Alfabeta - anno I - n. 3/4 - lug.-ago. 1979

Larestaurazionseottobanco Jack Revdl Risdlio e solvibilità delle banche Milano, Comunità, 1978 pp. 123, lire 3.800 Gianni Manghetti Le banche italiane. Una prognosi riservata Milano, Feltrinelli, 1979 pp. 189, lire 4.000· Struttura e stabilità del sistema fmanziario a cura di Francesco Cesarini e Marco Onado Bologna. il Mulino, 1979 pp. 284, lire 6.000 P er qualche decennio - tutti gli anni Cinquanta e Sessanta - la scena del potere economico italiano è stata dominata dagli uomini dell'industria: gli Agnelli, i Costa, i Pirelli in nome proprio ovvero i Valerio. i Faina, i Valletta per conto del sistema. Costoro decidevano la quantità e la qualità degli investimenti, la misura del saggio di profitto, l'allocazione delle risorse. Per qualcuno fare l'industriale non era troppo difficile (alla Edison bastava emettere regolarmente le bollette dell'energia elettrica), per altri era più arduo (la Montecatini doveva difendere il suo monopolio della chimica a suon di brevetti). Ma tutti erano ben sospinti da una favorevolissima congiuntura interna e internazionale; soprattutto potevano contare sul comodo ammortizzatore del salario italiano più basso rispetto alla situazione dei concorrenti esteri. Erano tempi in cui - fatta salva l'eccezione di Raffaele Mattioli - i banchieri giocavano in trasferta e gli industriali in casa. I consigli di amministrazione delle banche si onoravano di attingere nomi dall'albo d'oro dell'industria; raramente accadeva il contrario. A che scopo i signori del credito avrebbero dovuto andare a controllare da vicino amministratori che occupavano le loro menti soprattutto nella ricerca di marchingegni per occultare i profitti? Se il mestiere di industriale non era allora dei più difficili, quello di banchiere superava tutti per tranquillità e confortevolezza. Quel che è accaduto, in anni più recenti, sullo stesso palcoscenico del potere economico è sotto gli occhi di tutti. Ai pochi, come gli Agnelli che resistono. fa da contorno una fuga generale dei capitani d'industria: nell'area privata come in quella pubblica. il personaggio stesso del grande tycoon, che dispone e controlla migliaia di miliardi di investimenti, lascia lentamente ma inesorabilmente il campo. Alla dissolvenza dell'industriale corrisponde la progressiva ascesa in primo piano del banchiere. La svolta comincia sul finire degli anni Sessanta e ha come iniziatore e protagonista di prima grandezza Enrico Ciccia, il riservato e presago amministratore di Mediobanca. Di fronte alle avvisaglie di crisi che si manifestano nel settore della chimica, è lui che promuove-a tutela degli enormi crediti impegnati dal sistema bancario - i primi tentativi di riassetto finanziario e industriale nel grande settore produttivo di base. Ciccia spinge alla fusione Edison e Montecatini, appoggia la scalata dell'ENI alla Montedison, favorisce il significativo ingresso del padre dei banchieri italiani, Raffaele Mattioli, nel consiglio della stessa società. A sancire la presa di potere del credito sulla chimica provvederà lo stesso governatore della Banca d'Italia, Guido Carli. indicando su mandato del governo ilgauleiter della DC. Eugenio Cefis. per la guida della Montedison. ·s iamo agli inizi degli anni Settanta: da allora la banchizzazione del potere industriale procede a passi rapidi con un'accelerazione negli ultimi tempi quando la questione Montedison o SIR-Rumianca o Liquichirnica diventano problema assai più degli istituti creditori che dei proprietari o gestori delle aziende. Con qualche ritardo anche la pubblicistica italiana converte i suoi interessi e le sue curiosità in parallelo a questo processo di mutazione. Si inaridisce rapidamente la ricca vena di studi sia sull'impresa pubblica e privata sia sulle linee direttrici del processo di industrializzazione che ci si riprometteva di pilotare con la programmazione di spirito ruffoliano. Analoga riconversione avviene su periodici e quotidiani più attenti alle vicende dell'economia: Cappon e Piga, Cingano e Rondelli, magari con la cattiva compagnia di Michele Sindona. sono i nuovi eroi di copertina al posto di Cefis o Rovelli. Lo stesso ministro dell'industria diventa, nella compagine governativa. una figura di secondo piano per lasciare tutto il proscenio al collega responsabile del Tesoro. Si compie un processo che, parafrasando Robbe Grillet, potrebbe definirsi di spo tamento progressivo del potere. In un sistema industriale, dove le grandi aziende raggiungono livelli inimmaginabili di indebitamento, la banca diventa il vero centro del potere. È la rivincita del capitale finanziario su quello industriale con tutte le inevitabili conseguenze. La prima delle quali - come hanno ricordato gli economisti Belkin e lvanter su Novyj Mir anche a proposito del sistema sovietico - è che echi paga ordina la musica». Ed ecco che oggi le principali novità librarie sulla realtà economica si concentrano pertinentemente sull'attività delle banche e