Alfabeta - anno V - n. 49 - giugno 1983

B la nozionediconsumo 11primo equivoco che va chiarito da chi voglia ragionare attorno al rapporto tra kJJore e consumo di un'opera d'arte (o, se preferiamo, tra pubblico e consumo di un testo letterario) è sul significato da attribuire alla parola «consumo,._ Due soprattutto sono i significati essenziali che si devono attribuire a questo termine nel caso in esame: 1. consumo inteso come possibilità di usare un determinato testo per quanto si riferisce alla sua diffusione, alla sua popolarità, alla sua generalizzazione; e 2. consumo inteso come usura, come degradazione entropica del testo stesso, ossia come perdita della sua capacità informativa. È evidente e notorio che un testo (e in genere un'opera d'arte di qualsiasi genere- musicale, visiva, letteraria - ma in particolar modo letteraria in quanto basata sopra un linguaggio come quello verbale di per sé mutevole nel tempo) va incontro a un'inevitabile usura che dipende da diverse circostanze e che costituisce la causa fondamentale tanto del suo successo che del suo insuccesso. Questa usura - questa entropia - del testo è stata ampiamente studiata da parte della teoria dell'informazione' e non penso che sia il caso qui di risfoderame le leggi e le regole. È sin troppo noto che concetti come quelli di ridondanza, rumore (e in genere tutto l'apparato più o meno scientifico che fa capo alla cibernetica), trasposti con maggiore e minore fortuna e maggiore o minore opportunità all'estetica, sono stati oggetto di numerosi studi soprattutto da parte di estetologi come Max Bense' e Abraham Moles. Già a un livello quanto mai elementare, è ormai di dominio pubblico il principio che vede nell'inaspettatezza e nella novità del messaggio un suo alto grado informativo, e d'altra parte quello che tende a distinguere tra una informazione «semantica,. e una informazione estetica, J}1-oprioper poter accettare la presenza di ridondanza e rumore come «leciti,. nel caso di un messaggio estetico, e invece come di disturbo nel caso d'una semplice informazione semantica'. Qui, comunque, non intendo rivangare la teoria dell'informazione su basi matematico-cibernetiAgnello vegetale: i frulli di questa pianta, simili a meloni, si aprono e producono agnelli che, né indagare fino a che punto la stessa venga a collimare con il secondo principio della termodinamica, quanto piuttosto rifarmi alla antica ma ancora molto viva e vivace teoria humeana basata sulla contrapposizione di novelty e fadlity. Ossia a quella teoria - genialmente messa a punto dal grande filosofo empirista scozzese' - secondo la quale per una fruizione ottimale di un'opera d'arte (dunque di un testo letterario, nel nostro caso) sarà essenziale la presenza equilibrata di un determinato quoziente di «novità» (dopo tutto, l'inaspettatezza informativa di cui sopra) e di «facilità» (ossia la presenza da parte del fruitore, del lettore - del pubblico in questione - d'un codice che permetta la pronta decodificazione del mesCome l'aquila ormai vecchia si rigenera nella luce e nel calore dd sole, cosi fuomo stanco e deluso si rivolga a Dio t ca ~ a co Gilio Dorfles saggio letterario che gli viene proposto, senza la quale il messaggio sarebbe destinato a rimanere muto). In altre parole: soltanto se il lettore (il pubblico) possiede quel determinato codice (almeno in parte) esisterà per lui la «facility» sufficiente a permettergli la decodificazione del testo stesso. Però - e qui sta la genialità di Hume, che duecento anni prima di Moles e di Bense aveva ideato una teoria quasi perfetta - occorre che tanto la novità quanto la «facilità» (la presenza di una conoscenza del codice) raggiungano un quoziente ottimale: se la novità è eccessiva il testo riuscirà noioso, privo di interesse, di ogni fascino•. Ancora oggi, dunque, con questa semplice formula - senza bisogno di ricorrere a maggiori distinzioni tra presenza d'un codice, d'un sottocodice, d'un contesto, d'un co-testo, ecc., - possiamo affermare che tutto il complesso meccanismo regolante l'accettazione, la diffusione, la durevolezza di un testo presso un determinato pubblico, si può definire in primo luogo partendo da questa facile regola individuata da David Hume nel suo Treatiseof Human Nature (1740). R iassumendo: la dialettica tra novità e facilità è fondamentale per ogni giusta valutazione del consumo d'un testo. Troppa novità porta all'incomprensione; troppa facilità non suscita più attenzione; moderata novità crea interesse, come pure moderata facilità permette una acconcia fruizione: le gradazioni