Alfabeta - anno III - n. 25 - giugno 1981

Mensile di informazione culturale Giugno 1981 Numero 25 - Anno 3 Lire 2.000 25 Spedizione in abbonamento postale gruppo 111/70 Printed in Italy Analisidell' URSS Il masochismofemminile BretonLDusel Liubimo'!M, ontale, Oblowi,zP, oe CLENCRANr il puro\\bisky di puro malto d'<rl.O. Arbasino, Geymonat, Porta,Volponi J-P. cle Gauclemar: URSS, li lavoro come sistema * S. Salvestronl: Llultlmov e dintorni P. Bertetto: New York, l'oncia fredda * M. Schlno: Duse! Duse! * E. Duse: Lettera clell'll lugllo 1907 V. Deità: Game over * P.D. Lombardi: Breton '33 * M.A. Grlcanl: Montale, ce n'è per tuNI Cfr. * Testo: Trans-Paclflc Express: Cina, cli Al rto Arltaslno P. Mauri: GII ultlml ventoHo secondi* M. Wolf: La notizlabllltà * A. Caraltelll: Trimestrale M. Fluman•: Il masochismo femmlnlle * Poesie cli A. Porta, R. Splnella Blackout: Lettera aperta cli Paolo Volponl a Jaroslav Novàk In carcere LeNera cli Ludovico Geymonat * Lettera aperta clal terremoto alla cultura ltallana Glornale clel Glornall: La democrazia clell'lntrlgo * Immagini: L'Ira dell'Ulster, cli G. Giovannetti

=l~N=ALE DEU'INFAMIA Introduzionedi Garlo Frutteroe Franco Lucentini L. 4.500 Colln Rowe e PreciKoetw LA crnA COLLAGE Noam Chomsky R■GOLaE RAPPRESENTAZIONI a cura di Giorgio Graffi L. 15.000 HansKelsen LA TEORIA POLITICA DEL BOLSCEVISMO e altri saggi a cura di RiccardoGuastini L. 9.000 John lltuart Mlii SAGGIO SULLA LIBERTÀ Prefazionedi Giulio Giorello e Marco Mondadori L. 8.000 :z. Furet, Taylor, Soboul DELLA IVOLUZIONE RANCESE a cura di Massimo Terni L. 8.000 Ogni volume illustra un argomento, un problema, una realtà del mondo moderno. 3.Tullio De Mauro Guida all'uso delle parole 4.Lionel Bellenger Saper leggere 6.lvano Cipriani La televisione 14.Mimma Gaspari ~industria della canzone 22.Mario Lenzi Il giornale Come funziona la fabbrica di notizie e di opinioni. Le nuove tecniche di informazione e di stampa. Formato tascabile, 144 pagine, 3.500 lire EditoriRiuniti Leimmagini di questonumero L'Ira deU'Ulster «Gente di Dublino». No, di Be/fast. Ma il riferimento al titolo di Joyce è troppo bello per non essere utilizzato. Soprattuuo in relazione al concetto di «irlandesità», che nei ritrattidell'autore di Ulisse, così apparentemente slegati l'uno dall'altro, ritorna ad ogni pagina. Anche qui abbiamo ritraui, di gruppo o individuali. Anche qui abbiamo storie singole e apparentemente diverse: i funerali di Bobby Sands, gli scontri dopo la sua morte e dopo quella di un altro suo compagno di lotta e di carcere, i giochi dei bambini sulle barricate, la gente anonima per strada, passanti. E su tutto c'è una «irlandesità» dominante. li paragone finisce qui, Joyce esce di scena. lenza e della guerra. La seconda, magari esaltante: l'unità di popolo che sembra emergere dalla visione dei funerali di Bobby, con quei militanti de~Ira che possono permettersi di partecipare e sfilare in pubblico con la loro divisa, la loro rivendicazione di un'autonomia e un diritto, la loro legittimità, protetta non dalle armi (come spesso si crede per tutto ciò che viene definito «terrorismo») ma dallo scudo che la piazza, la gente, fa loro. ne risulta intaccatairrimediabilmente, e con ciò l'intero sistema di valori su cui siamo abituati ad esprimere giudizi. Ma se questo ci dice l'oggetto di queste fotografie, cosa ci dice invece la nostra coscienza di soggetti diversi dalle situazioni riprese dall'obiettivo? Ecco il problema: ci sentiamo davvero sconvolti da queste immagini? Siamo ancora capaci di un atteggiamento passionale di fronte alla rappresentazione della violenza, o ancheper noi (chenon siamo in guerra, oppure siamo in guerra, non èfacile rispondere), per noi che comunque siamo immersi in un universo rappresentativo di guerra attraverso l'immagine globale proposta dalle comunicazioni di massa la convivenza con la violenza è tragicamente già cominciata? o.e. Cart G. Jung Richard Wilhelm Il segreto del fiore d'oro L'incontro di Jung con un testo <lei Taoismo che rivela sorprendenti affinità con le produzioni psicologiche, le religioni e il pensiero alchimistico dell'Occidente. Tullio Regge 0'onache dell'universo Le awenture della scienza moderna •raccontate" da uno dei maggiori fisici contemporanei. A giorni in libreria nella "Universale scientifica". FranzBoas Arte primitiva Le tecniche, le forme, gli stili, i simboli. Un maestro dell'antropologia studia le •costanti" di un ricco campionario di oggetti dell'uso quotidiano. Ruggero Pierantoni L'occhio umano L'«irlandesità» in questione, infatti, non è più un dato letterario,di costume, etnografico. L'«irlandesità» è divenlata due cose coincidenti e distinte. La prima, tragica: la normalità della vio- La visione e i suoi miti: le risposte che 1----------------~---------------~---------------- scienziati, artisti e filosofi hanno dato ai Ma la prima normalità è quella che forse ci tocca di più, e che ci turba di più. Anche con la guerra, ci dicono le immagini di Giovanne11i o forse, chissà, ci dice la realtà stessa del/' U/'. ster, si finisce per convivere. Il panorama del conflitto definisce la nuova forma della vita quotidiana. La barricata, l'autobus incendiato, la bomba finiscono per non sconvolgere più di tanto. La nozione stessa di vita umana Sommario Jean-Paul de Gaudemar Urss, il lavoro come sistema (Chronique des pelites gens, di AA. VV.; Le lotte di classe in Urss, di Charles Bettelheim; Les ouvriers en Urss: statut économique et socia/, in Courrier des Pays del' Est; L'officiel et le parai/è/e dans l'économie soviétique, di Gérard Duchène; Les économies socialistes soviétiques, di Marie Lavigne; Le syndicalisme de type soviétique -Aworité, encadrement et organisation du trovai/ dans /es industries des pays del' Est européen - Y a-r-ildes Etats en Europe del' Est? - Le Partipolymorphe en Europe de l'Est, di Thomas Lowit) pagina 3 Simonetta Salvestroni Ljubimov e dintorni pagina 7 Paolo Bertetto New York: l'onda fredda (li gergo inquieto. Cinema offe inespressionismo a New York, a cura di Ester de Miro e Germano Celant; Tre incontri sulla felicità, Arei-Roma) pagina 8 Mirella Schino Duse! Duse! (Lettere d'amore, Eleonora Duse e Arrigo Boito; CarteggioD'Annunzio - Duse, a cura di Pietro Nardi; Eleonora Duse adAntonietla Pisa,di Dora Sella) pagina 10 Cfr. pagina 12 Valerio Dehò Game over (/ falsi adami, di Gian Paolo Ceserani; Tutte le macchine sono uguali, di Emina Cevro-Vukovic; Le macchine simulanti, di Giuseppe Perrella e Raffaele Strino) pagina 14 Testo Alberto Arbasino Trans-Pacific Express: Cina pagina 15 Comuniaazione ai collaboratoridi «Alfa. beta» L'attività nuova della