Affenue Proteo «Quaderni della Rivista Trimestrale», n. 62-63, gennaio-giugno 1980 Torino,Boringhieri, 1980 pp. 167, lire 5.000 SJ è fatto un gran parlare delle proposte di politica economica contenute nel n. 62-63 dei Quaderni della Rivista Trimestrale. Non sarà inutile fare un passo indietro e dare un'occhiata al retroterra teorico di queste proposte, avanzate da un gruppo di economisti che, come si sa, si collocano esplicitamente nell'area del Pci. Senza dubbio alla base del discorso dei Quaderni vi è l'eredità della Rivista Trimestrale: la rivista sorta nel '62 ad opera del gruppo che ruotava intorno a F. Rodano e C. apoleoni e che. a partire dal '72, dopo ruscita di apoleoni, ha dato appunto vita ai Quaderni. La chiave di volta della posizione degli autori di tali pubblicazioni è data, al solito, dall'atteggiamento nei confronti della teoria del valore. Siagli uni che gli altri giudicano improponibile una teoria del valore che intenda spiegare il plusvaJore come differenza tra valorizzaziode della forza lavoro ad opera dei capitalisti e valore della forza lavoro. Secondo gli autori della RT, dal momento che all'interno del lavoro complessivo non è possibile isolare il pluslavoro dal lavoro necessario, il concetto di plusvalore non è definibile analiticamente. Per cui la teoria del valore lavoro, basata com'è sul concetto di plusvalore, sarebbe inservibile. Secondo gli autori della QRT la teoria del valore lavoro va abbandonata anche perché essa è legata al tentativo compiuto da Marx di ricondurre la produzione capitalistica alla produzione in generale. Ma questo tentativo è fallito e la teoria non può certo sussistere al crollo dell'edificio su cui è stata costruita. «Nel pensiero marxiano (sostengono infatti gli autori dei Quaderni) è presente l'idea di una legge naturale che riguarda l'attività produttiva in quanto tale, e si fa valere in ogni modo di produzione storicamente determinato ... La produzione capitalistica può essere compresa solo a partire da quella legge di natura, come suo specifico modo di manifestarsi» (Quadernj della Rivista Trimestrale, QRT, n. 48-48, p. 53). Per le ragioni analitiche di questo fallimento gli autorl dei QRT rimandano a quelle esposte nel libro di M. Llppi, Marx, il valorecome costo sociale reale (Milano, Etas, 1976). In maniera generale si può qui dire che l'inaccettabilità della teoria del valore marxiana è fatta dipendere dall'impossibilità di ricondurre la produzione capitalistica nel quadro della legge naturale. «Se nella teoria del valore lavoro è coinvolta la formulazione di una 'legge naturale' dell'attività proTrimestrale duttiva ... e se, di più, tale legge condiziona sino in fondo l'impostazione e lo sviluppo della teoria del valore, ci sembra perlomeno lecito supporre che il risultato negativo cui tale teoria approda possa dipendere da un errore nella definizione del rapporto uomolavoro, definizione che alla fine viene in contrasto (non può essere mediata) con la realtà storico-concreta del sistema capitalistico, ovvero con ciò che il lavoro di fatto in una determinata fase storica, è per l'uomo» (QRT, n. 48-49, p. 54). La tematica espressa nei numeri più recenti dei QRT non è però nuova all'interno della Rivista trimestrale (RT). Tant'è vero che anche l'ultima parte del passo citato riprende un tema, quello del rapporto uomo-lavoro (uomo-natura) che occupa un posto centrale della RT sino dal suo formarsi. È appunto di questo tema che dovremo innanzitutto occuparci, per chiarire come esso sia stato affrontato nella RT. Non solo infatti esso costituisce il punto nodale della discussione da cui sono scaturite le proposte politiche avanzate dagli autori della RT, ma ad esso possono essere indirettamente ricollegate le posizioni avanzate successivamente, in particolare a proposito della teoria del valore. Vedremo perciò quali vesti ha assunto originariamente all'interno della RT il discorso sul rapporto uomo-natura. Dalla nostra analisi dovrebbe risultare l'importanza determinante che riveste all'interno della concezione della RT il primo termine (uomo) di Anna Carabelli questo rapporto e da cui deriva anche la peculiare configurazione, tendenzialmente essenzialistica, che gli autori della RT attribuiscono a categorie come bisogno, lavoro alienato, sfruttamento, rivoluzione, e in modo particolare il legame che stabiliscono tra bisogni, valore d'uso e consumo. Per quanto riguarda il quadro economico generale che scaturisce dal gioco di queste categorie, non sorprenderà che l'esito obbligato di un 'ottica della scarsità, come quella della RT, che privilegia il soddisfacimento dei bisogni, si identifichi nell'auspicio di una razionalizzazione del sistema tale da eliminare gli sprechi e permettere un incremento di accumulazione: in un mondo ricondotto a razionalità, lo strumento per risolvere il problema dell'efficienza dell'accumulazione è la pianificazio•• ne; la