Alfabeta - anno I - n. 3/4 - lug.-ago. 1979

XI Premio cli Compasso d'Oro» ADI e Comune di Milano. 29 maggio 1979. palazzo già delle Stelline io corso Magenta. Milano ., J,.:11 , . , «.~gJJ; eJ?esigo>. mostra rt~q~, e mostra dell'XI Com~ PnSSl,dnqr_o•. , . St~~Hi,qt (f~o al 39 giugno) -.d~ll>• 'l\ • <; • " • - «.-!lie.\iign,deesign>. di Enzo Mari rri'òsfia'della mostrà dell 'XI Compasso quale doveva essere. Studio Luca Palazzali. via San Primo 4. Milano (fino al 30 giugno) • (Cfr. anche: Design e design, trascrizione del progetto: quaderno io offset. Milano. s.n.t .. 1979. pp. 60. lire 10.000 in vendita presso la Libreria Salto. via Visconte di Modrone 18. Milano. E inoltre cfr. Enro Mari. Ipotesi di rifondazione del progetto a cura dell'ADI. Milano. s.n.t.. 1978. pp. 24. tiratura limitata fuori commercio) S econdo Frank Lloyd Wright. un esperto «è uno che ha smesso di pensare. perché sa>. Chi ha ordinato la mostra del Compasso d'Oro. cronaca e storia. alle Stelline. o ha fatto parte dell'ineffabile giuria dell'XI premio. senza dubbio è un esperto in questo senso. ha smesso di pensare. Potrei cavarmela cosi. danzando un incantesimo letale per alcuni degni giurati. quasi tutti stelle del design italiano e internazionale. con una bella collezione di poteri: Soloviev per il potere sovietico. Pulos per quello americano. Morello. Cortesi. purtroppo anche Dorfles per quello più cieco nostrano. che in fondo era l'unico in causa. Potrei gridare all'insipienza. scontarla sul personale. Errore. naturalmente. Non sono stati loro a dare questa bella prova di cinismo. A tutti gli effetti sono stati vissuti. recitati. L'opera dei pupi non ha nascosto affatto la mano del puparo. In questo squallido pasticciaccio. in questo colpo di mano protokatanghese. c'è tutta l'omertà buffa. ammiccante. di un marketing primordiale. Una cosa degJl~ delle scimmie .imJ11ortalid. inK~- pling: «sia·mo tanto brave. lo diciamo tutte>. Converrà raccontare. La cultura italiana del design è sanamente in mano agli esperti. il cui gergo è di norma enigmistico per qualunque persona normale: che. a sua volta. mai si degnerebbe di saper leggere una pianta. men che mai una sezione. li che vale un po' ovunque. dai letto-scrittori ai f~osi «utenti>, preda e zimbello di tutte le scimmie. Ne consegue una doppia ignoranza. e chi comanda tripudia: i suggerimenti degli addetti sono troppo criptici, quelli degli utenti sono troppo sprovveduti. e si può tirare a campare sul minimo comun rigurgito. Effettivamente il design. come è scritto nell'invito dello Studio Palazzoli e come persino La Malfa scoprì. «è tra le poche cose che l'Italia esporta»; e. com'è noto. ha avuto un lungo momento di vivace protagonismo (persino una mostra a New York ...). Dopo la guerra c'erano tutti i presupposti: sviluppo industriale. mercati da Con pa,i~ d'oro ' ... ,_ conquistare senza né materie prime né tecnologie originali. e non ultimo il vizio italiano per la forma viva, nutrita dall'atto intuitivo. talvolta veramente geniale. che senza impacciarsi di troppe analisi coglieva a volo soluzioni comunicative. e/o informative. cioè inattese. e/o addirittura creative. cioè a lungo risonanti di complessi echi arcani. Le cose sono. nel '54. tanto innanzi che la Rinascente crea «Il Compasso d'Oro» per oggetti venduti nei grandi ·magazzini. di spiccato valore formale «moderno». anzi del movimento moderno. Non è ben chiaro cosa s'intendesse per valore formale (salvo coincidesse con ('«armonia». cosa non troppo moderna). ma allora· chiaro sembrava. Oltre ai Nizzoli. Albini. Munari. Scarpa. BBPR. cominciano a delinearsi nomi che diverranno celebri: Castiglioni. Zanuso. Bellini. Manzù. Colombo. Sottsass. ecc. Nel '56 designers e industriali fondano l'Associazione Disegno Industriale. ADI: che dal '59 cogestisce ilCompasso e nel '67 lo assume in proprio. Chi sia andato alle Stelline ha trovato tutti. oggetti e personaggi. premiati nelle dieci edizioni del Compasso fino al '70; e nelle giurie i principali cultori. Campione significativo benché non esaustivo e benché ci sia un po' di tutto e il suo contrario. Si profila fin dagli anni '50 una cultura critica del design. con un dibattito talora brillante. Mentre la scuola di Maldonado a Ulm. che reinterpreta il Bauhaus dell'avanguardia storica. dopo drammatiche vicende viene