Alfabeta - anno III - n. 25 - giugno 1981

Gian Paolo Ceserani I falsi adami Milano, Feltrinelli, 1969 pp. 218, lire 800 Emina Cevro-Vukovic «Tutte le macchine sono uguali» in -Beta, n° 3-4, ottobre I975 Milano, Multhipla edizioni Giuseppe Perrella, Raffaele Strino Le macchine simulanti Roma, Theorema, 1980 pp. 159, lire 8000 L e macchine simulano da sempre qualcosa (un gesto, un'immagine), e la loro funzione primaria è sempre stata quella di imitare l'uomo, l'animale, il cosmo, o un particolare aspetto o funzione di questi. Infatti la macchina riempie un'assenza umana o animale, arriva laddove (o meglio di) qualsiasi altro essere vivente: è una estensione dei nostri desideri e/o bisogni. Ma la macchina è anche una creatura dell'uomo e in quanto creatura è specchio, estrinsecazione della natura più propriamente «riflessiva» dell'essere umano, superamento dei propri limiti spazio-temporali, ed in ultimo ripetizione analogica di ciò che è dato come originale. Si può essere d'accordo o meno con l'eresiarca di Uqbar citato da Borges, che reputava abominevoli gli specchi e la copula perché moltiplicano il numero degli uomini; ma non si può misconoscere all'attività riproduttiva una parte considerevole dell'energie umane. Del resto le macchine oltre ad imparare e simulare hanno la capacità di riprodursi, come nel caso dei trasduttori che sono macchine trasmettitrici di energie capaci anche di generare un messaggio che genera a sua volta un'altra macchina, con una effettiva trasformazione dell'imput ricevuto (N. Wiener, Dio & Golem S.p.A., Torino, Boringhieri). Ma che il problema abbia sempre coinvolto ragioni tecniche ed altre genuinamente filosofiche è ben manifesto se si prende in esame il fiorire delle creature meccaniche nel '700, dove accanto al sorgere dell'industria nasce e muore il mito degliAdami fai/ili. Vaucanson, la famiglia JacquesDroz o il mitico Von Kempelen (il creatore del «Turco» implacabile giocatore di scacchi) non furono solo venditori di stupore, ma i più fedeli interpreti di una concezione filosofica che cercava di liberare la scienza dalle panie della religione, se non della metafisica. Vaucanson, in particolare, geniale inventore di macchine meravigliose come il tamburrino, il flautista (che suonava l'impervio flauto traverso) e l'anatra (la celeberrima «canard» che scuoteva le penne, beveva, mangiava e digeriva, lasciando segni tangibili di tale prodigio) inventò nel 1745 un telaio meccanico che utilizzava un'invenzione presto dimenticata di un tale Bouchon: un cartone perforato che programmava i meccanismi. Ma il sogno mai realizzato di Vaucanson fu sempre l'uomo artificiale, giusta sintesi dellea1.1010mime obili che costituiva argomento, con la circolazione sanguigna, delle dispute tra chirurghi e medici. Nemmeno con l'aiuto di una nuova sostanza scoperta nelle foreste amazzoniche, il caucciù, il suo desiderio ebbe compimento: gli rimase solo l'elogio funebre di Condorcet, quando la morte lo colse nel 1782, oltre ad una pessima reputazione in quanto «meccanico», in un periodo in cui si dava ancora a questa parola il Gameover peso dell'insulto e il sospetto dell'adulterio verso la natura. P arlare di Vaucanson e dei suoi automi, vuol dire esemplificare un momento centrale del rapporto uomo-macchina. ~ macchina oltre ad essere l'estensione di una parte del corpo diviene la proiezione del creatore stesso. Non si bada più a costruire una macchina, ma la macchina: il corpo umano. Certo è che nel frattempo si continuano a costruire telai, pale meccaniche, trivelle, nasce inoltre la motrice a vapore; ma per propria direzione corre la strada che conduce all'utopia della creazione totale, dell'autogenesi: dell'immortalità, in sostanza. É questa inoltre la strada che in letteratura attraverserà il ghetto ebraico di Praga portando con sé il Golem, creatura talmudica senza Verbo, homunculus membruto ma inevitabilmente fallimentare in quanto mai posseduto dallo Spirito. Scrive Ceserani: «La possibilità creativa offerta all'uomo è limitata e incompleta: c'è la necessità di un essere fecondante, il seme poi è affidato ad una diversa creatura: l'istinto di potenza non è assolutamente soddisfatto da una condizione cosi costringente (cade puntuale qui la citazione del mito dell'Ermafrodita, che genera da solo la prole)». Nell'epoca della rivoluzione industriale e del pensiero materialista di Lamettrie la macchina diventa uomo e l'uomo diventa macchina, non c'è nemmeno posto per l'anima, anche se la letteratura ha riempito