Alfabeta - anno I - n. 3/4 - lug.-ago. 1979

.. I Mensile di informazione culturale Luglio-agosto 1979 Numero 3/4 - Anno l Lire l.000 Redazione, amministrazione Spedizione Multhipla edizioni in abbonamento 20137 Milano postale Piazzale Martini 3 gruppo 111/70 Telefono (02) 592. 684 Printed in Italy CiLENCiRANT ilpurolmisky dipuro maltod'orzo. Pier Aldo Rovatti:Basagliaf:olliae nuovarazionalità• UgoVolli:il teatro e i suoisegni• EleonorFaioranLi eonetti: Nuovasinistraeclassic•iMassimoRiva: Larestaurazionseottobanco• C.Vann WoodwanlR: adicalismeolotteinUSA • Piero CrovettoF: ellinil,'orchestrsaacra RenatoPedio:Conpassod'oro• Teresa DeLauretisS: FinUSA:linguaggieocorpo SergioSolmiS: olmtiraduceQueneau • AlbertoAsorRosa:UnPetrarcadimassa• GiorgioMuratore:Contro ilterritorio • GiomaledeiGiornaliL: acam~gna elettorale•FlaviaRavazzoliR: etorica euforica *PietroMarchesanOi:locausto, senzaspettacol•oMarioSpinella: 60000perDemetrioStratos • •- Gianni De Martino:Rottamci elesti • GiovannGi iovannetti: La fossadeileoni • PoesiediPaoloValesioediMimmo Cervellin•oLeLettere •

Le immagini diquestonumero ... Q uesta serie d'immagini considera il momento partita, le dinamiche proprie dello stadio, nei momenti che immediatamente precedono l'incontro. Una analisi specifica, quindi parziale ed incompleta se rapportata ai connotati complessivi del fenomeno utile, oppure rispeuo ad una osservazione di respiro della funzione di controllo sociale e repressione che lo spettacolo sportivo di massa viene ad assumere. Non riconducibile, questa - è bene ribadirlo -in esclusiva al momento «stadio», ma bensl con addentellati che vanno dal lunedì alla domenica, e poi via daccapo. Occorrerebbe lo spazio di un libro (al momento soltanto un progeuo) per abbracciare, senza parsimonia, tu/lo ciò. Le immagini ripercorrono, quindi, un aspe/lostralciatoda tu/lo il resto. Un momento non primario, la partita, semmai vissuto come tale. La realizzazione delle immagini è avven!l/a in tempi diversi, da più operatori; tre,per laprecisione. Con me, Carlo Arcari e Tonino Conti, del Collettivo fotografi milanese. Rijleuendo sulle immagini stesse, o con esse, aggiungo poi alcune osservazioni verbali, alcune «didascalie». Lo stadio, con la discoteca, va sempre più definendosi come principale luogo di aggregazione per ben definite fasce di popolazione giovanile. Qualcosa, nel tempo, è mutato. La massa disgregatae dalla incerta composizione che la domenica si riversava negli stadi, sta via viaassumendo connotati sempre più specifici: i nuovi soggelli sono i giovani delle periferie, perlopiù solloproletari, i quali con l'entrata in crisi dei grossi, tradizionali, momenti associativi (feste, manifestazioni musicali epolitiche, la militanza, le sedi e così via), hanno fallo propri tra l'altro i valori di evasione dello stadio. Una presenza organizzata la quale rijleue un bisogno di associarsi, di deft11irsicome gruppo. Una fascia giovanile, questa, disimpegnata, «apolitica», «qualunquista», Sommario Pier Aldo Rovatti Basaglia: follia e nuova razionalità (Appunti per un'analisi delle normative in psichiatria, di Franco Basaglia; Follia/Delirio; Crimini di pace, di Franco Basaglia e Franca Ongaro Basag/ia; Storia della follia nell'età classica, di Miche/ Foucault) pagina 3 C. Vann Woodward Radicalismo e lotte in USA (The American as Anarchist: Reflections on lndigenous Radicalism, di David De Leon; Grass-roots Socialism: Radical Movements in the Southwest, 1895-1943, di James R. Green) pagina 4 Massimo Riva La restaurazione sotto banco (Rischio e solvibilità delle banche, di Jack Revell; Le banche italiane. Unaprognosi riservata, di Gianni Mingheui; Strul/ura e stabilità del sistema finanziario, di Fra11cescoCesarini e Marco Onado) pagina 7 Eleonora Fiorani Leonetti Nuova sinistra e classici (li marxismo introvabile, di Danie/ Lindenberg; Democrazia autoritaria e capitalismo maturo, di Luigi Ferraiolo e Danilo Zolo; Paradossi e rivoluzioni, di Ludovico Geymonat) pagina 8 Pietro Marchesani Olocausto. senza spettacolo (Zdptyc przed Pana Bogiem, di Hanna Krall; Rozmowy z Katem, di Kazimierz Moczarski; Przybysz z Narbony, di Julian Stryjkowski) pagina 10 aggregatasu tematiche reazionarie; ma anche ribelle, i11cazzata,definita socialmente, la quale ha riversato all'interno degli stadi anche lapropria carica di violenza, indirizzata su valori di evasione, dove il nemico di classe, da abbai/ere, oppure, al limite, sco11ftggere, qui divengo110 il tifoso e la squadra avversarie. Uno scontro «per delega» sul rei/angolo di gioco, auivo e «militante» sul/e gradinate. « Milano spera Superga bianconera» era la parola d'ordine, razzista, di «commandos tigre» e «brigate rossonere» durante l'ultimo milan-juventus, a San Siro, a Superga, 30 anni orsono, la squadra del Torino calcio perì in un incidente aereo. I simboli perdono ogni significato, o quanto meno vanno ritradoui ex novo: pugno chiuso, P 38 e saluto romano uno in fianco ali'altro, a Napoli come a Mi/ano; inni e slogan della destra e della sinistra riveduti e corro/li in chiave delatoria nei confronti di arbitro o avversari. Ma anche, spesso, indirizzati contro carabinieri e polizia, presenti in forme sempre più massicce al/orno agli stadi. Le denominazioni dei gruppi: «Fossa dei Leoni», «Commandos Tigre», «Boys Inter», « Vigilantes», «Companeros S. Basilio», « Brigate Gial/oblù», « Falange gialloverde», « Ultras» e cosl via. Una colorazione politica, una definizione in termini di classe latente, esteriore, espressa, specie auraverso le rivalità di campanile: alle seri/le laziali, con tanto di svastica, «teppaglia giallorosso scavatevi la fossa», i romanisti rispondono «laziali, fascisti, per voi non e'èfuturo, la Roma è rossa e i boys picchiano duro». Accennavo alla presenza di carabinieri e polizia dentro e auorno agli stadi. In essi vengono a riprodursi anche gli stessi meccanismi repressivi: forze dell'ordine inquadrate ed armate di tutto punto ai cancelli, sulle tribune edentro il campo; controlli perquisizioni e canilupo a far la guardia in ogni dove. Vi sono poi gruppi di tifosi, quelli orTeresa De Lauretis SF in USA: linguaggio e corpo (Dhalgren, di Samue/ R. Delany; The Female Man, di Joanna Russ; Warm Worlds and Otherwise, di James Tiptree Jr.) pagina 12 Piero Crovetto Fellini. l'orchestra sacra (Prova d'orchestra, di FedericoFellini) pagina 17 Ugo Volli Il teatro e i suoi segni (Semiotica del testo, l'esempio teatro, di Franco Ruffini; Come comunica il teatro: dal testo alla scena, di AA. W.; Versus - Quaderno di studi semiotici: Teatro e semiotica; La maschera e lafaccia, di Ernst Gombrich) pagina 15 F1avia Ravazzoli Retorica euforica (La retorica antica, di Roland Barthes; Retorica, di Renato Barilli; Dire e non dire, di Oswald Ducrot) pagina 18 Giorgio Muratore Contro il territorio (Marxismo e geografia, di Massimo Quaini; Dal museo al territorio, di Andrea Emiliani; Le trasformazioni territoriali in Italia nellaprima metà industriale, di Alberto Mioni; Ingegneri e territorio nell'età della Destra (1860-1875), di Paolo Morachiel- /o; L'uomo e l'uso del territorio, di Bernardo Rossi-Danio; Classe e