chiusa. i nostri designers senza scuola. quasi tutti architetti. passano per i migliori del mondo. Man mano. però. che si comincia a veder chiaro nelle vicende del Bauhaus. di Ulm e del miracolo italiano. il mito del progresso (economico - industriale - culturale - sociale. urbi et orbi) si comincia a incrinare. Se progettare è rispondere a bisogni. vi sono bisogni che il sistema rifiuta di soddisfare. e il designer è impotente. L'intuizione geniale. si rileva. appaga qualche intenditore. ma sembra non superi l'l o 2% del mercato. La «riproducibilità tecnica» investe assai poco l'opera d'arte e moltissimo i pasticci in stile. Lo dichiarerà poi Zorzi dell'Olivetti al Congresso di design di Tokyo: «il designer vorrebbe partire dall'indispensabile [...] vorrebbe avere per destinatario la massa. la collettività; ma il suo committente è il privato. con i suoi obiettivi di profitto» (corsivo mio). E concluderà Buckminster FulIer: «considero il disegno industriale una pratica torbida [...)». L a rivolta è matura. manco a dirlo. verso il '68. Il vero progetto implica azione politica. perché è connesso alla struttura economica e investe i poteri decisionali. che sono tutti in mano al capitale. Si chiede un avanzamento dei parametri d'intervento. Addirittura si farnetica di una demiurgia del designer: digiuno in realtà di ogni vera disciplina tecnica. competente unicamente in forma. sarebbe però atto a coordinare i contributi delle molte discipline che convergono nell'oggetto d'uso quotidiano. Illusione volenterosa. offerta declinata. Privi di comprensione. ma non. forse. di humor. politici. amministratori. imprenditori. direttori di produzione e di vendita seguitano a fare il loro mestiere: decidono. programmano. progettano. costruiscono. vendono. e controllano le vendite. Se hanno l'impressione che un tocco di eleganza all'italiana possa migliorarle. chiamano il designer. Nell'ADI. però. la rivolta morale e moralistica travolge le resistenze di benpensanti e industriali. Il Compasso. strumento di mercificazione e consumo. è abolito; se ne inventa un altro. decentrato agli enti pubblici. Forse le regioni rosse potrebbero operare il prodigio? farsi committenti di quanto occorre davvero. conferendovi per giunta qualità? È l'idea della «committenza alternativa». che privilegia gli oggetti d'uso collettivo (il campo più carente). La riflessione critica rifiuta sia la forma sia la sofisticazione tecnologica fini a se stesse. alibi del design all'italiana. o alla tedesca. all'americana. alla giapponese. ecc. Si constata che il linguaggio del movimento mo:'' demo è stato puntualmente comperato dal potere (vedi il curtain wall); mentre la sua parte sostanziale (ricerca linguistica e coinvolgimento politico) è morta da vari decenni. sotto ogni regime. Per un poco si guarda alla Cina. come rivalutazione delle tecniche popolari. di uno sforzo di massa autonomo e cosciente. Poi anche questa speranza cadrà. Nella scia della contestazione nasce il «radical». intelligente riappropriazione vitalistica. che sconfessa disperatamente la matrice funzionale del movimento moderno: quella appunto che il potere. dando un taglio terribile alla qualità delle funzioni. ha potuto comprare. Infatti anche le speranze riformistiche vanno svanendo. E lo sforzo di coinvolgere gli utenti nei problemi e significati del progetto appare problematico: semplicemente. quasi mai comprendono cosa si voglia da loro. La gente è espropriata fin dall'infanzia. delega la vita agli esperti. Ora. l'autocoscienza di massa non la ·-. .,...,. . •può suscitare un gruppetto di designers. molti dei quali inoltre con la propria autocoscienza fuori posto. decisamente miliardari. e gli altri la cui sopravvivenza dipende esclusivamente dalle vendite. L'ADI cerca di sollecitare gli enti pubblici a modificare almeno regolamenti. prassi e bustarelle; ma la cosa resta teorica. «la chose» se ne infischia. E chi comanda tripudia: in quest'orgia di chiacchiere umanizzanti e sberleffi contestativi. nella scarsa risposta della base. nella sordità sospettosa di sindacati e partiti sinistri e ultrasinistri. resta almeno uno scopo a tutti comprensibile. scontato. entrato nella prassi da millenni: quello di far denaro in pochi sul lavoro di molti. Il designer può solo contribuire a questa confortante operazione entrando