infinitesime tra i due principi con il loro interagire saranno dunque alla base di tutto il complesso edificio della comprensione e della diffusione di un testo, e in genere di un'opera d'arte. Ma, per poter circoscrivere e delimitare queste cause, e al tempo stesso per poterne indicare gli eventuali sviluppi, ritengo che sia opportuno elencare alcuni ulteriori quesiti che permettono una maggiore chiarificazione del problema. Vediamo quali possono essere questi quesiti. l. Fino a che punto il consumo di un testo (nel senso sempre di «usura» delle sue qualità esteticoinformative) dipenderà dal fatto che w stesso diventi di dominio pubblico o viceversa rimanga a un livello di fruizione élitaria. È provato che per molti testi il fatto di essere divenuti di dominio pubblico (essere ristampati in paperback, essere trasmessi per tv, ma senza aver subito il minimo rimaneggiamento) può portare a un enorme ·aumento della loro diffusione (sempre limitatamente tuttavia alla possibilità da parte del pubblico di «impadronirsi» del codice indispensabile alla loro decodificazione). Un esempio tipico è quello delI' Ulysses di Joyce (per Finnegans' Wake il caso è alquanto diverso). La pubblicazione dell'Ulysses in edizioni «popolari» ha portato alla vendita di moltissime copie di un libro che per decenni era stato riservato a un pubblico assolutamente élitario; ma, tutto sommato, con un risultato in definitiva scarso per quanto concerne l'effettivo numero dei suoi lettori. Anche se la notorietà «pubblica» dell'autore si è immensamente accresciuta. Credo si possa convenire che la difficoltà di un testo permette solo fino a un certo punto che questo venga ampiamente diffuso. 2. Ben diverso il caso dell'«adattamento» di un testo per i mass media (cinema, televisione, condensati, digest) con scarso riguardo alle caratteristiche «letterarie» dello stesso e badando soltanto ai tutto opposta da un determinato strato della popolazione per mancanza delle necessarie conoscenze dei sottocodici; in questo caso legati all'esistenza di differenze classiste più che culturali)•. 4. Un'eventualità in certo senso opposta si verifica spesso per quanto riguarda il fenomeno della comicità: barzellette, witz, puns, ecc., che ebbero una larga circolazione e un forte impatto sul pub- •... Streghe trasformatesi in bestie, per recarsi al sabba suoi contenuti narrativi. In questo caso la diffusione e l'accettazione da parte del pubblico potrà essere immensamente accresciuta ma a tutto svantaggio per l'autentica comprensione e valutazione del testo. 3. Un altro complesso quesito riguarda la trasformazione del significato di un testo dovuto a una diversità di interpretazioni in seguito al passare del -tempo, al modificarsi delle strutture linguistiche, al diversificarsi dei costumi, della «morale corrente», delle nozioni scientifiche, storiche, ecc. Anche nel caso di lingue, come l'italiano, estremamente stabili- e «stabilizzate» nella loro forma attuale da lungo tempo, - non è possibile non tener conto delle trasformazioni costanti che intervengono nel corpo linguistico e che portano - soltanto a distanza di pochi decenni - a una diversità interpretativa fortissima, per cui le stesse valenze ironiche, drammatiche, patetiche, di determinati vocaboli vengono a esserne profondamente alterate e magari invertite. (osservazione questa già compiuta a proposito di alcune frasi gergali interpretate in maniera del blico in un determinato periodo, possono perdere. completamente la loro valenza ironica, satirica, blasfema, nel giro di pochi anni, per il trasformarsi della mentalità del pubblico e per l'usura che accompagna non soltanto queste immagini linguistiche, ma la stessa sostanza «comica» che ne costituiva la materia prima. Del resto sulle trasformazioni semantiche di alcuni lessemi, sulla perdita del loro iniziale valore denotativo, e ancor più connotativo, gli studi sono numerosissimi: basterebbe citare il caso ben noto del termine «testa», che in latino sta per anfora di coccio, in seguito metaforizzato scherzosamente a indicare il capo, e infine divenuto equivalente di «capo», senza più nessuna connotazione ironica; del tutto sovrapponibile a quello del vocabolo tedesco «Fiasche» equivalente a «Dummkopf», su cui sono state costruite innumerevoli metafore visive di cui si è ampiamente valsa la pubblicità (cfr. «Nur Flaschen miissen immer voli sein», solo le bottiglie - fia<:<:h-i devono essere sempre piene; a indicare che i grandi bevitori, che sono sempre «pieni,. come le botti-

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