Alfabeta - anno I - n. 3/4 - lug.-ago. 1979

I ingenuità «la paura e la vergogna davanti all'integrità della tua esperienza. della tua lingua e del tuo sapere». Cosa non si ama quando si è felici? Per adesso. Enrico Palandri. a cui «scappano delle cose da dire». ama raccontare ed ama Anna. anche se non sa «quanto questo amore possa durare, né quanto sia sincero». Cosi scrive del suo cdisambientamento» e della sua autonomia e del sole e del cielo «fino a quando mi finiscono i fogli». Forse lo avete incontrato nel marzo del 1977 a Bologna. sui gradini di san Petronio o sdraiato sui prati dei giardini Margherita. Un giorno ha incontrato Anna, e allora Boccalone trabocca, non sa tenere segreti, riempie di mille suoni il vuoto, la pagina che felicemente ci cattura: un libro che potrebbe aiutarci a capire meglio ciò che ci meraviglia - ciò che cimeraviglierà sempre - in una generazione dichiarata finita chissà con quale diritto, e che invece sta correndo dietro la vita, tra l'incomprensione generale. Ma «niente critiche, perfavore, pugni baci e cazzotti, anche parole e lettere d'amore, ma niente critiche! bisogna lasciarsi catturare, fare prigionieri nello scritto; criticare è un'abitudine socialdemocratica, secondo me, un oggetto che giri e rigiri dentro la testa, lo scarichi e lo passi al vicino, che lo tiene nella sua un quarto d'ora e poi te lo restituisce con delle altre parole che sembra che ha ragione lui, e insomma dopo un po' non si capisce più niente; invece i pugni, o i baci, sono cose dure e morbide, cose affettuose e antipatiche, e chi non lo capisce affari suoi». Beata !'«incoscienza» con la quale Boccalone obietta mentre ci racconta (e sembra che ha ragione lui) una storia a un tempo molto vecchia e molto nuova (quella di un uomo innamorato) con le parole più naturali e con il soffio e il ritmo della vita. Ciò che attendevamo, ciò che presentivamo: la nascita di una letteratura ispirata dai nuovi movimenti, si verifica in Boccalone. Nello stesso tempo, qualunque cosa possa aver detto Gianni, il suo «amico scrittore» (e cioè che «il bello di queste pagine è che tutti possono scriverle e che tutti sono scrittori»), si vede confermato un postulato che sarebbe ora di enunciare chiaro e tondo, soprattutto dopo le tante logore mistificazionigiovanilistiche con le quali tanti editori cosiddetti «alternativi» hanno invaso il mercato. I giovani scrivono poesie o fanno letteratura. Ma non è necessariamente poeta o scrittore chi è giovane o chi si è specializzato in qualche a!Jra «diversità» alla moda. Questo incontro raro di un soggetto e di uno stile, questa confessione di un giovane contemporaneo. confrontato allo «sfascio completo delle abitudini» e situazioni e desideri di una certa gioventù è esemplare, perché senza esempi. Niente è improbabile, niente si appesantisce nello sforzo di descrivere una condizione esemplare. Si ha così l'impressione che questo libro sia stato scritto davvero «per prendere un po' d'aria». Magari giocando con un'arancia: «la lanciavo in aria e l'aspettavo con le mani aperte; così per due o tre volte, dopo l'arancia non è più scesa, io lì che l'aspettavo con le mani aperte come un cretino e l'arancia non l'ho più vista, è sparita nel cielo( ...]». Una perdita terribile? Verrebbe voglia anche a noi di chiedere a qualche cuoco dell'industria culturale: «Scusi, lei che è introdotto nell'ambiente, potrebbe procurarmi un'altra arancia?». Distanti e un po' di traverso rispetto alla Casadi A rimane ( anzi, sfuggitiper un soffio al suo potere) con Boccalone respiriamo finalmente la vita a pieni polmoni, più vicini al puro non-sense che non a un senso. Non è la routine, né il