territorio; Dalla città preindustriale alla ci/là del capitalismo, di AA. W.; La cillàe la crisidel capitalismo, di AA. VV.) pagina 20 Gianni De Martino Rottami celesti (La casadi A rimane, di Domenico Ferla· B~ccalone, di Enrico Pa/andri; Il briccone divin~, di Pau/ Radin, Cari ganizzati dalle società 11e/club di sostegno, i quali affiancano polizia e carabinieri nell'azione di controllo e repressione. Anche fra i tifosi c'è chi sorveglia e chi, invece, è sorvegliato. Allo stadio San Siro di Milano, come d'altro canto purea Torino, Roma, Napoli e così via, prima di ogni partita, lo speaker invita tu/li a «segnalare eventuali individui che turbino il normale svolgimento dello speuacolo». Chi fa gruppo diviene «sorvegliato speciale» come teppista o in odore d'esserlo. Questa flua rete di comportamenti, a volte comraddiuori, appartengono al microcosmo stadio. E un fenomeno, questo, tu/lo sommato nuovo. Mancano dati di ricerca, manca quindi una qualsiasi analisi «a fondo». Esso sta divenendo sempre più terreno di scontro, una violenza che, per ora, mal si presta a misurazioni con metri rossi o neri. È violenza, anche, contro il potere, i suoi simboli ed apparati; gli ultimi a far saltare le vetrine di Fiorucci, in via Torino, a Milano, furono alcuni giovani incazzati provenienti dallo stadio, dopo una partita, un anno fa. Nel seuembre i 975, prima dell'incontro Italia-Finlandia di calcio, venne sostenuto un minuto di raccoglimento per ricordare i cinque condannati a morte, in Spagna, dal regime franchista. Al termine del minuto di silenzio dalla curva sud dell'Olimpico e via via per tu/lo lo stadio, si levò un grido carico di rabbia «Spagna libera! Spagna libera!». Ogniqualvolta la polizia interviene a San Siro, essa è regolarmente accolta dai gruppi al grido di «piesse - esse esse», Allo stadio però, ed è un fallo da non so11ovalutare, i fascisti, rautiani, vi stanno da un bel pezzo. Gente addestrata a gestire e canalizzare lo scontro, gente per la quale i gruppi divengono fertile area di reclutamento. La partita rappresenta l' 0110 finale di un processo diluito nell'arco dell'intera sellimana, una a/lesa sapientemente Gustav Jung, Kart Kerényi) pagina 21 Renato Pedio Con passo d'oro (Xl premio «Il Compasso d'oro», a cura del/'A DI e del Comune di Milano; «Design e design», mostra dell'XI Compasso d'oro costruita dai media, un clima di suspance creato artificiosamente, con meccanismi sempre uguali, ciclicamente, ogni seuimana: il tal calciatore, infortunato, riuscirà a smaltire gli acciacchi in tempo utile? Su quali teste cadrà la spada di Damocle nelle mani del Giudice Sportivo? e pùrcopallino, squalificato, vedrà approdare in un mare amico il proprio ricorso d'urgenza? e così via, per tacere di polemiche e baruffe verbali varie, vecchi rancori rispolverati, spesso, ad arte, tra allenatori, calciatori, dirigenti, o tra altri personaggi interni al mondo del calcio. «Avvenimenti», questi, a cui i giornali, specializzati e non, passano tulio il foraggio di questa terra, a cui essi fanno da cassa di risonanza. Faui e misfatti che nella loro proiezione estrema divengono argomento privilegiato di discussione tra partigiani di opposte fazioni. Eppure, che sono, per dire, la polemica Marchioro - Rivera o i battibecchi tra Garonzi, presidente del Verona Calcio, e gli arbitri, rispetto, sempre per dire, a temi come le scelte di politica energetica, il blocco della scala mobile, il quadro politico e così via? Una auenzione spostata su beghe da oratorio, quando, a messa, il prete ruba le elemosine. Giovanni Giovannetti Annunci • • econom1c1 I testi degli annund economid vanno inviati a Alfabeta, Piazzale Martini 3, 20137, Milano. Tariffa: L. 500 per parola più l.V.A.14% « Design e design», mostra della mostra 1-----------------t del/'XI Compasso d'oro) pagina 23 Giornale dei Giornali La campagna elettorale a cura di lndex-Archivio critico dell'informazione pagina 26 Le Poesie Paolo Yalesio il Pasto del/'avvoltoio pagina 8 Mimmo Cervellino IX pagina 22 Le finestre Alberto Asor Rosa Un Petrarca di massa pagina 14 Mario Spinella 60.000 per Demetrio Stratos Sergio Solmi So/mi traduce Queneau pagina 6 Le lettere Leuera aperta alla stampa italiana su alcune questioni concernenti il terrorismo Lettera a Franco Bolelli di Luigi Pestatozza Lettera alla Redazione Lettera di Rosemary Liedl a proposito de li cacciatore pagina24 VOGLIO VIAGGIARE PER IL MONDO CERCO COMPAGNIA/FAMIGLIA DISPOSTA QUALUNQUE LAVORO MARGHERITA 0142/54448 alfabeta mensile di informazione culturale Comitato di redazione Nanni Balestrini, Maria Corti, Gino Di Maggio, Umberto Eco, Francesco Leonetti, Antonio Porta, Pier Aldo Rovatti, Gianni Sassi, Mario Spinella, Paolo Volponi Coordinatore Nanni Balestrini Art director Gianni Sassi Direi/ore editoriale Gino Di Maggio Redazione Valentina Fortichiari Segretaria di redazione Eleonora Molinari Redazione, amministrazione Multhipla edizioni, 20137 Milano, Piazzale Martini, 3 Telefono (02) 592.684 Composizione GDB fotocomposizione via Commenda 41, Milano, Tel. 544.125 Tipografia S.A.G.E. S.p.A., Via S. Acquisto 20037 Paderno Dugnano (Milano) Distribuzione Messaggerie Periodici Abbonamenti annuo L. 9.000, estero L. 12.000 (posta ordinaria) L. 15.000 (posta aerea) Inviare l'importo a: Multhipla edizioni, Piazzale Martini 3, 20137 Milano, Conto corrente posta n. 3/49769 Autorizzazione del Tribunale di Milano n. 281 del 1975. Responsabile G. Di Maggio Di questo numero sono state stampate 50.000 copie. Claole Pujade-R.enlml ~ corporea linguaggi>delsilenzio IL piccolo Hans Rivista di analisi materialistica 22 aprile - giugno 1979 Numero dedicato a Ferdinand de Saussure Inediti sugli anagrammi Saggi e ricerche di Carlo Ossola, Pietro d'Oriano, Sergio Benvenuto. Italo Viola, Roger Dragonetti, François Recanati, Nicole Sels, Antonio Prete Una poesia di Nanni Balestrini Il piccolo Hans, Rivista trimestrale diretta da Sergio Finzi Dedalo Libri. Bari. Casella postale 362 Abbonamento annuo L. 9000, e.e. Postale 11639705 70100 Bari Un fascicolo lire 2.500 clup-clued Il primo quaderno comprende i seguenti interventi: Editoriale E. Donini,Sciem:ea Weimar, un nodo storico A. Lorini. // passaggio del principio di efficienza dallo Scientific Management alle scienze sociali negli Stari Uniti (I 890-1920) M. Stucchi. Chi ha spostato i continenti? (Derive e congressi nelle scienze della re"a) S. Bergia. Einstein nel centenario della nascita: un itinerario essenziale a11raversol' opera e la critica T. Tonietti, Catastrofi e Rivoluz.ioni (una lettura sociologica, ideologica e storica)

