Pietro Derossi «Il fascino di Luhmann» in Casabella n. 481 giugno 1982 Manfredo Tafuri La sfera e il labirinto Torino, Einaudi, 1980 pp. 386, lire 35.000 P.A. Cetica ll momento tecnico dell'architettura con un saggio di B. Giromella Firenze, Lib. ed. fiorentina, 1978 pp. 251, lire 7.000 M. Crozier, E. Friedberg Attore sociale e sistema Milano, Etas, 1978 pp. 351, lire 12.000 11 concetto thomiano di «prevedibilità delle catastrofi» e quello prigoginiano di «ordine mediante fluttuazioni» aggiornano il dibattito intorno al tema della manipolabilità - e perciò progettualità- dei sistemi; non è difficile prevedere che riescano a interferire nelle discussioni attorno alla questione del progetto di architettura, come già avvenne per il principio cli indeterminazione di Heisenberg. Per esempio, essi sembrano in grado di far slittare l'asse del discorso incentrato sulla riproposizione dell'antinomia tra pensiero sintetico e pensiero analitico in direzione di un nuovo spazio - nel quale chi progetta sempre meno conserva le apparenze del «demone di Laplace», che «impavido, ha da sempre calcolato il mondo passato e futuro, dopo aver determinato, in un istante dato, i valori delle posizioni e delle velocità di ciascuna particella» (I. Prigogine, I. Stengers, La nuova alleanza, Torino, Einaudi, 1981, p. 267); e in cui sostituire - a seguito della messa in discussione dell'equazione: conoscere = sapere manipolare - al progetto di dominio sulla natura la ricerca di accordo, di «nuova alleanza». Nel momento in cui si ammette che il futuro non è più «necessariamente implicito nel presente» e che «l'inaspettato non ha più il segno di una conoscenza imperfetta o di un controllo insufficiente», si esclude la possibilità/necessità che tutti quanti gli esiti del progetto siano conoscibili con esattezza. Il progetto, anzi, andrebbe ripensato come progetto di situazioni lontane dall'equilibrio-, di «evoluzioni biforcanti». Partendo da presupposti diversissimi e approdando a esiti altrettanto difficilmente commensurabili, l'approccio sistemico di Luhmann, nella lettura che ne fa Pietro Derossi su Casabella, si imbatte strada facendo in analoghi noccioli problematici. L'aumento di complessità dell'ambiente paralizza l'attività dell'architetto; il discorso sulla pianificazione rischia di rivoltarsi nel discorso sull'impossibilità della pianificazione. Si tratta allora di agire mediante continue semplificazioni a partire dalla complessità dei sistemi, i cui elementi costitutivi sono prodotti e riprodotti dal sistema stesso (per lo meno nel caso di sistemi autoreferenziali). «I programmatori (e i progettisti) devono imparare a percepire la loro attività in quanto ambiente di sistemi, nel loro ambiente. La loro soggettività può esIlpiùrt!ionale sere quindi letta solo all'interno della realtà attraverso la differenziazione di sistemi osservanti» (p. 51). Qui il discorso si carica di un'irrisolta ambiguità, e affiora la natura conservatrice dell'approccio luhmanniano. Le limitazioni della libertà del soggetto che pro-getta, imposte dalla necessità di «stabilire il collegamento con la comunicazione del sistema, con la sua circolazione autoreferenziale», di operare cioè inquadrando la propria azione nell'ambiente/sistema, più che evocare l'interesse della fisica dei processi ad assegnare al soggetto il duplice ruolo di attore e spettatore, sembrano destinate a legittimare una concezione dell'agire progettuale come adeguamento della forma al contesto- quindi, come riconoscimento dell'esistenstica dell'edilizia e del territorio» (p. 351). Tafuri approda dunque a una lettura del progetto contemporaneo come segmento di una decisionalità soprattutto politica; tuttavia, l'esigenza di salvaguardare l'interesse per la qualità del prodotto di architettura, di sottrarsi a una possibile banalizzazione del problema a questione di mero governo del rapporto domanda/offerta, lo sospinge ad adottare un tipo di lettura binaria, che affianca l'assunzione del paradigma