OlocaustoS,QQhspJaettacolo Hanna ·Krall Zdpzyc przed Pana Bogiem (Arrivare prima di Dio) Cracovia. WL. 1977 pp. 90 Kazimierz Moczarski Rozmowy z katem (Conversazioni con il boia) Varsavia. PlW. 1978 pp. 459 Julian Stryjkowski Przybysz z Narbony (L'uomo di Narbona) Varsavia. Czytelnik. 1978 pp. 392 (( Le XVII siècle a été le siècle des mathématiques. le XVIII celui des sciences physiques. et le XIX celui de la biologie. Notre XX siècle est le siècle de la peur»: non è difficile riconoscere nello stile lapidario e astratto di questa formulazione ilCamus moralista. Se le sue parole. apparse su Combat nel 1946. sembrano rispondenti allo stato d'animo diffuso nel continente europeo all'indomani del secondo conflitto mondiale. esse appaiono invece addirittura inadeguate per quel paese. la Polonia. che prima degli altri la guerra aveva investito con l'impeto di un cataclisma naturale. Banco di prova su cui il nazismo hitleriano misura gli effetti distruttori della sua macchina bellica. dando sfogo al tempo stesso alle secolari ambizioni germaniche di espansione ad est e a mai sopiti sentimenti antislavi. rinsanguati da nuovi miti di superiorità razziale. alla guerra si accompagna qui fin dagli inizi. prima di estendersi verso le terre russe e caucasiche. un programma di asservimento barbarico e di sterminazione biologica. Essa assume così il carattere di uno sconvolgimento totale non solo di beni materiali e di vite umane. ma anche di ogni sistema morale e tradizione culturale: «Avevamo nell'anima Goethe e ci governava. Himmler; i tedeschi gridavano: "die Kultur, die europeische Kultur". sulle soglie dei macelii umani avevano scritto "Die Kultur und die Kunst". i massacratori dil"endevano "die Kultur" [...]. L'arte ci aveva insegnato il rispello per gli uomini e l'umiltà di fronte alle ricchezze interiori umane: ora cosa vedevamo? Un mondo che faceva sapone degli uomini e materassi dei capelli delle ragazze[ ...)». Con queste parole di Mare vivo e mare morto (I 952) lo scrittore polacco Adolf Rudnicki si fa interprete di quell'ossessione della guerra comune a tulla una generazione. la generazione di Krzysztof Kamil Baczy"ski e Tadeusz Gajcy. poeti morti ventenni sulle barricate di Varsavia. di Tadeusz Borowski e Tade_uszR6zewicz. per limitarci a qualche nome significativo all'interno di quest'area linguistico-culturale. Superflua appare ogni insistenza su cifre o dati statistici: i milioni di morti. le distruzioni di città e impianti industriali. in proporzioni che non hanno uguali negli altri paesi europei. sono fatti da· tempo a tutti noti. Questi sommari richiami servono però a spiegare perché nella letteratura polacca degli ultimi trent'anni il tema della guerra e dell'occupazione nazista costituisca un motivo che non accenna ad esaurirsi. M olto è stato scritto in Polonia a proposito della guerra· ma. come annota Gombrowicz nel primo volume del suo Diario (Milano. Feltrinelli. 1970. pp. 311 ). «forse che si può esplorare l'inferno?». Lo stesso urgere di emozioni scaturite da tanto orrore fu certamente di ostacolo per più d"uno scrittore alla comprensione e rappresentazione. « Ho ventiquattro anni / sono scampato / condotto al macello» (Scampato, in Inquietudine, 1947): è il curriculum con cui si presenta R6zewicz. il poeta polacco che forse in misura maggiore di ogni altro da quell'orrore è segnato nelle sue prime raccolte liriche. li tema non cessa così di riproporsi negli ultimi anni in una prospettiva più decantata. a cui si accompagna la rottura dei vecchi schemi narrativi- non senza l'indignazione o i malumori delle vestali dell'ideologia. sotto ogni sole devote del- !' «eroico» -, la ricerca di nuove e più raffinate forme espressive. in una direzione che privilegia la riflessione sulle conseguenze morali e psicologiche dell'esperienza bellica nell'esistenza individuale. Un ampio spazio all'interno di questa tematica spetta al genocidio della popolazione ebrea che. come è noto. rappresentava allo scoppio della guerra circa il 10% di quella complessiva del paese. di fatto il maggior centro mondiale dell'ebraismo. Paradosso atroce e non insolito nella storia crudele degli uomini. quegli ebrei che nei ~ecoli in cui cresceva negli altri paesi dell'Europa cristiana la persecuzione antigiudea avevano cercato scampo o condizioni di vita migliore nella tollerante Polonia (tolleranza destinata in verità a perdere molto del suo smalto per via. ma ancora tale nella seconda metà del Seicento da far apparire agli occhi di qualche viaggiatore straniero il «Clarus Regnum Polonorum» come un «Paradisus Judaeorum» )- proprio qui. per la loro stessa consistenza numerica e conseguente compattezza etnico-culturale. sono pronta preda della violenza hitleriana. Anche in questo caso le cifre. aldilà delle dispute sui dettagli. sono più eloquenti di ogni commento: dei circa 3.3 milioni di cittadini di origine ebraica risiedenti entro i confini polacchi nel 1939. alla fine della guerra ne restavano in vita non più di 600.000 (cfr. Wielko Encyklopedia