. Basaglia :. . folliae nuovaraz1onal1tà Franco Basaglia e Franca Ongaro Basaglia Follia/Delirio in -Eaòdopedia, YOI. VI.. Torino, Einaudi, 1979 a p. 262 Franco Basaglia App-ti per an'analisi delle normative in psidùatria in Fogli di informazione n. 50, ottobre 1978 Franco Basaglia e Franca Ongaro Basaglia Criminidi pace in AA.VV., Criminidi pace Torino, Einaudi, 1975 pp. 479, lire 4.500 Miche! Foucault Storia della follia nell'età classica Milano, Rizzoli, 1976 pp. 675, lire 4.500 Dopo il «Reseau» La voce Follia/Delirio scritta da Franco Basaglia (come di consueto assieme a Franca Ongaro Basaglia) per il sesto volume della Enciclopedia Einaudi, invita a una serie di considerazioni. 1n queste pagine si tenta il punto teorico su una situazione che è ormai nota a tutti. Basaglia è conosciuto internazionalmente come quello che ha aperto i manicomi. Il lavoro pionieristico svolto dalla sua équipe a Gorizia, reso pubblico attraverso i documenti de L'istituzione negata, uno dei best-sellers del '68, è un precedente che adesso sembra quasi mitico. Poi è venuta l'esperienza di Trieste. Nel settembre del '77, con un convegno internazionale convocato appositamente, Basaglia annunciava che questa esperienza poteva dirsi conclusa: i «matti,. erano stati tolti dal ghetto e ormai, diffusi nella città e nella periferia, funzionavano i Centri di igiene mentale. Al tempo stesso, anticipando la situazione di stallo e anche di crisi, che è quella che mi pare si stia attraversando oggi dopo l'approvazione della legge 180, il convegno del «Reseau,. additava le nuove forme del controllo sociale come il terreno da affrontare e l'avversario più sottile con cui scontrarsi. Era solo un'indicazione cui non corrispondevano analisi e programmi. Il convegno infatti risultò caotico per le tensioni politiche che cercavano di trovare ll una espressione: in buona parte solo pretestuosamente connesse con l'esperimento di Basaglia, ma in una certa misura anche sintomo di un disagio. L'insoddisfazione, forse, verso l'enfasi rivolta a un punto di arrivo (i giornali lo avevano molto evidenziato), che a molti, e probabilmente a Basaglia stesso, sembrava piuttosto un punto problematico. la difficoltà di un nuovo inizio. Capitandomi di essere a stretto contatto con la città (dove lavoro). e con l'ambiente dello psichiatrico. che ne è tuttora il polo d'attrazione sociale e politico. mi è parso di registrare il crescere di tale disagio. Basaglia se ne va. I Centri sono realtà diverse. ricche quanto contraddittorie. Il giorno per giorno è poco gratificante. Vi sono lotte nuove (quelle degli infermieri. per esempio). ma. insieme. frustrazioni e scollamenti. Qui bisognerebbe riuscire a raccontare la vicenda interna dei Centri. magari paragonando quelli. dove le pratiche di «liberazione,. riescono a riprodursi con quelli. dove invece la routine dell'assistenza rischia ormai di funzionare a senso unico. Spero che qualche addetto ai lavori avverta presto l'urgenza teorica e politica di farlo. Due cose. comunque. sono in linea generale percepibili: sempre meno ci si azzarda a parlare dei «soggetti». ospiti o utenti che siano; sempre più gli operatori sentono l'esigenza di rimetPier Aldo Rovatti tere in discussione la propria identità, la massima intensità e con il minore chi sono e cosa stanno facendo. C'è, potere di organizzarli. La contraddivisibilmente, crisi di teoria (le pratiche zione tra il mandato universalistico quotidiane ci sono e possono anche degli intellettuali e la stretta specificità moltiplicarsi). E, ·cercando di ·entrare • • delle domande degli utenti" è ·macroun po' in questa crisi, direi che le idee scopica. 1;3asagliavede una soluzione, con le quali si è andati avanti in tutti sulla scia delle migliori indicazioni del questi anni cominciano ad apparire '68, in una pratica di disinvestimento poco aggreganti e forse anche deboli. del ruolo: i «tecnici» devono mettersi «Non sono un teorico» Basaglia ripete da sempre: «non sono un teorico». Ma questa, a mio parere, è una buona ragione per prendere ancora più sul serio le cose di teoria che scrive. Farei un piccolo passo indietro, al saggio introduttivo di Crimini di pace. Accogliendo la definizione di Sartre, Basaglia chiama i nuovi operatori psichiatrici (pensando verosimilmente, in primo luogo, alla sua équipe) «tecnici del sapere pratico». Questi «tecnici» hanno rifiutato il ruolo di funzionari del consenso: ciò facendo, pur senza liberarsi delle loro ambiguità, essi intaccano «la coincidenza fra il mandato della scienza e quello della società» e di conseguenza aprono problemi enormi. Infatti riuscire a capire quale delega di potere sia implicita nel loro sapere, e quindi riuscire proprio a fissare l'aspetto ideologico della scienza psichiatrica, si accompagna necessariamente a un altro compito conoscitivo: quello che attiene al mandato sociale. In che modo i tecnici del sapere pratico, nella loro insopprimibile contraddittorietà, possono essere «socialmente utili»? Basaglia risponde con la sua versione della teoria dei bisogni. Le scienze non possono che pianificare risposte formalmente universali: risposte per tutti, che in realtà si traducono «nella risposta ai bisogni del gruppo dominante e nel controllo o contenimento dei bisogni del gruppo dominato,.. Due livellidi bisogni sono in gioco, anche se è chiaro che con bisogni del gruppo dominante Basaglia intende qui gli «interessi,. di tale gruppo, la difesa dei loro privilegi materiali, economici, sociali, culturali, politici. I bisogni reali sono quelli dei dominati: l'utente dell'ospedale psichiatrico li manifesta con a lavorare insieme ai soggetti che hanno di fronte. Viene cosi ipotizzata una ricerca comune di operatori e utenti: essi dovrebbero costituire una sorta di microsocietà rivolta a intensificare i bisogni soggettivi. Lo scopo è di mettere inmoto una «soggettivazione» dei bisogni: e ciò può avvenire solo se vi è uno scambio e una reciprocità, in altre parole, se vi sono soggetti che si incontrano effettivamente e che riescono a intensificare un terreno comune di esperienze. Storia della follia Il testo di Follia/Delirio risulta assai più problematico. Si vede ora che per Basaglia il modello di una soggettivazione reciproca tra tecnici che negano il loro ruolo e utenti, per quanto resti un riferimento ide_ale,non è adeguato a una realtà che appare più complessa. Rimane centrale la questione dei bisogni, la quale riceve-come vedremo tra breve - maggiore articolazione. Ma soprattutto prende spessore la figura del potere, strettamente allacciata alla figura della razionalità. È molto mitigato, di conseguenza, il lato positivo: anzi, pare che la follia abbia già perso in partenza il suo scontro con il potere. Quest'ultimo sembra ogni volta in grado di ritradurre la follia nel suo linguaggio razionale: è il potere a costituirsi in nuova razionalità. E ogni parola della follia, in una dimensione di controllo che si fa totalizzante, pare destinata a divenire parola del potere. Anche i rimandi bibliografici confermano questo taglio del discorso. Uno è alla Dialettica dell'illuminismo di Horkheimer e Adorno: Basaglia se ne serve per supportare la sua ipotesi di una precisa corrispondenza tra le forme del potere e le forme della razionalità. e per gettare sospetto su qualunque riforma illuministica. Il secondo è alla Storia della follia di Foucault. È un riferimento che mi pare sostanziale. Basaglia è, tra i pochi ad aver compreso l'importanza teorica di questo libro, spesso sottovalutato o addirittura non letto. Ne accetta l'impianto categoriale, la contrapposizione tra ragione e sragione, lo spossessamento storico dei diritti della sragione e dei suoi modi espressivi, il