Alfabeta - anno I - n. 3/4 - lug.-ago. 1979

chiamiamo delirio: voce di un corpo che non accetta di essere mutilato e mortificato, di una soggettività che chiede spazio e tempo. Ma che soprattutto - ci indica Basaglia - chiede che sia tenuto assieme il proprio mondo di espressioni e di bisogni, perché le resti un'organicità, un nesso unitario. Tra la nuova razionalità del potere e questa voce, sempre meno percepibile, sembra scavarsi un vuoto incolmabile. Le soluzioni facili sono già del passato; quelle difficili non si riesce a intravvederle. A ogni istante il tecnico del sapere pratico ridiventa funzionario del consenso. Crede di liberare; in realtà sta controllando. Crede di capire: in realtà sta interpretando. Differenziare i bisogni È da mantenere come valido e utiie all'analisi lo stretto nesso storico-teorico con cui Basaglia stringe follia e miseria? Anche estendendo la nozione di miseria in modo che non si sovrapponga a quella economica di povertà, andrebbe misurato fino a che punto questa categoria conserva oggi un potere di descrizione. Dicevo all'inizio che a Trieste è sempre più raro sentir parlare degli «utenti». La nozione di bisogno è stata, poi, spesso adoperata in maniera generica come un contenitore buono a tutto, ed è giusto che di questo uso vi sia chi diffida. Essa dovrebbe, al contrario, servire a liberare differenze e specificità, ad arricchire complicandolo il quadro della soggettività. Forse, non è la perdita di un mondo indifferenziato di bisogni che deve preoccupare,_ma l'incapacità di leggere e produrre le differenziazioni, la moltiplicazione dei bisogni. Basaglia parla della sofferenza come di una «spia della mancata identificazione tra corpo e corpo economico». Ma il «corpo» non è già Il: si costruisce socialmente. L'identità reclamata non si rapporta a un prima che è stato tolto, ma piuttosto a un dopo, a un farsi sociale del soggetto, a bisogni più articolati che si producono al di là e insieme ai bisogni materiali elementari. Vogliodire che la «voce» della follia non può restare inchiodata alla miseria, ma deve poter dire qualcosa della ricchezza che vive come mancanza. Nell'epoca del controllo sociale diffuso, è probabile che non ci servano tanto nozioni generali come quelle di corpo individuale e corpo sociale, e il rimando di entrambe all'economico, quanto nozioni più mobili e diversificate di identità: percorsi soggettivi non riducibili all'economico, nei quali la categoria troppo compatta di bisogno si articola a quella di desiderio per rimandare al terreno opposto rispetto alla sofferenza, cioè al terreno del godimento. Se è vero che la psicanalisi, come dice Basaglia, è un ascolto neutro funzionale al potere, che impone il proprio codice e blocca la dialettica storica nella dimensione del tragico individuale, è anche vero che il nuovo controllo sociale può e potrà usare la psicanalisi perché essa è meglio attrezzata, va più a fondo nella descrizione articolata della soggettività e in tal modo è in grado di cogliere l'obiettivo principale del controllo, che è precisamente l'autocontrollo: la partecipazione docile, non importa quanto consapevole, alla macchina stessa del controllo. Il caso della psicanalisi vale forse ad esempio per mostrare che la dialettica fra potere e soggettività è invece molto ravvicinata. La ricostruzione di cosa può essere esperienza soggettiva a partire dalla differenziazione dei bisogni e dei desideri, cioè dai requisiti per cui oggi vi può essere identità sociale, è anche, e in maniera rilevante, l'interrogazione in profondità delle forme nuove del controllo sociale: la loro efficacia, infatti, è proporzionale alla capacità di inseguire dappresso i soggetti nei loro processi di differenziazione e aggregazione. La legge 180 Le righe che Basaglia dedica alla legge 180 sono esplicite e coerenti con la sequenza dei suoi ragionamenti. Questa legge, approvata nel maggio '78 (e poi unita alla riforma sanitaria) dice che non vanno più costruiti manicomi e che quelli esistenti dovrebbero sparire. Prevede una normalizzazione medica della psichiatria e un'assistenza diffusa nel territorio. Abolisce la vecchia formula dell'internamento coatto. ma il trattamento di autorità resta anche se con più poteri discrezionali al medico e un disciplinamento assai meno rigido. Basaglia non manca di leggerla come sintomo e di vederne i limiti: in qualche modo l'Italia si mette al passo di altri paesi (Stati Uniti, Inghilterra, Francia) che già hanno riconosciuto l'esigenza della riconversione dell'assistenza psichiatrica nella medicina e di un'azione nel sociale, sempre in nome della «restituzione del corpo invalidato al corpo economico>. II trattamento obbligatorio non è eliminato, il controllo viene diffuso, e si aprono nuove