Alfabeta - anno I - n. 3/4 - lug.-ago. 1979

posito. anche per il taglio manualistico del discorw. il confronto tra Freud e Saussure (a tutto scapito del secondo in senso anche quantitativo: su quattro paginette gliene tocca mezza) in nome della comune area «microretorica». comprendente quelle che Barilli chiama le «pratiche intraverbali» del discorw: metatesi. ellissi. crasi. apocopi. anagrammi - i metaplasmi del gruppo di Liegi. A quest'area microretorica si possono ricondurre le analisi pertinenti la «grammatica dell'arguzia». cui è dedicato il numero 18 di Versus (1977): Giovanni Manetti e Patrizia Violi elegantemente classificano i meccanismi semantici dei crittogrammi (che determinano ad esempio la relazione fra «redditi netti» ed «entrate pure»; «tigre malese» e «laFiera del Levante»; «zuffa di scolari» e «lotta di classe»; «morte di Stalin» e «tramonto di un rosso acceso». e via di seguito). 1n sostanza. l'ipotesi finale di Barilli è francamente ottimistica: accanto al recupero moderno dell'invenlio e della disposilio avvenuto con la neo-retorica alla Perelman. accanto al benessere invidiabile di cui continua a godere l'elocutio come terra da semina (basti pensare che la semantica della sola metafora conta oggi una bibliografia • da capogiro). sta tornando all'arrembaggio anche l'actio. scortata dalla memoria e dalla pronuntiatio. La riedizione attuale dell'univerw acustico (accanto all'univerw visivo) come realtà oggettiva. ma anche come potenziale oggetto di studio. è dovuta al fatto che «ci stiamo lasciando alle spalle l'era gutenberghiana-meccanica. cui subentrano. soprattutto nel settore delle comunicazioni. i media dell'elettrotecnica in generale. e dell'elettronica in particolare». Allora (sulla scia di McLuhan) succede che grazie alle attuali tecniche della comunicazione culturale di massa verba manent, scripta volant: all'invalsa abitudine di registrare il linguaggio orale nelle sue manifestazioni pubbliche fa riscontro la sconfortante velocità di consumo di una scrittura a stampa inflazionata. Se tuttavia cerchiamo esempi vicini di questo crescente revival dell'oralità. come tendenza tipica di una cultura che dev'essere fruita dal maggior numero di perwne ancor prima di sedimentarsi. vengono subito in mente allucinanti trasmissioni televisive come Domenica in. che inchioda ogni domenica pomeriggio sprovveduti nugoli d'italiani davanti al piccolo scherrno per cinque ore filate; incessanti radio-emissioni di disco-music da antenne pubbliche e private; blateramenti interminabili ad ogni occasione e attraverw ogni canale: intervista. dibattito. congresso. assemblea. presentazione. commemorazione. pettegolezw. reportage (anche ben fatti. s'intende). ecc. Il tutto - ahimé - non sembra perora improntato al buon uso retorico (logico. argomentativo. esplicativo) dell'oralità montante. e neppure un molteplice invito alla «fantasia retorica» attraverso le pratiche verbali e non verbali della comunicazione. A I volumetto di Barilli è seguita a breve distanza la ristampa da parte della Bompiani di un fortunato libriccino di Barthes intitolato La retoricaantica. Si tratta originariamem~ di un seminario tenuto da Barthes nell'anno accademico 1964-'65, poi pubblicato sul numero sedici di Communicalions già citato; edito dalla Bompiani sette anni fa nella collana «I satelliti», e ristampato or ora nella collana «Nuovo Portico»: tranne il modesto aggiornamento bibliografico, non è stata toccata una virgola rispetto alla p~a edizione neppure nel risvolto di copertina. leggerrnente datato. La retorica, definita da Barthes come metalinguaggio (o «discorw sul discorw») è vista come viluppo di sei pratiche diverse, variamente interrelate fra loro come nelle diverse epoche: una temica, un insegnamento, una proto-scienza, una morale, una pratica sociale (come tecnica selettiva che assicura alle classidirigenti la «proprietà della parola»), una pratica ludica (la «retorica nera» del rifacimento satirico, goliardico, osceno della cultura retorica ufficiale). Questo viluppo attesta non solo «l'ampiezza del fatto retorico», ma l'acutezza con cui quindici anni fa Barthes intuiva che la reviviscenza dell'antica retorica non può che essere o un répechage erudito o una ri-formulazione di livelli d'analisi retorica molto diversi tra loro (il «retorico» di cui parla Kuentz). Non tutti gli aspetti del discorw barthesiano sono cosi incoraggianti: particolar-· mente duro da inghiottire è il logocentrismo del suo approccio, per cui la «parola retorica» è molto letterariamente sentita come una prostituta sexy ma imbroglion:, che esiste e fornica e lavora anche in assenza di partoers: una specie di pratica senza praticanti. Il solito gusto francese per le ipostatizzazioni, direbbe qualche filosofo di solida formazione