Alfabeta - anno I - n. 3/4 - lug.-ago. 1979

Contriolterritorio Giorgio Muratore Massimo Quaini Marxismo e geografia Firenze, La Nuova Italia, 1974 pp. 162, lire 1.600 Andrea Emiliani Dal museo al territorio Bologna, Edizioni Alfa, 1974 pp. 350 , lire 5.000 Alberto Mioni Le trasformazioni territoriali in Italia nella prima età industriale Padova, Marsilio Ed., 1976 pp. 267, lire 6.500 Paolo Morachiello Ingegneri e territorio nell'età della Destra (1860-1875) Roma, Officina Ed., 1976 pp. 316, lire 7.500 Bernardo Rossi-Dania L'uomo e l'uso del territorio Firenze, La Nuova Italia, 1977 pp. 128, lire 1.900 Classe e territorio n. 14 di Oasse anno IX, ottobre 1977 pp. 259, lire 4.000 AA. VV. Dalla città preindustriale alla città del capitalismo Bologna, il Mulino, 1975 pp. 321, lire 6.000 AA. VV. La città e la crisi del capitalismo Bari, Laterza, 1978 pp. 207, lire 3.900 (( Casa e territorio», «Città e territorio», «Fabbrica e territorio». «Democrazia e territorio», «Partecipazione e territorio», «Scuola e territorio», «Teatro e territorio». «Artista e territorio», «Donna e territorio», «Classe e territorio», «Educazione e territorio» ... ma basta! si potrebbe, infatti, continuare all'infinito secondo lo schema di una catena aperta di n+ l termini possibili. Può sembrare assurdo e grottesco, ma l'uso del termine «territorio» negli ultimi tempi è stato, purtroppo, proprio questo. Definizione di origine piuttosto oscura ed ambigua appartenuta per anni al gergo sempre fluido e poco determinato degli architetti e degli urbanisti in genere, quella di «territorio» ha ormai sfondato gli argini angusti delle discipline di origine per toccare i fasti di un autentico consumo di massa. Non c'è più dibattito, convegno, conferenza o tavola rotonda, per vivi o soporiferi che essi siano (ma pur sempre tautologicamente progressivi). ove la parola fatidica non troneggi ormai con il suo bravo contorno di luoghi comuni, di aspettative fiduciose, di confusi contrappunti ideologici. di false certezze e di mezze verità. È il best seller della chiacchiera politica e del fumismo accademico, fiore all'occhiello degli infiniti professionisti della «tavola rotonda» e degli infaticabili animatori dei «vivaci dibattiti» che ormai affollano, come un castigo divino. le nostre giornate. Nella sua facile assimilazione e nella sua aperta gratificante potabilità di massa è diventato caratteristica essenziale del ciarpame linguistico più abusato, mentre tra gli specialisti suona ormai irrimediabilmente out; praticamente fuori corso, si comincia. infatti. con il preferirgli l'ancora più neutro «ambiente» o l'ancora esotico «environment». Solo gli addetti ai lavori irrimediabilmente nostalgici o involontariamente periferici lo trovano ancora conveniente ed efficace per imbandire i loro florilegi verbali. Termine 'ogni tempo' e buono in tutte le stagioni. occasioni, solennità e ricorrenze, si è accompagnato per lungo tempo a sofisticati pamphlets, ma ormai, forse per il precoce, ma naturale invecchiamento preferisce i piatti forti della politica e dell'ideologia. Perlopiù viene ancora inteso come una vera manna, un autentico passe partout, una specie di salvacondotto a buon mercato per i fini dicitori del nulla istituzionalizzato. Basta, infatti, pronunciare le fatidiche sillabe ter-ri-to-rio e si spalancano le porte di impossibili finanziamenti, capitolano assessorati e ministeri, vacillano benemerite istituzioni e le folle (o meglio le solite, disperate e volenterose comparse), spalancano i loro animi, applaudono sicure, finalmente, una volta tanto, di non aver perso la battuta giusta. Ma quali sono le vere origini, l'autentico pedigree di questo termine cui dovrebbe andare ormai l'oscar della perdita di significato? Vale la pena di spendere due parole per ripercorrerne l'intera vicenda. Sono stati, era facile immaginarselo, gli architetti i veri responsabili della 'invenzione', della vera originaria e temeraria 'scoperta' del nuovo significato di questo termine che già frequentava grigi testi di geografia e poco entusiasmanti resoconti di viaggio, conducendo un 'esistenza ingloriosa a metà strada tra il tono burocratico della prosa catastale ed il linguaggio aulico ma goffo dei conquistatori. Ma, naturalmente, a nessuno era ancora stato concesso di far esplodere e di svelarne il 'vero' significato che solo nel contesto di «un certo discorso» era efficacemente in grado di dare il meglio di sé, come appunto fecero poi gli architetti ed i loro colleghi urbanisti. complici in questa come in tante altre brillanti imprese. e orrevano gli esplosivi e un po' cenciosi anni Sessanta, l'Italia tutta era ricca di speranze, ma soprattutto alcuni settori della cultura e certe professioni liberali un po' in crisi, intuirono che era necessario, per-sopravvivere. un salto di qualità tale da portare la propria area di