Alfabeta - anno III - n. 25 - giugno 1981

..... OC) °' ..... nelle fiere e nelle feste di piazza e richiedeva al pubblico non di restare fuori dello spazio scenico, ma di agire all'interno di esso come elemento partecipe del gioco e della creazione. È un esempio interessante di questo orientamento uno spettacolo del 1965, riproposto anche quest'anno: / dieci giorni che sconvolsero il mondo, rappresentazione popolare con pantomine, scene da circo, buffonate su motivi del libro di John Reed. La scelta spaziale operata da Ljubimov per la sua treatralizzazione dell'ottobre del '17 risponde ad una duplice esigenza: coinvolgere il pubblico nella festa rivoluzionaria ma anche, come avviene sempre nell'attività artistica, modellizzare attraverso i rapporti spaziali i molteplici nessi del quadro del mondo - etici, sociali, filosofici - fenomeno tanto più evidente a teatro perché, come nota Anne Ubersfeld, « spazializzare il mondo significa renderlo non solo comprensibile, ma anche teatralizzabile » (Lire le théatre, Paris, Éditions sociales, 1978, p. 158). Nel caso dei Dieci giorni ad essere utilizzati sono tutto l'edificio e perfino la strada che accoglie il pubblico con canti rivoluzionari e sventolio di bandiere. A suggerire l'atmosfera di gioco e a consentire l'inserimento dello spettatore in un mondo alternativo rispetto a quello di tutti i giorni è già la presenza all'ingresso per il controllo dei biglietti di attori vestiti da marinai e soldati dell'Armata rossa e di un gruppo di rivoluzionari con chitarre e fisarmoniche che coinvolge chi entra in girotondi e cortei, mentre la porta della sala è chiusa per il primo quarto d'ora ad indicare che lo spettacolo è altrove. Più tardi, accompagnate dal coro dei rivoluzionari, che alternano alle canzoni dell'epoca quelle di Yysotskij e di Brecht, si succedono- stavolta sul palcoscenico - quadri diversi: gli episodi farseschi da circo che hanno per protagonista Kerenskij, quelli tragici fra le madri e i condannati, il processo dei giudici americani contro il democratico John Reed, il gioco di ombre di borghesi in fuga dietro uno schermo bianco, evidente citazione dal poemetto I dodici di Blok, la pantomima dei socialdemocratici fatti cadere a uno a uno dai rivoluzionari e altre ancora. Il festoso evento a cui il pubblico assiste e partecipa è la conquista di uno spazio raccontata a ritroso, dopo che gli spettatori sono già stati coinvolti nel dilagare della rivoluzione che ha invaso l'edificio teatrale e la strada e che si restringe alla sala e ai singoli quadri soltanto dopo, quando il pubblico ne ha già avvertito la vastità e il dinamismo. 11treatro dei saltimbanchi°e delle feste di piazza rappresentava, come ha più volte messo in evidenza Bachtin occupandosi di epoche passate, la possibilità di « un temporaneo affrancamento provvisorio » nell'antimondo della creatività e della libertà dal dogmatismo, contrapposto ad una vita ufficiale « monoliticamente seria e accigliata», con.la sua « verità già bell'e pronta, statica, morta"· Paradossalmente ad essere liberata dall'univocità e dal dogmatismo per vivere in chiave di festa folklorica nel Dieci giorni è la rivoluzione di ottobre, patrimonio ormai non più dell'antimondo ma di una monologica ufficialità. Mi sembra significativo per la comprensione dello spettacolo anche il filtro di cui chi lo ha messo in scena ha deciso di servirsi: l'ottica cioè di un democratico americano in lotta contro l'oppressivo potere del suo paese, straniero sul palcoscenico occupato dai rivoluzionari coi suoi vestiti borghesi occidentali, con la sua visione alternativa, libera dalla retorica che accompagna nell'Unione Sovietica di oggi il ricordo di un'episodio purtroppo ormai molto lontano: un'alternativa possible e praticabile però perché sanzionata - come lo stesso programma dello spettacolo ricorda attraverso una citazione-dal giudizio favorevole della Krupskaja sul libro di John Reed. Il caso inverso, la riduzione cioè dello spazio scenico all'interno di limiti molto ristretti, si realizza in uno spettacolo più recente La Principessa Turando/ o il rongresso di coloro che si