processo di diversificazione, separazione, limitazione, che porta all'avvento delle scienze umane e specificamente della psichiatria. Il delirio deve diventare un'anomalia della ragione: quando ciò è storicamente e scientificamente possibile, il «folle» non ha più spazio né linguaggio; è «parlato» dalla razionalità dei normali; è inserito in un linguaggioche non è il suo e contemporaneamente gli si suggerisce una norma razionale con cui, se vuole, potrà esprimersi. Nuova razionalità per Basaglia è questa capacità del potere-sapere di inglobare in sé le regioni che prima espelleva ed emarginava come diverse: «Avendo riconosciuto la sragione come parte della natura umana, questa razionalità si limita ad accoglierla in sé per smistarla e incanalarla nei settori creati perché essa si esprima sotto tutela». Follia e miseria Alludendo al «grande internamento», cioè a quel fenomeno sociale e politico che secondo Foucault è la soglia dell'epoca moderna, Basaglia insiste sul nesso originario tra follia e miseria. È questa la chiave di tutto il suo testo. La follia ha un segno storico, materiale ed esistenziale. Essa rimandava a «un mondo di bisogni confusi e indifferenziati»; era leggibile come una sorta di domanda globale capace di investire la condizione umana in tutti i suoi aspetti. La nuova razionalità, che si apre la strada al controllo e all'organizzazione del conflitto, ha come preciso obiettivo quello di rompere tale nesso, scindere la follia dalla miseria, e con ciò di isolare, snaturandolo, un bisogno dalla domanda complessiva. Far si che la follia divenga malattia. dare dignità scientifica al delirio. è al- !ora un modo efficace per togliere alla miseria una capacità di espressione: «La follia, una volta separata dall'insieme di bisogni indifferenziati che costituivano il panorama della generica asocialità segregata cori èùi era -con-· • fusa, assume - alle orecchie di chi l'ascolta e agli occhi di chi la osserva - toni, inflessioni, gesti che non sono più ricollegabili a quel mondo indistinto di bisogni cui non viene risposto». Di nuovo, come si vede, la questione dei bisogni e della soggettività. Foucault può essere un riferimento per quel che riguarda le mosse del potere e la parallela processualità delle strategie del sapere·.Ma il «sacco pieno d'aria» non è solo non-ragione, non-potere, alterità: ha invece un'individualità corposa, una storia che si allaccia con altre storie, di classe. Follia e miseria sono tutt'uno. E la miseria, sembra dire Basaglia, è una condizione che ci riguarda perché semplicemente è anche la nostra. Riemerge il marxismo lineare, il solido materialismo di chi, evocando le categorie, pensa ai fatti. Da un lato nuova razionalità, organizzazione del conflitto, estensione del controllo sociale, sofisticazione delle tecniche; ma dall'altro i soggetti. Se così non fosse, perché vi sarebbero conflitti e lotte? Il corpo economico Vi è, nel testo che sto ripercorrendo (e che meriterebbe di circolare in altre forme, senza cioè che si debbano spendere le quarantamila lire dell'intero volume), un secondo registro che riguarda il soggetto, il corpo e i bisogni. TI punto cruciale è per Basaglia la disarticolazione dei bisogni: a questo si applicano le nuove forme di potere/ sapere. Ciò vuol dire che l'individuo è impedito nella propria organicità: gli si preclude, storicamente, di essere corpo organico. Il sistema produttivo gli chiede di piegarsi ad essere solo corpo economico: tutta la società è sussunta sotto questa norma di efficienza che taglia i collegamenti tra individuo e organizzazione. E la norma si legittima nel fatto che il corpo economico viene «contrabbandato» come corpo sociale. Si direbbe che questa riduttiva separazione operata dal sistema produttivo si raddoppi nella separazione e specializzazione dei saperi: la follia è tradotta in un corpo di sapere scissodal corpo sociale reale. In un breve scritto, pubblicato sul n. 50 di Fogli di informazione, Basaglia aggiunge qualche altra riflessione al proposito (va qui consigliata la lettura per intero di questo fascicolo che è dedicato a Psichiatria e ricerca scientifica e porta contributi di P. Tranchina, A. Pirella, G. A. Maccacaro, F. Stock, S. Piro, M. Risso e altri). La vecchia leggemanicomiale del 1904, restata in vigore fino all'anno scorso, faceva perno sulla nozione di «pericolosità sociale». Essa è stata il suggello istituzionale della tendenza a fissare ambiti di competenza separati: le disfunzioni del corpo individuale alla medicina, le· disfunzioni del «corpo sociale» alla giustizia, la psichiatria come cerniera. E se già da subito, osserva Basaglia, proprio la psichiatria mette in discussione tale divisione, lo fa per avere il monopolio del corpo astorico «da riparare», sempre dentro l'ideologia (non la realtà) del «corpo sociale». Il fenomeno attuale della socializzazione della medicina e della psichiatria è da intendersi allo stesso modo: rilevanza del controllo medico dentro il controllo sociale, con una perdita di esclusività della sanzione giuridica. La sofferenza è ancora presa a conferma della norma sociale. mentre essa è tutt'altro. Scrive Basaglia in Follia/Delirio: « La presenza della sofferenza è la spia della mancata identificazione fra corpo e corpo economico, quindi il segno di una soggettività che reagisce e rifiuta l'accerchiamento di cui è soggetto». Rabbia o lamento. ecco quello che

chiamiamo delirio: voce di un corpo che non accetta di essere mutilato e mortificato, di una soggettività che chiede spazio e tempo. Ma che soprattutto - ci indica Basaglia - chiede che sia tenuto assieme il proprio mondo di espressioni e di bisogni, perché le resti un'organicità, un nesso unitario. Tra la nuova razionalità del potere e questa voce, sempre meno percepibile, sembra scavarsi un vuoto incolmabile. Le soluzioni facili sono già del passato; quelle difficili non si riesce a intravvederle. A ogni istante il tecnico del sapere pratico ridiventa funzionario del consenso. Crede di liberare; in realtà sta controllando. Crede di capire: in realtà sta interpretando. Differenziare i bisogni È da mantenere come valido e utiie all'analisi lo stretto nesso storico-teorico con cui Basaglia stringe follia e miseria? Anche estendendo la nozione di miseria in modo che non si sovrapponga a quella economica di povertà, andrebbe misurato fino a che punto questa categoria conserva oggi un potere di descrizione. Dicevo all'inizio che a Trieste è sempre più raro sentir parlare degli «utenti». La nozione di bisogno è stata, poi, spesso adoperata in maniera generica come un contenitore buono a tutto, ed è giusto che di questo uso vi sia chi diffida. Essa dovrebbe, al contrario, servire a liberare differenze e specificità, ad arricchire complicandolo il quadro della soggettività. Forse, non è la perdita di un mondo indifferenziato di bisogni che deve preoccupare,_ma l'incapacità di leggere e produrre le differenziazioni, la moltiplicazione dei bisogni. Basaglia parla della sofferenza come di una «spia della mancata identificazione tra corpo e corpo economico». Ma il «corpo» non è già Il: si costruisce