contraddizioni. Quali? E con che strumenti, anche teorici, affrontarle? Credo che il disagio sorga in buona parte dal fatto che questi interrogativi restano per ora senza risposta. Radicalismeolottein USA David DeLeon The American as Anarchist: ReDections on Indigenous Radicalism Johns Hopkins University Press pp.242, dollari 14,00 James R. Green Grass-roots Socialism: Radical Movements in the Southwest, 1895-1943 Louisiana State University Press pp. 450, dollari 24,95 U na decina d'anni fa qualcuno pensò - perfino qualche francese - che il movimento radicale americano fosse all'avanguardia, o che stesse preparandosi ad assumere questa posizione. Le rivolte studentesche del 1968 in diversi paesi osannavano il modello americano e rappresentanti del Movimento, proprio come i suoi slogans passavano da una costa atlantica all'altra. Jean François Revel prometteva al mondo: «La rivoluzione del ventesimo secolo avrà luogo negli Stati Uniti. Può accadere solo in quel paese. Anzi, è già cominciata». Egli proseguiva affermando che essa «è la Rivoluzione della nostra epoca. E pertanto offre la sola via d'uscita al mondo d'oggi»('). Le discussioni su questo eccezionale modello rivoluzionario ben presto si assopirono e siamo tornati a discutere su un tipo molto più antico di «eccezionalità» americana. Parliamo cioè di un problema storico, del perché tra tutti i paesi a capitalismo avanzato gli Stati Uniti siano l'unico in cui il socialismo non sia mai riuscito a guadagnarsi un seguito di massa, in cui il marxismo non abbia mai attecchito, in cui la classe lavoratrice non abbia mai prodotto ~ un partito di massa. Solo recentemen- ,:: te è stata pubblicata in questo paese la t prima traduzione integrale del libro di Werner Sombart Why is ThereNo Socialism in the United States? ( del 1905). La controversia è molto più ;g antica di questo libro e la letteratura su J tale argomento è molto ampia, ma gli studiosi non sembrano aver raggiungo un punto d'incontro, più di quanto siano d'accordo sulle cause della Guerra Civile americana. Gli stessi Marx e Engels scrissero moltissimo su questo problema senza però offrire una spiegazione coerente al fallimento socialista in America. Proprio come la maggior parte dei loro seguaci fino alla Prima Guerra Mondiale, essi s'aggrapparono alla certezza che sarebbe stata la nazione a capitalismo più avanzato ad aprire la via al socialismo sostenendo che l'America era la «Terra Promessa» dei socialisti. Lenin, Trotsky e Gramsci dibatterono la questione senza successo. Lenin pose l'accento sulla «libertà politica di lunga data e sulle condizioni eccezionalmente favorevoli» al capitalismo; Trotsky dichiarò che sull'argomento Marx non andava «preso alla lettera»; e Gramsci sottolineò la totale egemonia ideologica del «Fordismo» e del- )'Americanismo intesi come surrogati del socialismo. Se anche nessuno dei due libri di cui ci occupiamo tratta questo problema in quanto tale, entrambi però finiscono per parlarne direttamente o indirettamente come una conseguenza della tematica che sollevano. David DeLeon ha scritto un libro che è sostanzialmente un saggio sulla natura di questo paese, in relazione a ideali, comportamenti, speranze e finalità dei radicali americani. Egli parte dagli albori del radicalismo per arrivare fino ai nostri giorni, attingendo soprattutto a correnti e formule degli stati nordorientali ma occupandosi un po' di tutti i radicali di questo paese. James Green scrive la storia del socialismo in una regione specifica del sud-ovest in un periodo di tempo limitato affrontando il problema in modo concreto e dettagliato. DeLeon, impegnato a caratterizzare il radicalismo indigeno, è necessariamente costretto (spesso e soprattutto) a definire e a spiegare. quel che il radicalismo non è stato o non ha potuto essere. Green, impegnato a narrare la storia fino ad ora trascurata e praticamente sconosciuta degli albori di un movimento socialista. è costretto a spiegarne il fallimento. Pertanto entrambi forniscono un contributo alla letteratura, peraltro in costante crescita. sul fallimento del socialismo in America. T ra i due campi dei radicali americani. gli indigeni e gli imitatori. DeLeon crede che gli imitatori del radicalismo straniero siano quelli C. Vann Woodward che abbiano ricevuto le maggiori attenzioni ma che siano «culturalmente meno significativi» e che siano stati «un fiasco solenne». Secondo lui, è tempo che si riconosca come il radicalismo americano sia fondamentalmente diverso da quello europeo, cinese, russo o del Terzo Mondo e come esso sia «radicato nei secoli della nostra storia e postuli che per quanto si faccia per trasformare e cambiare questa società, è improbabile che essa diventi qualcosa di totalmente diverso da quello che è