~ ~ ~ <:s RegionAi ~senziali Ernst Jiiuger Giochi africani trad. it. di Ingrid Harbeck Milano, Sugarco,1982' pp. 190, lire 5.500 Avvicinamenti. Droghe ed ebrezza trad. it. di Chiara Sandrin e Ugo Ugazio Milano, Multhipla, 1982 pp. 3TI, lire 16.000 «Ernst Jiinger,o convegno internazionale Goethe-lnstitut di Roma (14-16 marzo 1983) I convegni possiedono il grosso merito di allineare le ~pinioni come sopra un prosceruo o una balconata in piena luce, e noi come spettatori troppo disposti alla pigrizia abbiamo la comodità di coglierle, per così dire, con un unico giro di attenzione e di riflessione. Nel recente convegno internazionale su Emst Jiiuger, il nostro sguardo ha seguito di preferenza, con partecipazione interessata, i contributi offerti dagli studiosi italiani (ma non possiamo non ricordare lo splendido intervento di Helmut Lethen attorno alle convergenze, sul tema della modernizzazione, fra Jiinger e Brecht). Nelle prestazioni dei nostri germanisti c'è stato chi, come Cesare Cases, ha sottolineato la pericolosità di Jiinger (scrittore reazionario, irresponsabile, apologeta dell'imperialismo, disumano) e lo ha giudicato rudemente; e tutto questo potrebbe coinvolgerci senz'altro, se riuscissimo a dare credito alla paginetta, ovviamente inedita, di un Lukacs «pre-distruzione della ragione», sulla quale viene innalzato questo tribunale di condanna. cio Masini e la centralità dell'avventura). A noi personalmente interessa Jiinger per i temi che affronta - proviamo a elencarli: la guerra, la tecnica, la natura, la fine della storia, l'interrogativo portato sulla sorte dell'individuo, la droga, le trasformazioni delle forme letterarie - e soprattutto per il «come» le affronta. Semplificando: con una tendenza a circoscrivere ogni tema come se fosse un oggetto in sé, in modo da esercitare sopra di esso e attraverso di esso una sorta di sottile esercizio di penetrazione e di visione (di contemplazione), Jiinger arriva a cogliere la «superficie» dell'oggetto con la precisione sobria e fredda dell'entomologo e del naturalista, e si dispone al tempo stesso a scavalcarlo con la passione del visionario, a radiografarne l'al di là come a registrare le sue radici e le sue profondità. Non per nulla il grande nome del poeta viene pronunciato nella prima parte del libro, come monito e previsione del fallimento inevitabile: «Nemmeno lei riuscirà a sfondare il muro dinanzi al quale falli già Rimbaud». Dopo questa bruciatura, non sarà più necessario intraprendere un lungo viaggio, ma è qui e nell'adesso che si gioca l'esperienza cruciale; l'Europa stessa è diventata il luogo atroce dell'avventura - se avventura significa misurarsi con la terribilità del mondo, - l'Europa che nel suo nichilismo con la tecnica sta sterminando la natura e con il furore nazionalistico, unito a sua volta alla potenza distruttiva della tecnica, si dispone a scatenare un primo e un secondo conflitto mondiale. I diari della prima guerra mondiale, che biograficamente vengono dopo i Giochi africani, anche se nell'approccio qualunque punto di vista totalizzante, sia di ordine storico, economico e perfino semplicemente informativo, e affidandosi solo al punto di vista particolare e accidentale che è dato dalla sua esperienza diretta. Così, chiudendo le Tempeste di acciaio (1920), la cronaca di quattro anni trascorsi quasi sempre in prima linea, non conosceremo, è vero, nemmeno i nomi delle nazioni alleate e delle nazioni avversarie, ma sapremo che cosa è la guerra moderna in sé, giunta al punto massimo della propria potenza: una «guerra di ma:eriali», condotta non più da soldati ma da operai, e dove la morte è solo un incidente anonimo, prevedibile (pianificato) ma sempre casuale. Nel labirintico, intricato itinerario che lo scrittore finirà per tracciare, Jiinger è rimasto sempre fedele a questo sguardo radioCè stato chi, come Oaudio Magris, vuole convincerci che si tratta di un autore di scarso o nullo rilievo, e che decisamente perdiamo il nostro tempo, cosi prezioso, dietro a Jiinger, quando esistono autori importanti come Dostoevskij, Rilke, Saba o