Clastresp,rim,delloStato Pierre Oastres La Société contre l'État. Recherche d'anthropologie politique Paris, Éd. de Minuit, 1974 (La società contro lo Stato trad. it. di Luigi Derla Milano, Feltrinelli, 1977 pp. 167, lire 8.000) «Société contre État, la société cont,e l'économie» introduzione a M. Sahlins Age de pierre, àge d'abondance: l'écooomie des sociétés prfmitives Paris, Gallimard, 1976 (trad. it. di Domenico Carosso in An. Archos a. L n. 1, pp. 11-24 Milano, La Salamandra, 1979) Recherches d'anthropologie politique Paris, Éd. du Seui!, 1980 (Archeologia della violenza e altri scritti di antropologia politica trad. it. di Piero F1ecchia Milano, La Salamandra, 1982 pp. 214, lire 15.000) I Società contro Stato: in· dubbiamente potente nella e sua forza suggestiva ed evocatrice di un universo tenace nella resistenza, agguerrito nella lotta, universo scomparso ma recuperabile. Ad assumere i significati moderni dei due termini contrapposti si corre qualche rischio, sia di corretta inte.pretazione del passato, sia di indicazione di lettura per la contemporaneità. Se è scontato ritenere che con Stato non si intende ce.tamente lo Stato moderno e contemporaneo, riferendosi piuttosto agli Imperi maestosi dei grandi popoli primitivi, l'antagonismo rappresentato dal 'contro' induce a una lettura aggiornata in termini quali «la società e la sua autonomia dallo Stato, dal politico». Questo è il rischio, che lo stesso Oastres «spiazza» parlando, con maggiore correttezza e precisione, di 'società senza Stato', contrapponendole alle attuali 'società di Stato'. La differenza, sottile e altrettanto suggestiva ed evocatrice, non è di poco conto o meramente semantica; si scontrano due grandi rappresentazioni, due Weltanschauungen: la corrfliJtualiJà an1agonistica permanente, nel gioco dialettico delle parti e delle strategie/ tattiche messe in atto, e l'estraneità, l'alterità assoluta e radicale tra due mondi senza continuità lineare, ma solcati da una profonda frattura epistemica. Il problema sorge appunto dopo la frattura, che non consente oggi un mero ritorno all'indietro: l'irreparabilità, l'irreversibilità può essere sconfitta solo andando oltre, e non indietro nel recupero naturalistico e mitico di una «società civile» ri-verginizzata e sottratta alle grinfie stupratrici della «società politica». In teoria politica, questa è invece la lettura dominante, che prosegue sulla scia dell'autonomia del politico. Oastres dice chiaramente che le società non conoscono lo Stato perché non vogliono conoscerlo, identificando con questo alcuni effetti di potere quali soprattutto la dimidiazione dominanti/dominati e l'autonomizzazione di istanze decisorie complessive e onnivalenti. 2. La qualità del taglio innovativo di Oastres in-veste le società· primitive senza Stato delle caratteristiche proprie di un sistema sociale an-archico, non alla deriva, ma conscio e sapiente della centralità, nella società stessa, delle istanze decisorie, dei luoghi dello sviluppo, della riproduzione (economica, genetica, strutturale). In questo senso, una 'commensurabilità' tra politico e sociale; impropriamente, però, perché la scissione è prodotto moderno di complessificazione differenziante e funzionale alla separazione frammentata di poteri; le società senza Stato, ma senza economia, se con questa intendiamo un ambiente, una techne, una scienza e un sapere differenziati. Clastres sottolinea più volte che la politicità delle società esiste nel cuore stesso della vitalità delle società stesse, cosl come le dinamiche produttive, circolative, redistributive (che qualificano in senso ampio una forma di economia al limite non accumulativa) ineriscono immanentemente alle dinamiche sociali, trasparendo nei rapporti comunicativi, bellici, parentali, magici. Se per «politico» assumiamo, in senso forte e moderno, il modulo di funzionamento delle istituzioni che reggono e gestiscono la trasformazione, lineare o meno, vale a dire i meccanismi macro- e miUna concezione organicistica 3. La centralità e l'unità dell'insieme societario primitivo si inquadrano in una concezione organicistica della società, nella quale il corpo vive nell'equilibrio dinamico (omeoresi) dei suoi organi. Non esiste cristallizzazione in quanto le diversificazioni dei ruoli sociali sono nette e scandite da precise ritualità che collimano talvolta con la dimensione del ruolo stesso, talaltra con le condizioni e la volontà d'accesso - condizioni d'ordine esterno al singolo (un segno propiziatore, o l'età adolescenziale), ma ferrea volontà del singolo cui si lascia la libertà di scegliere il proprio destino. In questa forma organizzativa, il potere esiste, ma è costantemente controllato