-. oO °' quella simbolica in avvertimenti e note di biasimo, ecc. Ma questo dispositivo ha senso solo in rapporto a varie considerazioni relative al sistema di norme vigenti. Una delle caratteristiche del sistema sovietico è infatti la duplicità•di livelli: l'indisciplina può assumere la forma di -una infrazione ai regolamenti, vale a dire al codice scritto, ma può anche coincidere con degli scarti dalle norme implicite, per lo più non scritte, in particolare da quelle che definiscono i contorni del concetto sindacale di «disciplina socialista». Queste ultime ·sono indubbiamente le più temibili: sia perché evidentemente condannano ogni operaio «instabile», vale a dire assenteista o svogliato, o semplicemente pigro, «lavativo» avrebbe detto Taylor; ma soprattutto perché sono tanto vaghe che in realtà concedono ai direttori d'impresa e più iri generale alle varie istanze gerarchiche la più ampia libertà di stabilire (in base alle norme sindacali!) se i comportamenti siano disciplinati o indisciplinati. Ne discende un fenomeno già più volte descritto: ciò che conta non è tanto il diritto scritto quanto il diritto di fatto, che riguarda l'interpretazione da parte della gerarchia del modo in cui un salariato debba rispettare le dal sistema socialista di economia e dalla proprietà socialista degli strumenti e dei mezzi di produzione». Uno· studio recente ci spiega parimenti le modificazioni subite dal testo adottato nel 1977 nei confronti del progetto iniziale in cui figurava l'espressione «collettivi dei lavoratori» (cfr. Les ouvriers... cit.). Tra i «collettivi dei lavoratori» e il «Collettivo di lavoro» vi è più di una sfumatura. Vi è la stessa differenza di quella - sottolineata da Plioutch - fra i «lavoratori concreti» ed il «lavoro astratto». Da una parte vi è una comunità vivente, contradditoria, storicamente collocabile, composta di individui o di gruppi concretamente identificahili. dall'altra una ennorme (cfr. in particolare gli interventi ~--------------~ di K. Liubarski in Chronique... cit.). Di qui le procedure decisionali sopra richiamate, spesso confinanti con l'assurdo, il cui unico elemento di razionalità consiste nella conformità alle presunte interpretazioni dei superiori gerarchici, che sono a loro volta ritenute conformi ad una mitica «volontà del popolo», in un movimento circolare senza fine dal basso verso l'alto e viceversa. Di qui anche l'illusorietà dei cosiddetti comportamenti «volontari» in occasione delle varie scadenze di mobilitazione produttiva: il sistema sottintende che bisogna essere volontari, che si è obbligatoriamente volontari, a meno di rendersi colpevoli di una i'nfrazione ugualmente volontaria alla «disciplina socialista» (cfr. Chronique ... cit.). L'umorismo da caserma è qui inscritto nei fatti. li sistema non si accontenta infatti di non tollerare gli oppositori, ma esige una disciplina che si traduca in approvazione permanente ed esplicita. All'occorrenza approvazione come volontariato di un lavoro forzato. Non esiste indubbiamente un'altra possibile interpretazione del fenomeno dell'«emulazione». Quest'ultimo ci riconduce in presenza di un sistema specifico, costituito da una sorta di istituzionalizzazione della competizione fra operai, e (attraverso la differenziazione fra operai «d'assalto» e «ordinari» che ne deriva), di una proliferazione delle forme di controllo reciproco: all'autorità del caposquadra e del capobrigata verrà ad aggiungersi quella del lavoratore d'avanguardia, temibile per la sua portata economica e simbolica. In questo senso !'«emulazione» fa parte innanzitutto di un immenso movimento per tentare di controllare le forme di resistenza collettiva, per trasformare i collettivi dei lavoratori concreti in un collettivo di lavoro astratto, secondo la formula di L. Plioutch (cfr. Chronique ... cit.). Nel cuore della società, il lavoro. tità astratta, oggettivante. nella 4uak i rapporti reali spariscono dietro una struttura, che aspira all'eternità, e nella quale è appunto il lavoro come rapporto sociale fondamentale, costitutivo cioè di una struttura, che viene messo in primo piano. Da una parte dei lavoratori, dall'altra il lavoro. Lo specchio del diritto è qui di una trasparenza totale. b) Se d'altra parte si considera globalmente il diritto del lavoro sovietico, se ne deduce la tesi che il lavoro vi compare ad un tempo come un diritto e come un obbligo. Il «diritto al lavoro» in particolare, spesso invocato per dimostrare la superiorità del sistema sociale sovietico nei confronti di un Occidente incapace di impedire la disoccupazione, va inteso nel senso più normativo del termine. Non si tratta del diritto ad un impiego determinato, che gli individui potrebbero scegliere cellula sociale di base. La collettività di lavoro non potrebbe in effetti giocare un ruolo fondamentale nella costituzione della sociabilità se ·non esistesse questa