UnPetrarca di massa Alberto Asor Rosa Quest'anno (1978-'7':I) avevamo deciso ali'Università di Rorria (Istituto di Filologia moderna, Ca11edradi Lelleratura italiana IV) di svolgere un corso propedeutico per sole matricole. Propedeutico, nel linguaggio internazionale della didassi, ormai ovunque imperante, sarebbe quello che nel calciosono, secondo Gianni Brera, i «fondamentali»: saper tirare di piallo e di punta, essere in grado di distinguere un dribbling da una parata. Come si vede, eravamo assai modesti, ma l'esperienza che ne è seguita ha dimostrato ancora una volta che la modestia è solo la forma meglio camuffata e più intensa de/l'ambizione. Ha dimostrato, anche, che a scuola meno che altrove si possono fare i conti senza l'oste, il quale nel caso specifico è da identificare senz'altro - per chi non avesse già inie• so la facile simbologia lessicale - negli studenti: assaidiversi ancora una volta, accidenti, da come li avevano immaginati i loro pur volenterosi docenti. Il «corso» -a parte diversi gruppi di lavoro destinati a «fornire» strumenti metodologici e informazioni di base - era articolato in due parti: un'analisi, sintetica e critico-bibliografica, del problema delle origini; e una lellura, intenzionalmente semplice, di rime del Petrarca. Ci aspellavamo i sessanta-ottanta studenti degli anni passati. Ne abbiamo avuti più di trecento, assidui frequentanti fino alla conclusione delle lezioni. Matricole, in grande maggioranza, dicevo, cioè giovani appena usciti dai ghelli sub-culturali, che sono allualmente, salvo qualche eccezione, le scuole medie secondarie italiane; ma anche, in aggiunta, giovani rifluiti per interesse dai corsi di secondo e terzo anno verso i lidi potenzialmente assai poco allettanti di questa avara «propedeuticità»: e, quindi, brandelli del movimento del '77, reduci delle esperienze delle l 50 ore, «figgicciotti» in cerca di riqualificazione, cani sciolti di ogni qualità e provenienza. Credo di non sbagliare, indicando nella le/tura dei testi poetici di Petrarca il momento di maggiore interesse e appassionamento di questa massa studentesca. Poiché non è del tu110ovvio che tre-quattrocento giovani, sia pure studenti di Lei/ere e Filosofia, mani/e• stino questa inclinazione verso il «poeta di Laura», e poiché è almeno improbabile chesiamo allesoglie di un nuovo fenomeno petrarchista, la cosa merita forse qualche riflessione. Va bene, alla base c'è, probabilmente, un'ovvia coincidenza, che tu/li sono in grado di riconoscere: sazietà della politica, nuovo bisogno di cultura. Ma perché Petrarca?perché questa cultura? La risposta più scontata è che gli studenti si sono adeguati alla nostra proposta e l'hanno acce/lata perché non erano ingrado di concepirne un' altra: in questo senso bisognerebbe capire piultosto perché noi abbiamo scelto Petrarca come base dell'esperienza propedeutica. Troppo vero, per essere persuasivo. Si sa che un rapporto dida11icoserio comportq sempre un minimo di violenza. Resta comunque da spiegareperché la violenza della nostra scelta apparisse evidentemente così gratificante da trasformarsi in interesse autentico, in desiderio di partecipazione. Su questo terreno, credo, c'è la possibilità di andare un po' al di /il di alcuni luoghi comuni, che da troppo, ormai, ci contristano. Allora, la mia ipotesi è che anche un Petrarca possa diventare oggi, 1979, un fallo culturale di massa, e proprio fra quei giovani, i quali sono, com'è noto, la sentina di tu/li i vizi e il ricella• colo di tulle le iniquità, se si rispellano alcune condizioni all'interno delle quali la filologia, da unaparte, e lapsicosociologia dell'insegnamento di massa, dall'altra, non si comraddicono affat10, perché hanno in comune quel fa11ore imponderabile e misterioso, ma al tempo stesso inequivoco e irresistibile, che è la ricerca della verità La ricerca della