nelle «smagliature» del sistema per contrabbandare i suoi valori puramente formali a scopo di vendibilità. Tanto ormai è chiaro. nell' AD! e fuori: la sinistra non ce la fa. E nzo Mari. eletto all'unanimità presidente dell'ADI nel '76. eredita il programma socialdemocratico di decentrare il Compasso e sollecitare gli enti pubblici: gestisce per tre anni inutilmente questo tentativo' non suo. Mari è un notevole artista che si è stufato di fare eccellenti opere visive da godere e intende impegnarsi in oggetti da godere e usare: di impegolarsi. a scopo politico. nel design. Ha al suo attivo non molti oggetti. alcuni eccezionali. Prova a passare dal progetto di beni al progetto dell'ADI. Le industrie. se~plict'\mente. ab_l;>_andonano I,' AD I: non serve più. come investimento. Mari ha il difetto di vedere lucidamente la situazione. Parla anche troppo. consuma tempo. vanamente. Il tirocinio del potere lo soffoca. poiché il potere reale è altrove. Infine avanza una sua proposta abbastanza profonda: in una fase di chiaro riflusso. occorre prepararsi strumenti atti a un progetto più vasto. fissato sull'autocoscienza di massa. Se dal progetto del cucchiaino si è passati a quello del territorio. realizzando soltanto il cucchiaino (e solo nei modi consentiti). Mari affronta la questione globalmente e dichiara che progettare è una responsabilità collettiva. e che il «progetto uomo» di cui più o meno chiaramente si discetta. o è auto-progetto o non è. Auto-progettarsi collettivamente una cultura non inquinabile dal potere. senza royalties né firma. Solo questo vanificherebbe il ruolo dell'esperto come parassita. recuperandolo al progetto collettivo come cooperatore. specializzato in forma. Non gli si dà quasi risposta. L'ondata di ritorno è v1cma. l'approfondimento è sospetto. Il suo mandato sta per scadere. L'ADI è quasi deserta. La situazione è mutata. il consumismo è defunto. si tratta di competere sui mercati mondiali con produttori n9n più tr9ppo intimiditi dal «design ,:1ll'i-, taliana». Da più parti si chiede. sem-. pre più forte. s;ma professionaJità fjn1e· a se stessa. cioè finalizzata alle vendite. Il clima si testorizza un tantino. ma· se_nza~intrugli: psicanaìi_tici. L'àrte mòdern"a :è ~calz11tada de.stra e da sini~ stra. L'acqua ·sporcil - la .)ogorrf;!a.la demiurgia. l'ipocrisia del design.-:- va buttata. otti!Jlaoccasione per buttar!! il bambino. la cultura critica del design: E l'ADI. nata da un connubio con gli industriali. è il posto giusto per cominciare. L a pensata di Mari è rischiosa: chiudere la sua presidenza restaurando il Compasso (tanto. lo si restaurerà comunque). ma inquadrandone la mostra storica e la cronaca in un impianto generale problematico. realizzato con mezzi creativi. nei quali egli è pienamente competente. La mostra ci sfila davanti come «un percorso di oggetti inscritti (dirà Leonetti) in un ragionamento». I premi del passato sono commentati soltanto da didascalie brevissime tratte dai verbali stessi delle giurie: i brani più significativi. bontà nostra. non i più infelici. A metà percorso l'Xl Premio; poi. una serie di shock a tutti i livelli. concretati nello spazio. agiti per accostamenti e innesti sintetici: segnali di una problematica che appartiene oggettivamente al tema. altro che liquidazione professionistica. Testi brevissimi; opere di vari scultori (dovette smettere di cercarne. ci stavano subito tutti) e conclusione-slogan. «il progetto a chi lavora». ampiamente sostenuta (per chi si disturbasse a pensare) dalle molte analisi ironiche lanciate per flashes lungo il percorso. Dalla valvola di Seveso alla fine. si materializzano i due nuclei di azione pratica da concertare dopo la mostra: «centro difesa consumatore» (dove le sei finte lavatrici degli scultori si confessano. pregi e difetti) e «museo del design» (quale museo? ce n'è almeno otto: dell'oggetto. del designer. del tecnico. del direttore vendite. dell'operaio. del consumato1 re. e dei \<Veri,P,rogettisti»i.l banchiere e l'imprenditore). «Capire com'è fatto» (il design) era lo scopo: cosa c'è dietro e dentro. Nnn basta sapere di che lacrime grondi e di che sangue. occorre vedere i meccanismi. mistiche mistificazioni. trucchi. rimozioni. frodi. scarti. l'angoscia della forma. la violenza della compravendita. ecc. Uno dei migliori oggetti