Alfabeta - anno I - n. 3/4 - lug.-ago. 1979

-o ..... <::s -~ <::s ~ °' " °' .9 Oc -::! ,...., i;: ~ ., .e:, ~ <::s CAPPELLI «Biblioteca Cappelli» I classici;le riscoperte,il pensiero nuovo. G. 1 ~· autori e i testi che hanno /atto e /anno epoca Novità PIERO SRAFFA INTRODUZIONE Al «PRINCIPI» DI RICARDO a·cura di Giorgio Gattet~L. 3.500 BERNARD BOLZANO I PARADOSSI DELL'INFINITO saggiointroduttivo di Enzo Melandri, L. 3.500 Nella stessa collana: JOHN LOCKE CONSIDERAZIONI SULLE CONSEGUENZE DELLA RIDUZIONE DELL'INTERESSE a cura di FrancescoFagiani~L. 4.000 CHARLES S. PEIRCE SCRITTI DI FILOSOFIA a cura di William B. Callaghan,L. 6.000 MICHEL FOUCAULT RAYMOND ROUSSEL L. 4.000 ALFONSO SASTRE LA RIVOLUZIONE E LA CRITICA DELLA CULTURA introduzione di Laura Dolfi e Magda Ruggeri Marchetti~ L. 5.000 GILLES DELEUZE LA FILOSOFIA CRITICA DI KANT. DOTTRINA DELLE FACOLTÀ saggio introduttivo di Enrico M. Forni, L. 4.500 MARC JIMENEZ ADORNO: ARTE, IDEOLOGIA E TEORIA DELL'ARTE L. 4.500 R I V I s T A s E M E s T R A L E di p s I e A N A L I s I in libreria distribuzione PDE ADALBERTO BONECCHI .Pratica analitica e sovversione del soggetto. ERMINIA LONGINOTTI .Le vicissitudini della domanda in un'istituzione. FRANCESCO PAZIENZA .Matematica di un passo. ANTONIO BARBI .Sofistiche proustiane: una traversata. IVANA CORTELAZZI .Ai bordi dell'immagine. ALEN CARRARO .Poesia. Teatro di un incontro. FRANCO ARDEMAGNI .Pieghe del rituale. quell'attività decisamente «strana» che porta in molte culture da millenni piccole folle a radunarsi per assistere (teatro. da theaomai. guardare) a un «fare» privo di scopo immediato e ripetuto di alcuni «attori» (=«coloro che fanno»)? E sulla pratica di costoro. un «fingere» che non imbroglia nessuno. ma è anzi socialmente convalidato. dunque un «fingere di fingere»? In parte probabilmente sì. Ma prima di accennare alle possibilità di un'analisi «semiotica» di questo tipo. bisogna affrontare un paio di possibili equivoci. In primo luogo. come si è accennato più volte. non «teatro» ma «teatri»: non solo per i diversi modi di organizzazione stilistica. contenutistica. se vogliamo tornare a questa terminologia. per i diversi «codici» in gioco. Ma soprattutto per i diversi possibili fondamenti antropologici di una tale attività. «Perdita del sacro» secondo Nietszche o mimesi secondo Aristotele. autocoscienza sociale ed elevazione morale secondo Goethe e Diderot. saper fare dei saltimbanchi. «sincerità» di Grotowski. uso politico di Brecht. sogno sociale/asociale di piccoli gruppi alla ricerca della differenza di Barba. arte bella per una certa tradizione occidentale ... E importante sottolineare il rischio che una semiotica del teatro diventi ideologia di un certo modello antropologico di teatro. Il modo di funzionamento. la macchina semiotica di un teatro non è certo indifferente alla sua funzionalità antropologie;,. al suo perché. Non semiotica del teatro. dunque. ma semiotiche dei teatri. unificate al massimo da una possibile premessa sulle condizioni comuni di funzionamento. In secondo luogo: comunica il teatro? O meglio: comunicano i teatri? Georges Mounin l'aveva negato con l'argomento alquanto semplicistico che questa eventuale comunicazione fluirebbe solo a senso unico dalla scena alla sala (Introduzione allasemiologia. Roma. Ubaldini. 1972. pp. 91). Bettetini obietta che esiste comunicazione intrascenica e fra scena e pubblico. e comunque per De Marinis ogni oggetto artistico comunica alineno sul piano delle connotazioni (che non è molto più di una conseguenza del famoso argomento di Roland Barthes. secondo il quale «per il solo fatto che c'è società. ogni uso è convertito in segno di questo uso»). B isogna dunque ammettere che da certi punti di vista i teatri comunicano. come quasi ogni altra cosa. Ma è la comunicazione il loro meccanismo fondamentale? Detto in altre parole. un'analisi che punti a mettere in luce il funzionamento comunicativo della pratica teatrale. coglie il centro del suo oggetto. É lecito dubitarne. anche senza voler contrapporre una volta di più una semiotica della significazione a quella della comunicazione (benché sia certo che in generale i teatri significhino più di quanto comunichino). Piuttosto è chiaro. findalla teorizzazione aristotelica della catarsi. che in generale i teatranti si propongono di fare qualcosa al loro pubblico. anche col pretesto di dire loro qualcosa. Il fingere di fingere dell'attore. o se vogliamo il suo mostrarsi. come sapeva già Agostino. è dell'ordine della seduzione. del fascino; magari dell'attrazione/repulsione che esercita il corpo morto. secondo un'immagine agostiniana ripresa in questi anni da Tadeusz Kantor (li teairo della morte. in corso di pubblicazione presso Ubulibri/il Formichiere); e