discolpano, liberamente rielaborato da Brecht e arricchito da canzoni di Sluckij e di Yoznesenskij. Si possono individuare tre piani orizzontali: quello più alto dove siede l'imperatore con la famiglia, quello estremamente ristretto e oppresso dal piano soprastante dove si muove il popolo che gira incessantemente un'enorme ruota e infine quello in apparenza esterno all'azione in cui siede il pubblico. La luce filtra sulla scena attraverso una carta arancione, che avvolge e limita lo spazio del palco facendolo ancora pfo esiguo. A rendere dinamico il rapporto tra i tre piani e a consentire all'interno dello spettacolo una nuova organizzazione spaziale e un accrescimento di informazione è il proceso metonimico messo in moto dall'apparizione sulla scena di un oggetto che ha, come le carrozze di Compagno, credi, un alto potenziale metaforico. Alla fine del congresso di coloro che si discolpano, quando intellettuali, artisti, scienziati vengono giustiziati attraverso il simbolico inserimento della testa in un cartone insanguinato, una voce pronuncia la frase: « Ma un giorno forse gli uomini vorranno sapere che la terra è rotonda >. Contemporaneamente uno dei cartoni insanguinati viene sfondato e una mano spinge verso il pubblico un grosso mappamondo. A questo punto, guidati da un vecchio che si rifiuta di obbedire agli ordini dell'imperatore, gli attori escono silenziosamente dalla scena, ombre che sfilano dietro la carta colorata mentre le luci che illuminano il piano superiore si spengono. Gli attori riappariranno e sfileranno in platea con le luci accese - non più indirette e filtrate - una platea che, attraverso il processo metonimico messo in moto dal mappamondo, si presenta ora allo spettatore come un mondo libero, illuminato e immenso di cui lui stesso fa parte, mentre l'attore che rappresenta il potere è rimasto da solo al buio in uno spazio infinitamente più ristretto. Estremamente suggestiva nelle sue soluzioni spaziai i, La principessa Turondot di Ljubimov riprende in una prospettiva rovesciata e dialettica tempi e motivi dei Diecigiorni che sconvolsero il mondo, per rispondere però ad altre domande e alle esigenze di una situazione già profondamente mutata rispetto a quella in cui era stato ideato e messo in scena lo spettacolo del '65, non solo per il pubblico sovietico ma anche per quello occidentale. Se lo spettatore si sente profondamente gratificato dal finale ideato da Ljubimov, temporanea liberazione rispetto ad un'opprimente realtà quotidiana attuata attraverso l'inserimento di un secondo mondo più libero e creativo, rispondere alla domanda dove sia quell'universo-platea, illuminato, immenso non più oppresso dall'incombente soffitto del potere è oggi molto più difficile anche rispetto ad un recente passato. Il fascino e la ricchezza polisemica della messa in scena di Ljubimov nascono anche dall'aver riproposto il problema in un momento in cui proprio la dolorosa comple~ità di una risposta aperta, che non può contare sui facilientusiasmi dei modelli già pronti una volta per tutti e per ogni paese, garantisce dal pericolo di improduttivi schematismi. Come Lotman ha messo in evidenza nel suoSemiorica della scena (Tearr, n. I, Moskva 1980) richiamandosi implicitamente a Bachtin, « la verità • a teatro come in ogni altra attività conoscitiva non si trova nella testa di un singolo-l'autore, il regista, l'attore, lo spettatore - ma nasce fra gli uomini che la cercano insieme, disposti a rinunciare ad ogni dogmatica certezza, pronti a rielaborare la propria organizzazione concettuale e il loro stesso quadro del mondo nel confronto con gli altri. Con la sua ricchezza di codici e linguaggi diversi, coi suoi processi di transcodificazione che si rinnovano ad ogni rappresentazione a seconda delle reazioni degli spettatori, coi suoi comple~i rapporti comunicativi fra l'autore del testo drammatico e chi lo mette in scena e poi fra chi mette in scena e il suo pubblico, il teatro è nell'ambito artistico il luogo ideale per questo fecondo dialogo, un dialogo che in un paese dalle monologiche e sante verità Ljubimov cerca di risvegliare nell'esigua massa di