competenza vera o presuntache essa fosse,al di là degli angusti limiti disciplinari del passato. E poiché le risorse reali sia materiali che intellettuali, come al solito, scarseggiavano, ·ancora una volta il genio italico sopperisce alle deficienze e trova una soluzione brillante e decisiva: inventa il «territorio». In questo senso si cerca perciò di far corrispondere ai vari mutamenti registratisi nella realtà. anche una nuova capacità di affrontare strumenti tecnici ed un armamentario ideologico rinnovato, capaci di interpretare i nuovi «livelli di realtà» obiettivamente determinatisi. Ricordo, in questo panorama, lo sforzo cocciuto di un mio vecchio ed accademico 'maestro' che cercò per anni di compilare un «glossario» dei termini più in uso, ma soprattutto dei «neologismi», per essere pronto in ogni occasione a rispondere a tutte le occorrenze argomentative: in quel glossario, appunto, la parola «territorio» era già in buona posizione accanto ad altre, altrettanto nobili, ma certo meno fortunate come quella di «luogo», di «architettura», di «città> e dell'indimenticabile, ma fortunatamente ormai compianta, «design». Fu comunque all'interno di questo. scenario, di questa particolare e contingente situazione che si fece strada la nozione complessiva di quanto dovesse correttamente intendersi sotto l'accattivante etichetta di «territorio». Il dibattito si organizzò cosi in fasi e tempi anche complessi e si articolò, soprattutto, attorno ai temi emergenti della «città-territorio», della «cittàregione», della «grande dimensione>, su quello dell'«unità tra architettura e urbanistica», tutti argomenti che pur nelle loro autonome connotazioni particolari implicavano una attenzione complessiva ai nuovi fenomeni territoriali, intesi allora più come urbanizzazione globale dell'ambiente fisico che come rilettura del complesso rapporto tra la città e campagna. Il boom industriale degli anni immediatamente precedenti, la conseguente spinta incontrollata all'urbanesimo. la corsa affannosa alle grandi infrastrutture (soprattutto verso quelle connesse con l'espansione dei consumi privati, come le autostrade), e tutto il complesso dei fenomeni indotti, fece si che si propendesse verso una nozione di territorio visto prevalentemente quale supporto inerte di interventi di grande dimensione. specialmente di ordine terziario piuttosto che come una struttura complessa da analizzarsi anche e soprattutto rispetto al suo potenziale produttivo. Lo spopolamento delle campagne,l'abbandono storicamente irreversibile di intere regioni in nome di un modello di sviluppo basato sull'industrializzazione selvaggia e sulla rendita parassitaria prodotta nelle grandi conurbazioni distolse poi, perlopiù, da un'analisi corretta e sistematica dei problemi secondo le loro concrete articolazioni materiali e strutturali. Fiorirono le iniziative culturali e prima fra tutte Casabella (allora diretta da Ernesto Rogers) provocò e gesti il dibattito sulla nuova tematica territoriale. Si faceva intanto strada la necessità di un «salto di scala» che facesse in qualche modo corrispondere qualità 'nuove' alle ampliate ipotetiche «dimensioni di intervento>. I temi allora elaborati da personaggi poi rimasti. per anni, centrali nel panorama architettonico ed urbanistico italiano, come Giancarlo De Carlo e Ludovico Quaroni, fecero presto scuola insieme alle teorie di Giuseppe Samonà che andavano sperimentandosi nei corsi dell'Istituto di Architettura di Venezia. T ra gli innumerevoli e non di rado confusi interventi-Critici di quegli anni restano comunque centrali alcuni contributi di alcuni giovani di allora come Carlo Aymonino e Manfredo Tafuri che appunto sul tema della «grande dimensione» (anche sull'onda di una diffusa moda internazionale) ebbero modo di dare alcune delle loro precoci e significative prove. La città territorio, verso una nuova dimensione era, infatti, il titolo di un articolo rimasto famoso, firmato da Giorgio Piccinato, Vieri Quilici e Manfredo Tafuri, ove si cercava di sistematizzare la situazione dei diversi studi e che, riletto oggi, dà la misura esatta di una grande speranza, ma anche di una altrettanto vistosa indefinitezza di prospettive operative. La «necessità di un salto culturale», la «coscienza di una nuova necessità espressiva», la «necessità di strumenti amministrativi più adeguati», «i rapporti tra la città e il territorio», la «forma della città-territorio», queste erano le parole d'ordine di allora e, da allora sono rimaste sulla carta, alla base delle tematiche architettoniche più progressive per tutti gli anni Sessanta. Oggi però, a distanza di quasi venti anni e soprattutto alla luce di un'esperienza evolutasi in senso assai differente, quegli slogans colpiscono più per la loro dimensione di patetica invocazione, che quali precise indicazioni di ricerca e di analisi. Ma