vale la pena di richiamare a questo proposio la nozione artodiana di crudeltà. con gli sviluppi che ne ha dato Jacques Derrida:crediamo in direzioni non contrastanti da questo discorso. Questo fare dei teatri risponde a bisogni differenziati del soggetto produttore. a una sua condizione sociale; ma soprattutto si organizza secondo strategia. che sono in parte anche strategie comunicative. significative. codificate. Su questo punto. crediamo. sulle strategie della seduzione scenica (che sono dalla parte del soggetto. significanze kristeviane. lavoro produttivo di differenziazione) deve accentrarsi un'analisi dei fatti teatrali che si può chiamare ancora semiotica . Si sfuggirà così alla tenaglia fra comunicazione codificata e «stimolazione» pavloviana che è comune a Mounin e ai teorici del teatro come testo pluricodificato. Agire sugli spettatori non vuol dire solo «instaurare un circuito stimolo-risposta». E certo non tutto il teatro è «messa in scena del linguaggio». Le strategie di seduzione si articolano in presenze. rapporti non segnici o non interamente segnici. Eco ha proposto che la modalità d'uso di oggetti scenici (una sedia. una musica. il corpo dell'attore) sia quella del segno ostensivo: l'oggetto starebbe per la classe dei suoi simili. l'esempio denoterebbe il suo Sinn. In parte questo accade. ma certo Ekkehart Schall nel Cerchio di gesso non è segno di se stesso. né di Azdak. né degli uomini in generale. Può rappresentare tutte queste cose. ma le organizza in una presenza attiva di per sé. Il paradigma diderottiano dell'attore «privo di sensibilità» che mentre «copia la natura». amministrando parcamente i suoi segni. raccoglie orecchini per terra e amoreggia con la fidanzata in quinta. è solo uno dei possibili modelli del lavoro teatrale. C'è la riforma novecentesca del teatro. in cui l'attore è chiamato a esprimere in scena la sua verità (verità umana. «autopenetrazione». per Grotowski. verità politicosociale per Brecht. ma la differenza dal punto di vista semiotico è assai minore di quanto si voglia pretendere). c'è l'attore orientale che manipola codici (questi sì) tradizionali e riesce a tradurli per un pubblico che spesso ne ignora la chiave. c'è l'attore dionisiaco che è il dio ... Il discorso si potrebbe estendere ad altri elementi scenici. Quel che conta è che il rapporto semiotico. il materiale di significazione e comunicazione. la presenza di codici. può variare enormemente nelle varie culture. può essere manipolato a svariati livelli. può anche modificarsi notevolmente nelle varie repliche di uno spettacolo. Decisiva è la presenza strategica del teatro (e in definitiva dell'attore). il suo fare. la macchine (eventualmente anche macchine di comunicazione. di codice) che sono messe in gioco all'interno di tale presenza. La presenza in carne ed ossa dell'attore non è solo insomma il centro ineliminabile di ogni fatto teatrale. il criterio distintivo del teatro rispetto ad altri spettacoli (o arti. o comunicazioni); è anche la chiave per comprendere il singolo fare di ogni teatro specifico. la sua strategia seduttiva. con quanto vi è in essa di comunicativo. di codificato. di stimolato. o semplicemente di agito. É questo dato irriducibile della presenza a trasformare gli atti e le cose del teatro in «segni efficaci». Naturalmente ciò avviene mediante convenzioni. tecniche. codici. accorgimenti che costituiscono la significatività e l'efficacia della presenza. Palcoscenici e luci. ma anche testi drammatici e regie. cerchi magici e interdizioni sociali. sono alcuni di questi strumenti. in differenti contesti culturali e secondo diversi progetti strategici. Da questo punto di vista torna significativo e importante l'antico dibattito più volte rinnovato (Diderot. Stanislavskij. Brecht. Artaud. Grotowski) sull'immedesimazione e lo straniamento dell'attore. Non si tratta di una questione tecnica (non si è mai discusso se e quanto un autore letterario debba credere alle sue creature. se un poeta debba essere in una trance esaltata o in un minuzioso spirito critico quando scrive); piuttosto il dibattito confronta differenti progetti di presenza. e ogni diversa soluzione ha sortito infatti effetti sostanziali sull'impianto teatrale. e è un'ultima questione da affrontare. prima di chiudere il discorso. ed è radicale: come si trasmette la presenza dell'attore al suo pubblico? Non sarà per caso «comunicata» da segni. codici. pluralità di canali? Non dovremo insomma far ritorno al testospettacolo che si è appena lasciato cadere? In parte ovviamente. la risposta non può che essere positiva. la presenza è mediata attraverso tutte queste cose; i particolari dell'azione e le norme ideologiche. i messaggi sul contesto e anche la qualità estetica