Cooperativa Alfabeta prevede un consolidamento allargato dell'attenzione di un'area di lettori che, mentre non domanda un abbassamento di tipo divulgativo del livello degli articoli, ricerca in essi una piena funzionalità informativa e critica. Ci occorre perciò (e richiediamo per i pezzi in corso di stesura): a) che ogni articolo non sia più di una pagina del giornale. cioè al massimo di 7 Paola Decina Lombardi Breton '33 (Minotaure, nn. 1, 2, 3, 4- Parigi /980 (reprints);Acepha/e, Coli. integ. Parigi 1980 (reprints)) pagina 19 Maria Antonietta Grignani Montale, ce n'è per tutti pagina 21 Anna Carabelli Trimestrale (Afferrare Proteo. Quaderni della Rivista Trimestrale n. 62-63) pagina 23 Mauro Wolf La notiziabilità (Quale giornalista per quale giornalismo, di G. Bechelloni; Il giornalismo come professione, di J. Galtung e M. Ruge; Between Sociology and Journalism, di P. Schlesinger) pagina 25 Marisa Fiumanò Il masochismo femminile (Tre saggi sulla teoria sessuale - Un bambino viene picchiato - Al di là del principio di piacere - li problema economico del masochismo - Sessualità femminile - Dostoevkij e il parricidio, di Sigmund Freud; Il masochismo femminile e la frigidità, di Helen Deutsh; Encore, di Jacques Lacan; L'ombra e il nome, di Michèle Montrelay) pagina 26 Giornale dei Giornali La democrazia dell'intrigo A cura di lndex-Archivio Critico dell'Informazione pagina 30 Finestre Eleonora Duse Lettera del/'1I luglio 1907 pagina 11 Paolo Mauri Gli ultimi vento110secondi pagina 21 Appello dal terremoto agli in1ellettuali italiani pagina 30 lndex-Archivio Critico dell'Informazione A Placido non piace il cannocchiale pagina 31 cartelle di 2000 battute, con un'accettabilità fino a 9- 1 O cartelle (dovendo altrimenti procedere a tagli e rinvii prolungati); b) che il riferimento diretto sui libri indicati in apertura (con tutti i dati bibliografici,prezzo e pagine compresi) giunga a una sostanziale valutazione orientativa,insieme agli apporti teorici e critici dell'autore dell'articolo sul tema; c) che. insieme alla piena leggibilità di tipo espositivo piuttosto che saggistico, sia dato dove t utile e possibile un cenno di spiegazione o di richiamo ai problemi e agli Blackout Paolo Volponi Leuera aperta a Jaroslav Novàk in carcere pagina 28 Poesie Renata Spinella pagina 18 Antonio Porta pagina 19 Lettere Lettera di Ludovico Geymonat pagina 29 Immagini Giovanni Giovannetti L 'I.R.A. dell'Ulster alfabeta mensile di informazione culturale della cooperativa Alfabeto Comitato di direzione Nanni Balestrini, Omar Calabrese, Maria Corti, Gino Di Maggio, Umberto Eco, Francesco Leonetti, Antonio Porta, Pier Aldo Rovatti, Gianni Sassi, Mario Spinella, Paolo Volponi RedDI.ione Vincenzo Bonazza, Maurizio Ferraris, Carlo Formenti, Marisa Giuffra (segretariadi redDI.ione), Bruno Trombetti (grafico) Art director Gianni Sassi Edizioni Intrapresa Cooperativa di promozione culturale Redazione e amministrazione Via Goffredo Sigieri 6, 20135 Milano Telefoni (02) 541692/541254 Coordinatore editoria/e Gigi Noia Composizione GDB fotocomposizione, via Tagliamento 4, Milano, Tel. 5392546 Tipografia S.A.G.E. S.p.A., via S. Acquisto 20037 Paderno Dugnano (Milano) Distribuzione Messaggerie Periodici Abbonamento annuo L. 20.000 estero L. 25.000 (posta ordinaria) L. 30.000 (posta aerea) Inviare l'importo a: Intrapresa, Cooperativa di promozione culturale a.r.l. Via Goffredo Sigieri 6 20135 Milano, Conto Corrente PosWe 15431208 Autorizzazione del Tribunale di Milano n. 281 del 1975. Responsabile G. Di Maggio Tutti i diritti di proprietà letteraria e artistica riservati accenamenti anteriori sull'argomento o sul campo. Comunichiamo inoltre che la maggiore ampiezza dell'articolo o il suo carattere non recensivo sono sempre proposti direttamente dalla direzione del giornale, perché derivano da scelte di lavoro e non da motivi preferenziali o personali. Il Comitato direttivo N.B. Gli articoli devono essere inviati in triplice copia. L'autore deve indicare: indirizzo, numero di telefono e codice fiscale. problemi della percezione, dall'antichità a oggi. Peter B. Medawar Consigli a un giovane scienziato Un Premio Nobel per la medicina offre ai giovani un'affabile "guida pratica" alla ricerca. Boringhieri ' ' Viaggio in Turchia inEgitto e in kl"arocco JanPotocki l'autoreul Manoscritto trovotoaSara60UII Mlpoai ddk Mllke111111notu edizioni e/o Via Monte Altissimo, 7 Roma

URSS, il lavorocomesistema Jean-Paul de Gaudemar Cluoaiq11edes petites gem. Atti del Colloquio Internazionale di Marsiglia (8-9 novembre 1980) sulla situazione dei lavoratori in Urss, di prossima pubblicazione presso le edizioni Seuil Oiarles Bettelheim Le lotte di classe in Urss Milano, Etas Libri, '76-'78 pp. 860, lire 13.000 (2 voll.) «Les ouvriers en Urss: statut économique et social> in Counier des Pays de rEst, n. 234, novembre 1979 Gérard Duchène «L'Officiel et le parallèle dans l'économie soviétique>, in libre, n. 7, 1980 Marie Lavigne Les économies socialistes soviétiques et européennes Paris, A. Colin, 1971 Thomas Lowit Le syndialisme de type soviétique Paris, A. Colin, 1971 Thomas Lowit Autorité, encadrementet organisation du tranil dans les industriesdes pays de l'Est européen Rapporto Cnam/Cordes, 1980 Thomas Lowit «Y a-t-il des Etats en Europe de l'Est?>, in Revue françaisede sociologie, XX, Il. 2, 1979 Thomas Lowit «Le parti polymorphe en Europe de l'Est>, in Revue française de science politique, XXIX, n. 4-5, 1979 • L a gamma di pubblicazioni e testimonianze recenti sulla situazione dei lavoratori in Urss consente un notevole rinnovamento del dibattito sulla specificità del sistema sociale sovietico, in una direzione che sfugge alla classica ripetizione di categorie precostituite. Il Colloquio Internazionale recentemente tenutosi a Marsiglia ha permesso in particolare un confronto pieno di promesse tra le testimonianze dei dissidenti sovietici e le analisi svolte in Occidente. Vorrei sottolineare in particolare alcuni elementi comparsi in questi materiali, che permettono di designare il sistema sociale sovietico innanzitutto come fondato sul lavoro salariato. Indubbiamente, solo sistema costituito in tal modo, esso rappresenta una innovazione storica, suscettibile per ciò stesso di fornire un modello imitabile, un avvenire possibile per formazioni sociali che sembrano attualmente molto distanti da esso. Intendiamoci: non voglio parlare di un modello la cui funzione sarebbe principalmente ideologica, ma della progressiva costituzione di una struttura che avrebbe come rapporto sociale fondamentale il lavoro salariato. Questo problema permette insieme di chiarire il