verità, Dio mio, dopo tulle le delusioni della verità, dopo tulle le lampanti dimostrazioni che la verità è una e trina, e dunque divisibile e ricomponibile all'infinito? SI, proprio la ricerca della verità. Non, naturalmente, in termini positivistici o materialistico-storici, belle certezze dei tempi andati: ma come effetto del convincimento che l'operazione di conoscenza, anche quando è applicata ad un testo poetico, dove la verità è più labile e cangiante che altrove, consiste, oltre che nello svolgere alcune meccaniche equazioni, nel definire una realtà che noi possiamo consumare e far nostra sol perché essa preliminarmente esiste. Purtroppo, insegnare significa trasmellere un modello. Dico purtroppo, perché sarebbe bellissimo non trasmettere niente, non persuadere nessuno. Ma appena si parla ex cathedra, - e anche gli studenti parlano ex cathedra, quando parlano, - dalla bocca ci escono suoni che significano: è cosi e così, bisognerebbe fare in questo o in quest'altro modo, i modi per conoscere sono questi - e cosi via. Naturalmente, contano molto la problematicità del tono e l'ampiezza delle argomentazioni; ma non sono poi tanto sicuro che siano veramente decisive ai fini di un buon apprendimento. Certo, poi on verra· i maestri ci stanno per essere smentiti, se no che razza di maestri sarebbero? Ma la caralleristica fondamentale del buon maestro è di saperne veramente di più dei suoi allievi: quando smelle di saperne di più, non è più un maestro, conviene si ritiri (o non si presenti affa110). Bene, nel caso nostro, caso petrarchesco - di massa - qual è stato il modello, anzi il modellino, che ci siamo sforzati di «inculcare» (bru11issima, anzi pessima parola, alla qualeperò si"è rinunciato troppo facilmente in mancanza di altre equivalenti) negli studenti? Semplicemente l'idea che il testo c'è in sé: i/ fallo che no~ come dimostravamo di saper fare, possiamo leggerlo in cento modi diversi, tutti buon~ non significa che esso non esista indipendentemente da no~ in una sua lontana, meravigliosa e imprendibile verità, la cui presenza è l'unica garanzia, del resto. che. nel tempo e nello spazio. il te.wo possa aprirsi al/"infinita varietà delle lingue e dei sogge11iN. ei confronti - di tale verità, la nostra lettura è solo un'approssimazione, anzi un percorso. Il testo è il punto di partenza e il punto di arrivo: tu/lo il resto è semplicemente sussidiario o periferico.. Verità e varietà non sono dunque contraddi11orie:si può andare, giocando sul filo del rasoio, a stabilire di volta in volta certezze irrefragabili,scoperte rigorose come massi squadrati, senza rinunciare un solo istante a mantenere aperto il flusso sempre mutevole ed incerto della ricerca. l'etrarca è, per questo discorso, un sogge110pressoché inesauribile e assolutamente straordinario di verifica. Intanto, egli mostra ai giovani come nessun altro la differenza profonda che passa tra la lelleratura come istituzione e la lelleratura come creazione. D'accordo, le istituzioni sono per la lelleratura importantissime, e Petrarca, poliedrico e polimorfo, è capace di essere esemplare anche da quest'altro punto di vista; mentre, per un altro verso, la parola creazione è senza dubbio ambigua, e molto dispiace giustamente agli «scienziati della letteratura». Si dovrà ammellere, tuttavia, che esiste (o deve esistere) uno spazio di riflessione che consenta di capire a chiunque (giovane o non giovane) la diversità che passa tra Francesco Petrarca e Folcacchiero de' Folcacchieri. Dubito che si possa definire questa diversità solo accumulando le centomila maggiori bravure del Petrarcanell'uso degli strumenti istituzionali della lelleratura. La parola ineffabile, giustamente, non significa nulla, ma è servita a lungo a circoscrivereuna zona del/'espressione poetica, che con altri mezzi non si riusciva ancora a definire. Più