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Lettera a Daria Banfi17

VI             Roma 12 aprile18
Cara Daria
  Sono (ma è uno stato abituale) imperdonabile. Da una epoca remota (che non oso precisare) ho sul tavolo una decina di cartelle con appunti sulle "Inquietudini"19 ; mi avevano vivamente "preso" alla lettura - quando Nino mi prestò il libro - L'ostacolo principale non è forse la mia pigrizia, ma un senso d'imbarazzo: parlare "dinanzi ad estranei" di scritti in cui sento così immediata la reale persona amica - Un punto primo che dovrebbe essere ormai pacifico è che in genere non so scrivere e meno di tutto posso officiare da "critico". Bisognerebbe fare sentire il fascino tutto particolare della "signora" disinvolta, mordace, abbastanza feudale di tono, che allo stesso tempo vive nella familiarità di profonde e modernissime metafisiche e non si sogna di sprezzare la mischia sociale dove anzi saprebbe all'occorrenza difendere una posizione ... molto avanzata. Savonarola non direi; ma un vecchio generoso fermento dell'epoca quando anche nei nostri chiostri si battagliava, "senza peli sulla lingua" si manifesta; anche nello stile qualche cosa (non so se si possa parlare di rudezza od arcaismi? spontanei) tradisce un aristocratismo che non si è mai ammorbidito in ambienti versailleschi ...
  Poi vi è la varietà veramente irrequieta dei temi e dei ritmi: "la Retorica" è un pezzo "enlevé avec bravoure" mentre nella "ansiosa attesa" siamo quasi alle brume di una dissertazione; vertiginosamente dalla tazza di thé con leggeri madrigali precipitiamo in vaste considerazioni sul romanticismo, il positivismo l'idealismo nuovo per sussultare alla botta brusca sul "maschio minorato nel corpo e nell'anima" (altro che Savonarola) - Carpaccio e Giovanni Bellini appena intravveduti; si passa sul maltrattato Proust per incontrarsi con ... ariani e Pitigrilli (a proposito chi è Wildt?). Non voglio adulare: la lirica non riesce - le invettive sul pudore assassinato agiscono non per le immagini più o meno smaglianti, ma perché si vede una "grande colere" molto energica, molto lucida; peccato che alla fine si cada nell'azzurro sentimentale. L'arguta domanda su Dorian Grey sbocca in molto vaste, ma non interamente rischiarate prospettive sociologiche (dopo aver letto nel London Charivary i ricordi di Yeats su Wilde e la sua famiglia, credo poco probabile che il poeta vedesse l'aristocrazia con quella poco benevola perspicacia di una patrizia bolognese).
  E poi vi sono idee s'imporrebbe di discuterle. La "bellezza" vespaio di "problematiche": Tairon mette in scena l'"Adrienne Lecouvreur", la scena della morte dell'eroina - "aspettavo, narrava quel geniale regisseur, con ansia l'effetto sul pubblico: assieme alla sensazione funebre spunterà o no il sorriso, che ogni creazione d'arte deve provocare ... Il sorriso illuminò i volti e questo fu la prova decisiva per me che il mio metodo era riuscito" - sorriso, libertà del "giuoco" (catharsis?) - conduce alla tesi: la verità non può essere bellezza - E Lei dice che "l'artista non può creare la bellezza perché cerca la verità" -
Ma allora la bellezza che fa soffrire, che "esige e non dona" non è bellezza? Dunque non è che l'arte d'oggi sia "diversa"; ma sarebbe non-arte? Ma ecco invece tutta l'arte bizantina - (da Giustiniano ai Comneni) - che disprezza il "sorriso", la riduzione a "bella forma" a "festino degli occhi" è tutta asservita a una liturgia di grave e mesto significato; è "veste" ieratica per esteriorizzare la "verità" - Eppure sembra una grande Arte - Ma oggi è ancora un'altra cosa: non "rivestimento" ma denudamento; non religione (unione), ma dogma, ma isolamento, dissociazione senza fine di ogni apparenza solida - Già, ma Lei lo dice: è una "attesa" -- Soeur Arine, voyez-vous quelqu'un chevancher sur la route? --" Ma quanti di noi guardano con maggior insistenza indietro -- siamo noi che ci spostiamo irreversibilmente su una "casa a vapore" --
  Discutibile mi pare che "la natura sia amata ora come non fu mai" - Quale? Da chi? O si tratta dello sportivo culto del corpo? In arte vedo piuttosto l'interpretazione meccanica degli stessi paesaggi; il "dinamismo" che ci sembra "suprema vita" non ha in sé nessun ritmo di natura ... il cinematografo (che forse non è da considerare tutto come barbarie) - educa in milioni un "modo di appercezione" per cui ogni "natura" si disloca -