socialmente. L'identità reclamata non si rapporta a un prima che è stato tolto, ma piuttosto a un dopo, a un farsi sociale del soggetto, a bisogni più articolati che si producono al di là e insieme ai bisogni materiali elementari. Vogliodire che la «voce» della follia non può restare inchiodata alla miseria, ma deve poter dire qualcosa della ricchezza che vive come mancanza. Nell'epoca del controllo sociale diffuso, è probabile che non ci servano tanto nozioni generali come quelle di corpo individuale e corpo sociale, e il rimando di entrambe all'economico, quanto nozioni più mobili e diversificate di identità: percorsi soggettivi non riducibili all'economico, nei quali la categoria troppo compatta di bisogno si articola a quella di desiderio per rimandare al terreno opposto rispetto alla sofferenza, cioè al terreno del godimento. Se è vero che la psicanalisi, come dice Basaglia, è un ascolto neutro funzionale al potere, che impone il proprio codice e blocca la dialettica storica nella dimensione del tragico individuale, è anche vero che il nuovo controllo sociale può e potrà usare la psicanalisi perché essa è meglio attrezzata, va più a fondo nella descrizione articolata della soggettività e in tal modo è in grado di cogliere l'obiettivo principale del controllo, che è precisamente l'autocontrollo: la partecipazione docile, non importa quanto consapevole, alla macchina stessa del controllo. Il caso della psicanalisi vale forse ad esempio per mostrare che la dialettica fra potere e soggettività è invece molto ravvicinata. La ricostruzione di cosa può essere esperienza soggettiva a partire dalla differenziazione dei bisogni e dei desideri, cioè dai requisiti per cui oggi vi può essere identità sociale, è anche, e in maniera rilevante, l'interrogazione in profondità delle forme nuove del controllo sociale: la loro efficacia, infatti, è proporzionale alla capacità di inseguire dappresso i soggetti nei loro processi di differenziazione e aggregazione. La legge 180 Le righe che Basaglia dedica alla legge 180 sono esplicite e coerenti con la sequenza dei suoi ragionamenti. Questa legge, approvata nel maggio '78 (e poi unita alla riforma sanitaria) dice che non vanno più costruiti manicomi e che quelli esistenti dovrebbero sparire. Prevede una normalizzazione medica della psichiatria e un'assistenza diffusa nel territorio. Abolisce la vecchia formula dell'internamento coatto. ma il trattamento di autorità resta anche se con più poteri discrezionali al medico e un disciplinamento assai meno rigido. Basaglia non manca di leggerla come sintomo e di vederne i limiti: in qualche modo l'Italia si mette al passo di altri paesi (Stati Uniti, Inghilterra, Francia) che già hanno riconosciuto l'esigenza della riconversione dell'assistenza psichiatrica nella medicina e di un'azione nel sociale, sempre in nome della «restituzione del corpo invalidato al corpo economico>. II trattamento obbligatorio non è eliminato, il controllo viene diffuso, e si aprono nuove contraddizioni. Quali? E con che strumenti, anche teorici, affrontarle? Credo che il disagio sorga in buona parte dal fatto che questi interrogativi restano per ora senza risposta. Radicalismeolottein USA David DeLeon The American as Anarchist: ReDections on Indigenous Radicalism Johns Hopkins University Press pp.242, dollari 14,00 James R. Green Grass-roots Socialism: Radical Movements in the Southwest, 1895-1943 Louisiana State University Press pp. 450, dollari 24,95 U na decina d'anni fa qualcuno pensò - perfino qualche francese - che il movimento radicale americano fosse all'avanguardia, o che stesse preparandosi ad assumere questa posizione. Le rivolte studentesche del 1968 in diversi paesi osannavano il modello americano e rappresentanti del Movimento, proprio come i suoi slogans passavano da una costa atlantica all'altra. Jean François Revel prometteva al mondo: «La rivoluzione del ventesimo secolo avrà luogo negli Stati Uniti. Può accadere solo in quel paese. Anzi, è già cominciata». Egli proseguiva affermando che essa «è la Rivoluzione della nostra epoca. E pertanto offre la sola via d'uscita al mondo d'oggi»('). Le discussioni su questo eccezionale modello rivoluzionario ben presto si assopirono e siamo tornati a discutere su un tipo molto più antico di «eccezionalità» americana. Parliamo cioè di un problema storico, del perché tra tutti i paesi a capitalismo avanzato gli Stati Uniti siano l'unico in cui il socialismo non sia mai riuscito a guadagnarsi un seguito di massa, in cui il marxismo non abbia mai attecchito, in cui la classe lavoratrice non abbia mai prodotto ~ un partito di massa. Solo recentemen- ,:: te è stata pubblicata in questo paese la t prima traduzione integrale del libro di Werner Sombart Why is ThereNo Socialism in the United States? ( del 1905). La controversia è molto più ;g antica di questo libro e la letteratura su J tale argomento è molto ampia, ma gli studiosi non sembrano aver raggiungo un punto d'incontro, più di quanto siano d'accordo sulle cause della Guerra Civile americana. Gli stessi Marx e Engels scrissero moltissimo su questo problema senza però offrire una spiegazione coerente al fallimento socialista in America. Proprio come la maggior parte dei loro seguaci fino alla Prima Guerra Mondiale, essi s'aggrapparono alla certezza che sarebbe stata la nazione a capitalismo più avanzato ad aprire la via al socialismo sostenendo che l'America era la «Terra Promessa» dei socialisti. Lenin, Trotsky e Gramsci dibatterono la questione senza successo. Lenin pose l'accento sulla «libertà politica di lunga data e sulle condizioni eccezionalmente favorevoli» al capitalismo; Trotsky dichiarò che sull'argomento Marx non andava «preso alla lettera»; e Gramsci sottolineò la totale egemonia ideologica del «Fordismo» e del- )'Americanismo intesi come surrogati del socialismo. Se anche nessuno dei due libri di cui ci occupiamo tratta questo problema in quanto tale, entrambi però finiscono per parlarne direttamente o indirettamente come una conseguenza della tematica che sollevano. David DeLeon ha scritto un libro che è sostanzialmente un saggio sulla natura di questo paese, in relazione a ideali, comportamenti, speranze e finalità dei radicali americani. Egli parte dagli albori del radicalismo per arrivare fino ai nostri giorni, attingendo soprattutto a correnti e formule degli stati nordorientali ma occupandosi un po' di tutti i radicali di questo paese. James Green scrive la storia del socialismo in una regione specifica del sud-ovest in un periodo di tempo limitato affrontando il problema in modo concreto e dettagliato. DeLeon, impegnato a caratterizzare il radicalismo indigeno, è necessariamente costretto (spesso e soprattutto) a definire e a spiegare. quel che il radicalismo non è stato o non ha potuto essere. Green, impegnato a narrare la storia fino ad ora trascurata e praticamente sconosciuta degli albori di un movimento socialista. è costretto a spiegarne il fallimento. Pertanto entrambi forniscono un contributo alla letteratura, peraltro in costante crescita. sul fallimento del socialismo in America. T ra i due campi dei radicali