sull'esercizio del credito: un processo parallelo di mutamento della realtà economica e degli interessi culturali. Per la sua parte il mondo della politica mostra di essersi già rapidamente adattato alle novità della situazione: le nomine dei banchieri, in un sistema creditizio largamente pubblicizzato, sono da tempo il terreno degli scontri più duri fra partiti e correnti organizzate. Tanto aspro è il conflitto che si giunge ad investire direttamente il vertice del sistema bancario con gli attacchi, tuttora in corso, al 'santuario' della Banca d'Italia, dove il governatore Baffi mantiene una difficile linea di resistenza contro la dilagante visione 'dorotea' della banca centrale come cinghia di trasmissione e di penetrazione delle ragioni del sottogoverno all'interno del sistema finanziario. Gli interrogativi principali che nascono da questa confusa situazione di contraddizione d'interessi e di traslazione di poteri sembrano essere affrontati dalla pubblicistica più recente. Innanzitutto la questione della solvibilità bancaria (dopo un'espansione senza precedenti nel mondo industrializMassimo Riva zato) che ha però condotto alla formazione di una montagna di crediti in larga parte riconosciuti come inesigibili. E questo il nodo che Jack Revell affronta in termini tecnici e che Gianni Manghetti propone come punto di part~nza della sua diagnosi per suggerire una serie di interventi, legislativi e non, miranti a far emergere in piena luce la nuova realtà del rapporto fra banca e industria in modo da prevenire una crisi finanziaria che potrebbe anche esplodere da un momento all'altro. Analoga impressione di imminente pericolo si ricava dalla raccolta di saggi curata da Franco Cesarini e Marco Onado sulla struttura e stabilità del sistema finanziario. G li obiettivi di quest'ultimo volume sono essenzialmente due: il primo di riesaminare le vicende delle crisi bancarie recenti e lontane (perciò viene ripescato uno scritto del grande Sraffa che rico truisce in modo magistrale le vicende del crak della Banca Italiana di Sconto); il secondo obiettivo è quello di descrivere (attraverso i contributi di Mario Monti, Guido Carli, Tommaso Padoa Schioppa, Pierluigi Ciocca) le trasformazioni intervenute sul mercato finanziario italiano, tali da aver ormai consolidato un sistema in larga misura antagonista rispetto all'assetto istituzionale, come è definito dalla vigente legislazione bancaria e come molti operatori tuttora credono che sia. Il merito tecnico e politico di tutti questi studi è altissimo. ma anche limitato. Accanto a un grande sforzo di analisi e di proposta di soluzioni non contingenti, manca vistosamente una ricerca sullecause e sulleconseguenze, non meramente finanziarie, delle novità realizzate nel mondo del credito. Non si tratta tanto di una lacuna rimproverabile ai singoli autori, che si erano proposti fini più contenuti e in qualche misura li hanno raggiunti; appare. piuttosto. doveroso segnalare un vuoto generale del dibattito culturale sull'argomento. Se la crisi delle industrie si è ripercossa pesantemente sulle banche allungando serie ombre di rischiosulla loro stabilità e solvibilità; se-d'altro canto-il capitale finanziario sembra aver spodestato il capitale industriale dal suo primato di potere. tutto questo deve anche essere visto come il risultato di un processo di trasformazione che affonda le sue radici nei mutamenti avvenuti nel corpo sociale in termini di distribuzione dei redditi e di allocazione delle risorse. Senza nulla togliere alla necessità di studi tecnico-finanziari sulla struttura del sistema creditizio. va oggi sottolineata la prevalente esigenza di spostare l'attenzione generale sui meccanismi politico-sociali che hanno provocato la situazione presente. Un primo importante contributo in questo senso è venuto, proprio nelle ultime settimane, dalle cconsiderazioni finali» lette dal governatore Baffi all'assemblea della Banca d'Italia del 31 maggio scorso. Anche per il tema dell'inflazione, che oggi interseca profondamente quello del governo del credito, Baffi ha proposto una analisi delle cause in cui ha richiamato insistentemente l'evoluzione dei rapporti sociali «attraverso la quale si sono trasformati i meccanismi stessi di determinazione dei prezzi». Perché non approfondire l'ipotesi che l'attuale primato del capitale finanziario abbia analoghe cause strutturali? Già qualche anno fa, lo studioso e banchiere belga Lamfalussyaveva avvertito l'imponenza del processo di redistribuzione dei redditi attuatosi in tutta l'Europa a vantaggio della quotaparte del lavoro e a spese della remunerazione del capitale. Avviatosi già negli anni Ses anta. questo processo ha assunto i caratteri di una vera e propria svolta con la avanzata sindacale conseguente ai grandi movimenti del '68-'69. Esso non ha coinciso immediatamente con una penalizzazione dei profitti industriali perché - come notava lo stesso Lamfalussy - la forte espansione del prodotto nazionale ha permesso di mantenere, o