recentemente, accumulandosi sempre più gli strumenti d'indagine scientifica del fatto lei/erario, poiché la scienza, per definizione, non si occupa di ciò che non può essere materialmente definito, insieme con laparola si è preferito sopprimere il problema, e così si è rinunciato a spiegare esalla• mente quello che fa diverso un ogge110 poetico da 1111altro ogge110poetico. Poiché 1101a1bbiamo for11111pleregnanti a disposizione, ci limiteremo a dire che questa zona è rappresentata essenzialmente dalla differenza chepassa tra le istituzioni le11erariein quanto tali, codificabili facilmente da qualsiasi manuale, e la trasformazione individuale, che di volta in volta ne viene realizzata. Non è dello, naturalmente, che questa differenza sia statica anche all'i111ernodell'opera di uno stesso autore: ne può conseguire, anzi, in casi di particolare potenza, una cosi radicale modificazione del processo lei/erario in quanto tale, che la differenza interviene afle11ere a rimanipolare la regolamentazione e in taluni punti a sostituirsi ad essa. Ma è sulla base dello scarto e non della fedeltà che ciò avviene, e Petrarca è esempio straordinario di questo processo, sul piano formale non meno che su quello del sentimento; e vi so dire che gli studenti romani erano assai più interessati alle vicende di questi scarti, alle differenze sentimentali e stilistiche del Petrarca rispello alle norme e alla Norma, che non ad una sua piatta riduzione entro gli schemi de~'evoluzione storico-letteraria, anche ne/l'ultima versione, istituzional-regolistica, che questa ha recentemente assunto presso i più avvertiti e aggiornati dei nosrri studiosi. Se volessi usare una tenninològia pretenziosa, direi che abbiamo riscoperlo in Perrarca,alla luce di un universo fonnale e comunicativo oggi tutto diverso, una fonnidabile macchina del discorso, all'interno della quale tutto rigorosamente si tiene. Un esperimento non inutile, spero, di letruraè consistito nel sostenere e dimosrrare che lo smontaggio dei testi ha (deve avere) un valore semplicemente funzionale al ri-montaggio, perché la macchina (mi richiamo alle considerazioni precedenti) ci si presenta effettivamente integra e funzionante: perciò non dobbiamo farla a pezzi né aggiustarla, - come taluni interpreti un po' presuntuosi attualmente fanno, - dobbiamo solo capire com'è fatta, evitando anzi, sia pure metaforicamente, di romperla Ma una fonnidabile macchina del discorso è anche Machiavelli, o Thomas Mann, o Vilfredo Pareto. Dunque, una spiegazione aggiuntiva è necessaria per capire lapassione verso Petrarcadi questi giovani militanti, o post-militanti, o pre-militanti, o, in ogni caso, di questi giovani e basta, per i quali il mondo ha bisogno ancora - magari a torlo, certo, ma quanti torti come questo hanno una loro imprescindibile fecondità, un loro fascino insopprimibile? - di spiegazioni globali, di una coerenza capace di giustificare la vita. Qui io credo che abbia funzionato, forse per la prima volta nella loro esperienza, il senso del discorso poetico, preso del resto al suo più alto livello. come discorso della eccezionalità e della diversità Ovviamente tu/lisappiamo che anche il discorso petrarchesco ha proc/0110norma, e JOddisfauo le esigenze di regolamentazione di strati importanti della classe dirigente: e siamo già con questo al petrarchismo, alla traduzione in comportamenti, fonne, conce/li generalizzati, dell'esperienza individuale, della ricerca apparentemente data una volta per tulle. Ma c'è un momento nello sperimentalismo petrarchesco, in cui tulio questo è già presente, è già tulio dispiegato ed operante, eppure ancora non manifesta nient'altro che la faccia nuova del suo esserci al mondo, la sua inimitabile freschezza di un non ancora mai dato neanche una sola voltaprima nella storia. Prima di produrre nonna e regolamentazione, prima