Alfabeta - anno I - n. 3/4 - lug.-ago. 1979

oc, -. avere nessun'eco, nessun riverbéro, ce lo dice all'inizio il vecchietto che presenta la sala. Vibrano e assorbono, terrei, silenziosi. L'architettura assiste all'esperimento preparato, regge l'aumento dell'intensità, della pressione interna che viene portata fino al limite della sopportazione. Il ritmo del filmè infatti tutto centrifugo, in espansione, esplosivo e retto dalle pareti fino al momento cruciale. Quando l'intensità supera il punto critico, quando le onde sonore, gli urli, la follia superano il livello massimo richiesto, solo allora la pressione viene fatta sfiatare. dall'esterno vengono fatte t:ontrollare le pareti. Solo allora, piano piano si riprende, si riparte dopo che il ritmo è stato fatto crollare di colpo, l'intensità precipitata. Non si sa ora se la televisione se ne è andata via oppure se è ancora lì, curiosa; interviste però, meno male non ne fa più. Tutta la preparazione ora è finita; il disegno prestabilito della protesta eseguito, tutto il montare ha portato al suo effetto massimo e ora, esploso, si è ottenuta la docilità; gli orchestrali suonano, la ribellione è finita ed esaminata a sufficienza fino in fondo; tutto sembra finito e si può quindi iniziare. Fi_nita una prova perlomeno (quella in senso figurato) si è passati all'altra, quella effettiva, musicale, anch'essa ormai compiuta senza problemi e difficoltà. Ma l'ultima scen.. del film,è importante poiché ancora pone la conclusione di prima come partenza di nuovo; l'esecuzione che sembrava definitiva come provvisoria. Dopo il ritorno della telecamera dall'alto (durante l'esecuzione del pezzo) al livello del pianoterra, quando viene inquadrato ancora soltanto il direttore dal punto di vista di un orchestrale, lo schermo si fa buio e si ripresenta il ribaltamento, la metamorfosi (3); quando tutto sembrava finito dopo lo sforzo, quando tutti sono sudati, sporchi, esausti, la rabbia è stata fatta sfogare, l'ordine della stanza distrutto ma il pezzo finalmente eseguito dall'inizio alla fine per intero senza interruzioni (non provato, eseguito), troviamo che si è ancora all'inizio, che tutto è da rifare, che bisogna ricominciare daccapo un'altra prova. Tale quale l'ultima scena nel finale di 8 e mezzo in cui finalmente inizia il nuovo film (che, in un senso non vedremo, nell'altro l'abbiamo già visto) o del Casanova dove la metamorfosi ricomincia a Venezia. Il nuovo direttore è diventato come il vecchio: riesce a «tenere lì» gli orchestrali a tempo indeterminato. fuori dagli schemi sindacali e solo in quelli musicali, religiosi. La «prova» non finisce, si è sempre in prova; religiosamente si è sempre sotto osservazione, alla ricerca; qualsiasi stato si raggiunga, la situazione degli orchestrali che paiono essere arrivati alla fine non cambierà: si ribalta e inizia da capo. Rincorsa sfibrante dietro una tartaruga che non si può raggiungere o, più semplicemente, viaggio che non è ricerca di un cinema ripetizione di se stesso, puro vagare ottimistico in cui ogni personaggio accetta il proprio ruolo, la propria parte in quello spettacolo: tournée di un circo che si sposta in continuazione senza cambiare né spettacolo né personaggi: «è un'altra volta?, è solo una ripetizione» (in quanto tale, una novità). Retoriceauforica Flavia Ravazzoli Roland Barthes La retorica antica Milano. Bompiani. 1979 pp. 113. lire 3.500 Renato Barilli Retorica Milano. !SEDI. 1979 pp. 173. lire 3.500 Oswald Ducrot Dire e non dire Roma. Officina Edizioni. 1979 pp. 330. lire 12.000 Capita. nei grandi alberghi o nei palazzoni pubblici. che di vari ascensori disposti in parallelo ve ne sia uno eternamente occupato. imprendibile anche al dito più lesto: qualcosa di simile accade oggi con la retorica-intesa non solo come strumento ideologico o come un modus vivendi della cultura. ma come specifico oggetto di studio. Che questo ascensore segni rosso a differenza d'altri teoricamente disponibili è attestato da vari indizi: una tavola rotonda svoltasi il diciotto di questo maggio a Roma sul tema Rhétorique et Histoire; un convegno tenutosi a Bressanone nel luglio scorso a cura del circolo filologico padovano e tutto dedicato alla retorica; sempre l'anno scorso i seminari estivi