se quelle pur brillanti intuizioni non sono poi riuscite in nessun modo a incidere sulla realtà dei fatti concreti nella misura allora sperata. bisogna pur riconoscere che hanno avuto il merito di sollevare alcune questioni importanti che molti continuano a considerare con attenzione e. soprattutto, di aver infranto talune rigide schematizzazioni dei settori più regressivi e accademici della ricerca applicata. Tuttavia, il riferimento prevalente ad una non chiara estensione di concetti e di interpretazioni morfologiche dei problemi urbanistico-architettonici ha fatto si che spesso si siano privilegiati solo alcuni aspetti formali e in fondo inessenziali e che le analisipiù pubblicizzatesi indirizzassero verso un livello di discorso che è clemente definire sovrastrutturale. Esaltando cosi gli aspetti più epidermici ed epifenomenici del contesto ambientale si sono perse perlopiù di vista le valenze che effettivamente entravano in gioco nella definizione delle trasformazionireali e che, solo in parte e non sempre, corrispondono alle trasformazioni formali del contesto. Cosi che, se oggi dovessimo cercare di fare un bilancio di quella esperienza difficilmente potremmo desumere molti dati utili dalle analisi degli architetti e degli urbanisti di allora dovendoci. invece. indirizzare verso il lavoro. assai meno noto, ma sicuramente più sostanzioso di quanti nel settore della storia e della nuova geografia (di quella urbana in particolare). si dimostravano sensibili alle tematiche territoriali considerate però nelle loro prevalenti dimensioni strutturali. Tipico esempio di questa contraddizione fu il n. 87-88 di Edilizia Moderna monograficamente dedicato appunto alla Forma del Territorio e che nella varietà dei contributi raccolti ben testimonia questa ansia di controllare, anche con gli strumenti del 'progetto' di architettura, dimensioni e livelli sicuramente inafferrabili solo con gli strumenti di un sia pur sofisticato «disegno». Cosi la stessa nozione di «territorio», che era sottointesa a quella specifica cultura tipica del mondo degli architetti attorno alla fine degli anni Sessanta, restò in qualche modo legata ad un morfologismo abbastanza generico e, nel complesso, il discorso derivatone risultò poco comunicabile all'esterno nei suoi lati sostanziali offrendosi, invece, come abbiamo visto, ad una serie di interpretazioni e di travisamenti che ne hanno fatto, specialmente ngli ultimi anni, il luogo di accantonamento dei più ovvi e vuoti luoghi comuni gravitanti attorno ai terni della città, della campagna, delle infrastrutture, dell'ambiente, cioè, nel suo complesso. P iù di recente, poi, la moda, artificiosa come tutte mode, delle tematiche ecologiche ha aggravato il clima di confusione già definitosi in proposito. E nel complesso, la tendenza ultima ad assumere una serie di parametri riduttivi, intimistici e sostanzialmente regressivi nella individuazione delle linee di sviluppo futuro del nostro patrimonio ambientale (visto soprattutto sono l'aspetto della tutela e della conservazione), non ha certo incoraggiato l'impostazione positiva di una politica di salvaguardia e di nuova progettazione sia alla scala nazionale sia relativamente ai singoli problemi che ne sono di volta in volta alla base. La politica finora svolta dagli enti e dalle strutture competenti, fortemente condizionata da una impostazione complessivamente museografica che non pare andare oltre una certa riduttiva ottica paesaggistica dei fenomeni territoriali, non è poi fin qui riuscita a fornire chiare indicazioni che vadano al dilà della prudente conservazione di manufatti, situazioni e valori ambientali, tutti ancora da verificare nel loro concreto significato. Significato, o meglio significati che solo un'analisi storicamente e scientificamente attendibile è in grado di restituirci in tutta la loro complessità. Complessità che è alla base delle stesse contraddizioni nelle quali ci troviamo tutti ad operare e che si offre da tempo quale luogo di ricerca per le analisi meno frettolose ed occasionali; ci sembra, perciò, giusto concludere con Alberto Caracciolo: «Occorre che dal magma in cui spesso restano confuse le discipline che descrivono la terra venga isolato quell'ordine di studi che maggiormente interessa ai nostri fini. Occorre specialmente che si stabilisca un contatto con quella parte che Lucio Gambi( ...] chiama "storia dell'organizzazione che l'uomo ha dato alle condizioni ed alle risorse della terra". In questo tipo di incontro lo schematismo (e la ingenuità concettuale) della distinzione fra le dimensioni spazio e tempo si perde definitivamente. Emerge invece a buon titolo il problema della società, nel senso per esempio che gli attribuiva Fernand Braudel quando invocava lo "studio della società attraverso lo spazio">.

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