da meccanismi di compensazione che devono assicurare l'equilibrio tra le varie dinamiche di potenziale influenza del singolo sul corso della società intera. Innanzi tutto, sappiamo che il potere è rappresentabile, nelle società primitive, non solo sotto il segno dell'accumulazione meramente ostensiva - quindi non ri-investita e capitalizzata all'interno dello stesso circuito.del bene accumulato, ma al limite scambiata sotto forma di baratto - ma anche sotto il segno del dispendio assoggettante (il 'dono' in Mauss, o la 'dépense' in Bataille). Diavolo di mare ero-cosmici che regolamentanò la produzione e riproduzione del sistema sociale nella sua globalità (ma allora, sottolinea Clastres, era piuttosto 'unità'), lo spiazzamento dell'analisi è notevole: la struttura sociale si dà dei meccanismi siffatti che non sfociano nella forma-Stato perché si danno su piani di razionalità e su strategie materiali radicalmente differenti, estranei allo Stato stesso. La possibilità di tale strutturnzione efficace viene rimossa dai paladini dello Stato in un traslocazione semiologica: il primitivo è tale perché manca dello Stato, e l'accumulazione di segni negativi sul termine 'primitivo' (bellicosità, politeismo, poligamismo diffuso, insensatezza, precarietà temporalmente razionalizzata nel rifiuto della tripartizione passato/presente/futuro, culto dei morti, ecc.) legittima la pensabilità, nel mondo primitivo, di una società senza Stato relegandola nel passato remoto e vanificandola nel presente metaprospettico. In ultima analisi, è la frattura che segna la storia della follia nel mondo moderno, la storia della normalità come inversione di segno: legittimazione normalizzante di società di Stato contro im-possibilità di società senza Stato, mentre, ai primordi, era proprio tutto l'opposto. Nelle società senza Stato, il potere (del guerriero, dello sciamano) è sul punto di essere vanificato proprio nel momento in cui questo tenta di immetterlo in comunicazione con altri territori su cui non ha competenza, ponendosi quindi come potenziale centro e promotore dell'assetto e della dinamica di sviluppo societario. La rigida competenza territorializzata non è solo rappresentazione evocativa ante litteram della classica divisione dei poteri. Si direbbe quasi che il privilegio di chi detiene un potere coincide nello svantaggio di non poterlo usare se non nella rappresentazione simbolica, mutilata e mai investita e proiettata in circuiti materiali dove circola e si scambia e si accumula potere concreto, dominio e produzione della dimidiazione dominanti/dominati. È vero che Clastres, non servendosi di uno strumentario psicoanalitico, ci dice poco sugli effetti simbolici, nell'immaginario collettivo e individuale, delle pratiche di potere dello sciamano, sugli effetti totemici dei suoi riti; non è chiaro come, materialmente, si può contrastare o è data la possibilità della trasgressione all'interno dell'esercizio normale del potere collettivamente controllato. È indicativo piuttosto sottolineare che il peso sulla collettività di tali poteri è estremamente precario, a prima vista non desidera81bIiOteCaginObai nCO • bile dati i duri riti d'iniziazione, sicuramente accessibili a caratteri forti, al limite predestinati, pericolosi per la radicalità della destituzione; è indicativo sottolineare che le varie influenze devono trovare un equilibrio costante in virtù di un principio di realtà piuttosto solido e concreto, materialmente determinato dalle condizioni d'esistenza della società nella sua unità - un principio di realtà che responsabilizzando tutti nei propri ruoli favorisce la rotazione degli stessi poteri di per sé precari, impedendo forme di monopolio. È possibile lo sviluppo di oligopoli e oligarchie tra di loro in conflitto, ma tutte devono rendere conto della realtà, fornendone una rappresentazione convincente e trasformante la realtà stessa. Quale sciamanica alchimia! le idee non rappresentative ma produttive la realtà! In ultima analisi, la relativa velocità dei ritmi sociali è una garanzia di sapienza e coscienza nelle decisioni che la collettività prende, contrariamente a chi pensa che sia la quantità e la densità delle popolazioni a giocare la parte di compensazione organica tra il tutto e le parti. 