo stesso colore presenta, spesso, un cromatismo variabile. Nella buccia c'è dell'alcool, e sotto questa una pellicola biancastra, assimilabile a ovatta imbevuta d'acqua zuccherata, appiccicosa. Procedendo nella discesa, si scorge il frutto vero e proprio, unità che presenta un certo numero di spicchi, ciascuno dei quali è avvolto da una pellicola sottile, nel cui interno troviamo un liquido dolciastro e dei filamenti. In questa esplorazione, abbiamo assistito a numerose modificazioni della materia, dei colori, dei sapori, della percezione, ma tutte queste variazioni erano già contenute nell'arancia, nel corpo sintetizzatore. Malva: segnale che rimanda, con un viaggio rapidissimo, il lettore delle opere di Butor al saggio Les oeuvres d'art imaginaires chez Proust. In questa opera, il critico francese dispiega la valenza in Proust di questo colore, espressione dell'analogia visibile-invisibile, dell'ambiguità sessuale, il regno del barone di Charlus. M i sono servito del colore per creare una consonanza tra il saggio citato e «Tryptique sur l'évolution de Mondrian», nel quale si parla dell'asessualità estetica. Nelle opere di Mondrian la verticalità è mascolinità, l'albero, la foresta, l'orizzontalità è il femminino, il mare. Secondo Mondrian, la positività e la negatività sono fonte di dolore, mentre la loro unione conduce alla felicità. 'L'androginia estetica è il prodotto del mente sul piano orizzontale, mentre il mulino si sposta orizzontalmente. C'è il tema della felicità derivante dall'unione del positivo e del negativo, con un particolare, un'inversione: il mulino passa dalla verticalità all'orizzontalità, le pale della ruota dall'orizzontalità alla verticalità. Mondrian, poi, simbolizza la sessualità con i colori: la triade rosso-giallo-bleu esprime la femminilità, quella dei non-colori grigio, bianco, nero, la mascolinità. Il mulino trasforma il vento in alimento, l'arte alimenta la vita traducendola in superficie; l'opera è antenna di emissione, e interrogazione. Non si tratta solo di estrarre significati dal visibile, ma di rendere il mondo interamente visibile, trasformando il bianco, la tela, la pagina in colore, desiderio espresso. Il bianco dimora sulla tela come fondo, origine, ed è trattato come colore, realtà, presenza da tradurre. Butor è attratto dal movimento, dalla germinazione, dalla crescita, dalla surnourriture, in cui l'opera presenta una finta immobilità, dietro cui si cela un equilibrio dinamico che si proietta, si espande, dando sempre l'impressione di essere assorbito e contratto nel segno largo, mobile, diffuso. L'esistenza si traduce, si realizza in logogrammi, quelli del gruppo Cobra e di Christian Dotremont che tanto affascinano Butor. Segni, simboli, lettere che non presentano per chi li traccia il carattere dell'origine, e che pertanto spingono alla ricerca di un luogo, alla costruzione di un'architettura in cui il mittente opera da demiurgo, leggendo il proprio universo, il proprio plurale nei logogrammi. Le parole si agglutinano, si frangono, precipitano nel logogramma, in una scrittura sempre aperta, divenuta partitura musicale. Il logogramma propone una concezione diversa della scrittura, del segno, la cui intellegibilità è semMosrri con corpo di maiale e resraumana, simboli del male e incarnazioni di Sarana notturno, dell'esterno, dell'immobile. Nel dipinto Moulin de Domburg appare una croce che disegna una figura identica in tutte le sue posizioni, ma riflette le posizioni a venire. Le ali della croce dal mulino si spostano sull'asse verticale, mentre il mulino a vento gira orizzontalmente. L'anticipazione delle posizioni future a opera della croce corrisponde all'assorbimento dell'esterno sulla superficie, esprime l'intemporalità dell'arte, che visualizza il futuro. li mulino indica la verticalità, che - come abbiamo già detto - segnala per Mondrian la mascolinità, presentando un'orizzontalità nella rotazione delle pale, il femminino, sull'asse verticale. Questo ideale di asessualità è raddoppiato dal movimento delle ali della croce, che girano verticalpre distante, irraggiungibile, e la stessa attività cosciente si trova in equilibrio instabile, precario, facilmente alterabile con una semplice oscillazione all'interno della sequenza con cui è espressa. Le parole del logogramma diventano folla immersa in un labirinto, le cui mura sono folla, che cerca di decifrare un testo considerato, erroneamente, noto. Butor propone - ripropone - un'arte multipla, che conduca alla mescolanza di pittura, musica, scrittura, con cui si cerca di esplorare le infinite falde, la molteplicità dei punti che formano il segno. L'arte è costruzione di archetipi immateriali, di poli che inghiottono uomini, mondi, tempi, luoghi, da cui si sprigionano cariche e impulsi che inducono alla decrittazione, allo spostamento, all'assorbimento.
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