italiani. la lampada Toio di Castiglioni. veniva. in uno stand precedente. analizzato e. per mano dello stesso Castiglioni. rimpiazzato da un «lampadariaccio». il 99% del mercato. Poi si precisava. a partire da un gigantesco. obliquo triangolo sospeso con l'occhio di Dio lacrimante. l'incrocio tra cultura del potere e cultura materiale. Allusioni apparentemente innocue. o proterve. tali da mantenere una carica d'informazione alla terza. alla quarta lettura. e rapporto intercodice. inscindibile. tra parole e forme visive. Al termine. si doveva aver voglia di rileggere tutta la mostra. e soprattutto. con occhi forse più aperti. i fasti del «Compasso d'Oro». 60000perDemetrioStratos Mario Spinella Un f"dorusso entro l'Arena G li organizzatori del concerto per Demetrio Stratos si aspettavano da venti a venticinquemila presenze: a Milano, all'Arena, la sera del 14 giugno, vi erano più del doppio di ragazzi, ragazze - e anche un certo numero, significativo - di adulti. Si è trattato - si è detto - della maggiore manifestazione giovanile di massa del dopoguerra; e ci si è chiesti non solo il perché, ma anche il «come» («come hanno fatto»? «come mai tanta gente»?). Per il tipo delle sue ricerche, per la zona stessa, culturale e politica, in cui Demetrio Stratos si collocava, la sua notorietà. poteva, forse, considerarsi minore di quella di altri cantanti, cantautori, musicisti di oggi. Non incideva per le grandi case discografiche, non era un divo televisivo. E non è stata neppure la commozione per lasua morte -pur così intensa, in molti di noi, per la giovinezza, la bellezza, il rigore di Demetrio - a determinare in maniera rilevante il fenomeno. Giàprima che la notizia ne giungesse da New York, le prevendite avevano superato ogni prospettiva. Il Corriere della Sera - ha parlato - pro domo sua -di «disimpegno». A me sembra esattamente il contrario; sembra cioè di potere con buona dose di probabilità ipotizzare che il concerto all'Arena abbia rappresentato per i giovani e le ragazze una precisa occasione politica. Non è solo il fatto che il servizio d'ordine è stato garantito unitamente dalla Federazione Giovanile Comunista, dal Movimento Lavoratori per il Socialismo, da Democrazia proletaria, dai circoli degli autonomi milanesi, a confermarci in questa ipotesi. E non è neanche la circostanza che il concerto si sia chiuso sulle note del/'« Internazionale», nella elaborazione che gli Area ne avevano già compiuta per il, festival del Parco Lambro del vicino - lontano 30 maggio 1975. La politicità dell'incontro dell'Arena mi sembra appartenere a un ordine più profondo, e più rilevante. Il concerto per Demetrio seguiva di pochi giorni i turni elettorali nazionale ed europeo, intorno ai quali il voto giovanile, con le astensioni, le sche4e bianche e nulle, le scelte «di protesta», ha voluto assumere un ben preciso significato di diffidenza e di non disponibilità a quelli che ai giovani appaiono come meri giochi di potere. Ma questo voto non aveva voluto essere, in alcun modo, un vuoto «di assenza», «qualunquista», come si vuol dire: tanto meno «di rinunzia». I giovani - questa gioventù di oggi, assai più colta, checché se ne dica, di quanto mai ve ne sia stata in Italia, assai più politicizzata di quanto forse avvenga in qualsiasi altro Paese europeo e tardocapitalista -sono consapevoli di contare, di rappresentare, e di voler essere, una forza sostanziale: hanno loro proprie aspirazioni, speranze, forme di lotta, modalità di organizzazione. Loro proprit': che cioè non coincidono con quelle delle forze politiche tradizionali. Lo hanno detto, scritto, fatto capire in mille modi: anche con le elezioni del 1979. Perciò, all'Arena di Milano, intorno al nome di un musicista inequivocabilmente « rosso» sono accorsi a decine di migliaia: ci siamo, siamo qui, hanno duramente affermato. E non mi sembra wishful thinking di un «rosso» come chi scrive questa nota, il ritenere che i canali segreti, sotterranei, che li hanno avvertiti, mobilitati, sollecitati si annodino tutti anch'essi intorno a un filo rosso, a un' «anima» interna e nascosta, come appunto quella che segnava- i cordami ed i cavi di una grande marina da combattimento, a suo tempo vittoriosa contro le supposte «invincibili armate» della conservazione.

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