dibattito concettuale sulla natura deqa società sovietica e di modificare lo stesso dibattito ideologico. Autorità,comando, disciplina a) È nota la tesi ufficiale secondo la quale è lo Stato a dirigere l'economia. Lo Stato sarebbe - per esempio attraverso la nozione di «proprietà collettiva dei mezzi di produzione> - il referente centrale per la definizione di un regime di proprietà diverso da quello del sistema capitalista. Dallo Stato dipenderebbe inoltre una modalità di esercizio del potere di gestione caratterizzata da istanze (e da effetti a catena nell'articolazione di tali instanze) del tutto specifiche. A grandi linee, lo schema è il seguente: il nucleo di base dell'economia nazionale è l'impresa socialista di Stato (vedi il decreto dell'ottobre 1965 sullo statuto giuridico, le regole di funzionamento ed i rapporti di autorità in seno àlle imprese), nel senso che essa struttura le attività fondamentali, determinanti ai fini della pianificazione globale, e che le altre attività seguono il ritmo impresso da questo punto di riferimento di base. Lo stato sarebbe cioè la guida e l'ispiratore della vita economica, ruolo che il Partito gioca nella vita politica. Le analisi contemporanee più raffinate rimettono in discussione questa dicotomia fittizia nella divisione dei compiti. In effetti, sembra che il ruolo di gestione reale dell'economia spetti anche agli organismi del Partito. Cosi Lowit (cfr. T. Lowit, Autorité, encasioni a monte della loro «statizzazione», cioè prima che esse vengano ufficialmente ratificate dallo Stato e dai ministeri, ma anche guidando la realizzazione pratica degli obiettivi assegnati nelle unità produttive, attraverso il controllo della produzione e della gestione del personale a tutti i livelli di inquadramento. È questa ubiquità del Partito, presente in tutte le istanze del potere reale, che induce ancora Lowit a proporre la nozione di «Partito polimorfo» (cfr. Autorité ... cit.), per render conto dell'articolazione complessa fra questo sistema unitario di autorità e le numerose quanto metodiche ramificazioni che gli consentono di agire simultaneamente in luoghi diversi usando mezzi differenziati e generalmente adatti a qualsiasi circostanza. Tutti i testi ufficiali che si propongono di distinguere minuziosamente il ruolo del Partito, dello Stato, dei sindacati, ecc., possono essere interpretati in to archetipico del funzionamento economico come nel regime dei paesi occidentali, ma al contrario anello di una catena complessa la cui formalizzazione offre il contenuto e le forme della pianificazione. Tale dipendenza dall'insieme dell'apparato economico fa sì che i quadri delle imprese dipendano anch'essi dall'insieme degli organi dirigenti del paese. Di qui numerosi effetti perversi... perché le decisioni vengono prese assai meno in funzione di obiettivi economici razionali che in rapporto ad una quantità di calcoli sulle possibili decisioni future della gerarchia. Le interconnessioni del sistema di autorità producono una scala gerarchica infinita, o almeno indefinitamente estensibile, al punto che, volendosi conformare in anticipo ai criteri di giudizio della gerarchia, un quadro finisce inevitabilmente per assumere decisioni quasi necessariamente mediocri, se non addirittura per non Giovedì 7 maggio: Andersonstown. I funerali di Robert Sands, ilmilitante del/' I.R.A. morto nel carceredi Maze perollenere lo status di prigioniero politico drement et organisation du travai/, cit.) ha proposto il termine di «economia di Partito> per designare «una riappropriazione dei mezzi di produzione da parte di un apparato di potere di tipo nuovo>, diverso dallo Stato. Il Partito viene quindi collocato in un ruolo che esula ampiamente da quello di animatore della vita politica ed ideologica: anche se la responsabilità della gestione delle imprese appartiene giuridicamente all'apparato dello Stato, agli organismi di Partito non spetterebbe 'solo il ruolo di direzione complessiva dell'economia, ma anche responsabilità pratiche di importanza fondamentale lungo tutto il processo di produzione. Anche le statistiche ufficiali sono assai indicative a tale proposito: secondo il sociologo O. Skaratan, il 55% dei dirigenti di impresa appartiene al Partito, laddove la percentuale si riduce rispettivamente a meno del 20% e del 10% nel caso dei lavoratori qualificati e di quelli non qualificati (in «Courrier des Pays de l'Est>, n. 234, cit.). Riferendosi alla stessa realtà, C. Bettelheim proprone di definire questa particolare classe dirigente «borghesia di Partito» (cfr. il suo contributo in Chronique des petites gens, cit.). In quanto tale, essa assume le principali responsabilità nella gestione dell'economia, non solo prendendo le decibase a questa nozione, vale a dire in relazione alla preoccupazione del sistema unitario di autorità di evitare il «doppio impiego» dei suoi diversi organi. b) Per comprendere le forme della gerarchia interna alle imprese, occorre tener conto di quanto appena rammentato. In particolare, le analogie spesso rilevate con le imprese occidentali non riguardano probabilmente i fenomeni più importanti. È indubbiamente vero che si ritrovano gli stessi termini nella denominazione delle funzioni, le stesse prerogative dei dirigenti, e sicuramente gli stessi principi fondamentali di divisione del lavoro; tendenza che risulta rafforzata dall'importazione di tecnologie e procedure produttive occidentali. Né d'altro canto la sociologia ufficiale si preoccupa minimamente di nasconderlo: così Skaratan può enunciare ad un tempo la tesi secondo cui tutti i lavoratori sono «in egual misura partecipi della proprietà socialista» e distinguere le loro funzioni in lavoro esecutivo e lavoro direttivo in base ad una gerarchia piramidale con connotati assai classici ed articolata su sette livelli dall'operaio all'ingegnere (cfr. Les Ouvriers... cit.). Ma queste somiglianze scompaiono quando si consideri lo statuto fondamentale dell'impresa in Urss. Non unità autonoma, soggetprendere mai veramente alcuna decisione. A lasciarsi trarre in inganno, il sistema parrebbe analogo a quello, •ben noto, dell'esercito. Se l'essenziale consiste nell'assicurarsi anticipatamente una copertura, i livelli reali di decisione si dissolvono nella moltiplicazione dei livelli gerarchici. Al limite può sembrare che le decisioni siarlo _state prese da tutti e da nessuno: alla base ci si trincererà dietro l'autocità superiore che le ha ratificate, al vertice dietro la «volontà popolare». D'altronde vanno ancora sottolineati gli effetti del duplice controllo, dovuto al fatto che il Partito controlla le imprese contemporaneamente dall'interno e dall'esterno. Anche se esiste una certa distribuzione dei ruoli, il Partito si trova nondimeno sempre nella condizione di poter confrontare in ogni momento due tipi di rapporti sul funzionamento di una determinata impresa: quelli provenienti dalla gerarchia economicae quelli che provengono direttamente dall'apparàto di Partito. Ne deriva un sistema di inqua-.