Powszecgna, voi. IX. Varsavia 1969. p. 887). «Partout où Hitler pose le pied. il n'y a plus d'espoir pour le peuple juif>, annotava nel suo diario a Varsavia. il primo giorno di guerra. Chaim A. Kaplan. che ci ha lasciato una testimonianza sconvolgente e consapevole sulla sorte del ghetto della capitale polacca (Cronique d'une agonie. Parigi. ed. Calman-Levy. 1966. p. 12). li presentimento. che suona come una sentenza. diviene presto realtà: le comunità ebraico-orientali. depositarie di un enorme patrimonio di cultura. miti e rituali. sono cancellate. ridotte allo stato di fossili di un passato definitivamente scomparso. con un'opera di rimozione unica nella storia europea. che neppure la rievocazione fantastico-magica dei racconti e romanzi di lsac B. Singer fa meno irreversibile. Esse sopravvivono oggi in Polonia solo nella rivisitazione della memoria di scrittori e poeti. nella prosa scandita sui ritmi psicologici della loro cultura di Julian Stryjkowski (uno dei suoi romanzi più belli. L'osteria. del 1966. è apparso. oltre che in inglese e tedesco. in versione francese col titolo L'aubergedu vieux Tag. edita nel 1973 da Gallimard ). o in versi come quelli di Antoni Sonimski: «Non più. non più in Polonia hai le borgate ebree./ A Kruhieszow. Karczew. Brody. Falenica / Invano cercherai le candeline accese alla finestra / E tenderai l'orecchio al canto delle sinagoghe in legno/ (...) Risplende qui solo una luna. fredda. pallida. estranea. / Fuori dal borgo. sulla strada maestra. quando la notte si accende./ I miei parenti ebrei. fanciulli poetici. I Non troveranno più le due lune d'oro di Chagall. /[ ...]Non più ci sono le borgate. dove il calzolaio era un poeta./ L'orologiaio un filosofo. un trovatore il barbiere/ Non più le borgate ove il vento fondeva/ I canti biblici alla canzone polacca e al lamento slavo/ Dove i vecchi ebrei nei frutteti all'ombra dei ciliegi / Piangevano le mura sante di Gerusalemme> (Elegia delle borgate ebree, 1947). D ella loro sorte. di quel genocidio. la distruzione del ghetto di Varsavia (istituito dai tedeschi nell'ottobre 1940; meno di un anno dopo la sua popolazione si avvicinava al mezzo milione di abitanti). iniziata con le deportazioni in massa nel giugno 1942.ma condotta a termine fra l'aprile e ilmaggio del 1943 dopo un'accanita lotta di quattro settimane sotto gli occhi del mondo cariano>. assurge a simbolo. È oompreDS1bilqeuindi che il ghetto di Varsavia. la cui vicenda rac- ~hiude in sé in qualche modo il destino di tutti gli ebrei polacchi e d'Europa. di tutte le minoranze etniche sterminate dai nazisti e della Polonia stessa. che con l'insurrezione della capitale di lì a non molto ne avrebbe emulato e seguito la fine. rappresenti un momento importante nella riflessione della cultura polacca del dopoguerra. Romanzi. racconti. drammi. poesie. diari (come quello di Janusz Korczak. il medico e pedagogo dei bambini chrei. oggi conosciuto anche in Occidente): sarebbe difficile anche solo elencare tutte le opere in cui il tema del ghetto. degli ebrei e. in margine. dei loro rapporti - non immuni da ombre. sospetti. reciproche accuse - con la comunità polacca durante l'ultimo conflitto mondiale. continuamente ritorna. Incessante è il bisogno di dare testimonianza. o anche di co- !!liere le radici di una violenza che ~embra essere non soltanto il frutto avvelenato di una formazione storicoçulturale. ma un morbo latente nell"uomoe nelle società a cui egli di volta in volta dà vita. Uno tra i molti titoli merita di essere almeno segnalato: il romanzo di Bogdan Wojdowski. li pane gettato ai mani (1971). dove la vita e la distruzione del ghetto di Var- ~avia sono viste nella loro normalità concentrazionaria con gli occhi di un hambino ebreo. Questa produzione. recepita in misura maggiore dal mercato di lingua inglese. tedesca o francese. solo in piccola pane è accessibile in traduzione al lettore italiano (non esiste così una traduzione italiana dei racconti di Borowski. apparsi in numerose altre lingue. che sono quanto di più bello e disperato sia stato scritto sull'occupazione nazista e i campi di sterminio). Ma si sa. la nostra industria culturale. allenta ad ogni prodotto dell'Est etichettato di «dissenso>o ai vari recuperi di «inediti> delle avanguardie dei fatidici anni Venti. assai meno disponibile si mostra nei confronti di opere provenienti dalla stessa area non immediatamente rapportabili al dibattito politico-ideologico del momento o a preesistenti filoni di interesse artistico- letterario. Accade così che mentre i paesi dell'Est costituiscono uno dei più frequenti termini di confronto nelle dispute a tutti i livelli di casa nostra. ci mancano poi di fallo molti degli clementi di conoscenza delle loro realtà socio-culturali. della loro componente «civile>. sia nella sua articola- ,:ione presente che nelle sue radici nel passato. Il risultato di questa cono- ,cenza monca è una visione parziale e approssimativa. che finisce per appiat-
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