stata». Egli pensa di scrivere del «radicale americano» proprio come Emerson scrisse nel 1837 dello «Studioso Americano» invocando la «decolonizzazionedella nostra letteratura e la costruzione di una cultura autenticamente americana scaturita dall'esperienza nazionale r...] Un'arte derivativa e imitativa ha il suo equivalente nel radicalismo imitativo e derivativo». Così continua: «Il mio libro, fondato sul monito di Emerson, è una dichiarazione d'indipendenza intellettuale da modelli interpretativi stranieri che ritrova lo spirito del nostro radicalismo non in Lenin ma in Debs, non nell'URSS, ma negli IWW, non nei contadini cinesi ,ma nei populisti[ ...] I nostri radicali si sono concentrati sull'emancipazione, sull'abbattimento delle prigioni dell'autoritarismo, piuttosto che sulla pianificazione di una ricostruzione. Essi sono abolizionisti, non edificatori d'istituzioni; sono i propugnatori della liberazione dèlla donna, della liberazione omosessuale, della teologia della liberazione, della liberazione nera; profeti, non preti; anarchici, non amministratori. E loro convinzione infatti che lo spirito liberato non avrà praticamente bisogno di una guida». I segni distintivi del radicalismo indigeno, i tratti del carattere nazionale che ne fanno una cosa unica, includono un fondamentale sospetto, al limite dell'ostilità, nei confronti di ogni disciplina centralizzata. L'eredità del radicalismo è pervasa di antiautoritarismo. antiistituzionalismo e antistatalismo. La caratterizzazione di DeLeon venne anticipata da Gus Tyler, vecchio leader del partito socialista e del movimento sindacale. Tyler sottolineò come il continente americano fosse «popolato da gente che fuggiva le autorità» e che espresse il suo antiautoritarismo in una «sorta di anarchismo viscerale». In questo paese, nelle sue parole, «la tendenza di fondo del lavoratore è stata per l'individualismo piuttosto che per il collettivismo». Se aggiungete all'individualismo la militanza e la violenza avrete l'IWW - il primo caso mondiale di anaroo-sindacalismo. L'elemento anarchico dei radicali americani si è manifestato come resistenza all'autorità o come rifiuto dell'autorità, ma mai come rifiuto totale di ogni autorità. Preferiscono il «governo senza governanti> di Emerson o si affidano a quel che aveva già capito (con una punta d'orrore) Tocqueville, cioè all'autorità fortemente coercitiva di costumi e valori di pubblica opinione su una popolazione apparentemente atomizzata. D eLeon crede di individuare le matrici dell'anarchismo americano (la parola anarchismo non vuole avere in questo caso una connotazione negativa) nell'influsso esercitato da tre elementi caratteristici della vita e della storia nazionali e dal loro interagire. Essi sono: la religione, l'economia e l'ambiente. Gli influssi religiosi sono preminenti nel suo schema di forze generative. L'elemento fondamentale, a suo avviso, va ricercato nell'ultraprotestantesimo dei fondatori delle prime colonie e nella domanda da essi costantemente sollevata, su chi e cosa è autoritario. L'«antinomianism» religioso, il «sacerdozio di tutti i credenti» e la preminenza della coscienza individuale, si riversarono facilmente nelle dottrine secolari del- )'«ogni individuo uno stato» e nella legge naturale che sfidava l'autorità terrena. «La Chiesa e lo Stato sono responsabili nei miei confronti; non io nei loro» dichiarò Bronson Alcott. «Essi cessano di meritarsi la nostra venerazione nel momento in cui violano la coscienza[ ...] Perché non dovrei autogovernanni?». Ecco qui, secondo DeLeon, un esempio della «versione americana dell'appassire dello stato>. Un impatto del capitalismo, secondo DeLeon, si rivela nell'appassire dell'autorità in favore dell'interesse personale e della ricerca della felicità e del profitto; un altro nell'incoraggiare la fiducia in se stessi. Un influsso capillare e potente come l'egemonia esercitata dai valori, dalla psicologia e dalle consuetudini capitalistici, negli Stati Uniti. non poteva non influenzare ogni cosa americana, compreso il radicalismo. L'autorità tradizionale venne ulteriormente diffusa e indebolita dall'ambiente e dallo spazio fisicoe sociale e dalla possibilità di uno stile di vita senza precedenti nella storia. Le distanze e la mobilità scoraggiarono il rispetto per la disciplina, l'organizzazione e la legge. L'egalitarismo tra i bianchi fiori lontano da ogni forma d'oppressione come quelle esercitate dai signori feudali, dall'aristocrazia, dalla chiesa di stato, dalle caste militari. senza essere peraltro ostacolato da un passato di contadini maltrattati e di proletari classici.Dato questo ambiente nazionale, secondo DeLeon, non bisogna meravigliarsi se il radicalismo

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