· dramento molto originale, assai diverso da quello occidentale: non nel senso di una gerarchizzazion_epiù spinta, ma nel senso che il personale dirigente appare a sua volta· inquadrato a più livelli in un modo per cui ogni potere formale, ogni responsabilità ufficiale, sono, sempre e contemporaneamente, reali e illusori. Si tratta insomma di un ritorno al vecchio principio di Bentham: «Quis custodie/ ipsos custodes»? E quando Breznev, dalla tribuna del XXV Congresso, dichiara che il direttore di impresa deve «riunire in sé in modo organico lo spirito di Partito ed una profonda competenza», bisogna prenderlo indubbiamente alla letterai c) Da ciò deriva l'interesse di un'analisi della disciplina del lavoro come sistema globale di libertà e di obbliga-· zioni. È evidente che alla garanzia legale di impiego salariato, sancita dalla Costituzione, corrispondono implicitamente degli obblighi. È interessante interrogarsi sul significato di alcuni di essi. Così il libretto di lavoro (cfr. Thomas Lowit, Le syndicalisme de type soviétique, cit., p. 160 e sgg., e anche Chronique des petites gens, cit. Prima parte): istituito definitivamente nel 1938, è obbligatorio per ogni salariato, in base a· regolamenti stabiliti al livello più alto (Consiglio dei Ministri e Consiglio centrale dei Sindacati). ,-Esso comporta non solo delle informazioni sui vari impieghi svolti, ma anche sui motivi di tali cambiamenti; in breve, contiene una descrizione esaustiva del comportamento sul lavoro: un buon comportamento sarà attestato con ricompense e decorazioni, un comportamento cattivo da punizioni, da trasferimenti volontari, da licenziamenti. D'altra parte, questo libretto è in mano alla direzione della fabbrica, sotto controllo sindacale, durante tutta la durata dell'impiego. Beninteso, è difficile conoscere la prassi reale nell'uso di questi libretti, ma si può evidenziare il significato di una simile istituzione: quella di una mobilitazione generale sotto aspetti economici, quale l'Occidente ha conosciuto solo in periodi estremi, di crisi o di guerra. Da questo punto di vista, ricorda il sistema francese del libretto di lavoro nel XIX secolo (si veda anche J.P. de Gaudemar, La mobilisation générale, Ed. du Champ Urbain, p. 116 e sgg.). A causa del ruolo sociarmente fondante del lavoro salariato, il libretto di lavoro potrebbe essere interpretato insieme come carta di identità e come fedina penale, in breve come documento di identità giuridica, economica, sociale per eccellenza. Al modo di una nazione di funzionari. C'è qui una situazione perfettamente logica, che va riferita al ruolo del Partito e dello Stato come organizzatori collettivi del lavoro sociale. Che ne è della disciplina produttiva propriamente detta? Essa costituisce visibilmente uno dei maggiori problemi dei dirigenti sovietici: ne testimoniano i numerosi decreti che il Comitato Centrale del Pcus o il Consiglio dei Ministri emanano regolarmente in proposito; ma è anche uno dei maggiori problemi dei sindacati, i quali, attraverso la nozione di «disciplina socialista», tentano di concepire la loro azione in modo che risulti complementare a quella delle direzioni di impresa. Considerando le cose da un punto di vista più generale, la disciplina del lavoro si fonda su un dispositivo che riunisceclassicamenteincentivie repressioni, tanto sul piano materiale che su quello simbolico (cfr. Les ouvriers ... cit., e T. Lowit, Le syndicalisme de type soviétique, cit.). Gli incentivi materiali riguardano regali e premi, quelli simbolici ringraziamenti, diplomi, iscrizioni al Quadro d'Onore, ecc. La repressione materiale consiste in trasferimenti d'ufficio, in degradazioni se non addirittura nei licenziamenti;

-. oO °' quella simbolica in avvertimenti e note di biasimo, ecc. Ma questo dispositivo ha senso solo in rapporto a varie considerazioni relative al sistema di norme vigenti. Una delle caratteristiche del sistema sovietico è infatti la duplicità•di livelli: l'indisciplina può assumere la forma di -una infrazione ai regolamenti, vale a dire al codice scritto, ma può anche coincidere con degli scarti dalle norme implicite, per lo più non scritte, in particolare da quelle che definiscono i contorni del concetto sindacale di «disciplina socialista». Queste ultime ·sono indubbiamente le più temibili: sia perché evidentemente condannano ogni operaio «instabile», vale a dire assenteista o svogliato, o semplicemente pigro, «lavativo» avrebbe detto Taylor; ma soprattutto perché sono tanto vaghe che in realtà concedono ai direttori d'impresa e più iri generale alle varie istanze gerarchiche la più ampia libertà di stabilire (in base alle norme sindacali!) se i comportamenti siano disciplinati o indisciplinati. Ne discende un fenomeno già più volte descritto: ciò che conta non è tanto il diritto scritto quanto il diritto di fatto, che riguarda l'interpretazione da parte della gerarchia del modo in cui un salariato debba rispettare le dal sistema socialista di economia e dalla proprietà socialista degli strumenti e dei mezzi di produzione». Uno· studio recente ci spiega parimenti le modificazioni subite dal testo adottato nel 1977 nei confronti del progetto iniziale in cui figurava l'espressione «collettivi dei lavoratori» (cfr. Les ouvriers... cit.). Tra i «collettivi dei lavoratori» e il «Collettivo di lavoro» vi è più di una sfumatura. Vi è la stessa differenza di quella - sottolineata da Plioutch - fra i «lavoratori concreti» ed il «lavoro astratto». Da una parte vi è una comunità vivente, contradditoria, storicamente collocabile, composta di individui o di gruppi concretamente identificahili. dall'altra una ennorme (cfr. in particolare gli interventi ~--------------~ di K. Liubarski in Chronique... cit.). Di qui le procedure decisionali sopra richiamate, spesso confinanti con l'assurdo, il cui unico elemento di razionalità consiste nella conformità alle presunte interpretazioni dei superiori gerarchici, che sono a loro volta ritenute conformi ad una mitica «volontà del popolo», in un movimento circolare senza fine dal basso verso l'alto e viceversa. Di qui anche l'illusorietà dei cosiddetti comportamenti «volontari» in occasione delle varie scadenze di mobilitazione produttiva: il sistema sottintende che bisogna essere