uno scioccheu.aio di automi che ambiscono ad averne una. La tendenza di cui si parlava trova spazi e voce nell'immagine più rarefatta ed intellettuale della macchina: la macchina «celibe». Questa nasce come tipico prodotto di un universo maschile che fa a meno della donna per generare, quello di cui si ha bisogno è di un .prodotto che nasca già bello e pronto, adulto, sintesi di sè stessi e del proprio operare, con la chiara esclusione dell'Altro. Il momento della produzione ha sempre scavalcato il desiderio, ma questo ha la sua grande rivincita proprio con le macchine celibi. Scrive Emina CevroVukovic: «Esse (le macchine celibi) non hanno pudore a denunciarsi per quelle che sono: 'celibi', macchine desideranti, flussi di energia liberamente esplicati che rifiutano coscentemente l'idea di produzione». Infatti come le macchine «utili» (coniugate al lavoro) cercano di superare i limiti della natura, così le macchine celibi attuano un superamento della storia, del mondo economico: celebrano la vittoria dell'uomo ludens sull'uomo faber. Ma si tratta pur sempre di una vittoria effimera, in quanto le macchine celibi non solo non producono figliolanza, ma nemmeno epigoni e la loro ingenuità si celebra fra le pareti delle mostre di esposizione in cui vengono adorate come merci. La storia delle macchine celibi dimentica ancora una Valerio Dehò volta la Donna, colei che moltiplica e riproduce, dimezzando il desiderio ed incanalando verso la sterilità, la Morte. Forse la strada da percorrere è diversa ed un passo indietro non fa mai male se ci si accorge di aver sbagliato. Non è forse vero che il termine robo1 usato da Capek nella commedia R.UR., deriva dal vocabolo robotnik, che in ceco significa «lavoratore»? L'era elettronica non impegna più i tecnici nella produzione di macchine antropomorfe, ma alza il segno e punta (con successo) alla riproduzione del cervello dell'uomo nonché del suo sistema nervoso. L'elettronica ha avviato un grandioso processo alla fine déf quale l'intero pianeta non sarà altro che un prolungamento del sistema nervoso (la meccanica prolungava il sistema muscolare), in modo tale che qualsiasi scambio informativo avverrà simultaneamente. Per questa operazione l'elettronica si avvale del vantaggio che ogni avanzamento tecnologico nell'automazione viene sfruttato su se stessa, nel senso che la tecnologia dell'automazione si automatizza da sé. Inoltre la diffusione di tale ragnatela di dalla macchina, anche se si tratta di una dipendenza più astratta, più sottile da cogliersi, ma per questo più vincolante e perversa. Si potrà anche non essere d'accordo con tale analisi ma la prospettiva che ne scaturisce, anche se viziata da sgradevoli accenni di catastrofismo e farcita speso da pistolotti sull'etica del lavoro, costringe in ogni caso a rivedere le ottimistiche utopie cibernetiche che fanno del progresso e della liberazione dal lavoro un fatto legato all'automazione dei processi produttivi. È però anche vero che la situazione appare segnata da profonde contraddizioni: da una parte, come notò Garaudy ormai molti anni fa, troviamo un lavoratore il cui livello culturale continua a crescere eclissando l'immagine del manovale, mentre nello stesso tempo diminuendo le ore di lavoro viene offerta una maggiore quantità di tempo svincolata dalla produzione. D'altra parte, e queste sono acquisizioni più recenti, il lavoro sul calcolatore non solo è subordinato ai tempi che il programma di questi impone, ma è anche assogettato ad un linguaggio poco flesBeffasi: la libreria-sede del « Provisionai Sinn Fein» in Falls Road. E la parte poli1ica, e legale, de/I'I.R.A. computer si propaga in senso inversamente proporzionale alla miniaturizzazione dei materiali, settore dell'elettronica che non conosce stasi o regressi. Numerosi sono i problemi che pone il rapporto uomo-cervello elettronico. Avviene, in primo luogo, che in considerazione del fatto che l'elaboratore fornisce una serie di modelli del reale, modelli che simulano attività e contesti, si rischia che la ~ealtà operativa divenga il modello stesso e la distinzione fra modello e realtà svanisca a tutto vantaggio del primo. Da questo punto di vista si può affermare che l'elaboratore è un medium genera1ivo e ciò che genera è la realtà. Del resto, scrive P. Manacorda: «All'inizio era merce solo il tempo di calcolo, quando il calcolatore era solo una macchina per calcolare; poi è diventato il modo di elaborare dati e informazioni attraverso la vendita di sistemi integrati che