4. Pertanto l'equilibrio dei poteri non è mai un dato iniziale di fatto, ma coscientemente perseguito e legittimato sulla base della progettualità del sistema sociale stesso. I meccanismi di controllo vengono attivati nel momento stesso in cui la società scandisce, sotto forma di un'azione concreta (scambio, guerra) o simbolica (ritualità, culti), le fasi della vita collettiva. I controlli vengono innescati innanzi tutto non solo da singoli ma soprattutto dai gruppi sui quali si esercita il potere dei singoli, sciamano o capo-guerriero che siano; rispetto perciò alla teoria democratica, non è un gioco di organi di potere che si controllano gli uni con gli altri, delimitando rispettive competenze e ambiti territoriali d'azione d'ordine quantitativo e qualitativo (forma e contenuto); nelle società senza Stato, in cui i ruoli non sono formalizzati e cristallizzati in istituzioni e organi della collettività, la rete dei controlli è ramificata nel tessuto stesso della società, investendo il rapporto tutto-parte, e non - come nei sistemi complessi contemporanei - parti differenziate gerarchicamente ordinate, nelle quali non ha senso un tutto. È pur vero però che Clastres ci dà una casistica del controllo sociale sui poteri senza metterci nelle condizioni di una prova a contrario, cioè dandoci delle indicazioni concrete sul su.plus di potere che può essere esercitato; del resto, la sua non vuol essere una teoria del potere, tanto è vero che, quando è scomparso, lavorava su essa, sulla 'questione principe' della genealogia del potere nella frattura epistemica delle società primitive. La 'questione principe' 5. Su tutti gli interrogativi, una 'questione principe'; questa sorge su un inceppamento, una falla del sistema di autoconservazione senza Stato delle società primitive. Indubbiamente una rottura epistemica, che soggiace al di là dell'apparente continuità di una storia che appiattisce tutte le differenze qualitative. Ma occorre ri-<:11ciirefilidel tessuto squarciato dal!'apparire di società di Stato; un'indagine storica, senza dubbio, i cui strumenti di ricerca sono essenzialiper ciò che si vuole conoscere, oltre la questione del metodo di ricerca. L'archeologia scava a fondo, ri- . portando alla luce quei tratti nuovi che emergono storicamente a dare un nuovo taglio al corso delle società primitive. La genealogia, invece, riporta alla luce le condizioni, storicamente date e giocanti nel contesto, insieme, che hanno reso possibile una tale frattura. Investe cioè tutte le connessioni, le strategie e le tattiche, i saperi che si muovevano nell'incontro/scontro tra le due Weltanschauungen in conflitto: società senza Stato, senza dimidiazione, versus società di Stato, istit~ionalizzate e gerarchizzate. Al di là del metodo storiografico, ugualmente importante, occorre sapere l'ottica in cui agisce il ricercatore, con un occhio rivolto al presente. Perché, infatti, penso che l'archeologia debba superarsi nella genealogia, spiazzando una teoria del potere che indaghi COSA è potere, per muoversi in direzione delle modalità di formazione e funzionamento, il COME del potere. Non solo, pertanto, un'immersione nel vasto oceano della ricerca storica, alla ricerca di connessioni, di tratti indicativi, di strategie vincenti; ma anche un'investigazione sul modulo operativo, sulle condizioni materiali e simboliche che rendono possibile l'innesto di istanze di dominio, in primo luogo, e che rendono possibile una loro automaticità, autoregolantesi o eteroregolantesi secondo i casi, in secondo luogo, sl da pe.petuarsi in una loro incessante e immanente gestione fruttifera nel tempo e nello spazio invaso, che garantisce l'affermazione del dominio stesso nel tessuto ecosociale legittimandolo come 'seconda natura', la seduzione onnipervasiva e difficile da esonerare dell' «incantesimo della seconda natura» (Adorno). Condizioni possibilitanti su cui si innesta il dominio, dicevo; su cui fa perno per il suo «movimento di assiomatizzazione» (Deleuze e Guattari) che funziona da matrice di sviluppo spazio-temporale; condizioni di ordine materiale, perché il dominio si traduce sempre in vincoli concreti per l'affermazione polivoca di corpi e menti diversi gli uni dagli altri, irrappresentabili e irriducibili, unici come diceva Stirner; condizioni di ordine simbolico, perché il dominio diventa incosciente (Lourau), cioè viene interiorizzato come struttura fisiologica della riproduzione «genetica» dell'umanità; condizioni d'ordine razionale, perché il dominio funziona attraverso un modulo iscrittorio nel quale deve accumulare, in una sorta di centralità magnetica, tutti i dati da piegare a sé, curvare all'interno delle territorialità saturate e controllate - la metafora del registratore di cassa. Un macchinismo produttivo di cui oggi occorre interrompere i circuiti, lavorando per la costruzione di condizioni che rendano, di contro, possibile la liberazione e l'instaurarsi contestuale di uno stile di vivere e di pensare radicalmente differente nelle sue modalità di socializzazione nella libertà.
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