volontari, che si è obbligatoriamente volontari, a meno di rendersi colpevoli di una i'nfrazione ugualmente volontaria alla «disciplina socialista» (cfr. Chronique ... cit.). L'umorismo da caserma è qui inscritto nei fatti. li sistema non si accontenta infatti di non tollerare gli oppositori, ma esige una disciplina che si traduca in approvazione permanente ed esplicita. All'occorrenza approvazione come volontariato di un lavoro forzato. Non esiste indubbiamente un'altra possibile interpretazione del fenomeno dell'«emulazione». Quest'ultimo ci riconduce in presenza di un sistema specifico, costituito da una sorta di istituzionalizzazione della competizione fra operai, e (attraverso la differenziazione fra operai «d'assalto» e «ordinari» che ne deriva), di una proliferazione delle forme di controllo reciproco: all'autorità del caposquadra e del capobrigata verrà ad aggiungersi quella del lavoratore d'avanguardia, temibile per la sua portata economica e simbolica. In questo senso !'«emulazione» fa parte innanzitutto di un immenso movimento per tentare di controllare le forme di resistenza collettiva, per trasformare i collettivi dei lavoratori concreti in un collettivo di lavoro astratto, secondo la formula di L. Plioutch (cfr. Chronique ... cit.). Nel cuore della società, il lavoro. tità astratta, oggettivante. nella 4uak i rapporti reali spariscono dietro una struttura, che aspira all'eternità, e nella quale è appunto il lavoro come rapporto sociale fondamentale, costitutivo cioè di una struttura, che viene messo in primo piano. Da una parte dei lavoratori, dall'altra il lavoro. Lo specchio del diritto è qui di una trasparenza totale. b) Se d'altra parte si considera globalmente il diritto del lavoro sovietico, se ne deduce la tesi che il lavoro vi compare ad un tempo come un diritto e come un obbligo. Il «diritto al lavoro» in particolare, spesso invocato per dimostrare la superiorità del sistema sociale sovietico nei confronti di un Occidente incapace di impedire la disoccupazione, va inteso nel senso più normativo del termine. Non si tratta del diritto ad un impiego determinato, che gli individui potrebbero scegliere cellula sociale di base. La collettività di lavoro non potrebbe in effetti giocare un ruolo fondamentale nella costituzione della sociabilità se ·non esistesse questa garanzia legale di accesso al rapporto salariale. Il diritto sovietico definisce così assai chiaramente i suoi obiettivi. Se ne deduce infatti del tutto logicamente che non lavorare significa non voler lavorare, non voler entrare in questo rapporto sociale fondamentale, vale a dire escludersi volontaria- , mente dalla società, mettersi volontariamente ai suoi margini, in breve comportarsi inevitabilmente come un elemento antisocialista, dato che il socialismo è innanzitutto questo lavoro generalizzato. Tutti i decreti contro il «parassitismo» ne sono una prova più che chiara. In questo senso ÌI «diritto al lavoro» ci deve apparire come indissolubilmente legato ad un «dovere di lavorare» vale a dire all'accettazione forzata del lavoro salariato. Si tratta di una si può sottrarre, della classica coppia diritto/dovere, propria di questo sistema sociale, dato che, salvo eccezioni marginali, non esistono libertà economiche individuali. K. Liubarski ha fortemente insistito sul ruolo di questa assenza di libertà economica individuale (cfr. Chronique ... cit.). Essa costituisce in effetti una specificazione del «diritto al lavoro», nel momento in cui ci fornisce una possibile spiegazione del ruolo essenziale del sistema di autorità e dell'obbligo destinato ad assicurare questa mobilitazione generale del lavoro: evitando lo sviluppo to che la costituzione della società sovietica si fonda sul lavoro salariato obbligatorio. In questo senso, può essere che il primo dei diritti umani sia il diritto di rifiutare il lavoro, intendo dire il diritto di rifiutare questo lavoro salariato forzato. Di qui, una osservazione immediata: dire che non esiste disoccupazione in Urss è una espressione assurda, una espressione priva di senso. In effetti, non può esserci disoccupazione, e non può essercene come in Occidente, in cui c'è disoccupazione solo a partire da una (o da più) definizione/i istituzionale/i del fenomeno. Come potrebbe essere diversamente, dato che l'istituzione sovietica si autodefnisce in rapporto al lavoro! Parlare di disoccupazione, accettare il termine, dargli un contenuto istituzionale e poi statistico, sarebbe autonegarsi! Per contro, ·è chiaro che questo rifiuto del concetto, o più semplicemente della parola e della statistica ufficiale, non vieta al fenomeno di esistere. A. Amalrik lo ha ricordato a l\lar,iglia: nella tran4uillità delle riunioni a porte chiuse, quando l'istituzione è sicura di essere in accordo con sé stessa, circolano talora le cifre, centinaia di migliaia di persone senza lavoro, volontariamente o involontariamente. Lo specchio del diritto assume qui dei toni faustiani. L'espressione per cui il sistema sovietico sarebbe quello del «lavoro forzato», ritenuta spesso eccessiva o puramente ideologica, è quindi fondata nella sostanza dalla natura stessa del diritto sovietico. Beninteso, a condizione di non leggervi un semplice riDunque, nel cuore della disciplina sociale, la disciplina del lavoro, che appare cosi giustificata meno da ragioni economiche che da ragioni politiche, nel senso più profondo del termine. 6U.UUU persone hanno seguito la bara scortata da selle militari delf'.I.R.A. che hanno reso gli onori militari Lo specchio del diritto a) Allorché Breznev presenta il suo rapporto sulla nuova Costituzione Sovietica, il 4 ottobre 1977, sottolinea egli stesso la portata dell'articolo 8, secondo il quale la cellula di base di ogni attività economica e politica è la «Collettività di lavoro». È necessario prestare attenzione a tale istanza in quanto significativa del luogo dove si intrecciano i rapporti sociali costitutivi della società sovietica. Si tratta in effetti di una evoluzione considerevole in rapporto al testo della Costituzione del 1936, il cui articolo 4 enunciava in uno sÙle assai più «classico» che «la base economica dell'Urss è costituita in funzione del loro mestiere, della loro qualifica o del loro domicilio, ma della garanzia legale di trovare un qualsiasi impiego salariato in base alle possibilità o agli interessi dell'economia nazionale (cfr. T. Lowit, Autorité... cit). Diritto al lavoro astratto, diritto alla condizione di salariato insomma. Diritto per i lavoratori concreti di entrare nel rapporto sociale di lavoro, ma nessun diritto di principio ad un determinato lavoro concreto. Dobbiamo