anche talora di accrescere, la remunerazione reale del capitale malgrado uno slittamento nella ripartizione del reddito a favore del fattore-lavoro. Con l'arrivo della grande recessione. a partire dal '73. questo impianto è però entrato in corto circuito. Ridotti i margini di autofinanziamento, le imprese industriali hanno dovuto fare crescente ricorso al credito delle banche dove andava accumulandosi il risparmio dei salariati. Questa tendenza obbligata si è tradotta in uno stato patologico, cronico e poi in una spirale perversa. Le industrie meno solide si sono rapidamente trovate nella condizione di dover lavorare per pagare salari ai dipendenti e per onorare gli interessi dei prestiti bancari. Cioè, paradossalmente, per remunerare ancora, ma a diverso titolo, i propri stipendiati per ildenaro che essi restituivano all'impresa attraverso la mediazione bancaria. La cedente prospettiva di un profitto industriale ha ulteriormente accelerato il fenomeno spingendo alla diserzione dall'investimento diretto nell'industria e caricando sulle banche tutte le aspettative di remunerazione del capitale con evidenti e negativi riflessi sul costo generale del credito. Q uesto processo non può definirsi altrimenti che come una larga socializzazione del processo di accumulazione. Ma è interessante notare che questa tendenza, in Italia come in tutta l'Europa. si è rivelata incomprimibile sul terreno sociale e politico. Può discuter i se essa sia destinata a concretare nell'economia occidentale una nuova fase improntata alla caduta storica del saggio di profitto. Certamente non può essere messo in dubbio che questi mutamenti strutturali sono la causa maggiore dell'attuale centralità del potere bancario in tutti i sistemi economici, a cominciare dall'Italia. All'intermediazione bancaria, da un lato. e alla confisca del potere d'acquisto attraverso l'inflazione, è ormai affidata la funzione di mantenere i precari equilibri sociali e di dissimulare i conflitti di classee di interesse all'interno della società. ln un sistema come quello italiano. tendente a una forma di capitalismo improprio in cui lo Stato opera attraverso ilTesoro da «banchiere occulto» secondo ladefinizione di Mario Monti, si spiega alla luce di questi fatti la particolare ferocia della lotta politica per sottomettere alle esigenze di regime il potere bancario. Ma si deve fare attenzione a non liquidare la questione delle nomine dei banchieri o l'assalto in corso alla Banca d'Italia come epi odi appartenenti al noto e diffuso fenomeno della lottizzazione partitica dell'economia. C'è un significato ben più rilevante da cogliere: lo scontro sul controllo del potere bancario può essere visto anche come un fondamentale episodio di lotta fra classi sociali, ovvero come tentativo di riconquista e di confisca delle porzioni di reddito che sono state cedute dai centri tradizionali del capitalismo sotto la spinta sindacale degli anni successivi al ·68-'69. Una conferma si può trovare proprio nella vicenda della Banca d'Italia. L'ordinamento del credito, in Italia, è strutturato in forma rigidamente gerarchica con al vertice la banca centrale. Essa guida l'attività finanziaria del sistema attraverso le autorizzazioni alle emissioni di titoli degli istituti del credito speciale e attraverso i vincoli di portafoglio delle banche di credito ordinario. Chi dà l'assalto alla Banca d"Italia mira ad occupare la sede strategica per il controllo della eccedenza finanziaria delle famiglie e della sua conver ione in investimenti. Baffi e i suoi collaboratori hanno gestito finora con grande imparzialità politica e sociale gli strumenti a loro disposizione. Ma è a tutti evidente quanto facile sarebbe trasformare la Banca d'Italia in una macchina per contrastare e per svuotare la crescente socializzazione del processo di accumulazione che si è rivelata incomprimibile sul terreno politico e sindacale se non al prezzo di rimettere in causa le regole stesse della democrazia politica. Ciò dimostra tutta l'importanza della questione bancaria di oggi. Attuandosi un diverso controllo del credito si ,realizzerebbe anche quella svolta in senso autoritario che, sul piano delle istituzioni politiche, è stata più volte cercata senza successo. Proprio perché occulta, questa opera di restaurazione avrebbe maggioriprobabilità di riuscita: essa ridurrebbe gli effetti della democrazia economica senza abbatterne le forme garantiste. È un tema questo sul quale ci si dovrebbe aspettare minore latitanza da parte della cultura italiana. sia accademica sia politica. Nel vuoto di elaborazione sui reali risultati di un rivendicazionismo sindacale vittorioso. ma insidiato dall'inflazione e dalla manomissione bancaria, avanzano le prospettive di ritorno all'ancien régime. Con buona pace di quei gruppetti, armati e non, che si tengono in tasca da anni iicertificato di decesso del sistema. Fortuna per loro che non vi hanno messo una data.

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