benjaminiano - secondo cui la posizione dell'opera va vista nei rapporti di produzione - alla tentazione, pur sempre razionalmente governata, di trattare l'opera nella sua dimensione di unicum. Se i due piani faticano ad intersecarsi è perché allo storico vengodifficoltà tra suggestioni marcusiane (la critica dei «regimi tecnocratici») e tentazioni razionalizzatrici. L'impressione è che alla fine siano queste ultime ad avere il sopravvento quando, nei confronti della tendenza in atto a omologare quello edilizio ad altri processi altamente industrializzati, viene affermata la necessità di inglobare - con chiaro riferimento al metodo di Asimow, Archer, Jones, ecc., - il momento creativo nel processo produttivo, la cui ratio è così assunta come legittimante lo stesso procedimento progettuale. In altre parole, l'avere designato il momento creativo come atto «fondante all'interno di ipotesi di processi progettuali ad alto grado di razionalità» rischia di ritrasferire il progetto sotto un orizzonte auratico, seppure connotato di atLo sguardo del basilisco uccide; ci si può difendere e ricambiare la corresia con uno specchio za di una ratio esterna e immutabile dell'ambiente. P iù consapevole dei limiti che impone un modo di procedere per inconciliabili antinomie pare essere l'ultimo Tafuri di La sfera e il labirinto. Caduta ogni pretesa di autonomia del linguaggio, in seguito alla dissoluzione dell'architettura in un «sistema destrutturato di effimeri segnali», il campo di intervento dell'architettura si amplia sino alle soglie del «dominio dell'intero spazio visibile» e, al tempo stesso, si impoverisce in quanto quello spazio è letto «unicamente come rete di sovrastrutture». Il dilemma non è più allora tra approccio analitico e approccio sintetico, in quanto a essere entrata in crisi è l'idea stessa - coltivata dalle avanguardie storiche - di una possibile «gestione intellettuale del Tutto». Se il linguaggio non ha da parlare d'altro che del proprio isolamento, mediante un'azione· che ora è di disincanto - l'accettazione dell'indefinito, del dissolvimento, - ora di consapevole ripiegamento alla ricerca di un'originaria purezza che si autocostituisce come «azione parallela», allora al progetto non resta che la strada di rifondarsi come «nuova tecnica ( ... ) immersa nelle organizzazioni che determinano la gestione capitalino a mancare gli strumenti per sciogliere l'aporia che connota il prodotto cli architettura ora come opera d'arte ora come merce. e ome ricerca sulla qualità del progetto, m un contesto caratterizzato dalla diffusione di procedimenti industrializzati per la produzione edilizia e cli approcci progettuali di tipo sistemico, si colloca il contributo di P.A. Cetica, /I momento tecnico de/I'architettura. Il superamento del possibile scarto tra i valori-obiettivo, che garantiscono l'omogeneità sistemica del processo produttivo, e la ricerca tecnico-formale, condotta autonomamente dal progettista, è reso possibile dall'azione di adeguamento di quest'ultima agli stessi valori innervanti il processo inteso nella sua globalità e unitarietà. Ciò consente di venire a capo dell'irrisolta dicotomia circa la natura «caratterizzata o anonima del componente». Nel momento in cui rinuncia a una «pretesa universalità del componente», il progettista immette dosi di «irrazionalità» all'interno di un «processo ad altissima quota cli razionalità quale deve essere quello edilizio industrializzato» (p. 106). Nel corso del suo sviluppo, tuttavia, il ragionamento di Cetica sembra destreggiarsi con una certa tributi scientifici più che estetici; e soprattutto cli ipostatizzare la razionalità dei procedimenti industrializzati come un a priori, rispetto al quale ricalibrare l'intera scala dei valori progettuali. L'aporia in cui si imbatte Cetica è dunque quella circa il carattere più o meno razionale delle decisioni che configurano lo scenario entro cui si inscrive l'azione di progetto. Anche volendo oltrepassare registri di tipo relazionale-causale