Svevo. Ma, appunto, leggiamo Jiinger proprio perché non è né l'uno né gli altri. I Marsi sanno domare i serpenti, e il loro morso è innocuo per essi Stranamente, coloro che hanno tentato con impazienza e pure con apprezzabile coraggio una definizione esauriente di Jiinger, hanno mancato sempre la presa. Sia frequentando l'apologia che la negazione. Ci hanno provato Magris e Italo A. Chiusano, il primo muovendosi contro Io scrittore tedesco Q uesto esercizio di penetrazione e di scavalcamento è molto simile al movimento stesso dell'avventura, quale è stato delineato dall'intervento di Masini, così che in Jiinger esperienza e conoscenza tendono a convergere in un nodo inestricabile. Ciò che lo scrittore attende dall'avventura, questo «concentrato della vita», è prima di tutto la prova, la conferma di se stesso, e poi l'ingresso in regioni essenziali, profonde ed elementari. e il secondo a favore, con l'adozio- Ci si apre all'avventura mossi ne tuttavia dello stesso metodo di dal proposito di dare un contenuto lettura, quello del confronto. al proprio nulla e di oltrepassare la Chiusano, accostando al nome di dimensione inessenziale in cui ci si Jiiuger quelli di Pico della Miran- trova coinvolti. L'avventura non si dola, Leonardo, Diirer, Holbein, configura pertanto come una fuga, Brunelleschi, Piero della France- che è un cedimento reattivo, ma sca (e numerose altre auctorita- come un confronto, un collocarsi tes), e Magris, paragonando Jiin- nelle zone di frontiera della vita, ger a Rilke, a Dostoevskij, a Sve- un andare lucidamente incontro vo, a cosa hanno messo capo se alla realtà. non all'esibizione delle rispettive Esiste per altro un apprendistaqualità di fantasia e di sottigliezza to all'avventura, e in questa diree alla cancellazione dell'opera su zione i Giochi africani (1936), la cui intendevano portare il loro giu- narrazione dell'avventura «prima» dizio di valore? dello scrittore, la fuga dalla casa Ci sono stati infine coloro che, patema e l'arruolamento nella leconvinti dell'importanza di Jiin- gione straniera, lo slancio verso l'iger, gli si sono accostati mediante gnoto e la pronta delusione, seuna lettura ravvicinata (Massimo gnano la verifica concreta di una Cacciari sul dialogo fra Heidegger possibilità ma anche il fermo ade Jiinger), oppure mediante uno dio all'avventura di tipo romantiscandaglio sintetico che mira a co- co, intesa proprio come fuga verso gliere il nucleo fondamentale ma un «altrove», dietro le suggestioni sfuggente dello scrittore (Ferruc- di Rimbaud e di Gauguin. scritti prima di essi, ci consegnano già un'immagine compiuta dello scrittore, un'immagine per molti aspetti sconvolgente. Mettono in scena un io che si nega a ogni distensione umana e che riesce a sostenere la prova della guerra senza ricorrere a nessun sostegno né ideologico, né politico, né patriottico. Il giovane Jiinger si fonda esclusivamente sulla forza della propria soggettività che sta portando a compimento la metamorfosi radicale del moderno, allargamento e frammentazione ad un tempo, incorporando in sé le figure antitetiche del cacciatore e delh selvaggina, dell'inseguitore e della preda, e frammentandosi ulteriormente fra una parte «patetica» che agisce, soffre, si prova, e una parte immobile che osserva e registra implacabilmente. Pure nell'istante in cui, raggiunto da un proiettile nella regione del cuore, si trova sospinto sui bordi della morte. Con questa metamorfosi dell'io, Jiinger è riuscito a mettere a punto quello straordinario sismografo che gli appartiene, sensibile alle impressioni e alle radiazioni imponderabili, e che gli ha consentito, in questo caso, di registrare le trasformazioni minime (nel soggetto) e massime (nella realtà) che la guerra ha provocato. Procedendo lungo una strada che in fondo non abbandonerà mai: scartando scopico («stereoscopico») che, dalla superficie minuziosamente ispezionata nella sua particolarità, si spinge verso il retroterra, il rovescio della scena, la vertigine dei punti di fuga. Esercitando questo sguardo, assieme profondo e superficiale, Jiinger ha accumulato un fitto