ragionamento metodico, né gli uomini e i luoghi sempre con le stesse scene e promesse. È la vita nuova sorgente ad ogni istante nuova, e l'illusione di essere il primo ad aver fatto questo, quello. Boccalon~ trova faticoso e vano pesino notare per iscritto ciò che ha vissuto, ciò che sta vivendo adesso, ciò che vivrà più tardi. Trova assurdo il lavoro dei memorialisti. Niente a che fare con ciò che quotidianamente ritorna banalmente. Boccalone ignora l'idea del ritorno. Come il tempo che scorre, come la storia, la vita, egli non ritorna sui suoi passi. Vuole sentirsi innocente. Con Boccalone siamo lontani dai ghetti autosufficienti e chiusi di cui parlò Pasolini, che, per riconoscimento unanime, come pochi grandi intellettuali ha capito e sofferto il dramma delle giovani generazioni. Penso a un suo articolo su Tempo illustrato del 4 novembre 1973, a proposito del libretto di un 'contestatore', Underground a pugno chiuso, che allora si dava come il primo documento «parlato» di un certo rilievo dell'ala cosiddetta «creativa» del movimento. D'altra parte, la svolta neo-orientalista pubblicizzata dagli stessi ex-contestatori con nomi nuovi (per vecchi copioni) non faceva finora presagire nulla di buono. C'era da temere il declino (questo sl quanto mai opportuno) del linguaggiogauchista sostituito però da un linguaggio mistico-militante altrettanto orripilante (certe zaffate di paella arancione provenienti dalle case editrici 'alternative', facevano in effetti presagire il peggio anche per i nostri stomaci di lettori voraci). Anche se con Boccalone non per questo una prospettiva si è precisata (potrebbe anche trattarsi · semplicemente dell'emergenza di un caso personale più unico -che raro), l'entusiasmo per la scoperta sarebbe giustificato. Per trovare qualcosa di simile bisogna riferirsi al romanzo picaresco: la tradizione tracciata dalla celeberrima Storia della vitadi Lazarillo de Tormes e dei suoi dolori e gioie narrata da lui stesso (di autore ignoto e pubblicato nel 1554), dal Satyricon di Petronio e, certamente, illustrata anche dai Sotterranei di Kerouac. Ma volendo suggerire un confronto più preciso, più vicino Il, Mimmo Cervellino ra scalpi impolveriti al collo dell'establishment. Ma. soprattutto, Alain non poteva avere, come direbbe Boccalone «flash terribili», all'italiana: «ho l'impressione da marzo che il progetto politico che lo stato ha in mente per noi sia[ ...] la distruzione». Sarebbe troppo triste per tutti se Boccalone e i suoi amici dovessero tenersi chiusi dentro un covo di silenzio e di furore certi «flash» fin troppo attuali. «Comunque anche questa è una delle cose che sono successe durante l'ultimo periodo». A ciascuno il suo. A Enrico Palandri (oltre che un nome una perturbazione, un varco che si è aperto in uno dei punti dell'organizzazione della cultura) più che il casino piace la vita e più che la violenza il gran disordine chiaro di una memoria più grande. È possibile che in essa possa riconoscersi il «popolo alto innamorato», che ha evidentemente necessità di altre energie per combattere i tipi di alienazione e condizionamenti che oggi in Italia incominciano a delinearsi in maniera nuova e sempre più pesante. La casa di Arimane e Boccalone: due recenti esordi letterari che ho voluto associare in una stessa nota e che qui effettivamente producono corrente, un altro testo, questo, agendo l'uno sull'altro come per una differenza di potenziale. Entrambi i libri rivelano i o chinato a bocca di morte, dolorante scheggia, resistere nello stretto cunicolo tendersi in più crude erosioni o farsi scaglia dura, rovinìo di clima, naturale con discrezione ... Dimmi, ritaglio d'ombra, Bruscelle, mia vecchia 'pelle, hai paura del catechismo o della spira? La spina aguzza è troppi massacri, nella broda, tanta cioccolata americana... Da germogli ciechi, separati, verso un'unica cicatrice: il tranello del mondo il chiodo il foro il vomito. Stasera, dovunque, gocciola nero. E il cuore macina, macina nero. Sono, senza scampo, una ruga un grido. E l'unica finestra, mio quadro dalla depressione»(•). E cioè «il passaggio per una (transitoria) fase di euforia "maniacale" (...]