incorporano in uno strumento tecnico un modello, una filosofia di organizzazione». In questo senso la cibernetizzazione dell'industria ripropone il problema della dipendenza dell'uomo sibile, che produce un numero limitato di frasi e non è in grado di generare sensi diversi, né tanto meno è in grado di esprimere le varie funzioni (poetica, metalinguistica, etc.) che sono proprie dei linguaggi naturali. Si è parlato di tempo libero, ma forse tale espressione non convoglia più i suoi significati originali. Il tempo è libero da tutto tranne che dai calcolatori, anzi è occupato proprio da un'arrogante e dilettevole genia di macchine: i video-games. Q uello che colpisce nei video-games è la loro onniscenza: in pratica non v'è situazione che non riescano a simulare ed il nostro piacere effimero è quello di trovarci in situazioni che la nostra condizione umana o sociale non ci permetterà mai di avvicinare. A nessuno di noi capiterà mai di sfrecciare su di una pista piena di insidie con un auto di F.I. o di combattere nello spazio contro crudeli e velocissimi alieni o ancora di salvare la Terra da imperturbabili astronavi marziane. Inoltre nel caso dei video-games il piacere di giocare è natura/men/e associato a quello di perdere (e questo Freud ce l'aveva già spiegato), in quanto non si gioca con la macchina, ma in casa della macchina, che diventa luogo d'azione e avversario nel contempo. Non abbiamo nemmeno la possibilità di scegliere i tempi del gioco in quanto questi sono programmati nella macchina, dalla macchina, cioè dal nostro avversario. Per questo il massimo del piacere consisterà nell'adeguarci al tempo e al gioco scelto dal nostro avversario, ottenendo alla fine una problematica vittoria che consisterà nella mimesis con il nostro acerrimo nemico. Ma che qualcosa non funziona ce ne accorgiamo subito, appena infiliamo il gettone e cominciamo ad essere giocati. Ci accorgiamo ben presto che la nostra funzione è quella di stare sulla difensiva, di tamponare una virulenta aggressione che ci pone costantemente in pericolo. li gioco, come continua ad essere chiamato, non concede una distrazione, ogni pausa è pagata con il nostro annientamento,per cui conviene immediatamente prendere le contromisure e non pensare ad altro, magari ricordando che il sublime Cassius Gay pagò care le sue distrazione contro «Machine> Frazer. Il rapporto con la macchina è quindi di tipo ipnotico, la macchina è l'ambieme e il nostro compito è di fare compiere all'evoluzione una svolta clamorosa cercando la sopravvivenza con un adattamento da compiersi nel breve spazio di qualche minuto: ma la nostra stupida vittoria. sarà rappresentata soltanto dalla simbiosi con il mostro. Un elemento nuovo nei video-games rispetto ai flippers, oltre alla mancanza di un elemento neutrale costituito dalla pallina, è l'intervento del suono elettronico che sottolinea le varie fasi della partita in genere con una musica aggressiva e nevrotizzante o con delle marcette denigratorie. La musica è importante nei video-games e funziona oltre che come attrattiva, una sorta di richiamo di adescamento nei confronti dei potenziali clienti-giocatori, anche come sottolineatura della natura elettronica del gioco. È quello del resto che succede con la Musica d' ambieme, che negli Stati Uniti è stata introdotta anche negli aeroporti, che ribadisce l'inferiorità della meccanica rispetto all'elettronica; infatti sono proprio i rumori meccanici (auto, treni, aerei, macchine per scrivere, etc.) a dover essere coperti ed espulsi dalla memoria collettiva, mentre d'altro canto il rapporto con la realtà e con la natura tende definitivamente ad allontanarsi, a rendersi inutile. Per cui considerando la diffusione dei video-games in tutto il mondo ci si può rendere conto come anche il tempo libero tende ad essere occupato dalla presenza del computer. E forse abbiamo ancora il tempo di sorridere della figura del giocatore che cerca invano un -rapporto di tenerezza con la macchina al di là dell'amore mercenario, mentre lo sguardo amoroso non sarà mai ricambiato da colei che non è programmata per l'orgasmo. Quando la macchina infine è spenta e compare l'imperativo «insert coin», la macchina si mette a giocare da sola dando dimostrazione della propria completa autosufficienza. Forse era meglio morire sulle fredde labbra di una poupée au1oma1e come la tenera Olimpia di Hoffman o struggersi per la rigidità della candida Hadaly di Villiers de l'lsle Adam.

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