numero di dettagli e di materiali e noi, come lettori, per riscoprirli, dovremo a nostra volta ripercorrere all'inverso il lavoro radioscopico dello scrittore. Specie quando la sua osservazione così implacabile e «infallibile», come ha scritto Enrico Filippini, si distende nella complessità del saggio e dell'affresco onirico-visionario del romanzo filosofico. M olle «figure» adottate da Jiinger, spesso scostanti e oltraggiose - il lanzichenecco, l'avventuriero, il metafisico, l'aristocratico, l'anarca, - mirano a stabilire ogni volta un «non luogo» dislocato, da cui osservare con ottica estraniante la nostra. epoca, la fine dell'Europa, il moderno e il suo declino, per leggere i suoi segni, comporre una pianta topografica per orientarsi nel «tremendum» del secolo. È questo lo Jiinger della guerra e poi della tecnica che «produce nichilismo» (Cacciari), e lo stesso Jiinger che viene dopo, della «virata» contrassegnata dalle Scogliere di marmo B1bliotecagiob1anco (1939), non sembra neanche lui venire meno a questo programma di confronto e di visione. È come se, dopo avere completato l'ispezione del luogo - la distruzione dei valori in cui fin dall'inizio si è collocato Jiinger e dove solo da pochi anni si è installata la nostra cultura, con molte reticenze e perfino con un bel mucchio di festanti illusioni, - compiuto questo giro dell'orizzonte, lo scrittore fosse ritornato al punto di partenza: alla questione del «soggetto» stretto in una difficile morsa, che minaccia questa volta perfino il funzionamento dello sguardo e della sua capacità di osservazione. Nel fissare la posizione di questo «soggetto», di fronte a una crisi epocale provocata dalle due potenze che hanno occupato sempre la sua attenzione, la guerra e la tecnica, Jiinger convoca la natura, ciò che permane sullo sfondo e tra le infrastrutture, l'enigma di un fiore, di una pietra o di un animale marino, riscoperti in un nuovo moto di scavalcamento della superficie, dove l'avventuriero incontra il metafisico e lo spirito scientificamente contemplativo. In un'opera infine della sua feconda vecchiaia, Avvicinamenti. Droghe ed ebrezza (1970), l'avventura verso l'ebrezza, attorno alla quale lo scrittore ha raccolto l'intera sua esistenza, non rimane soltanto come il contenuto ma diventa la forma stessa di un libro che procede simile a un labirinto, pieno di biforcazioni imprevedibili, di passaggi e di corrispondenze segrete. Percorrendo le diverse stazioni di questo labirinto, assieme autobiografia, trattato sulle diverse maniere con cui l'uomo «corrode le pareti dello spazio e del tempo», libro di demonologia e di perdizione e manuale iniziatico, abbiamo l'impressione di penetrare per la prima volta nel suo laboratorio e di assistere alle sue più nascoste operazioni. Molte cose ci colpiscono in queste pagine, dove il vecchio scrittore ha riversato le sue ricchezze e le sue conoscenze innumerevoli, ma una ci trattiene in particolare. Fondamentalmente questo viaggio verso l'ebrezza appare come un viaggio senza immagini, privo di visioni. Ancora una volta l'autore si sottrae alle nostre aspettative; se Jiinger è uno spirito affascinato dalle immagini e, per la sua tensione totalizzante, è un visionario; se per di più la sua poetica presenta una impronta figurativa, fra la geroglifica e l'araldica, pure in questo viaggio allucinato non c'è visione. Non c'è visione perché è la realtà stessa che con la droga diventa una visione. Mentre in quasi tutti i grandi sperimentatori della droga il viaggio ha un'apertura essenzialmente verticale, in Jiinger il viaggio presenta un disegno orizzontale, diviso ogni volta fra gli estremi di se stesso e del mondo. L'ebrezza tocca e delinea il perimetro ultimo della propria psiche e del proprio corpo e poi, attraverso percezioni infinitesimali di ordine tanto visivo che auditivo, arriva a delineare il. luogo, una stanza, un corridoio, una piazza. In una trasparenza ancora una volta radiografica, che allinea sullo stesso piano con suprema disinvoltura la superficie e la profondità.
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