positivista: il che non toglie che con questi francesi bisogna continuamente fare i conti, e che, bene o male, la neo-retorica è un frutto dell'albero franco-belga, almeno in senso stretto. Il libro di Barthes comprende una sezione storica • (Il viaggio) di sette eapitoli in forma di brevi cappelli, che vanno dalla nascita alla morte della retorica attuando un lavoro di sintesi storico-critica che ha del prodigioso; e una sezione sincronica (ll reticolo) di tre capitoli fittamente sottoparagrafati, e dedicati rispettivamente all'invenlio, alla dispositio e all'eloculio. La convinzione complessiva di Barthes che la retorica sia morta è già delineata nell'indice: infatti, l'ultimo paragrafo della sezione storica s'intitola «fine della retorica»; inoltre, la sistematizzazione del «reticolo» esclude le componenti non linguistiche della retorica (facenti capo all'actio }. Dunque, il campo d'osservazione di Barthes si limita alla retorica verbale, con un'attenzione programmatica non troppo occulta per la solita elocutio, ambito figurato del letterario e dei suoi poteri esorcistici. Il che spiega il pessimismo di Barthes sul destino della neo-retorica, fagocitata dal «linguistico», e la sua sospensione di giudizio, ma non giustifica il totale silenzio sul trattato di Perelman, quasi che con la retorica - antica o recente - esso non abbia nulla a che fare. L'ottimismo di Barilli circa la vitalità dell'odierno campo retorico sembra allora più sostenibile (malgrado certi svolazzi pirateschi del suo manuale): quanto meno, quest'ottimismo nasce dalla constatazione di fenomeni oggettivi, irriducibili a un'unica categoria d'analisi e neppure ignorabili tout court. ' ra l'ottimismo di Barilli e il pessimismo di Barthes s'insinua la voce pacata del linguista-filosofo francese Oswald Ducrot, di cui è stata tradotta ora un'importante monografia: Dire et ne pas dire (Parigi, Hermann, 1972): la traduzione italiana a cura di Pietro Montani è uscita appena prima della ristampa di Barthes nelle edizioni Officina. Questo lavoro ha una grossa pertinenza «macroretorica», nel senso che indaga il fenomeno retorico del funzionamento del discorso, e in particolare i vari usi dell' «implicito» che più interessano per un eventuale raccordo con la teoria dell'argomentazione) e della «presupposizione» (con cui Ducrot entra io un'area di pertinenza più propriamente logico-linguistica). Le «manovre stilistiche» di cui parla Ducrot sono strategie comunicative fondate appunto su certi usi «impliciti» del linguaggio. Tali manovre riescono non se si fa credere a qualcuno nero (o grigio) per bianco, ma solo «se si può negare d'aver detto ciò che in effetti non si è detto», rifiutando una responsabilità linguistica pericolosa. Immaginiamo un dialogo fra due innamorati in crisi: Lui: «Mi ami si o no?». Lei: «Dipende». Lui: «Allora non mi ami». Lei: «Non ho detto questo». Lui: «È come se tu l'avessi detto». Lei: «Perché vuoi farmi dire quello che non ho detto?», ecc. L'intesa argomentativa fra i due interlocutori è in simili casi impossibile: paradossalmente, vi è «cooperazione conversazionale» solo nel non cooperare: in particolare, nel nostro esempio è «lei» che non accetta il linguaggio esplicito di «lui». adottando più o meno inconsciamente la tattica della «manovra stilistica». L'uso dell'implicito, sulla falsariga delle finezze analitiche di Ducrot (uno dei pochi filosofi del linguaggio o pragma-linguisti che non soggiacciono all'illusione nominalista sotto la forma del «furore tassonomico» segnalato da Barthes o, peggio, della lussuria nomenclatoria}, si osserva anche, frequentemente, negli usi comuni e propagandistici del linguaggio sottoforma di entimema (o sillogismo accorciato}. Se ad esempio dico a un amico: «Oggi non ho fumato» e l'amico mi risponde: «Roba da matti (o: Impossibile)!» significa che ha sottinteso il fatto (la premessa informativa) che io normalmente fumo parecchio; analogamente, lo· slogan elettorale «Vota X. Per non farti prendere io giro» è un entimema che «implica» la premessa (maggiore): «Votare gli altri partiti significa farsi prendere io giro». Il fatto interessante è che nell'uso linguistico - contrariamente a quanto succede ad esempio nella logica - l'esplicitare simili premesse implicite costituirebbe una stranezza, una pedante caduta nell'ovvietà. Dalla frequenza di questi e altri fenomeni retorici più sofisticati, che coinvolgono i vari tipi d'ironia o 'contro-messaggi' (come a livello di smorfie e mimica facciale, il cosiddetto «tongue-io-cheek» esaminato da Guiso Almansi nel numero trentasei di Poétique, uscito l'anno scorso e tutto dedicato all'ironia} si può trarre l'ipotesi che l'attività linguistica - anche estranea alla letteratura - è normalmente di tipo indiretto (dunque retorica). Io