di Urbino vertevano sulla «facciata» retorica della semiotica; quattro anni fa la Società di Linguistica Italiana aveva promosso un convegno a Pisa su Linguistica e retorica. e questi sono solo alcuni esempi del fenomeno. a livello di «cultura alta». Dal canto suo l'editoria. dalle riviste specializzate in materia linguistico-letteraria all'antologica di prestigio. dal manuale alla traduzione di singole monografie. risponde sempre più generosa alla fame di argomenti retorici con iniziative (come vedremo) di prima e seconda mano. Una prima provocazione a inquadrare il fenomeno nella sua dimensione ufficiale (quella delle ricerche specialistiche. più o meno strettamente collegate al sapere accademico). è contenuta nel saggio di Pierre Kuentz: Le «rhétorique» ou la mise à l'écart. apparso sul numero sedici di Communications del 1970. numero tutto dedicato - e in questo senso pionieristico entro il settore riviste - alle recherches rhétoriques: segno che nove anni fa il boom retorico aveva già ricevuto in Francia l'imprimatur della «cultura che conta». Secondo Kuentz occorre parlare non tanto di ritorno alla retorica. come tendenza culturale «regressiva» a rilanciare il sapere globale della dottrina retorica antica. quanto piuttosto di ritorno del «retorico». come rigurgito di un complesso di nodi problematici non risolti e non organici (il «retorico») entro i piani nobili della cultura moderna. li fatto poi che la prima tendenza possa entrare in collisione (o «collusione») con la seconda. come di fatto è accaduto in sede teorica e continua ad accadere. sarebbe dovuto per Kuentz a tre pregiudizi epistemologici di fondo. che in gradi e modi diversi permeano oggi le varie «scienze dell'uomo»: a) un pregiudizio analitico. per cui si pensa di poter ridurre una teoria ai suoi elementi costitutivi prescindendo dalla problematica generale (legata a un preciso momento storico della cultura) che conferisce loro un senso; b) un pregiudizio teleologico. per cui si tende a finalizzare il «prima» al «dopo» sotto le specie della prefigurazione. dell'intuizione anticipatoria: di qui la caccia spietata ai precursori e ai precorrimenti teorici; c) un pregiudizio empirista. che contiene i primi due. per cui si trattano gli enunciati di una data teoria come fossero «cose»: in altri termini. è la tendenza ad assumere come oggetti di studio scientifico accumulazioni progressive di «verità» riciclabili e riutilizzabili pezzo per pezzo. riducendo le teorie a schemi combinatori. A ciò si deve aggiungere. spauracchio finale. l'illusione nominalista. che riduce il concetto alla parola. per cui l'ossessione terminologica in un testo è sostitutiva della carica concettuale sottostante. Di fatto. la tendenza nominalista della moderna neo-retorica è il fenomeno più vistoso: ma è solo la punta dell'iceberg costituito dalle molte. contrastanti sfaccettature dell'attività retorica contemporanea. P er comprendere allora più da vicino l'infida vaghezza di cui è ancor oggi aureolata la parola «retorica». bando ai pregiudizi e oc- • chio alle definizioni antiche: «Definiamo la retorica come la facoltà di scoprire in ogni argomento ciò che è in grado di persuadere» (Aristotele); «La retorica è scienza del comportamento e dell'attività nelle azioni giudiziarie regolata da un discorso in grado di persuadere tutti» (Quintiliano); «La filosofia è la conoscenza delle nozioni più elevate: la retorica ne è l'applicazione» (Cicerone). Con una fantascientifica trasvolata nel tempo. l'eco di queste citazioni rimbomba precisa nel Trauato dell'argomentazione di Chai'm Perelman e Lucie Olbrechts-Tyteca: «Oggetto della teoria dell'argomentazione è lo studio delle tecniche discorsive atte a provocare o accrescere l'adesione delle menti alle tesi che vengono presentate al loro assenso [...] E per questo. anche. che presentiamo il trattato stesso come una nuova retorica». L'ultima parte di questa citazione allude al fatto che la teoria dell'argomentazione si presenta come erede in linea diretta della retorica aristotelica. poiché quest'ultima (a differenza della dialettica) sviluppa il repertorio di schemi argomentativi - comprendenti i vari t6poi della tradizione classica - sempre in funzione di un uditorio. universale o