spettatori a cui si rivolge ogni sera nel suo minuscolo teatro. NewYork:l'ondafredda U gergo inquieto. Cinema off e inespre~ionismo a New York A cura di Ester de Miro e Germano Celant. Genova l981 Tre incontri sulla felicità A cura dell'Arei. Roma 1981 L a scena del cinema off newyorkese è cambiata. Non più visionari dell'immaginario perverso-polimorfo, che estetizzano le trasgressioni collettive, il modo di vivere degli artisti, dei drogati, degli omosessuali, dei beats, come progetto in atto di liberazione. Non più santoni del cinema come vita differente, che raccolgono tracce di itinerari libidici non ortodossi, o sacerdoti dell'occhio interno che costruiscono tessiture infinite e sfrangiate di luce. La grande epoca dell'underground caldo, del cinema come avventura del desiderio, trasformazione radicale della vita quotidiana e dell'immaginario, estensione visiva dell'imperativo ginsberghiano dell'allargamento della coscienza, praticabilità diffusa di un 'altra sessualità, è assolutamente finita. Jonas Mekas e Brakhage ripetono più o meno stancamente se stessi (Brakhage meno stancamente), Jack Smith insegue pateticamente la propria immagine di star decaduta, Kenneth Anger rischia di passare alla storia (del cinema) più come autore di quel capolavoro del pettegolezzo e delle quinte hollywoodiane che è Hollywood Babilonia, che per il sopravvalutato Scorpio Rising. E non è neanche più l'epoca dell'intensità cold del cinema strutturale (o minimal), che nella seconda metà degli Anni Settanta ha sperimentato il cinema come analitica del linguaggio filmico e come progettazione e verifica del suoi confini, dei suoi est~emi (fino all'azzeramento totale dell'immagine filmica ed alla produzi_onedentro lo schermo della negazione reale del cinema e della sua posPaolo Berte/lo sibile percezione in The Flicker di Tony Conrad). Resta, certo, Warhol, che tuttavia è ormai una istituzione culturale e non fa film da anni. E, in fondo, a caratterizzare la scena del cinema off americano non sono neppure le ricerche - sicuramente importanti - degli artisti visivi, che lavorano ormaJ m una dimensione multimediale, e sviluppano con eguale impegno la loro produzione in campi diversi, dissolvendo l'idea tradizionale di specifico e riscoprendo nuove significazioni e nuove intensità nel rapporto eterodosso con i codici cristallizzati dei singoli campi operativi. In allo. Raccolta di firme: il giovane si copre con una sola coperta, come i« Blanket men>, che rifiutano di indossare la divisa carceraria Laurence Weiner, Walter De Maria, Bruce Nauman, Robert Morris, John Baldessari, il gruppo Auxus, Richard Serra, Ed Ruscha, Vito Acconci, Joan Jonas non solo producono videotapes, ma fanno filmmisurandosi con la m~ima disinvoltura con un linguaggio nuovo. L'artista multimediale è la figura chiave della nuova creatività estetica americana e rappresenta il segno evidente di una trasformazione del processo e dei modi della simbolizzazione: una risposta cold, inespre~iva in termini di continuità e di allargamento del lavoro suJJ'evento e sulla concettualità, che si oppone in fondo ad ogni possibilità di ritorno del passato, di ripresa della pittura. È un procedere che amplia le frontiere della creatività, incorpora nuovi media, determina di fallo un nuovo orizzonte dell'estetico, e rifonda i linguaggi proprio perché ne ignora i vecchi specifici e li dilata indefinitamente. 'Ma c'è un'altra dimensione del cinema off newyorkese che polarizza su di sé l'attenzione e si propone con indubbia determinatezza come la new line della ricerca filmica. È il cinema New Wave o punk, esploso nei circuiti del punk rock, della New e della No Wave musicale, come espressione caotica, molteplice, a volte sbrindellata, ma sempre estremamente dura e vitale di una nuova generazione, alle prese con la scena metropolitana ed i labirinti del nuovo immaginario e della nuova visualità punk. È un cinema marginale, differente, ma che rifiuta di identificarsi nella marginalità e tende a percorrere tutto l'orizzonte delJa metropoli postmoderna, senza rifiuti aprio-

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