>( 5). Nella Casa di Arimane tutto sembrava perduto. in Boccalone tutto il tempo sembra guadagnato e. nonostante le perdite. anzi. proprio per tutte quelle perdite che si verificano. la caduta nella disperazione viene evitata nell'attimo stesso in cui si perde: e questo perché a differenza del parlante della Casa di Arimane (che si ancora a un senso, a un discorso presistente) in Boccalone il parlante è 'di traverso' rispetto all'esistente e al suo stesso discorso: è «una storia vera piena di bugie». Paradossalmente, a non aver più niente da credere, da sperare, da temere non è Nicomede Folar (erede del grave pondo del sapere degli Gnostici) bensì Enrico Boccalone (erede di nessuno). Ora, la figura mitica sotto il cui segno può porsi questo procedere di traverso è proprio il mercuriale «briccone divino» delle cui relazioni con il romanzo moderno si occupa precisamente l'introduzione di Kerényi per l'edizione italiana (1965), apparsa dieci anni dopo l'edizione tedesca originale del 1954. Si tratta, secondo Kerényi, di «riconoscere i vantaggi di un'immagine dell'universo a fondamento visionario, quale quello a cui apparteneva il Briccone o imbroglione divino degli indiaocchio e catena, contiene tutta la mia aria, ferma, di carcere. Cosi pazza vertigine, aperta e vivente e annodata, nel centro nello scuro centro inconficcato. Un filo, un rutno, l'atteso segno. Stasera! strascicano l'erba tagliata ieri, nell'onda di un umile colloquio: la siepe spoglia, l'insonne formica l'operosa sorella che strazia l'olmo le tue ossa le mie. Oh la misura che obliata gela nei mucchi! E il fuoco la torbida legge dietro a solchi di miraggio. • A quali porte, breve slegata carne, appoggiarsi per piangere? Spingersi nella pozza fra l'una e l'altra rotta? e gabellare... Leggile tutte, mio lucido vertice mia gabbia, le secche le nere palafitte. Sul letto, lame. Mi rivolto, oltre la curva del cuscino, brucia il buio, rigurgita fredde bave - il frigo intrama meccaniche canzoni, demone spoglio. Mia moglie nuda, bianco iceberg, bianco, rigonfia sulle lenzuola. Mio figlio sogna veloci cavalli. Il lago! laggiù può diventare un campo di lino una faccia della morte... E il telefono, peccato, non ha piume, né parole... ed io diséendo discendo ... Perché mio buon dio, mio sordo sputo, non ho di te nemmeno un brandello? follemente in me salivi come un rovente marchio, non cantai più nella tua casa... la fede si fece aria, quasi morta caduta, cadenza di neve. E altari e stucchi e ghirlande la fiumana larga di angeli la povera Maria dolente: «Capestro, capestro! pena, nodo e fossa!» No, non salirò mai a un'alba che brulica di uccelli - lunghe vive sirene scavano quest'opera senza fondo, il lume proclama assedi, dell'incendio nelle vene il gran volume ... Varie a perdifiato incatena giungo a giunco, io dentro formicolo senza quiete, buio corridoio o filamento fiamma degli anni. Per sempre e tutto ho considerato. Come vivere ora il tremito crudo di una domanda, come domani essere fuoco dietro una palizzata. alla storia degli ultimi anni, quelli postsessantotteschi, collocherei questo libro accanto a Shit Man! di Alain Chedanne, anch'egli allora giovane esordiente