garanzia legale di accesso al rapporto salariale. Il diritto sovietico definisce così assai chiaramente i suoi obiettivi. Se ne deduce infatti del tutto logicamente che non lavorare significa non voler lavorare, non voler entrare in questo rapporto sociale fondamentale, vale a dire escludersi volontaria- , mente dalla società, mettersi volontariamente ai suoi margini, in breve comportarsi inevitabilmente come un elemento antisocialista, dato che il socialismo è innanzitutto questo lavoro generalizzato. Tutti i decreti contro il «parassitismo» ne sono una prova più che chiara. In questo senso ÌI «diritto al lavoro» ci deve apparire come indissolubilmente legato ad un «dovere di lavorare» vale a dire all'accettazione forzata del lavoro salariato. Si tratta di una si può sottrarre, della classica coppia diritto/dovere, propria di questo sistema sociale, dato che, salvo eccezioni marginali, non esistono libertà economiche individuali. K. Liubarski ha fortemente insistito sul ruolo di questa assenza di libertà economica individuale (cfr. Chronique ... cit.). Essa costituisce in effetti una specificazione del «diritto al lavoro», nel momento in cui ci fornisce una possibile spiegazione del ruolo essenziale del sistema di autorità e dell'obbligo destinato ad assicurare questa mobilitazione generale del lavoro: evitando lo sviluppo to che la costituzione della società sovietica si fonda sul lavoro salariato obbligatorio. In questo senso, può essere che il primo dei diritti umani sia il diritto di rifiutare il lavoro, intendo dire il diritto di rifiutare questo lavoro salariato forzato. Di qui, una osservazione immediata: dire che non esiste disoccupazione in Urss è una espressione assurda, una espressione priva di senso. In effetti, non può esserci disoccupazione, e non può essercene come in Occidente, in cui c'è disoccupazione solo a partire da una (o da più) definizione/i istituzionale/i del fenomeno. Come potrebbe essere diversamente, dato che l'istituzione sovietica si autodefnisce in rapporto al lavoro! Parlare di disoccupazione, accettare il termine, dargli un contenuto istituzionale e poi statistico, sarebbe autonegarsi! Per contro, ·è chiaro che questo rifiuto del concetto, o più semplicemente della parola e della statistica ufficiale, non vieta al fenomeno di esistere. A. Amalrik lo ha ricordato a l\lar,iglia: nella tran4uillità delle riunioni a porte chiuse, quando l'istituzione è sicura di essere in accordo con sé stessa, circolano talora le cifre, centinaia di migliaia di persone senza lavoro, volontariamente o involontariamente. Lo specchio del diritto assume qui dei toni faustiani. L'espressione per cui il sistema sovietico sarebbe quello del «lavoro forzato», ritenuta spesso eccessiva o puramente ideologica, è quindi fondata nella sostanza dalla natura stessa del diritto sovietico. Beninteso, a condizione di non leggervi un semplice riDunque, nel cuore della disciplina sociale, la disciplina del lavoro, che appare cosi giustificata meno da ragioni economiche che da ragioni politiche, nel senso più profondo del termine. 6U.UUU persone hanno seguito la bara scortata da selle militari delf'.I.R.A. che hanno reso gli onori militari Lo specchio del diritto a) Allorché Breznev presenta il suo rapporto sulla nuova Costituzione Sovietica, il 4 ottobre 1977, sottolinea egli stesso la portata dell'articolo 8, secondo il quale la cellula di base di ogni attività economica e politica è la «Collettività di lavoro». È necessario prestare attenzione a tale istanza in quanto significativa del luogo dove si intrecciano i rapporti sociali costitutivi della società sovietica. Si tratta in effetti di una evoluzione considerevole in rapporto al testo della Costituzione del 1936, il cui articolo 4 enunciava in uno sÙle assai più «classico» che «la base economica dell'Urss è costituita in funzione del loro mestiere, della loro qualifica o del loro domicilio, ma della garanzia legale di trovare un qualsiasi impiego salariato in base alle possibilità o agli interessi dell'economia nazionale (cfr. T. Lowit, Autorité... cit). Diritto al lavoro astratto, diritto alla condizione di salariato insomma. Diritto per i lavoratori concreti di entrare nel rapporto sociale di lavoro, ma nessun diritto di principio ad un determinato lavoro concreto. Dobbiamo sottolineare la coerenza di un simile sistema: vi è una correlazione evidente e logica fra questo «diritto al lavoro» ed il fatto di considerare la «collettività di lavoro» come la dell'impresa capitalistica, essa pretende così di evitarne ex ante imali potenziali, fra cui la disoccupazione; imponendo il lavoro salariato, che essa pretende piuttosto di garantire, dev'essere a sua volta garantita da un sistema assai estensivo di obbligazioni, dello stesso ordine di misura della dimensione sociale delle possibili trasgressioni. Questo punto mi pare essenziale: bisogna