quale, decentrata, opera attraverso il mercato ricondotto all'efficienza. Ovviamente, il discorso della RT su questi punti va di pari passo con un'opera di revisione critica del pensiero marxiano. Tale revisione si accompagna a un'interpretazione di Marx cui viene contrapposta quella che può essere definita la filosofia della RT. Non ci soffermeremo sul riscontro storico della lettura di Marx fatta dalla RT. Su questo punto si veda l'analisi di A. Ginzburg («Dal capitalismo borghese al capitalismo proletario», Quaderni piacentini, n. 44-45). A proposito invece del problema della possibilità di una riconduzione della produzione capitalistica alla legge naturale, vedremo come l'esito del Belfast: bambini e ragazzi del quartiere di Bullymurphy discorso della RT, relativo all'uomo e all'attività lavorativa, sia funzionalmente assimilabile alle conclusioni cui giunge Lippi pur partendo da un punto di vista diverso. Sia il tentativo della RT -che muove da un discorso generale sull'uomo in chiave cristiano-tomistica - sia il tentativo di Lippi (fatto proprio dai QRT) - di attribuire a Marx l'intento di muovere da un discorso generale sulla natura in chiave materialistica - sono infatti due espressioni di un analogo modo, a mio parere inaccettabile, di comprensione del rapporto uomo-natura in Marx. che tende a concepire come separabili i due termini della coppia. 1) Bisogni e alienazione Alla base della visione della RT vi è un discorso sull'uomo in generale, che si articola in una serie di enunciazioni a priori a proposito di alcuni momenti fondamentali della realtà umana. Per gli autori della RT il problema economico si identifica con la soddisfazione del bisogno. Vi è scarsità dei mezzi: finitezza .e. determinatezza dei fini. Il bisogno è necessità naturale eterna. Esso rappresenta una dimensione essenziale, ineliminabile e tuttavia positiva della realtà umana. La soddisfazione dei bisogni è raggiunta attraverso il lavoro. Un rapporto reciproco lega fini e lavoro: il raggiungimento dei fini arricchisce il lavoro ed il lavoro arricchito consente e promuove il raggiungimento di fini più alti (Napoleoni, «Sfruttamento, alienazione e capitalismo»,RTsett.-dic.1963). Lo sviluppo umano appare quindi essere un processo di estensione dei mezzi e dei fini, raggiunto attraverso il lavoro. Anche il lavoro, come il bisogno, è considerato per essenza positivo. Esso diventa attività alienata solo se il bisogno da cui nasce è assunto come bisogno individuale e non sociale. Ovvero quando il lavoro diviene mero strumento separato dal bisogno. Questo tipo d'alienazione viene fatto dipendere dal rapporto tra bisogno e libertà. Se la libertà fosse intesa in senso assoluto (libertà assoluta), il bisogno diverrebbe un ostacolo a questa libertà, cioè un limite negativo. Allora il lavoro, condizione di illibertà, infelicità e sacrificio, sarebbe un costo da pagare per soddisfare il bisogno. È a Marx che viene attribuita l'idea secondo cui il lavoro è alienato quando si pone fini «determinati e necessari», legati al soddisfacimento dei soli bisogni della vita fisica. Il comunismo apparirebbe quindi a Marx come l'uscita dal condizionamento dei bisogni della vita fisica e svolgimento di attività rivolte a fini liberi e incondizionati, non «necessari» per lo sviluppo umano. L'allargamento delle condizioni oggettive renderebbe il lavoro tanto produttivo da ridurre al minimo l'attività alienata e cioè l'attività che soddisfa bisogni diversi dal «bisogno che è l'uomo stesso». Per i teorici della RT la libertà è invece consapevolezza della necessità. Da questo discende anche la loro accettazione della divisione e dell 'organizzazione capitalistica del lavoro. L'attività lavorativa umana non è di per sè alienata e non è negativo subire il condizionamento dei bisogni. Il lavoro essendo positivo nel risultato (soddisfare un bisogno positivo) è tale anche nel suo processo, cioè come attività. Per cui il rapporto tra lavoro e bisogno (tutte e due positivi) non è un rapporto di mezzo a fine, ma solo quello tra due momenti della crescita umana. La premessa iniziale che gli autori attribuiscono a Marx a proposito della libertà assoluta andrebbe quindi, a loro parere, rifiutata. La soluzione alternativa proposta dalla RT è di fatto volontaristica e convenzionalistica: il lavoro non è più alienato quando tutti decidono di considerare il bisogno in quanto bisogno comune a tutti e di concepire e vivere il lavoro come non alienato cioè in forme sociali. Si tratta insomma di mettersi d'accordo sulla positività del lavoro, ovvero sulla non negatività di subire i condizionamenti dei bisogni, e d'accettare la finitezza dell'uomo. 2) Sfruttamento .... CO °' .... .,., "' li lavoro di per sè non alienato lo diventa quando il lavoro viene separa- ] to dal bisogno. Allora il processo di ~ sviluppo dei bisogni si interrompe. ~
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