per accedere a un approccio di tipo sistemico, resta pur vero che il momento progettuale o entra sin dall'inizio del suo percorso a far parte delle relazioni, che assicurano la razionalità del sistema - internazionalizzandone così la filosofia, omologandosi ai suoi valoriobiettivo, rinunciando a perseguire un proprio disegno, che non sia già quasi per intero serino nel destino del sistema, - o si risolve sul piano della autorappresentazione, in chiave cioè di decantazione di una propria funzione critico-accessoria, attenta a non entrare nel merito dei valori erogati dal sistema di cui fa parte e a collocarsi, anzi, in posizione parallela - mai trasversale, - a manifestarsi come aggettivazione, a svolgere una funzione consolatoria. A questo secondo esito approdano - malvolentieri, e quasi accettandola come transitoria necesB i bI i O t 8 C8 Q i ob1anco sità, in vista di futuri, ma non improbabili, riscatti dell'avanguardia, - il Tafuri cli I.A sfera e il /JJbirinto e - con trasporto, e assumendolo come definitivo, epocale affrancamento da un passato immerso nell'universo della merce tecnologica, - il Mendini del progeno molle, del progetto cioè inteso come «avvenimento provvisorio, caduco e artificiale, poco legato alla statica freddezza del reale e dell'autentico, legato invece alle effimere vibrazioni dell'apparente e dell'ignoto» (A. Mendini, «Oggetto informatico», in Alfabeto n. 42, novembre 1982, p. 28). Che appare ipotesi non priva di suggestione ma destinata a lasciare completamente irrisolta la questione del destino delle politiche cli produzione edilizia. A superare l'impasse può essere cli grande aiuto l'impiego cli modelli «a razionalità limitata», come quelli elaborati da Herbert Simon e resi fecondi dal contributo fondamentale di M. Crozier ed E. Friedberg, Anore sociale e sistema. Partendo dal modello di Simon, Crozier e Friedberg mettono a punto un'idea di razionalità di tipo relativista. L'uomo, «se non è in grado cli distinguere il razionale dal non-razionale, può, una volta delimitato il proprio problema, ragionare sul più razionale» (p. 254). Questo modello, che si affida alla combinazione e al reciproco struttur.mi di dati rulturali (le «microculture») e dati sistemici, consente cli rivalutare, all'interno cli sistemi organizzativi fortemente strutturati, la funzione esercitata dallo scontro tra «razionalità contingenti, multiple e divergenti cli attori relativamente liberi che utilizzano le fonti di potere a loro disposizione» (p. 62). Inoltre, il ricorso - seppure in forma riveduta - alla teoria dei giochi permette cli mandare in frantumi l'analisi classica circa la strutturazione• dei ruoli, che ora può essere osservata, non più meccanicamente, come effetto diretto del comportamento degli attori in vista del mantenimento della stabilità delle regole del gioco. Al contrario, al suo interno gli attori «potrarmo anche sperimentare altri 'comportamenti di ruolo' senza venire immediatamente puniti per la loro 'devianza'. Perciò, da un punto di vista metodologico e di strategia della ricerca, le deviaziO: ni, le irregolarità acquistano qui un'importanza per l'analisi eguale se non maggiore delle regolarità e delle modalità di comportamento dominanti» (p. 81). Ne consegue che quella del progettista può essere catalogata come azione espressa da un campo microculturale fortemente connotato. Il suo grado di libertà, dal punto di vista del potenziale deci- :;::i sionale, è una funzione dell'am- ., biente-sistema in cui opera; ma è, -~ al tempo stesso, relativo al caratte- Q. re più o meno vincolante della mi- i crocultura cui appartiene. Vale a ...., dire che ragionare attorno alle tee- ~ niche, come elementi strutturanti .ff il territorio del progetto, è in real- "" tà interrogarsi sulle trasformazioni ~ - che possono manifestarsi sotto i:: forma di sfrangiamenti o dilatazio- ~ ni o traslazioni - dei confini della ""' s microcultura del progetto. c::
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