collegare l'assenza di diritti individuali, ivi compresi i diritti ·civili che esulano dalla sfera più limitata delle attività produttive (o il loro carattere puramente formale), a questa assenza di libertà economica, cioè al fatpiegamento sulle categorie che servono ad analizzare le antiche società feudali o schiaviste. li sistema sovietico è diverso, se non altro perché il lavoro forzato deve essere salariato, deve essere la forma di un rapporto sociale che può assomigliare a un sistema di servitù o di schiavismo, ma che ne differisce fondamentalmente. Questo ci indica in particolare come i campi di lavoro non sono altro che la versione estrema del sistema, e non un effetto della sua perversione. Non c'è nulla di più ingannevole a questo riguardo del denunciare i campi come errori storici, disfunzioni evitabili. È la logica stessa del diritto, e il modo di costituzione della sociabilità sovietica, che ci indicano come un simile sistema implichi i campi, e non potrebbe funzionare senza di essi. Perché i campi fanno inevitabilmente parte di un sistema di costrizione che garantisce la scomparsa delle libertà economiche individuali, che si ritiene garantiscano anch'esse l'accesso generalizzato al lavoro salariato. lvi compreso il salario irrisorio, ma dunque altamente simbolico, che i campi distribuiscono ai propri prigionieri. Non c'è nulla di più coerente, logico, comprensibile: a chi perde i propri diritti per aver rifiutato i propri doveri, non resta che il lavoro come dovere senza diritto ... Tutte le coincidenze osservate nelle forme economiche non cambieranno nulla: il «lavoro> in Urss è diverso da ciò che noi intendiamo con questo termine in Occidente, se non altro per la semplicissima ragione che qui il lavoro non è né un diritto né un dovere! Indubbiamente, restano solo più i vecchi apprendisti stregoni del Cremlino a poter fare un uso narcisistico dello specchio del diritto sovietico ... Organizzazione contro efficienza Da tutto ciò che precede, derivano strane caratteristiche economiche del- ! a disciplina e dell'organizzazione del lavoro, almeno rispetto ai criteri di efficienza condivisi dalla maggior parte delle economie occidentali contemporanee. Ciò che in effetti sembra prevalere nelle preoccuapzioni dei dirigenti ,ovietici ad ogni livello, sono meno i criteri di efficienza economica che il problema del controllo della popolazione operaia e la volontà di normalizzare i comportamenti collettivi. Nel fare questa constatazione, l'osservatore francese ha la sensazione di una specie di anacronismo, come se in questa economia sovietica iperindustrializzata si ritrovassero i problemi che la disciplina del lavoro poneva all'impresa ancora balbettante del XIX secolo, in particolare allorché e~ si è posta con grande forza la questione della messa a punto di discipline dotate di effettive finalità produttive (cfr. J.P. de Gaudemar, La mobilisation ... cit.). a) La relativa inefficienza della struttura produttiva sovietica, ormai nota attraverso numerosi studi, viene spesso presentata da una recente letteratura come la causa di una fondamentale segmentazione del sistema economico: tllfto avverrebbe come se si contrapponessero da una parte un'economia ufficiale, regolata dal Piano e dalle norme relative, e dall'altra un'economia parallela che si svilupperebbe in proporzione diretta alle carenze della economia ufficiale e della sua incapacità non solo di soddisfare i bisogni fondamentali del popolo, ma anche solo di realizzare i suoi obiettivi. Un recente articolo fornisce un chiarimento assai pertinente di questa situazione affermando che «il parallelismo della vita economica è una dimensione inconcepibile, e per ciò stesso indispensabile, di questa società> (Charles Bettelheim, Le lotte di classe in Urss, cit.). Dimensione inconcepibile per l'egemonia della norma, per la costante coercizione che è destinata a fare in modo che tutti proclami.no la propria conformità ai discorsi ufficiali, per l'esclusione, sistematica di ogni voce di «dissenso>, che in quanto tale metterebbe in questione l'esistenza della società sovietica, cioè i suoi principi costitutivi (cfr. in particolare gli interventi di E. Nikolaiev, seconda pane e C. Orsoni, terza pane). Dirnen~ sione indispensabile, perché senza il parallelismo il sistema non funzionerebbe, se non altro a causa dei suoi molteplici effetti perversi. Così come, scrive G. Duchène («L'officiel et le parallèle dans l'économie soviétique>, cit), cii lavoratore sovietico medio rappresenta l'antimodello della sua immagine ideale, così come la realtà dell'economia nel suo complesso è l'antimodello della sua immagine reale>. Ci sono moltissimi esempi per illustrare questa affermazione. Come tutti gli effetti perversi legati al modo di fissazione degli obiettivi della pianificazione e degli stimoli corrispondenti, lo stabilimento
RkJQdWJsaXNoZXIy MTExMDY2NQ==