americani. gli indigeni e gli imitatori. DeLeon crede che gli imitatori del radicalismo straniero siano quelli C. Vann Woodward che abbiano ricevuto le maggiori attenzioni ma che siano «culturalmente meno significativi» e che siano stati «un fiasco solenne». Secondo lui, è tempo che si riconosca come il radicalismo americano sia fondamentalmente diverso da quello europeo, cinese, russo o del Terzo Mondo e come esso sia «radicato nei secoli della nostra storia e postuli che per quanto si faccia per trasformare e cambiare questa società, è improbabile che essa diventi qualcosa di totalmente diverso da quello che è stata». Egli pensa di scrivere del «radicale americano» proprio come Emerson scrisse nel 1837 dello «Studioso Americano» invocando la «decolonizzazionedella nostra letteratura e la costruzione di una cultura autenticamente americana scaturita dall'esperienza nazionale r...] Un'arte derivativa e imitativa ha il suo equivalente nel radicalismo imitativo e derivativo». Così continua: «Il mio libro, fondato sul monito di Emerson, è una dichiarazione d'indipendenza intellettuale da modelli interpretativi stranieri che ritrova lo spirito del nostro radicalismo non in Lenin ma in Debs, non nell'URSS, ma negli IWW, non nei contadini cinesi ,ma nei populisti[ ...] I nostri radicali si sono concentrati sull'emancipazione, sull'abbattimento delle prigioni dell'autoritarismo, piuttosto che sulla pianificazione di una ricostruzione. Essi sono abolizionisti, non edificatori d'istituzioni; sono i propugnatori della liberazione dèlla donna, della liberazione omosessuale, della teologia della liberazione, della liberazione nera; profeti, non preti; anarchici, non amministratori. E loro convinzione infatti che lo spirito liberato non avrà praticamente bisogno di una guida». I segni distintivi del radicalismo indigeno, i tratti del carattere nazionale che ne fanno una cosa unica, includono un fondamentale sospetto, al limite dell'ostilità, nei confronti di ogni disciplina centralizzata. L'eredità del radicalismo è pervasa di antiautoritarismo. antiistituzionalismo e antistatalismo. La caratterizzazione di DeLeon venne anticipata da Gus Tyler, vecchio leader del partito socialista e del movimento sindacale. Tyler sottolineò come il continente americano fosse «popolato da gente che fuggiva le autorità» e che espresse il suo antiautoritarismo in una «sorta di anarchismo viscerale». In questo paese, nelle sue parole, «la tendenza di fondo del lavoratore è stata per l'individualismo piuttosto che per il collettivismo». Se aggiungete all'individualismo la militanza e la violenza avrete l'IWW - il primo caso mondiale di anaroo-sindacalismo. L'elemento anarchico dei radicali americani si è manifestato come resistenza all'autorità o come rifiuto dell'autorità, ma mai come rifiuto totale di ogni autorità. Preferiscono il «governo senza governanti> di Emerson o si affidano a quel che aveva già capito (con una punta d'orrore) Tocqueville, cioè all'autorità fortemente coercitiva di costumi e valori di pubblica opinione su una popolazione apparentemente atomizzata. D eLeon crede di individuare le matrici dell'anarchismo americano (la parola anarchismo non vuole avere in questo caso una connotazione negativa) nell'influsso esercitato da tre elementi caratteristici della vita e della storia nazionali e dal loro interagire. Essi sono: la religione, l'economia e l'ambiente. Gli influssi religiosi sono preminenti nel suo schema di forze generative. L'elemento fondamentale, a suo avviso, va ricercato nell'ultraprotestantesimo dei fondatori delle prime colonie e nella domanda da essi costantemente sollevata, su chi e cosa è autoritario. L'«antinomianism» religioso, il «sacerdozio di tutti i credenti» e la preminenza della coscienza individuale, si riversarono facilmente nelle dottrine secolari del- )'«ogni individuo uno stato» e nella legge naturale che sfidava l'autorità terrena. «La Chiesa e lo Stato sono responsabili nei miei confronti; non io nei loro» dichiarò Bronson Alcott. «Essi cessano di meritarsi la nostra venerazione nel momento in cui violano la coscienza[ ...] Perché non dovrei autogovernanni?». Ecco qui, secondo DeLeon, un esempio della «versione americana dell'appassire dello stato>. Un impatto del capitalismo, secondo DeLeon, si rivela nell'appassire dell'autorità in favore dell'interesse personale e della ricerca della felicità e del profitto; un altro nell'incoraggiare la fiducia in se stessi. Un influsso capillare e potente come l'egemonia esercitata dai valori, dalla psicologia e dalle consuetudini capitalistici, negli Stati Uniti. non poteva non influenzare ogni cosa americana, compreso il radicalismo. L'autorità tradizionale venne ulteriormente diffusa e indebolita dall'ambiente e dallo spazio fisicoe sociale e dalla possibilità di uno stile di vita senza precedenti nella storia. Le distanze e la mobilità scoraggiarono il rispetto per la disciplina, l'organizzazione e la legge. L'egalitarismo tra i bianchi fiori lontano da ogni forma d'oppressione come quelle esercitate dai signori feudali, dall'aristocrazia, dalla chiesa di stato, dalle caste militari. senza essere peraltro ostacolato da un passato di contadini maltrattati e di proletari classici.Dato questo ambiente nazionale, secondo DeLeon, non bisogna meravigliarsi se il radicalismo

autoritario e statale ha attratto ben pochi adepti e se è rifluito in sette sterili. Questa è un'argomentazione un po' mistificatoria. Com'è possibile infatti che un ambiente che ha scoraggiato cosi completamente la centralizzazione e l'organizzazione radicali si sia dimostrato cosi fertile con quelle stesse tendenze nel governo, nei militari e nell'industria? Un'enorme burocrazia federale, un grande apparato militare, le multinazionali, per non parlare delle grandi organizzazioni sindacali, sembrano aver superato con successo tutti gli ostacoli sulla via della centralizzazione. DeLeon è di ben scarso aiuto a spiegarne le ragioni. Egli ammette che la tradizione della sinistra anarchica declinò negli anni '40 per venir poi dimenticata e catalogata negli anni '50 come una,eco arcaica di una società più semplice. Ma essa dimostrò di essere «solo assopita e non morta» perché gli anni '60 «testimoniarono il revival dell'anarchismo» in tutti i suoi aspetti antiistituzionali e antiautoritari, - con manifestazioni di destra e di sinistra e con molteplici frazionismi in entrambi gli schieramenti. Avendo in comune l'opposizione alla regimentazione, alla coercizione e allo statalismo, i militanti di destra e di sinistra degli anni '60 venivano scoprendo quanto avessero in comune tra di loro, compreso un antico passato nazionale. Come notò sarcasticamente un marxista, gli universitari di sinistra «scoprono che il passaggio dal partito repubblicano all'anarchia è molto più facile di quanto sembri». La definizione emersoniana del suo partito nel 1867 avrebbe potuto includerli - fanatici in libertà: odiano gabelle, tasse, pedaggi, banche, gerarchie, governatori e, ma si, quasi quasi anche le leggi . Ma se anche DeLeon protegge e difende il nostro «radicalismo fatto in casa», che è, a suo