  Appunto il macchinismo - Mi scusi, ma il punto di vista della "moderna massaia" per la quale il progresso tecnico si risolve in luce, riscaldamento ecc. è alquanto unilaterale - Rende la vita più facile? Oibò! Pensi alla vita degli uomini nell'ingranaggio meccanico, non solo all'ingegnere o all'operaio in una officina gigante, ma a tutti i "cittadini esercenti una qualsiasi professione" a New York o a Berlino. Tensione di volontà, sopraeccitazione continua, operosità divorante, disciplina spietata. Le "necessità spirituali ed esigenze estetiche" non trovano posto (l'"imperativo morale" invece ha da esplicarsi in modo superlativo) non perché gli dei ci hanno concesso ozii di Capua, ma perché l'ozio non esiste più: negli "svaghi" si devono osservare rigorosi orarii, battere "records", faticare come mai aveva immaginato Geova quando pronunciò la storica frase, sul "sudore della fronte" (i sudori dinanzi a un forno Martin o in un match di football o i sudori freddi durante mezz'ora di "arbitraggi" a Wall Street si estendono a ben altre superfici anatomiche) - Chi pensa al "benessere" come scopo? Questo ora è un mezzo: bisogna assicurare ogni sorta d'igiene, e "rapidi rifornimenti" alla "macchina umana" perché altrimenti non potrebbe "rendere", e saremmo schiacciati dalla concorrenza, cadremo sotto il vassallaggio dell'America, saremo divorati dall'Asia ecc. ... produrre, sempre produrre e consumare solo il necessario per produrre di più ...
  Lei solleva con disinvoltura temeraria le più atroci questioni dell'epoca e ci invita di (sic) esprimere lì, su due piedi o su un colonna e mezzo di giornale, il nostro "parere"; è come se dopo averla appena stuzzicata con l'orlo del ventaglio, ci lanciasse addosso una tigre del Bengala ... "fatemi il piacere di acconciarmela" -
  Tutto questo lo posso dire perché parlo con Lei; ma se dovessi stillare la mia impacciata sintassi italiana per una recensione stampabile, ne verrebbe fuori una di quelle mie solite indigeste "tartines" che nessuno ha il coraggio di leggere più in là delle prime cinque righe; sono d'accordo con Rodolfo; c'è del clergyman (oltre che nel mio fisico) nella fredda, tortigliosa, saccente maniera con cui "redigo" per "il pubblico". Insisterò perché Spaini faccia una recensione brillante e magari maligna; forse Lei consentirà di mandare il Suo libro alla signora Noemi Carelli, via Solferino 34 (Milano) che ha grande facilità di penna, intelligenza e relazioni con tutte le riviste; Le raccomanderò da parte mia con calore di fare un bel pezzo.
  Dovrei ora completare le notizie che hanno avuto dall'ottimo Boffito - Non posso pensare a lui senza una vergogna opprimente: mi è sembrato molto (e giustamente) arrabbiato nell'ultima sua lettera. Ma non so se Lei e Ton, almeno in parte mi scuseranno: sentivo un mortale scoraggiamento man mano che diventava prossimo, reale il trasloco a Milano. Mi accettavano lì un poco precariamente. Viene una offerta estremamente gentile adatta ai miei gusti, e che mi mantiene in una situazione irregolare (cioè a me adatta). Quel "signore dal nome straniero" è uno storico d'arte, misantropo molto affettuoso20; quel che faccio non ha importanza e va dalla ricerca di quadri alla paleografia passando per diverse sciocchezze meccaniche (fiches, studio di guide ecc.).
  Le mie più vive congratulazioni a Ton; i nostri cuori palpitarono - Tanti baci a Rodolfo. Fraterni abbracci a tutti il "plurale familiare".
  Mi scusi il modo "de me derober", ma non è definitivo.
  Siccome le cartelle sono sempre lì, potrei prendere il mio coraggio a due piedi e ... svolgere il componimentino.
  Intanto ancora tanti affettuosi abbracci
                                          André.    
P.S. Leggo ora la storia della leonessa ... L'avete vista?
Nino mi dice ora che Spaini l'articolo l'ha già fatto.

17) Lettera disponibile presso IBRE.
18) Probabilmente la lettera è stata scritta all'inizio del 1926, ricordiamo infatti che nel 1926 Caffi lascia Roma e che nello stesso anno viene pubblicato il libro di Daria Banfi che è argomento della lettera.
19) D. Banfi, Inquietudini, Alessandria, Battaglini, 1926.
20) Si tratta probabilmente di Timon Henricus Fokker, critico d'arte con cui Caffi strinse amicizia nel 1919. Parliamo di Fokker nel capitolo I, p. 20.

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