sottolineare la coerenza di un simile sistema: vi è una correlazione evidente e logica fra questo «diritto al lavoro» ed il fatto di considerare la «collettività di lavoro» come la dell'impresa capitalistica, essa pretende così di evitarne ex ante imali potenziali, fra cui la disoccupazione; imponendo il lavoro salariato, che essa pretende piuttosto di garantire, dev'essere a sua volta garantita da un sistema assai estensivo di obbligazioni, dello stesso ordine di misura della dimensione sociale delle possibili trasgressioni. Questo punto mi pare essenziale: bisogna collegare l'assenza di diritti individuali, ivi compresi i diritti ·civili che esulano dalla sfera più limitata delle attività produttive (o il loro carattere puramente formale), a questa assenza di libertà economica, cioè al fatpiegamento sulle categorie che servono ad analizzare le antiche società feudali o schiaviste. li sistema sovietico è diverso, se non altro perché il lavoro forzato deve essere salariato, deve essere la forma di un rapporto sociale che può assomigliare a un sistema di servitù o di schiavismo, ma che ne differisce fondamentalmente. Questo ci indica in particolare come i campi di lavoro non sono altro che la versione estrema del sistema, e non un effetto della sua perversione. Non c'è nulla di più ingannevole a questo riguardo del denunciare i campi come errori storici, disfunzioni evitabili. È la logica stessa del diritto, e il modo di costituzione della sociabilità sovietica, che ci indicano come un simile sistema implichi i campi, e non potrebbe funzionare senza di essi. Perché i campi fanno inevitabilmente parte di un sistema di costrizione che garantisce la scomparsa delle libertà economiche individuali, che si ritiene garantiscano anch'esse l'accesso generalizzato al lavoro salariato. lvi compreso il salario irrisorio, ma dunque altamente simbolico, che i campi distribuiscono ai propri prigionieri. Non c'è nulla di più coerente, logico, comprensibile: a chi perde i propri diritti per aver rifiutato i propri doveri, non resta che il lavoro come dovere senza diritto ... Tutte le coincidenze osservate nelle forme economiche non cambieranno nulla: il «lavoro> in Urss è diverso da ciò che noi intendiamo con questo termine in Occidente, se non altro per la semplicissima ragione che qui il lavoro non è né un diritto né un dovere! Indubbiamente, restano solo più i vecchi apprendisti stregoni del Cremlino a poter fare un uso narcisistico dello specchio del diritto sovietico ... Organizzazione contro efficienza Da tutto ciò che precede, derivano strane caratteristiche economiche del- ! a disciplina e dell'organizzazione del lavoro, almeno rispetto ai criteri di efficienza condivisi dalla maggior parte delle economie occidentali contemporanee. Ciò che in effetti sembra prevalere nelle preoccuapzioni dei dirigenti ,ovietici ad ogni livello, sono meno i criteri di efficienza economica che il problema del controllo della popolazione operaia e la volontà di normalizzare i comportamenti collettivi. Nel fare questa constatazione, l'osservatore francese ha la sensazione di una specie di anacronismo, come se in questa economia sovietica iperindustrializzata si ritrovassero i problemi che la disciplina del lavoro poneva all'impresa ancora balbettante del XIX secolo, in particolare allorché e~ si è posta con grande forza la questione della messa a punto di discipline dotate di effettive finalità produttive (cfr. J.P. de Gaudemar, La mobilisation ... cit.). a) La relativa inefficienza della struttura produttiva sovietica, ormai nota attraverso numerosi studi, viene spesso presentata da una recente letteratura come la causa di una fondamentale segmentazione del sistema economico: tllfto avverrebbe come se si contrapponessero da una parte un'economia ufficiale, regolata dal Piano e dalle norme relative, e dall'altra un'economia parallela che si svilupperebbe in proporzione diretta alle carenze della economia ufficiale e della sua incapacità non solo di soddisfare i bisogni fondamentali del popolo, ma anche solo di realizzare i suoi obiettivi. Un recente articolo fornisce un chiarimento assai pertinente di questa situazione affermando che «il parallelismo della vita economica è una dimensione inconcepibile, e per ciò stesso indispensabile, di questa società> (Charles Bettelheim, Le lotte di classe in Urss, cit.). Dimensione inconcepibile per l'egemonia della norma, per la costante coercizione che è destinata a fare in modo che tutti proclami.no la propria conformità ai discorsi ufficiali, per l'esclusione, sistematica di ogni voce di «dissenso>, che in quanto tale metterebbe in questione l'esistenza della società sovietica, cioè i suoi principi costitutivi (cfr. in particolare gli interventi di E. Nikolaiev, seconda pane e C. Orsoni, terza pane). Dirnen~ sione indispensabile, perché senza il parallelismo il sistema non funzionerebbe, se non altro a causa dei suoi molteplici effetti perversi. Così come, scrive G. Duchène («L'officiel et le parallèle dans l'économie soviétique>, cit), cii lavoratore sovietico medio rappresenta l'antimodello della sua immagine ideale, così come la realtà dell'economia nel suo complesso è l'antimodello della sua immagine reale>. Ci sono moltissimi esempi per illustrare questa affermazione. Come tutti gli effetti perversi legati al modo di fissazione degli obiettivi della pianificazione e degli stimoli corrispondenti, lo stabilimento

dei premi in funzione dell'oltrepassamento del Piano provocherebbe spesso non una accelerazione della produzione, ma una tendenza a sottostimare sistematicamente le capacità di produzione, e, di qui, se non una riduzione almeno una stagnazione delle norme, tale per cui i premi di produzione possono essere conseguiti senza che cresca la produzione! Insomma, una versione trasposta di ciò che Ricardo rimproverava a certi imprenditori inglesi dell'inizio del XIX secolo! Lo stesso vale per il sistema clei «chabachnih, quei lavoratori ai quali ricorrono con un sistema di sotto-trattamento, cioè di «lavoro nero», le imprese o i kolkhoz per i lavori di costruzione. Qui c'è tutto un settore parallelo, in piena espansione, vietato nei testi ma incoraggiato nei fatti, a causa sia della grande disorganizzazione sia del grande interesse che vi trovano i lavoratori attraverso compensi nettamente superiori a quelli del loro lavoro ufficiale. L'effetto è ineluttabile: questi stessi lavoratori avranno la tendenza a economizzare al massimo le forze durante la «giornata legale» - dunque a «battere la fiacca» nel senso di Taylor- per poter dedicarsi meglio alla loro «giornata» di lavoro parallelo! E vale