avviso, «un'alternativa al capitalismo e al socialismo tradizionali», non gli risparmia critiche. «Piuttosto che imparare dalla saggezza accumulata e dalle contraddizioni del passa~o», egli scrive, «il radicalismo americano è sempre vissuto nell'eterno presente di un'innocenza infantile. Le sue argomentazioni nascono sempre dall'espressione infantile o adolescenziale di un pugno di ipotesi radicate nella nostra società, ma mai formulate come una filosofia consapevole». Egli quindi suggerisce di «imparare da esperienz.e straniere che siano compatibili con l'avanzamento di una rivoluzione libertaria in America» e tra queste indica la Comune di Parigi del 1871,la Russia del 1905,laSpagna del 1936/39, l'Ungheria del 1956, la Francia del 1968 e ilCile degli anni '70 - guarda caso, tutti fallimenti. È quindi da sperare che questi fallimenti non siano compatibili, almeno in questo aspetto, col suo modello di un movimento democratico e rivoluzionario di massa di cui egli si occupa nelle ultime pagine del suo libro. Queste enfatizzano strutture molto attraenti come la decentralizzazione, il «socialismo regionale», «l'individualismo cooperativo» e il controllo locale. Messo a confronto con la «domanda velenosa della storia Yankee»: «Che cosa facciamo del Sud?», David DeLeon decide che il Sud «non rientra facilmente in questa mia struttura». «Mentre in tutte le altre regioni americane», egli scrive, «è facile ritrovare modelli delle mie categorie», egli considera il Sud come «una curiosità regionale all'apporto dell'abitante del New England che, influenzato dal Puritanesimo, è diventato il modello dello "Yankee!"». Nel tentativo di spiegare «questa eccezione sudista», egli azzarda l'ipotesi che «è più facile controllare la popolazione quando vive isolata in piccole fattorie, piantagioni o villaggi», e che pertanto «i critici radicali sono stati meno importanti» nel Sud e che «sono stati meno vigorosi che in altre wne>. Queste considerazioni sul Sud accompagnate alleardite caratterizzazioni del radicalismo storico americano forniscono un background provocatorio per il libro di James R. Green Grass-Roots Socialism e, a sua volta, il libro di Green fornisce un banco di prova per alcune idee di DeLeon. L a storia di cui si occupa Green non si adatta facilmente alle idee prevalenti a proposito del radicalismo americano- in particolare non a quello del Nordest. I suoi socialisti originari vivevano in Texas. Oklahoma. Louisiana e Arkansas - territori di «redneck», leggendaria terra d'origine della bigotteria e della reazione americane. Eppure i suoi fittavoli, minatori, taglialegna, predicatori e maestri costruirono il più forte movimento socialista regionale di tutta la storia americana. L'Oklahoma da solo, lo stato socialistapiù forte del paese, aveva più iscritti al partito dello stato di New York nel 1910, e nel 1914 diede ai candidati socialisti 15.000 voti in più dello stato di New York che aveva una popolazione ben dieci volte superiore. Questa wna era stata populista prima che socialista. Prima della recente pubblicazione del libro di Lawrence Goodwyn(2), era difficile far credere alla gente come il Populismo fosse profondamente radicato e preminente nel Sudovest. Il socialismo non _èmai stato altrettanto forte, ma Green analizza accuratamente la relazione esistente tra i due movimenti senza comunque esagerarne gli elementi comuni. Egli sottolinea il fatto che ci sia stata una continuità sostanzialedi leadership, iscritti,dottrina e di presa sulla gente. Nei primi anni del '900, egli dice, «la gran parte dei leaders del movimento socialistadel Sudovest erano stati in precedenza militanti Populisti» e ancora nel 1910 «la gran parte delle loro richieste erano fermamente ancorate alla tradizione Populista». La base del vecchiopartito e quella del nuovo si sovrapponevano, e la loro retorica era spesso indistinguibile. Ma sul piano delle idee e delle attività organizzative i socialisti si allontanarono gradualmente dai piccoli proprietari terrieri indebitati per avvicinarsi ai proprietari terrieri e ai loro dipendenti. I populisti parlavano spesso di rivoluzione ma le loro richieste non andarono mai al di là delle riforme radicali mentre i socialisti aspiravano al mutamento rivoluzionario. Quando Oscar Ameringer, uno dei pochi leader socialisti del Sudovest, nato in Germania, lamentava nel 1907 che i piccoli proprietari terrieri erano dei capitalisti in miniatura e che sfruttavano i salariati, il segretario del partito socialistadi quello stato osservava che «il proletariato dell'Oklahoma non era abbastanza numeroso da costituire la base su cui costruire una rivoluzione proletaria». II socialismo del Sudovest, infatti, rimase fondamentalmente legato ad una base di agrari, anche se i suoi membri, piccoli proprietari e coloni, venivano terribilmente sfruttati, proprio come i proletari e diventarono, come quelli, veri militanti. Trovarono migliaia di compagni più o meno autenticamente proletari tra i minatori dell'Arkansas iscritti al UMW, tra i tagliaboschi della Louisiana aderenti all'IWW, ai sindacalisti texani dell'AFL, unitamente ai capocarovana dei muli dei giacimenti petroliferi e ai vagabondi. Esistevano anche compagni neri (in cellule di .Jim Grow) che erano di «discendenza africana> (sic), ma neri, messicani e indiani erano stati privati del diritto di cittadinanza dai Democratici «progressisti,.. I gruppi etnici. proprio come gli immigrati bianchi, sono sempre stati un elemento periferico nel socialismo del Sudovest. Questi Rossi originari appartenevano all'antico gruppo di coloni bianchi - i cosiddetti masticatori di tabacco, annusatori di tabacco. raccoglitori di cotone, tutti bianchi, e sudisti finoal midollo. Essi erano, in breve, più o meno indigeni, proprio come i radicali. Il loro eroe fu Eugene Debs che parlava il loro stesso gergo e che ebbe spesso l'occasione di farlo. Leggevano il settimanale di Julius Wayland, Appeal to Reason, pubblicato nel Kansas. Ma gestivano anche cinquantacinque quotidiani socialisti (uno di questi, il Rebel, scavalcava a sinistra il settimanale di Wayland nelle sue richieste di rivoluzione) e c'erano oratori locali che arringavano la gente in occasione delle assemblee all'aperto e che facevano arrossire di vergogna gli oratori di Union Square. Essi sapevano ben poco, e non gliene importava neppure troppo, del marxismo ortodosso, ma i loro leaders locali parlavano con una lingua semplice e diretta dei loro_problemi reali e dei conflitti di classe - sfratti, povertà, fame - e di quel che si poteva fare per eliminarli, cioè «sottraendo il potere ai governanti». Gli .annalidi questi rivoluzionari della paglietta e del cappellino da donna sono oscuri e non facilmente comprensibili. James Green li ha scandagliati a fondo per scrivere la sua storia delle origini socialiste e ne ha ricavato il resoconto migliore e più commovente tra quelli che abbiamo. e ome si adatta questa storia ai sofisticati modelli di radicalismo indigeno esplorati da DeLeon? La risposta è dubbia. Le influenze religiose sono state molto potenti, d'accordo, e i radicali sono stati dei Protestanti da ogni punto