particolare che sia. Il caso Pere I man è rimasto tuttavia a lungo un masso isolato e un po' scomodo entro la neo-retorica moderna (il Trattato è uscito nell'originale francese nel '58). malgrado il successo editoriale: oggi si comincia a rivalutarlo oltre la citazione ossequiosa anche al difuori dei settori filosofico-giuridici. logici e psicologici cui appartengono in senso stretto gli autori del Traltato. Le definizioni fin qui citate pertengono alla classica accezione della retorica come «arte del persuadere» tramite l'uso del verosimile. contrapposta all'«arte del dimostrare» in nome del vero. propria della logica; contrapposizione ripresa dall'antinomia kantiana per cui la «persuasione» inerisce «alla natura particolare del soggetto» mentre la «convinzione» vale «per ognuno che soltanto possegga la ragione»: il filosofo - a differenza del retore - deve convincere. non persuadere. Nel linguaggio comune. com'è noto. delle due accezioni riportate sui comuni dizionari sotto la voce «retorica» (arte di bello scrivere e uso artificioso Note ( 1) Una nota vorrei aggiungere, perché dopo (e già prima)dell'uscitadel film si è fatto un gran parlare di politicae ragioni politiche m Prova d'orchestra: sfuriate oarlamentari e giornalistiche.In effetti,qualcosachenonesistepiùsivuolevederedappertutto; qualcosache teme di non essere reale si vuolespecchiare.vedereparlata in tutte le lingueda tutte le parti. Che certa «politica».nel senso istituzionale e comune del termine, si sia sentita toccatanel vivoda un filmche deliberatamentesi disinteressadi lei e non neparla, è solo un segnodella sua malafede,del suo voleresseree voler apparire (e quindinon essere,non avereesistenzasulpiano reale: ciòche è nonha bisognodi volerapparireè fintropponoto).Chepoi i giornalistinon ne abbiano parlato, è solo un segnodella loro ingenuità,o malacoscienza,o «troppa informazione»(di essi quindi solo come puntodi passaggiodi unsurplusdi discorso che si riproducesopra la loro testa e taglia orizzontalmentel'informazionepassando sulla società, «sopra» i mezzidi informazione).Che Fellininonne parli è, mi pare, abbastanzaevidentenel film.Questo è un filmche parla di se stesso; la musicache si provapuòsemplicemente sserequellache si provaper il film,e questoverrà detto più avanti,neU'ultimoparagrafo.Che il cinema in genere, insomma,inevitabilmenteparli di se stesso, è cosacomunea tutti i discorsi. della lingua) prevale in genere la seconda: retorico è. in blocco. ogni uso «verboso» del linguaggio. vuoi oratorio-ampolloso vuoi. caricando le dosi. pretesco viscido ingannatore. In ogni caso. l'accezione comune è iper-restrittiva rispetto a quella etimologica antica. e rispetto a ciò che la retorica era e lungamente è stata nella cultura occidentale; ma l'uso linguistico non è mai casuale: la restrittività del significato lessicale è in questo caso la controparte storica di uno svuotamento progressivo dell'oggetto di studio della retorica: come ha scritto Gérard Genette. il fatto che da oltre due secoli si continui a chiamare retorica il solo studiodell'elocutio (cioè la teoria delle varie figure retoriche. ristrette per lo più alle.sole figure di pensiero. i tropi) è un caso notevole di «sineddoche generalizzante» (il tutto per designare la parte). Caso macroscopico di questo storico abuso è la Retorica generale del «Gruppoµ» (come si è autoetichettata un'équipe di sei neo-retori di Liegi). Essa ripropone le antiche tassonomie in un geometrico e aproblematico quadro à la page: le figure retoriche si chiamano tutte metabole. e si quadripartiscono in altri grecismi charmants (metaplasmi, metatassi, metasememi, metalogismi) dove sono infilate con le buone e con le cattive tutte le «figure» possibili; ma questo sarebbe niente. Il gruppo di Liegi usa solo. per i suoi esempi. cosine letterarie molto ad hoc: per non scompaginare le sua caselle evita con cura di mettere le mani nel linguaggio comune (pur avendo sottointitolato il suo lavoro «Le figure della comunicazione»): sicché non è neppure sfiorato dal sospetto che a parte i luoghi comuni figurati (dal «cuore di pietra» al «toccare il cielo con un dito,.) la metafora. la sineddoche. eccetera. sono altrettanto «metalogiche» quanto l'iperbole o l'allegoria: hanno cioè