ancora lo stesso per il sistema dei «tolkachi», prodotto dalle grandi difficoltà di approvvigionamento delle imprese, che permette ad esse di procurarsi beni e materiali mancanti a causa sia di errori di previsione che di penuria. Sistema molto significativo anche per quel che riguarda le contraddizioni reali dell'economica sovietica, perché è, di fatto, se non riconosciuto almeno tollerato ufficialmente, anche quando beni e materiali forniti provengano spesso da furti o da altre origini dubbie per la legalità sovietica! Di qui, si può anche pensare che i dirigenti economici sovietici siano due volte avvantaggiati da questo «dualismo»: da una parte le disfunzioni o addirittura le incapacità notorie del sistema di pianificazione risultano in tal modo riassorbite, dall'altra le possibilità di controllo politico vengono ulteriormente accresciute. Tollerando queste attività ilt..g. ali, praticate da tutti, il potere acquisisce i mezzi per trasformare qualsiasi individuo, in qualsiasi momento, in un criminalecomune, quale che sia l'imputazione reale. b) Che pensare, dunque, dell'efficacia globale di un simile contesto? Da quanto precede (che ci suggerisce notevoli complessità di interpretazione), come dalle accurate inchieste condotte in questi ultimi anni, sembra emergere un panorama più interessante di quello fornito sia dal discorso ufficiale o comunista occidentale sulla superiorità complessiva dell'economica pianificata, sia da quello di parte avversa, di stampo denigratorio e che presenta un quadro di inefficienza totale. Si tratta di un panorama che mette in luce almeno tre aspetti (T. Lowit, Autorité, cit). Una intensità di lavoro piuttosto elevata, che potrebbe indubbiamente reggere il confronto con quella delle imprese occidentali. Rilievo interessante nella misura in cui tende a relativizzare la credenza in un «lavativismo» sistematico degli operai sovietici, e perciò stesso in un rallentamento collettivo delle cadenze elevate. A tale proposito si dovrebbe dunque pensare che l'obbligo diretto a livello di lavoro di fabbrica non è senza efficacia sul ritmo del lavoro, e che se esiste una resistenza o-addirittii.ra-una lotta, esse si svolgono altrove, certo attraverso scioperi o altre forme aperte di movimento collettivo, ma anche attraverso azioni individuali quotidiane come il furto, l'assenteismo, ecc. Una produttività media al contrario globalmente piuttosto debole, malgrado la sovraccumulazione di capitale fisso, che potrebbe spiegarsi, piuttosto che con le forme socializzate del salario, soprattutto con la pesantezza _del!~ll}ltture organizzative e di controllo, e con le note incapacitàe la disorganizzazione del sistema di pianificazione. In tal modo, l'efficienza produttiva derivata da una devata intensità del lavoro vedrebbe dissolversi i suoi effetti, nel costo globale dell'organiz-. zazione del lavoro. Ciò non è evidentemente senza importanza sul piano teorico, dato che ci pone di fronte ad un vero e proprio fenomeno di sfruttamento, nel senso stesso in cui Marx usa il concetto a proposito detta società capitalista. Infine, come sottolinea Lowit, il sistema economico è costruito in modo che i dirigenti possono in ogni momento, fissando i prezzi e i salari, modificare il rapporto complessivo rendimento-prezzo-salario. L'Urss e gli altri paesi dell'Est sono senza dubbio i soli paesi dove, dall'oggi al domani, i prezzi al consumo possono essere modificati. anche hrutalmente. per semplice decreto, per esempio per consentire il mantenimento di uno stesso livello di accumulazione e di spese improduttive. Di qui, inoltre, una spiegazione possibile della debolezza della produttività media globale; di qui una sproporzione spesso rilevata tra il livello delle spese statali (il tenore di vita della Nomenklatura ma anche le spese militari, della polizia e di tutto l'apparato del Partito) e quello relativamente modesto, per non dire miserevole, della maggioranza della popolazione. Questa diagnosi globale ci permette di dare una soluzione al problema sollevato. Dietro alla debole capacità produttiva globale, confermata dalle reéenti difficoltà dell'economia sovietica, si nasconderebbero in effetti, da una parte una certa capacità di mobilitazione lavorativa di popolazioni fortemente controllate e caratterizzata da una intensità di lavoro relativamente questo senso, il sistema sovietico risponde senza dubbio perfettamente a tale funzione storica ... D <!lavorismo» sovietico In conclusione, suggerirei una carat- . terizzazione del sistema sociale sovietico diversa da quelle sino qui evocate. In primo luogo, notiamo che proporre una definizione nei termini di «proprietà socialista dei mezzi di produzione di base» (si veda per esempio l'opera ormai classica di M. Lavigne, Les économies socialistes soviétiques et eu-· ropéennes, cit) non ha alcun senso in relazione ai problemi che abbiamo sollevato in precedenza. Sia per il carattere tautologico di una autodefinizione del socialismo, sia per la sua natura puramente nominalistica, ricalcata su discorsi ufficiali: è socialista ciò che è definito socialista dai detentori della legittimità socialista. L'espressione «capitalismo di Stato» (adottata da molto tempo dalla corrente anarchica .: più di rencete da vari autori) non ha forse un senso più profondo. in quanto sembra metterci di fronte a un sistema sociale che sarebbe gestito dallo Stato per realizzare finalità di tipo capitalistico, e cioè indubbiamente in conformità con i modi di accumulazione capitalistica così come si sono sviluppati nei paesi capitalistici. Anche se ridotta ad un processo analogico, la caratterizzazione non è convinente non solo per i problemi che suscita in rapporto alla periodizzazione del capitalismo stesso, ma anche per il riferimento essenziale che essa maschera: l'accumulazione osservata in Urss è forse in dominato da una «borghesia di Partito» (C. Bettelheim, Chronique des petites gens... cii.) appare invece molto più stimolante, perché orientata verso i reali problemi specifici dell'Urss. Le si può non di meno rimproverare un eccessivo «sociologismo», nel senso che si concentra troppo esclusivamente sul sistema di autorità ed egemonia. L'insoddisfazi•one che ho qui espresso nasce dal fatto che una caratterizzazione veramente pertinente mi sembra debba includere un riferimento di fondo al lavoro, dato che ho cercato di abbozzare come il sistema sovietico possa essere interpretato in primo luogo come lavoro elevato a sistema. Di qui il termine «lavorismo». che suggeri,co malgrado !"usopolitico che se ne fa di solito: costruito per evidente omologia con il «capitalismo», mi sembra adatto a