di vista proprio come i primi coloni americani. Ma le loro chiese erano divise a seconda delle classi sociali e i radicali venivano segregati in quelle poste al di là della linea ferroviaria. Debs osservò che «coloro che sono timorati di Dio possono diventare dei buoni socialisti».Le chiese pentecostali erano piene di povera gente. Per dirla con Green «costoro integravano il socialismo con una visione del mondo religiosa», e cita un texano che disse «Dateci il socialismoe la religione del nostro Salvatore e Signore Gesù Cristo». I compagni partecipavano fedelmente a raduni socialisti «protratti» (lunghi fino ad una settimana), proprio come partecipavano agli eser-. cizi spirituali chiamati «Holy Roller», e in entrambi i casi ascoltavano gli stessi predicatori. «Red Tom» Hickey del Texas venne alla ribalta come uno zelante fautore del rinnovamento religioso predicando un nuovo avvento «illuminato dalla lampada del socialismo». . Che dire allora di tutto quell'anarchismo, individualismo, antiautoritarismo e antistatalismo dei «modelli indigeni» di DeLeon? Qui il quadro è chiaro. Green riferisce che i suoi Rossi, chiamati Sooner. erano «meno burocratici e più democratici dei loro compagni nordorientali», i quali «erano impastoiati nella loro disciplina di partito di tipo burocratico" che essi rifiutavano. Discusseroe contestarono vigorosamente una direzione centralizzata a livello regionale del loro partito in favore di «un'autonomia locale» - intendendo con ciò un'autonomia individuale. Quando il segretario del Texas cercò di esercitare una «severa disciplina» venne cacciato. La sottomissione a una qualsiasi cosa che ricordasse la disciplina di partito tipica dei socialisti o dei comunisti europei era una cosa inconcepibile per questi individualisti.E l'elemento religioso in loro non consisteva certo nella ricerca di una figura paterna e carismatica che pianificassela loro vita e la loro morte. Essi erano profondamente contrari all'autorità - fosse essa quella della chiesa, dello stato o del partito. È certo che il partito non aveva poteri di controllo sui suoi membri. Poteva sl stabilire delle regole contro l' «azione diretta», il vigilantismo, il sindacalismo, il sabotaggio, e l'incendio doloso, ma non era ingrado di farle rispettare. Socialisti iscritti al partito militavano spesso in altre organizzazioni come gli IWW, i comitati di vigilanza, o la Working Class Union. La WCU fu fondata nella «Buca dei Vagabondi», nei pressi di Forest Smith, nell'Arkansas, durante la depressione del 1914 dal dottor WellsLeFevre, un vecchio socialista dell'Arkansas. Si trattava di una società segreta fondata per abolire i fitti, l'interesse e i profitti «con ogni mezzo necessario». L'unione sottoscrissela carta istituzionaledel Partito Socialistama il partito non ratificò l'aggregazione dell'Unione. La WCU attirò ventimila e oltre iscritti e venne influenzata dal IWW, ma diventò ancor più radicale bruciando fienili, rapinando banche, facendo ricorso alla dinamite e alle scorrerie nottune. S tanchi della leggee ordine socialisti, i mezzadri non organizzati di Ozark adattarono facilmente la loro antica guerra contro i proprietari terrieri alla più nobile legge del «banditismo sociale» rapinando banche e razziando negozi. Poi fu la Famiglia Jones, un gruppo di redneck di stile mafioso, a scendere in campo. Secondo Green questo gruppo ha molti elementi in comune con i «Ribelli Primitivi» di Eric Hobsbawm. L'Oklahoma fu lo stato col più alto numero di rapine in banca nel 1912. In quell'anno il direttore del penitenziario dell'Oklahoma promosse un referendum tra i reclusi secondo il quale Debs venne votato come il candidato alla presidenza del paese di gran lunga favorito tra i carcerati bianchi. I carcerati neri votarono il candidato repubblicano. Non contenti di sfidare lo stato e le autorità locali, gli anarco-socialisti del Sudovest cominciarono ad attaccare il governo federale. Con i rivoluzionari messicani che depredavano le città lungo il Rio Grande e l'esercito americano che si preparava ad invadere il Messicoper rappresaglia, i Rossi texani inneggiavano a Zapata e a Pancho Villa. «Red Tom» Hickey, leader dei socialisti texani, li idolatrava definendoli «rivoluzionari con una profonda coscienzadi classe» e minacciava i latifondisti americani dicendo che «un altro Zapata potrebbe nascere anche su questa riva del Rio Grande». Più seria e più fatale alla loro caus·a fu la loro violenta resistenza contro l'intervento americano nella Grande Guerra contro la legge sulla leva. Il partito in Oklahoma nel 1914 decise il rifiuto del servizio di leva e dichiarò che, se obbligati a prestare servizio militare, i socialisti «avrebbero dovuto morire combattendo contro i nemici dell'umanità che si trovano nel nostro esercito, piuttosto che uccidere dei compagni lavoratori». Più tardi il partito si dichiarò contrario ad ogni forma di resistenza armata alla legge sulla leva, ma membri incontrollabili della WCU e della Famiglia Jones presero le armi nell'agosto del 1917 e si radunarono per la suicida Ribellione di Green Com. Dopo diverse scaramucce sanguinose le forze dell'ordine schiacciarono il movimento contro la guerra nel giro di una settimana. Tra gli arrestati figuravano numerosi socialisti e fu cosi facile incolpare ·1partito. Segui poi il Terrore Rosso del 1917 e la repressione durante la guerra che eliminò il Partito Socialista del Sudovest. È semplice rispondere che fu la repressione la causa del fallimento del Partito Socialista - quanto meno nel Sudovest -, la repressione esercitata con i mezzi legali o con imetodi illegali dei vigilantes. Ma Green ammette che le cose sono ben più complesse. Quando negli anni '30 il Partito Socialista cercò di tornare alla ribalta, i socialisti erano scomparsi, scomparsi con la Dust Bowl, con gli Okies, con gli Arkies, scomparsi nelle città. Ma anche quando vivevano ancora nei loro stati d'origine, malgrado la loro grande forza, sembrò impossibile disciplinarli. Per ammissione dello stesso Green, il movimento non riuscì mai a trasformare il loro incorreggibile individualismo in collettivismo. Per quel che concerne i problemi di fondo sollevati da DeLeon, non ci sembra giusto assumere questo movimento provinciale - un'altra «rovina della storia americana» - come un valido test della sua ipotesi. È irragionevole accettare la tesi secondo la quale il movimento è stato tipico del radicalismo o del socialismo americani. Ma anche cosi si dimostrò un dato fortemente rappresentativo del cosiddetto anarchismo indigeno - di stile meridionale. Forse non è irragionevole suggerire che ogni tentativo di caratterizzare il radicalismo americano farà meglio a considerare attentamente quel che accadde al Sud. Note da Home-grown Radicals di C. Vann Woodward The New York Review of Book (aprile 1979) [traduzione di Carlo A. Corsi] (') Jean François Revel, Without Marx or Jesus: The New American Revolution Has Begun, Doubleday, 1971, pp. 1,242. ( 2) Lawrence Goodwyn. Democratic Promise: The Populist Movement in America, Oxford University Press, 1976.

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