di rienlrare nel grande universale circolo della comunicazione, a/l'interno del quale tutti gli uomini cercano di essere o almeno di sembrare ugualia tuttigli altri. Perrarca poeta è per un istante l'espressione di una rottura assolutamente eccezionale rispetto allamancanza di regole e ali'altrettanto assoluta anarchia e prosaiciJà del gusto letterario dominante, del modo di sentire e di esprimersi di quel volgo, che sa essere talvolta anche la classedirigente quando si appiattisce ( e Dio sa quante volte capita!) nellapratica del proprio dominio. È stato così nel rapporlo tra Petrarca e i suoi predecessori e contemporanei; è stato così persino nel passaggio decisivo rralinguaggio poetico del '400 e quello del '500; è stato cosi quando Giacomo Leopardi lo ha riscopeno contro il mondanismo spinto delle c/assicheriesettecentesche. Vo"emmo aver fatto percepire agli studenti come, ponendo le cose in questo modo, il massimo della inattualità coincida con il bisogno più atruale,pur non trasferendo a/l'indietro meccanicamente nessuno dei nostri più atruali bisogni. li circolo del linguaggio poetico non è proprio quello della storia, anche se ha a che fare con esso. Evidentemente, c'è al suo interno una unità che continuamente vascoperla e riscoperla, percorsa e ripercorsa: le regole sono mutevoli; cambia molto meno ciò che andiamo cercando. Fa bene ogni tanto rammentarsene, e questo non vuol dire neanche dimenticarsi che esistono altri livelli, altri discorsi, altrapanecipazione. Da un certo momento in poi questo dovei/e essere in qualche misura chiaro, se gli studenti cominciarono a considerare il testo di Perrarca come un sogge110il quale difficilmente poteva essere ridotto agli elementi che lo componevano. E qui anche noi abbiamo imparato qualcosa d'importante. Ci siamo accorti, infatti, che gli studenti non erano lì per imparare i dribblings, o a tirare le punizioni, o a disporsi bene nei comers.: loro volevano «giocare» a tutto campo fin dal primo momento, come del resto fa qualsiasi ragazzino, che venga portato per la prima volta su di un campo di calcio. E giocare non significa in nessun gioco conoscere le regole, come pensa qualcuno il quale evidentemente ritiene che lo sport più affascinante e invidiabile sia quello de/l'arbitro: giocaresignifica sperimentare realmente il proprio mestiere (di poeta, di scri11ored, ilettore, di leuore-docente, di lei/ore-studente, ecc.), e, quindi, sapere bene, benissimo, le regole, ma sapere al tempo stesso che laconoscenza delle regoleè conoscenza anche dei loro limiti, della loro casualità ed empiricità, del gusto che c'è nel- /' infrangerle, del loro esserci per spiegare e per «tenere», ma anche per essere spiegate, interpretate e magari cambiate (le regole, intendo dire, non il testo, che resta, appunto, quello che è e che è sempre stato): conoscere le regole per poter sbagliare, per poter fare a modo proprio, non come il maestro elencatore (del resto insopprimibile e fondamentale) te le ha elencate... Un Petrarca divo della canzone, insomma, se qualcuno così lo preferisce, o residuato, al contrario, di lontanissimi, archeologici archetipi di associazioni mentali ormai irripetibili, se qualcun altro così lo preferisce: purché in ogni caso, sempre, resti al centro la sua capacità di una produzione di discorso che sta o al di qua o al di là di ciò che immediatamente saremmo portati ad esprimere come uomini del nostro tempo. Anche questo è uno scarto, uno dei tanti (o deipochi) dei quali viviamo. La coerenza non sta nel rinunciarvi, come forse molti giovani hanno pensato nel corso degli ultimi dieci anni; la coerenza sta nell'accoglierlo accanto a tu/li quegli altri ~rti (p intendo esauamente, al tempo stesso, differenze e residui, rifiuti), di cui soltanto la nostra coerenza può comporsi.
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