con un libro pubblicato a Parigi da Gallimard nel 1971. Ricordo che raccolse più di un consenso critico. Paul Morelle ne parlò su Le Monde come di una rivelazione. E in effetti vi si respira la stessa aria del largo che in Boccalone. Anche in Alain Chedanne la vita è viaggio, e il narratore parte con un certo sorriso mettendo le parole una dietro l'altra e attingendo alla freschezza del mondo. Allora Alain era hippie (in estate lo incontravi in Marocco o alle Baleari, con un sacco a pelo come bagaglio). In quegli anni eravamo un po' tutti abitati da una grande leggerezza, e forse era più facile partire incontro alle stelle, agli amici, alle avventure: il pianeta non si era ancora ristretto come un blue-jeans rilavato e i calumets del popolo alto che facevano sognare non erano ancosegni di nuove tendenze, di una svolta, o cosi pare. A mezza strada tra una mitologia visionaria e le avventure di Lazarillo de Tormes, si svolge la saga di una singolare divinità degli indiani Winnebago (Sioux). Di essa e dei suoi ritorni in aree culturali diverse si occupa uno studio Il briccone divino compiuto da Paul Radin, Cari Gustav Jung e Karl Kerényi. Per i tipi della Bompiani ne esce adesso una seconda edizione nella _collana «Nuovo Portico». La prima uscì nel 1965 per lo stesso editore, ma in un'altra collana «Uomo e società». Ho cercato questo libro per riprendere il filo del passaggio dalla Casa di Arimane a Boccalone, per scoprire che cosa fosse implicato in tale passaggio e nell'accostamento stesso di due opere così diverse. Guardando le cose un po' più da vicino ci accorgiamo che il passaggio, cosi come si è verificato qui nel testo, è omologo a «un modo frequente, e i_nogni caso "normale", per uscire ni (...]>.Raul Radin,che nel suo saggio analizza il mito nei suoi limiti storici, nel clima culturale specifico che lo concerne, sembra fargli eco: «Come dobbiamo interpretare questa sorprendente figura? (...] 1n base ai numerosi dati che possediamo oggi sulle razze primitive, è un'ipotesi non soltanto ragionevole, ma quasi dimostrabile, che ci troviamo in presenza di un arcaico "speculum imaginationis" (...]. Soltanto se lo consideriamo in primo luogo come tale, cioè come un tentativo dell'uomo di risolvere i suoi problemi interni ed esterni, il mito del Briccone comincia ad apparirci comprensibile e significativo». Quindi Jung, per l'aspetto psicologico della questione: «Come accade con tutte le figure mitiche che corrispondono a esperienze interiori, dalle quali originariamente provengono, non stupisce osservare anche nell'ambito dell'esperienza parapsicologica fenomeni che mostrano i tratti proprio del "Briccone". Sono le manifestazioni dello "spirito folletto". che compaiono in ogni luogo e in ogni tempo. riferite a giovinetti che non hanno ancora raggiunto l'adolescenza. I tiri scherzosi o maligni di questo spirito sono universalmente noti. com'è nota la scarsa intelligenza, o addirittura la stupidità, che contrassegna le sue "comunicazioni">. La sensazione di freschezza nuova e un nuovo significato che caratterizza la lettura di testi come Boccalone sarebbe dunque l'effetto di un'immagine dotata di interna tensione. effettivamente dinamica se incontra il lettore attivo, capace di rianimarla empateticamente e di implicarvi il proprio sé fremente. Elvio FachineUi, che non a caso è l'editore sia della Casadi A rimane che di Boccalone, scriveva sul n. 1 del!' Erba voglio (rivista) del luglio 1971: «(...] l'ambito che dopo Freud siamo costretti a riconoscere come peculiare e irriducibile. questo luogo del coro, è il momento ineliminabile da ogni vita umana, in cui il passato, come presenza reale. urta