bisogno anch'esse. per essere decifrate come «figure». di qualche ricorso al contesto (che può essere puramente linguistico). Insomma. l'elocutio trionfa ancora in un edenico universo retorico dove le procedure retoriche sono impermeabili l'una all'altra. e dove chi non parla come nella repubblica letteraria sarà hene che non entri. M a la situazione oggi fra gli studi retorici è. fortunatamente. più fluida. Come definiscono il concetto di «retorica» i lavori usciti di fresco. intitolati o pertinenti ad essa? «La retorica è l'occasione in cui si usa il discorso nel modo più pieno e e tanto più in Fellinidove il cinemaparla del cinema.dove il protagonistadel protagonista.Fellinidel Felliniche c•~nel film: vero e propriocinemad'cautore». in certo senso. Tutte quellediscussioni«politiche»allora. che si son fatte sul film. non ci dicono nulla di esso ma si muovonosu un piano superiore.taglianoe circolanosoprale nostre teste. distaccatedai suolo: l'unicacosa che ci dimostrano è quel giro simbolico, che.partitoda un pretesto(la «politica»)le racchiude tutte nel suo piano, nella sua dimensionedi schermagliafittiziache dicendosipoliticafa diventar 'politico' tutto ciò di cui parla; schermagliache diventa purtroppo-ce neaccorgiamosempredipiù - ilpianoirrealechesivuolinvecefarapparire quellodella realtà'seria', dellamodificazionereale,del progressoe checi investe direttamentecon la suaviolenzaimponendoci la sua grigliainterpretativa,le sue critiche, i suoipianideldiscorso:«Sipuò criticare?Si!.maceno, ne siamoliberi,masolo a partire da [...], solo se ci si mette su un (quel) oiano di discorso [...] ecc. ( 2) Cfr. P. Crovetto, Lenure del Casanova. in Paragone, n. 352, giugno 1979. (3) Cfr. op. cir. totale. dove cioè le componenti fisiche del parlare non cedono rispetto a quelle intellettuali» (Barilli); «La retorica è quel metalinguaggio (il cui linguaggio oggetto fu il "discorso") che ha regnato in Occidente dal V secolo prima di Cristo al XIX sècolo dopo Cristo» (Barthes); «Sebbene la manovra stilistica possa originariamente intendersi come un'astuzia che cerca di produrre una determinata opinione nell'ascoltatore. essa presenta una tendenza costante a dar luogo a una sorta di secondo codice. che si sovrappone alla lingua descritta nelle grammatiche e nei dizionari. Questo secondo codice costituisce una parte importante. e forse la totalità. di ciò che chiamiamo "retorica"» (Ducrot). La prima citazione è tratta Jal manualetto di Barilli apparso all'inizio di quest'anno nella collana dell'enciclopedia filosofica dell'ISEDI e intitolato. come voce enciclopedica. semplicemente Retorica. Renato Barilli aveva già avuto il merito. anni fa. di curare l'edizione italiana del lavoro. pionieristico nel suo genere. del romeno Vasile Florescu: La retorica nel suo sviluppo storico (Bologna. il Mulino. 1971). Oggi egli ha il merito di aver sintetizzato in modo non banale. pur rivolgendosi al grosso pubblico. una materia storicamente (circa 2500 anni di retorica) e filosoficamente complessa. che la linguistica e la semiologia si stanno contendendo. in un'arruffatissima matassa teorica. Nella sua definizione di retorica. Barilli insiste sulle componenti fisiche del parlare: i valori fonici della materia verbale. e le modalità del «porgere»: pronuncia. mimica. gestualità. Esse sono state tradizionalmente finalizzate al muovere e al delectare. mentre il docere era soprattutto affidato alle componenti linguisticodiscorsive in senso stretto. Fra le tappe cruciali della storia accidentata della retorica. responsabile delle varie distorsioni terminologiche. sono tematizzate in particolare la decadenza della retorica classica a partire da Tacito. la crisi del ciceronismo verso la metà delCinquecento.e quellafratturaepistemologica inerente all'idea stessa di ragione (e ragionamento) provocata dal razionalismo cartesiano. con cui - sono parole di Perelman - «l'età moderna compie il più totale e radicale divorzio dalla retorica». Aggiungendo a ciò i disparati veti ottocenteschi culminati con l'ostracismo crociano. è con un sospiro di sollievo che si legge l'ultimo capitolo sul «riscatto contemporaneo della retorica». Un po' troppo svolazzante in pro-

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