passano evidentemente in buona parte per i meccanismi tradizionalmente descritti in termini semiotici. e come tali essi sono costitutivi degli effetti di presenza. Ma tutto ciò non basta. Esiste un gioco fondamentale di immedesimazione. o simpatia. o iconismo. per cui quel che fa l'attore di fronte a me mi riguarda. e tanto più mi riguarda quanto più l'avventura del teatro ha successo. Non è un effetto comunicativo . ternario: anche se l'attore ha molte facce ed è molti strati di senso. il gioco si svolge a due. fra me spettatore e la sua presenza. E non si tratta neanche di un semplice circuito stimolo-risposta. perché gli effetti di senso ne fanno parte. Si tratta di spiegare questa presenza. di comprendere i meccanismi che la sostengono. e i modi in cui i vari teatri la utilizzano. Un lavoro reso difficile oltre che dall'assenza di analisi empiriche. anche dalla mancanza di terminologie. Il linguaggio della critica tende a sciogliersi i!'Iaggettivazioni liriche di fronte alla presenza dell'attore. e quel tanto di elabora ione teoricopratica che è uscita dai teatranti che se ne sono occupati ha forti componenti metaforiche: si parla di «energia». «sincerità». «nudità». ecc. C'è forse una strada interessante da seguire per comprendere questo problema. e ce la offre Ernst Gombrich nel suo saggio su «La maschera e la faccia» (compreso in Gombrich. Hochberg e Black. Arte, percezione e realtà: è «la vecchia teoria dell'empatia». per la quale «almeno per quanto riguarda la percezione facciale. non vi è alcun dubbio che la comprensione del movimento facciale degli altri ci derivi in parte dall'esperienza del nostro» secondo una «disposizione innata ad attuare la tradizione dalla vista al movimento». che fa si che noi «interpretiamo e codifichiamo la percezione delle creature non tanto in termini visivi ma muscolari». In questa maniera «il nostro calcolatore interno» sa leggere non solo le espressioni facciali. ma soprattutto «quel tono generale. quella melodia formata dalla transizione da determinate forme di rilassamento a gamme di tensione e ciò a sua volta impronta la velocità di reazione di una persona. l'andatura. il ritmo del discorso». In sostanza. suggerisce Gombrich. noi percepiamo gli altri. il corpo degli altri. imprimendo al nostro sistema muscolare le tensioni e i rilassamenti che ci porterebbero a essere come colui che studiamo. e valutando la nostra risposta propriocettiva: senza muoverci stendiamo le labbra e allunghiamo il naso. bilanciamo la pancia e inarchiamo le gambe. ci sentiamo tronfi. e giudichiamo ridicolo il signore grasso che ci sta di fronte. Forse il teatro lavora essenzialmente a questo livello di iconismo muscolare ( che è qualcosa di più del banale meccanismo dell'identificazione): i salti di Ferruccio Soleri in Arlecchino non ci fanno allegria per un codice gestuale. anche se vi rientrano. ma per questo effetto di empatia; il corpo di Ryszard Cieslak nel Principe costante ci commuove profondamente coi suoi abbandoni dolorosi non tanto attraverso le citazioni michelangiolesche che possiamo leggervi. ma soprattutto per la massa di particolari della postura che ci fanno «sperimentare» propriocettivamente fatica e dolore. Naturalmente. come ci insegna Goffmann. tutti recitano sempre nella vita quotidiana; «il nostro calcolatore interno» è dunque particolarmente allenato a discriminare nella grana fine del comportamento menzogna e verità. ostentazione e dissimulazione. e questo meccanismo regge anche in una situazione che macroscopicamente accettiamo come non veridica. É a questo livello dunque che pesano i problemi dell'identificazione e della tecnica dell'attore: la sua capacità di condurre a effetto in maniera «sincera». «energetica». «nuda». ecc. i processi empatici. Possiamo a questo punto concludere il discorso. Il punto di partenza del teatro è la presenza. e l'empatia propriocettiva probabilmente ne spiega gli effetti. Questa presenza riassume in sé meccanismi di codificazione comunicativa e significante. amministrandone gli effetti (come pure quelli empatici) come mosse in una partita che mira ad agire sul pubblico in una direzione o nell'altra. a provocargli eccitazione o catarsi. divertimento o educazione. ardori religiosi o bollori sessuali. Le varie strategie hanno le loro regole retoriche e comportano cocktails semiotici diversi. effetti più o meno forti. componenti privilegiate emotive o razionali. letterarie o musicali. Ogni strategia avrà bisogno di un'analisi differente. con strumenti autonomi; una semiotica generale del teatro può limitarsi solo a prendere atto delle divergenze. classificandole secondo il solo segmento comune: la strategia della presenza.

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