descrivere ogni società fondata sul lavoro salariato come rapporto sociale di base, vale a dire fondata su una alienazione collettiva delle attività individuali remunerate da un salario, a loro volta organizzate in seno a quel sistema complesso di autorità e di comando che Lowit chiama Partito polimormo. L'interesse di tale definizione e dell'interpretazione in essa implicita deriva dal fatto che essa offre una lettura di tutta la vita sovietica, delle forme di organizzazione economica, di quelle della vita politica, o dei discorsi ideologici in quanto essenzialmente orientati verso la riproduzione ad infinitum di questo lavoro elevato a sistema. Un sistema che costituisce per ciò stesso la propria finalità. Un sistema.che, ;i forBernadette Devlin e i parenti di Robert Sands al funerale. Cimitero di Mills Town, le tombe dei militari dell'J.R.A. caduti in battaglia. elevata, e dall'altra una capacità piuttosto grande di distogliere con la costrizione e le manipolazioni interne il surplus cosi ricavato, dirottandolo verso il funzionamento della struttura organizzativa stessa. È quindi possibile che non esista un interesse reale a giudicare l'efficienza di un tale sistema dando per scontato che la produttività sia il centro dei suoi obiettivi economici. Sipuò al contrario pensare, in conformità all'argomentazione sino qui sviluppata, che siamo in presenza degli effetti economici di un sistema che si propone in primo luogo ·di assicurare l'egemonia del lavoro in quanto rapporto sociale fondante. In primo luogo un dispotismo del lavoro prima che una accumulazione di tipo capitalistico, come confermano i problemi di produttività .. Se di «capitalismo di Stato» si trattasse, sarebbe chiaramente un fallimento, se non dello Stato, almeno del capitalismo. L'espressione appare così, immediatamente, troppo formalista, troppo «economicista», troppo fondata su imprecisi riferimenti teorici all'immagine delle teorie della sovraccumulazione. Perciò essa è immediatamente fonte di confusione più che di chiarezza teorica. La caratterizzazione come «economia di Partito» (T. Lowit Autorité, cit.) o come sistema sociale za di offrirsi come fine della Storia, è diventato un sistema senza storia. Si possono dedurre le principali conseguenze che derivano dalla problematica qui proposta. Questo «lavorismo» sovietico non ·ciimpone solo di ripensare complessivamenie il problema del «socialismo», ma pone anche radicalmente quello dell'avvenire delle società occidentali, dato che il «lavorismo» è senza dubbio uno dei loro futuri possibili, senza che vi sia il bisogno dei carri armati e dell'Armata Rossa. E ciò almeno per un motivo: che i problemi dello sviluppo capitalistico a partire dalla fine del XVIII secolo si possono interpretare nei termini di una alternativa permanente tr~ «lavorismo» e «capitalismo». Cosi, la «collettività di lavorò; (e non «collettività dei lavoratori») immaginata da J. Bentham (Outline ofwork to be ca/- led «Pauper management improved» London 1797, e J.P. de Gaudemar . L'ordre et la production, cit.) a cavallo tra il XVIII e il XIX secolo. Sembrerebbe possibile riprendere il testo di Bentham e la trasposizione lavorativa del panoptismo che vi si effettua, a proposito delle osservazioni fatte sull'Urss: i grandi principii («minus solus quam cum solus», «tu non sei mai meno solo di quando sei solo», «quis custodie! ipsos custodes», «chi custodisce i custodi?», ecc...) il. sistema di delazione generalizzata la proliferazione dei controlli, i meccanismi di incentivazione economica, ecc... tutto è simile, qui come là. E ciò ci dà anche la dimensione stessa delle differenze: il capitalismo occidentale, infatti, - divenuto in questo senso veramente capitalista! - ha precisamente rotto a poco a poco con questa situazione dei primordi, in cui il lavoro era forse essenzialmente uno strumento di moralizzazione e di normalizzazione delle popolazioni, per instaurare un lavoro consacrato alla accumulazione del capitale. Quando M. Voslensky (La Nomenklatura, Belfond 1980) scrive che in Occidente si ha potere perché si è ricchi mentre in Urss si è ricchi perché si ha potere, si avvicina forse a una verità essenziale, enunciando la differenza tra una società capitalistica fondata sulla accumulazione del capitaledenaro e una società. «lavorista» fondata sul potere di organizzazioni di lavoro salariato, dove l'accumulazione dei mezzi di produzione appare meno come un fine in se stesso che come produzione di mezzi che sono in primo luogo mezzi di lavoro, e pu ciò stesso condizioni della riproduzione ad infinitum del rapporto salariale. E se, malgrado questa divergenza storica, fonte di differenze fondamentali, il «lavorismo» può nuovamente comparire all'orizzonte del capitalismo, è in ragione delle difficoltà, ddle . crisi incontrate in entrambi i sistemi. Così, nel momento in cui la disoccupazione massiccia e le rivendicazioni sulle condizioni di lavoro lacerano il velo dei miraggi di Taylor e di Ford, la «crisi del lavoro» confronta le società capitalistiche con certi problemi affrontati dall'Urss sin dal suo sorgere. Di qui, indubbiamente, il fatto che il «lavorismo» compaia nella attuale ricerca di soluzioni di questa «crisi del lavoro», per esempio attraverso l'omologia di -certi tentativi di riorganizzazione del lavoro. Rientrano in questo quadro i tentativi fatti, a Est come a Ovest, per riabilitare la funzione del caposquadra, per farne un autentico intermediario tra direzione e lavoratori, in modo da cortocircuitare qualsiasi ruolo eventuale di una organizzazione operaia autonoma. E cosi pure le.esperienze chiamate da noi «gruppi semiautonomi» e designate in Urss COIJ!e«brigate» (un decreto del 28/7/1979 prevede che questo sistema costituisca la principale forma di organizzazione del lavoro nel corso dell'undicesimo quinquennio, 1981-1985, cfr. Courrier des Pays de l'Est, n. 234, cit.), fondate su un principio di autodisciplina; e di certe forme di sorveglianza reciproca. E inoltre rientrano in questa sfera i dibattiti relativi al ruolo dei sindacati e più in generale al ricorso ai modi di delega parziale dei poteri ecc... Parodiando il motto della Repubblica Francese, Marx proponeva ·questo motto per il capitalismo: «Libertà, eguaglianza, proprietà, Bentham!». Volendo trovare in Bentham non solo il teorico dell'egoismo utilitaristico, della «armonia prestabilita», ma anche quello della mano visibile del dispotismo mediante il controllo collettivo, si impone un motto per il «lavorismo»: «Lavoro, Partito,· disciplina, Bentham!». Bentham: decisamente il grand'uomo dei tempi moderni ... ..... 00 °'

RkJQdWJsaXNoZXIy MTExMDY2NQ==