nel presente e insiste per la propria re-incarnazione e risoluzione futura. Nessuna antropologia che si voglia all'altezza del suo oggetto potrà in futuro trascurare di esaminare e approfondire queste "potenze interne"». La coscienza poetica alla ricerca del suo linguaggio conosce queste zone di transe, di passaggio. Vi si può incontrare il briccone Boccalone, e meravigliarsi; si può anche incon1rare il demone della Casa di A rimane. Duvignaud, ne Les ombres collecrives. un testo del 1954 (~arigi. P.U.F.) che commenta le analisi di M. Leiris sulla possessione presso i moderni adepti africani dei riti di transe( 6), parla di «una regione poco conosciuta dove l'investigazione raramente si arrischia». Ma questa regione «mal conosciuta» tra menzogna e verità, non è forse la definizione dell'atto letterario? - Non stupisca allora se l'itinerario qui proposto incontra poeti ed etnologhi, ponendosi peraltro di traverso rispetto ad essi, nel tentativo di creare un nuovo campo che potremmo definire come quello della «transanalisi»(7). La concepisco, cosi come l'ho applicata qui, nell'indagine letteraria e recensione critica delle opere, come un campo d'interferenze significative. Mi pare di poter concludere, con questo breve accenno alle «aspirazioni latenti> o «potenze interne> (Hegel) nei limiti propri del fenomeno psichico costituito dalla lettura. (') La maggior parte dei testi gnostici sono andati distrutti. Alcuni estratti figurano neUeopere dei padri della Chiesa: san Giustino, sant'lreneo, sant'lppolito di Roma e sant'Epifanio di Cipro. Un ceno numero di testi autentici esistono e sono stati tradotti. Una pane è riprodotta nell'opera in due tomi di J. Doresse, Les livres secrets des Gnosriques d' Egipte, Parigi, Plon, 19581963. Vedi anche J. Lacarriere, La cendre et /es éroiles, essai sur la pensée gnosrique, Parigi, A. Balland, 1970. (2) C. G. Jung, «Sigmund Freud: necrologio», in Il contrasto tra Freud e Jung, Torino, Boringhieri, 1975, p. 255. Si tratta del seguente passo del necrologio dedicato, nel 1939, da Jung alla memoria del «Maestro>: «Egli senti di possedere la chiave dei cupi abissi deU'anima posseduta. E quanto era apparso come incubo alla "ridicola superstizione" dei tempi passati egli voUe smascherarlo quale iUusione, voUegettarne la maschera ai piedi del Malignoe trasformarlo in botolo innocuo: in una parola, ridurlo a "formula psicologica". Aveva fede nella potenza dell'inteUetto; nessun orrore faustiano fece vacillare la hybris deUa sua impresa. Una volta mi disse: "Mi domando che cosa faranno i nevrotici in futuro, quando tutti i loro simboli saranno smascherati. La nevrosi sarà allora impossibile">. (3) Cfr: J. Baudrillard, All'ombra delle maggiorame silenziose, Bologna, Cappelli, 1978. ( 4) E. Fachinelli, «ll desiderio dissidente>, in// bambino dalle uova d'oro, Milano, Feltrinelli, 1974, p. 112. ( 5) Jbid. ( 6) M. Leiris, La possession er ses aspects rhéatraux chez /es Eriopiens de Gondar, Parigi, Plon, 1958. ( 7) il termine di «transanalisi» è stato coniato da Georges Lapassade in Socianalyse erpotenrielhumain, Parigi,Gauthier-Vlllars, 1975, di cui la Emme Edizioni, Milano, prepara l'edizione italiana di prossima pubblicazione. Vedi anche, deUo stesso autore, Saggio sulla transe, Milano, Feltrinelli (in preparazione). La transanalisi vi viene definita «come un'azione neUaquale i rivelatori (o analizzatori, secondo una variante) naturali e costituiti permettono di lavorare e di esplorare la dialettica energetica dei rapponi conflittuali tra l'istituto e l'istituente, - tra l'energia sociale legata e l'energia sociale libera>.

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