effetti, l'impiego retorico delle domande («Sai che mi sei simpatico?») o delle affermazioni («Ti sarei grato se la smettessi di dire scemenze»} è dal punto di vista della conversazione un fenomeno talmente comune da passare inosservato; eppure, i suoi effetti discorsivi e pratici sono incredibili, soprattutto quando i sottintesi si codificano io procedure rituali, molto cooveoziooalizzate (o ipercodificate, come direbbe Eco) generando formule fisse, di galateo o di (auto)- ceosura linguistica. La linguistica testuale 'made in Germany', cosi promettente al suo nascere, avrebbe dovuto inglobare nel suo oggetto di studio anche dati di questo tipo: io realtà, essa ha preso una piega sempre più metateorica (di «teoria della teoria del testo») e logico-formale: all'interno delle sapienti costruzioni testuali si contempla talora anche un «componente retorico», come rametto di qualche schema fronzuto: ma questo rametto è per lo più lasciato seccare in attesa di chissà quali innesti. 1n definitiva, il revival retorico attuale si può imputare in parte alla continua domanda di forme circolari del sapere, io veste di enciclopedia, trattato, antologia, manuale (vuoi a livelli specialistici vuoi a livelli divulgativi), in parte a qualche misterioso ricorso che circola in toga e parrucchino, travestito da Occam o da Cartesio; altri potrebbero pensare a una nemesi storica ai danni congiunti di linguisti e semiologi troppo snob: ma le interpretazioni causali sono sempre sconsigliabili, e mentre da una parte vale sempre il nemo propheta inpatria, dall'altra il rumoraccio dei tempi confonde le idee. Maria Corti parlerebbe forse di «medievalizzazione della cultura»; rammentando tuttavia che proprio l'inizio del Medioevo ha segnato il passo della retorica a favore della dialettica e della grammatica, è possibile pensare piuttosto a un ritorno della concezione originaria della retorica, quella già in nuce argomentativa dei sofisti (che non c'entra con le posteriori connotazioni 'barocche'). Quest'ipotesi ha anche un lieve sottofondo augurale: ben venga la riscoperta di un modo corretto e articolato di argomentare in tutte le aree dell'attività linguistica, insieme alla rivalutazione dell'inventio e della dispositio. Queste ultime regolano infatti, nientemeno, l'ideazione e l'organizzazione di qualunque discorso: in base ad esse l'ultimo libro di Manganelli (per citare un esempio letterario recente) è altamente retorico. Questa serie di recuperi potrebbe farci sentire in qualche modo meno orfani di ragione, ma anche meno «dilettanti scienziati»: per non trasformarci tutti, fra un battibecco e l'altro. in animali metaforici e grilli parlanti. PARlAMEtv10 NUOVO VITA ~IJOVA: DA DOMA~\ Ml FACLlLOA RlGA IN ME2ZO. ARTDIARY 1979 Art Diary è una guida tascabile che ogni anno pubblica 15.000 indirizzi di artisti, critici, gallerie d'arte, musei, riviste d'arte, librerie, istituzioni d'arte pubbliche e private, fotografi d'arte, case d'asta, ecc. di tutto il mondo. La più completa guida al mondo dell'arte. Una copia L. 7.000 FLASHART Flash Art è la sola rivista d'arte in Italia e in Europa con una circolazione veramente internazionale e che tende ad informare il lettore sugli avvenimenti e sulle situazioni culturali ed artistiche più attuali ed incisive in ogni parte del mondo. 5 numeri l'anno riccamente illustrati in bianco/nero e a colori. 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È cosi nata la «Società di poesia» per sottoscrizione di quote da parte di tutti coloro - poeti, critici, operatori culturali, rappresentanti del mondo editoriale, semplici appassionati-che hanno a cuore la conoscenza e la diffusione della poesia italiana. La «Società di poesia» si è costituita il 3 marzo, a Milano, con l'assemblea fondativa dei soci - circa duecento - che hanno eletto il consiglio di amministrazione e il comitato di lettura con il compito di scegliere i testi - in numero di sette - da pubblicare nel 1979. L'uscita dei primi quattro volumi è prevista per la prima settimana di giugno. La «Società di poesia» intende inoltre porsi come punto di riferimento organizzativo e come centro propulsore di iniziative, sul tema della poesia contemporanea, sia italiana che straniera. Per questo la «Società di poesia» ha dato vita al «Qub amici poesia» con l'intendimento di riunire attorno alla casa editrice tutti coloro che, anche senza esserne soci, intendono seguire la sua attività, sostenere le sue iniziative, porsi come centro organizzativo di manifestazioni - a livello locale, in sede nazionale o a carattere internazionale - per una maggiore e più qualificata conoscenza della poesia. -9 ]° ,.., ::: ~ -O Via Turati 6 20121 Milano ~ .,_________________________________ , si

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